Nessun responsabile per la strage dei bambini dell’11 ottobre 2013 ?

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Secondo quanto si è appreso dai pochi mezzi di informazione che hanno riportato la notizia, la Procura ha chiesto l’assoluzione dei due ufficiali imputati nel processo per il “naufragio dei bambini”, tra Lampedusa e Malta, dell’11 ottobre del 2013 in cui morirono 268 persone tra cui 60 minori.“Gli imputati vanno assolti perché il fatto non sussiste”, come richiesto dal procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, e dal pubblico ministero, Santina Lionetti, davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Roma . Sul processo grava anche la prescrizione: restano dodici giorni. I termini sono stati comunque sospesi e l’udienza è stata rinviata all’8 novembre per l’assenza per covid di uno degli avvocati della difesa.

Secondo la Procura di Roma, gli imputati vanno assolti perchè il fatto non sussiste, “Non c’è stata alcuna volontà degli imputati nel volere la morte dei migranti – hanno dichiarato in aula i due pubblici ministeri -. Non c’è stato alcun dolo, le procedure sono state rispettate e la loro missione era salvare persone in mare. I due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca. Le modalità con cui è avvenuto il naufragio non hanno permesso di stabilire un bilancio ufficiale, c’è un deficit di conoscenza sul numero dei morti, sulle cause e sulla riconducibilità al presunto ritardo”. Unici resposabili del naufragio sarebbero, come al solito, “i mercanti di uomini” che avrebbero messo 400 persone su un barcone e poi gli avrebbero sparato contro, e qui soprattutto risalta il consueto argomento difensivo alla base di tanti abbandoni in mare: non sarebbe un processo “ai tempi e ai modi di come sono state effettuate le modalita’ di salvataggio poiche’ – ha detto il rappresentante dell’accusa – l’intervento e’ stato effettuato in zona Sar Maltese dalle autorita’ di quel Paese e il tutto esula dalle responsabilita’ della giurisdizione italiana”. Quanto sia davvero esistente questo “deficit di conoscenza” lo potrà accertare chiunque voglia ascoltare le udienze dibattimentali registrate da Radio Radicale.

2. Quanto affermato dalla Procura di Roma, sul “deficit di conoscenza”, risente dello scarto emerso tra le dichiarazioni assai circostanziate dei sopravvissuti, dei parenti delle vittime e del dott. Jamou rese in particolare, attraverso documentate denunce e poi nell’udienza del 19 aprile 2021, con le deposizioni degli imputati e dei testimoni appartenenti alla Marina Militare o al Corpo della Guardia costiera. Deposizioni che sono apparse frammentarie, costellate da “non ricordo” e che si sono tradotte talora in consulenze di esperti, più che in dichiarazioni di persone nei confronti dei quali era in corso un procedimento penale o che venivano a riferire su fatti a loro conoscenza, ciascuno per le mansioni e per lo specifico settore di competenza. Quest’ultima circostanza ha pure impedito una visione completa della scena dei soccorsi e della catena di responsabilità da accertare in questa tristissima vicenda. Le ricostruzioni fornite dalle diverse parti hanno riprodotto una miriade di segmenti di attività individuali di relazioni inter-istituzionali ed internazionali che non hanno permesso di cogliere facilmente le responsabilità personali dei soggetti ai quali, dopo le prime inequivocabili chiamate di soccorso provenienti dal peschereccio, era riferibile la decisione di non dichiarare immediatamente un evento SAR e di mantenere per ore in stand-by, prima dell’avvio delle operazioni di salvataggio, l’assetto navale militare italiano più vicino al luogo del naufragio, la nave Libra della Marina Militare italiana, allora impegnata in attività di sorveglianza pesca nelle acque del canale di Sicilia.

La concentrazione dell’arco temporale dei fatti contestati come oggetto del reato, dalle 16,22 dell’11 setembre 2013 fino alle 17,10 circa, ora del capovolgimento del barcone, che secondo la Procura deriverebbe dall’atto di imputazione coatta, che ha mandato a processo i due ufficiali della Guardia costiera e della Marina, non può cancellare una serie causale che era iniziata già dal momento della prima chiamata di soccorso, attorno alle ore 12,30 di quello stesso giorn. Quando le autorità italiane e maltesi si rimbalzavano a vicenda le responsabilità di intervento, a fronte di una evidente situazione di distress o destrefa, per usare il termine del Piano SAR nazionale del 1996 ,che doveva imporre l’invio immediato di mezzi di soccorso nel luogo, noto a tutti, in cui si trovava il barcone in procinto di affondare. Non solo è mancata per ore in quella giornata qualsiasi collaborazione nella gestione dell’evento SAR, tra le autorità italiane avvertite per prime e le autorità maltesi che avrebbero dovuto intervenire con la massima sollecitudine dal momento che il barcone era stato segnalato nella zona SAR di propria competenza, ma le autorità marittime dei due Stati hanno perso ore preziose al fine di accertare se davvero il barcone si trovasse o meno in una condizione di pericolo imminente (distress), senza prendere in considerazione quanto riferito con precisione di dettagli dai migranti nel corso di drammatiche telefonate acquisite agli atti del procedimento.

La più recente giurisprudenza italiana, dalle corti di merito fino ai giudici di legittimità, riconosce precisi obblighi di salvataggio a carico degli Stati, obblighi che vanno adempiuti con la massima tempestività, al fine di salvaguardare la vita umana in mare, come peraltro appare ribadito nel Piano SAR nazionale del 1996 (riformato nel 2020), e nel Manuale internazionale IAMSAR adottato dall’IMO (Organizzazione internazionale marittima) al quale questo fa riferimento.

La ricostruzione dei fatti e l’accertamento delle responsabilità non possono infatti prescindere dalla qualificazione giuridica che se ne fornisce, nel sistema delle fonti normative riguardanti i salvataggi in mare, secondo quel principio di gerarchia delle fonti che è più volte richiamato in recenti sentenze della Corte di Cassazione, come nel caso Rackete, (Cass.n.6626, 16-20 gennaio 2020), in tema di doveri di soccorso affermati dall’art.18 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e nel caso Vos Thalassa, (Cass.n.15869, 16 dicembre 2021, sentenza depositata 26 aprile 2022) con una netta riaffermazione degli obblighi di soccorso a carico degli Stati e del principio di non respingimento, sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra del 1951, e tanto vale per l’operatore del soccorso marittimo, quanto per chi amministra la giustizia o per gli avvocati delle parti. Quanto previsto da parte di regolamenti amministrativi o da parte delle autorità marittime competenti sulle modalità delle attività SAR in acque internazionali non può certamente derogare consolidati principi di diritto internazionale che assumono carattere vincolante nell’ordinamento interno per effetto degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione italiana.

3. Dai riscontri documentali e dalle audizioni dei testimoni è emerso con chiarezza che fin dalle prime richieste di soccorso le autorità italiane erano state chiamate in causa, anche dalle autorità maltesi, per la maggiore vicinanza a Lampedusa, rispetto a Malta, del peschereccio, che già imbarcava acque ed a bordo del quale si trovavano pure alcuni feriti. E’ del resto fatto notorio che le autorità maltesi anche quando sono costrette ad assumere il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio (SAR) non dispongono o comunque non inviano loro mezzi navali al limite meridionale della loro vastissima zona SAR, quasi al limite della cd. SAR “libica” (all’epoca dei fatti neppure dichiarata all’IMO), dove invece intervengono generalmente unità italiane, della Guardia costiera o della Marina Militare. In questo senso basta consultare, malgrado i tentativi di occultamento, le varie edizioni dei Dossier annuali della Guardia costiera italiana sui soccorsi nel Mediterraneo centrale,almeno fino al 2018 anno nel quale venivano sospese le pubblicazioni, per avere la prova di come di fatto le attività di ricerca e salvataggio nella zona SAR maltese, siano nella maggior parte dei casi operate da mezzi italiani, o in precedenza da assetti navali europei, di singoli Stati o nel quadro di operazioni dell’agenzia FRONTEX.

In occasione del naufragio avvenuto alle ore 17 circa del 11 ottobre 2013, le autorità maltesi avevano comunicato la loro assunzione del coordinamento delle attività SAR, ma le autorità italiane che per prime avevano ricevuto le richieste di soccorso non avevano acquisito alcuna certezza sull’effettivo invio di una imbarcazione nella direzione del peschereccio che stava lentamente affondando, tanto che ad un certo punto non riusciva più a proseguire nella sua rotta. Solo a quel momento, attorno alle ore 16 di quello stesso giorno, dunque un ora prima del capovolgimento e dell’affondamento, le autorità maltesi, che si erano limitate ad inviare un aereo di ricognizione, chiedevano alle autorità italiane l’intervento in soccorso della nave Libra, che da ore si trovava a circa venti miglia dallo stesso peschereccio, in attività di “ombreggiamento” ( sorveglianza senza rendersi visibile).

In ogni caso, se anche nave Libra, dopo le 16,22 di quel tragico giorno, non avesse fatto in tempo a raggiungere il luogo del naufragio, l’invio più tempestivo dell’elicottero di cui la nave era dotata, avrebbe potuto permettere di lanciare in acqua mezzi collettivi ed individuali di salvataggio che, anche dopo il rovesciamento del peschereccio, avrebbero potuto salvare decine di vite. Mentre svuota il ruolo di coordinamento inizialmente assunto da Malta la circostanza che le autorità di quello Stato si limitavano ad inviare un aereo di ricognizione per accertare lo stato del peschereccio e poi tardivamente una piccola motovedetta, mentre qualche ora dopo chiedevano l’intervento della nave militare italiana, la Libra, presente da ore a poche miglia dal barcone in difficoltà. Per non parlare del mancato coinvolgimento di unità commerciali pure presenti in zona. Quando uno Stato dimostra, ed adititura dichiara, di non avere mezzi per completare le attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, o ritarda l’invio di mezzi di soccorso, le autorità marittime dello Stato titolare dell’area SAR confinante, che dispongono di mezzi di soccorso più vicini al luogo dell’evento, non si possono nascondere dietro l’assunzione di responsabilità SAR da parte delle autorità di un’altro Stato. Cos’ come la catena gerarchica interna alle organizzazioni militari non può ritardare interventi di soccorso in cui la vita delle persone diventa questione di minuti.

Sarà importante considerare, dal punto di vista delle competenze di coordinamento, la normativa internazionale (Convenzione di Amburgo del 1979- SAR e relativi allegati) che impone precisi obblighi di collaborazione tra gli Stati costieri titolari di zone SAR confinanti e la normativa interna derivante della legge Bossi Fini del 2002, che stabilisce doveri di coordinamento tra le diverse autorità statali coinvolte nelle attività di controllo delle frontiere marittime di fronte al fenomeno dell’immigrazione cosiddetta “clandestina”, e in qualche modo preposte anche per le rispettive aree di competenza alle attività di ricerca e salvataggio. Sono queste autorità che dispongono i tempi degli interventi, a seconda della qualificazione dell’evento oggetto di una chiamata di soccorso. Rileva a tale proposito la distinzione tra le diverse tre fasi delle attività svolte da Guardia Costiera e Marina Militare in occasione dell’ avvistamento di imbarcazioni cariche di migranti in navigazione verso le coste italiane tradizionalmente riconducibili alle tre fasi di incertezza (INCERFA) di allerta (ALERTFA) e di pericolo (DESTREFA), nozioni individuabili nel Piano SAR nazionale del 1996, in vigore all’epoca dei fatti oggetto del procedimento. Si tratta a tale riguardo di accertare quali fossero le autorità chiamate a decidere sulla qualificazione dell’evento da ricondurre ad una di queste tre diverse fasi e quindi determinare, se non un’attività di controllo da lontano, cosiddetto ombreggiamento, un intervento di soccorso nei tempi e con le modalità più tempestive possibili, come previsto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Di certo nel caso di specie, il principio assoluto di salvaguardia della vita umana in mare non poteva essere sacrificato da un evidente rimpallo di responsabilità tra le diverse autorità marittime italiane e maltesi che ricevevano le prime chiamate di soccorso ben quattro ore prima del rovesciamento e dell’affondamento del peschereccio. Non si può sostenere, come ha fatto la Procura di Roma, che la determinazione di una situazione di distress spetta soltanto alle autorità dello Stato che ha assunto il coordinamento, quindi secondo la tesi assolutoria, a Malta. Quando è evidente che già nella prima telefonata alle autorità italiane proveniente dal dottor Jamou, a bordo del barcone che si stava riempendo di acqua, emergeva una situazione che secondo le Convenzioni internazionali doveva essere qualificata come destrefa, e come tale richiedere interventi di soccorso immediato dela prima autorità che aveva avuto notizia dell’evento, senza attendere l’invio di mezzi di soccorso da parte dello Stato competente in base alla ripartizione delle zone SAR. Di certo la circostanza accertata dalle autorità italiane, attraverso rilevamenti satellitari, che il barcone fosse ancora in movimento, non esclude che la situazione fosse configurabile, già al momento della prima chiamata di socorso alle 12,30 circa come evento SAR per distress ( destrefa), come tale da imporre un immediato intervento di qualunque autorità nazionale e da qualunque imbarcazione fosse in grado di salvaguardare il bene superiore del diritto alla vita. La verità è ancora una volta, che non si è voluto credere a quanto veniva comunicato dai naufraghi nelle prime telefonate di richiesta di soccorso, al punto da giungere a sospettare che questi potessero spegnere (!) il motore per accelerare gli interventi degli Stati competenti. L’obbligo di intervento non sorge quando lo stato responsabile della zona SAR formula ad un’altro Stato la richiesta di concorso nelle attività di salvataggio, ma quando qualunque autorità marittima o qualunque comandante ha notizia della presenza di una imbarcazione in situazione di distress. Quella situazione che l’11 ottobre del 2013 veniva lungamente esclusa fino alle comunicazioni pervenute dai maltesi un’ora prima (circa) del naufragio, malgrado il tenore circostanziato e credibile delle comunicazioni contenute nelle prime richieste di soccorso rivolte alle autorità italiane quasi cinque ore prima dell’afondamento del peschereccio.

4. La richiesta di assoluzione dei due ufficiali sotto processo si fonda sulla esclusione della determinazione particolare di un evento di soccorso come “evento Sar”, che come tale impone un intervento immediato di qualunque autorità che ne venga a conoscenza, rispetto a quelli che vengono comunemente definibili come “eventi migratori” nei quali le autorità marittime si limitano a svolgere un’attività di controllo di frontiera, secondo la pratica del cosiddetto ombreggiamento, senza attivare immediatamente interventi di salvataggio al fine del recupero delle persone e della salvaguardia della vita umana in mare. Si tratta di una questione cruciale ancora oggi perché ancora oggi anche dopo il nuovo piano Sar nazionale del 2020 che riassume le regole operative di intervento dei mezzi della marina militare della Guardia Costiera permane questa definizione di “evento migratorio” che in qualche modo rende assolutamente incerto, e comunque discrezionale, l’intervento di soccorso e salvataggio tempestivo, in acque internazionali, da parte delle autorità preposte alla tutela della vita umana in mare.

In numerose deposizioni raccolte nel corso del dibattimento, tanto degli imputati, quanto dei testi appartenenti alla Marina Militare o al Corpo delle capitanerie di porto emerge come, fino ad un’ora prima della notizia dell’avvenuto capovolgimento del barcone carico di migranti, dopo le ore 17 del 11 ottobre 2013, le autorità italiane continuassero a considerare la presenza dell’imbarcazione dalla quale già quattro ore prima erano arrivate precise e circostanziate richieste di soccorso, come un mero “evento migratorio”, da seguire secondo le regole del contrasto dell’immigrazione irregolare. Come se fino a quel momento non fossero comunque scattati oblighi di intervento immediato per salvare i naufraghi che da cinque ore chiedevano aiuto anche alle autorità italiane. E’ questa la base della richiesta di assoluzione degli imputati, gia formulata dalle difese e ripresa ancora una volta dalla Procura di Roma.

A tale riguardo, nel mese di ottobre del 2009, venivano adottate, dal Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, le “Linee Guida per l’impiego delle risorse SAR nelle aree situate al di fuori della SRR Italiana nel corso di eventi riguardanti il controllo del flusso dei migranti”. In base a tali linee guida, a seguito di segnalazione all’IMRCC dell’avvistamento di un’unità navale non identificata in navigazione oltre i limiti della SRR Italiana, la zona di ricerca e salvataggio di competenza italiana, che verosimilmente trasportava migranti in direzione delle coste nazionali, lo stesso IMRCC provvedeva alla diffusione delle informazioni relative all’evento stesso secondo le previsioni dell’accordo tecnico operativo per gli interventi connessi con il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, di cui al decreto interministeriale 14 luglio 2003. A questo punto la Centrale operativa, ai sensi del punto 4.2.4 della Convenzione SAR del 1979, nella sua veste di IMRCC, procedeva immediatamente all’acquisizione delle informazioni necessarie e valutava l’evento sotto il profilo della salvaguardia della vita umana in mare, onde determinare se vi fossero condizioni di pericolo grave e imminente e necessità di immediata assistenza per gli occupanti dell’unità. A tal fine le unità aeronavali eventualmente presenti nella scena d’azione avrebbero dovuto provvedere ad acquisire e trasmettere, con il mezzo di comunicazione più idoneo, secondo quanto previsto dal punto 4.4 della Convenzione SAR del 1979, all’IMRCC i seguenti elementi per la classificazione dell’evento: posizione geografica, ora dell’avvistamento, condizioni meteo-marine, dimensioni e tipologia dell’unità, suo bordo libero (galleggiamento), numero delle persone a bordo e loro condizioni fisiche, eventuale presenza tra essi di donne in stato di gravidanza, bambini, malati, traumatizzati, presenza di cadaveri nei pressi dell’unità; dotazioni di sicurezza presenti abordo, elementi del moto, altri elementi utili a discrezione del rapportante. Soltanto quando la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) ritenesse sussistere pericolo immediato per la sicurezza delle persone a bordo (detresfa) si doveva classificare l’evento come «SAR» facendo scattare in questo modo tutte le attività di soccorso previste dal d.p.r. 662/1994 e dal Piano nazionale SAR del 1996. In tutti gli altri casi di presenza dell’imbarcazione in acque internazionali si poteva configurare soltanto un «evento migratorio», da affrontare con gli strumenti del cd. law enforcement, come mero contrasto dell’immigrazione irregolare, sia pure tenendo sotto monitoraggio continuo la rotta dei migranti, anche dal punto di vista della salvaguardia del diritto alla vita (il cosiddetto ombreggiamento). Le linee guida dettate a livello interministeriale finivano così per ridurre significativamente la portata degli obblighi di ricerca e salvataggio fossati a carico degli Stati dalle Convenzioni internazionali e risultavano in contrasto con tutte le norme internazionali ed europee che anteponevano ( ed antepongono) la salvaguardia della vita umana in mare alla” lotta contro l’immigrazione clandestina” ed alla “difesa dei confini”.

Dalle linee guida adottate dal Comando del Corpo delle Capitanerie di Porto nel 2009 sembrava dunque che le attività SAR delle unità militari italiane in acque internazionali fossero previste solo in caso di pericolo imminente per la vita delle persone, quindi a seguito della dichiarazione di una situazione di destrefa, in base ad una valutazione caratterizzata dalla discrezionalità tecnica delle autorità marittime, ed in particolare, della Centrale operativa della Guardia costiera – IMRCC di Roma, sulla base ovviamente di quanto comunicato o di quanto accertato dalle unità operative. Si deve però aggiungere che proprio per gli indicatori (tra i quali il carico, il bordo libero, la sicurezza del mezzo, il propulsore)già riportati nel Piano SAR nazionale del 1996, tutte le imbarcazioni sovraccariche di migranti che s itrovavano a navigare nelle acque internazionali (alto mare) del Mediterraneo centrale fossero da ritenere in una situazione di distress, ovvero di pericolo imminente, senza attendere che la situazione a bordo o le condizioni meteo diventassero talmente gravi da comportare la perdita di vite umane.

5. L’ Annesso alla Convenzione di Amburgo del 1979 individua per ogni Stato il Centro di coordinamento di salvataggio marittimo – MRCC (1.3.5 dell’Annesso) come “Centro incaricato di provvedere all’organizzazione dei servizi e di coordinare le operazioni di ricerca e soccorso” in una determinata zona di ricerca e salvataggio. Altra importante previsione contenuta nell’Annesso riguarda la gestione operativa del soccorso marittimo, nella misura in cui si stabilisce che «ogni autorità di ricerca e salvataggio che ha motivo di ritenere che una persona, una nave o altro congegno si trova in una situazione di emergenza, deve al più presto comunicare tutte le informazioni disponibili al Centro di coordinamento di salvataggio o al Centro secondario di salvataggio competente (4.2.3 dell’Annesso)”. Si prevede anche che, «se non vi è un Centro di coordinamento di salvataggio responsabile o se, per qualsiasi ragione, il Centro di coordinamento di salvataggio responsabile non è in grado di coordinare la missione di ricerca e di salvataggio, i mezzi che partecipano dovrebbero designare di comune accordo un coordinatore sul posto (4.7.3 dell’Annesso)”. Come poi avvenne effettivamente l’11 ottobre del 2013, quando si indicò come “coordinatore sul posto” nave Libra della Marina militare italiana, soltanto qualche decina di minuti prima del naufragio.

Le Convenzioni internazionali UNCLOS, SOLAS e SAR impongono agli Stati parte precisi obblighi di coordinamento nelle attività di ricerca e salvataggio, al fine di salvaguardare la vita umana in mare. Gli Stati costieri hanno l’obbligo di organizzare e mantenere un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima (articolo 92.2 UNCLOS) e l’autorità marittima che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio deve immediatamente provvedere al soccorso. Il riconoscimento di una zona di responsabilità per la ricerca ed il salvataggio in mare dovrebbe essere subordinato al rigoroso rispetto di questi obblighi, che non possono essere circoscritti in base alla suddivisione delle zone SAR, soprattutto a sud di Lampedusa, dove la zona SAR maltese risulta parzialmente sovrapposta alla zona SAR italiana, creando nel tempo ricorrenti questioni di riparto di competenze nelle attività di ricerca e salvataggio.

La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte «…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi
dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie. (Capitolo V, Regola 7)». La stessa Convenzione SOLAS obbliga il «comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso nel fatto che la nave sta effettuando tale operazione … [Capitolo V, Regola 33)».

La Risoluzione MSC.167(78) del 2004 ha quindi individuato delle linee guida che costituiscono la cornice entro cui i singoli Stati possono disciplinare la materia: esse, in particolare, prevedono che ciascuno Stato dovrebbe disporre di piani operativi che disciplinino in dettaglio le modalità con cui deve effettuarsi l’azione di coordinamento, per affrontare tutti i tipi di situazioni SAR. In base al punto 3.1.9 della Risoluzione che emenda la Convenzione di Amburgo del 1979, emendamento che Malta non ha mai ratificato, «la Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile». La stessa Risoluzione individua altresì il principio del Centro di coordinamento di «primo contatto» stabilendo che (punto 6.7) «Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l’assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio, poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l’RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità». Lo stesso principio è ribadito dal paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR, Vol. 1, dove si prevede che un RCC (Rescue Coordination Center) dopo la ricezione di una chiamata di soccorso, diventa responsabile nella gestione delle relative operazioni SAR, fino a quando altra autorità competente non assuma il coordinamento.

6. Funzionale alla richiesta di assoluzione, e argomento centrale ancora oggi per escludere le competenze di soccorso italiane in acque internazionali, è la ripartizione tra gli Stati, in particolare Italia e Malta, delle zone SAR nel Mediterraneo centrale ed il rapporto di collaborazione tra le autorità italiane e le autorità maltesi nel quadro del dovere di coordinamento sancito dalla convenzione Sar di Amburgo del 1979. Per quanto riguarda la collaborazione nel soccorso in mare, occoreva di accertare quanto fosse risultata tempestiva, e conforme alle normative, la prima chiamata da parte delle autorità italiane alle autorità maltesi per passare il coordinamento della situazione, dopo le circostanziate richieste di aiuto provenienti dal barcone, senza una immediata qualificazione dell’evento come evento SAR. Si tratta in sostanza di accertare quanto possa avere assunto rilievo l’iniziale assunzione formale di responsabilità da parte delle autorità maltesi, che poi però, tre ore dopo, chiamavano in aiuto, per svolgere attività Sar da loro coordinata, un mezzo della Marina Militare italiana che fin dal principio era ben presente a pochi miglia ( da 19 a 12, secondo le varie ricostruzioni, di fatto un’ora di avvicinamento veloce) dall’imbarcazione in difficoltà. Si dovrebbe dunque comprendere quanto fosse lecito attendere da parte italiana, dopo il trasferimento di competenze a Malta, dopo le prime notizie giunte dal dottor Jamo, che già alle 12,50 circa dell’11 ottobre 2013 segnalava una situazione di grave pericolo a bordo del barcone che imbarcava acqua da ore e la presenza di due feriti e di numerosi bambini, comunicazione che avrebbe richiesto un’ intervento immediato. A fronte della prima disponibilità comunicata telefonicamente da Malta, che avrebbe assunto il coordinamento delle attività, non vi era alcuna certezza sui mezzi inviati per il soccorso o quantomeno per il monitoraggio dell’imbarcazion, tanto che alla fine veniva richiesto l’intervento di un assetto navale italiano. La circostanza che il mezzo poi naufragato fosse sovraccarico e totalmente privo dei mezzi di sicurezza, doveva essere ben nota, quantomeno per esperienza comune di tutti gli attori statali coinvolti e non necessitava certamente la chiamata disperata di uno dei passeggeri di questo mezzo per attivare quelle forme di intervento rapido che si collegano generalmente all’accertamento di una situazione di pericolo (distress) per la vita umana. Che il peschereccio stesse imbarcando acqua da ore e che a bordo vi fossero oltre a due feriti da arma da fuoco, una donna n avanzato stato di gravidanza e numerosi bambini, costituiscono accertamenti di fatto non controvertibili, come emerge, oltre che dalle testimonianze, anche dai documenti di denuncia acquisiti agli atti del processo.

Per la Procura di Roma con riferimento al comportamento degli uficiali sotto processo, “non c’e’ alcun dolo, le procedure sono state rispettate e la loro missione e’ salvare le persone in mare”. Mentre gli unici responsabili sarebbero i trafficanti che avevano fato partire un barcone in evidenti condizioni di sovraccarico, tanto evidenti oggi per scaricare ogni responsabilità sui trafficanti, ma forse meno evidenti a chi in quella tragica giornata del 2013 continuava a ritenere che si trattasse di “un evento migratorio” e non di un evento SAR, di una situazione di distress immediato, che come tale avrebbe imposto interventi immediati alla prima autorità marittima comunque informata, a prescindere dalla ripartizione delle zone di competenza (SAR) per le attività di ricerca e salvataggio. E’ del resto provato durante il processo che, già al momento delle prime chiamate di soccorso, il barcone si trovava in acque internazionali di competenza SAR maltese, ma più vicino a Lampedusa che a La Valletta.

 Malta non ha mai sottoscritto gli emendamenti alle Convenzioni SAR del 2004 che obbligano gli Stati che coordinano le operazioni di soccorso ad indicare un porto sicuro di sbarco, e omette sistematicamente ancora oggi di assumere il coordinamento delle attività di ricerca e soccorso anche all’interno della propria zona SAR, sia per la mancanza di mezzi adeguati a disposizione, che per la reiterata volontà di non restare obbligata allo sbarco dei naufraghi sul proprio territorio. Circostanze tutte ben note da tempo alle autorità militari e marittime italiane, che ne hanno fatto oggetto di rapporti pubblici, come I Dossier sulle operazioni SAR condotte anche in acque internazionali da mezzi della guardia costiera italiana e della Marina italiana, pubblicato fino al 2018, anno nel quale le pubblicazioni venivano sospese. e di relazioni presentate anche in Parlamento da autorevoli esponenti della stessa Guardia costiera e della Marina militare.

 Come ricordava nel 2019 l’ammiraglio della Marina Liardo, nel corso di una audizione parlamentare ,l’obbligo del S.A.R. prescinde dai limiti della piena giurisdizione marittima di uno Stato costiero (non è neppure limitato, alla specifica area di responsabilità S.A.R., che comunque non è un’area di giurisdizione e, pertanto, si estende di norma ben oltre le acque territoriali e l’eventuale zona contigua), mentre l’attività di polizia, “law enforcement”, al di fuori delle acque territoriali è soggetta a ben precisi limiti, stabiliti dalla normativa nazionale e nel rispetto di quella internazionale. La conseguenza pratica di ciò è che se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno Stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo (caso S.A.R.), scatta l’obbligo di immediato intervento e, quindi, del successivo trasporto a POS delle persone soccorse“.

7. Non può non stupire come le autorità italiane si siano fidate subito dell’assunzione di responsabilità di coordinamento da parte dei maltesi, quando la conferma di tale responsabilità veniva loro inviata da La Valletta soltanto alle 15,30 del 11 ottobre 2013, senza dichiarare un evento SAR, con una comunicazione formale a mezzo fax, ben due ore dopo le prime chiamate di soccorso provenute alle autorità italiane dal barcone che già era in evidente pericolo di affondamento (distress). Sarebbero queste le procedure corrette che hanno indotto la Procura di Roma a ritenere esclusa qualsiasi responsabilità delle autorità marittime italiane ? Da quanto emerso dalle testimonianze e dai riscontri documentali nel corso del dibattimento, solo dalle 16.22 del 11 ottobre 2013, con l’invio di un fax dalle autorità maltesi, che avevano soltanto inviato un velivolo per verificare la situazione, si chiedeva da parte di La Valletta, che finalmente aveva assunto il coordinamento delle attività SAR, l’ intervento di una unità militare italiana, appunto la nave Libra, con l’evidente finalità di portare un soccorso immediato al barcone che era ormai sul punto di capovolgersi, come avveniva qualche decina di minuti più tardi, poco dopo le ore 17 di quello stesso giorno.

Il proceso penale ha carattere personale e per ciascun reato vano accertati elementi soggettivi che soltanto i giudici possono sindacare, nel rispetto del principio di presunzione di innocenza. Ma nel processo Libra sembra che, nella frammentazione delle difese personali, ed in tutto il frastagliato corso del dibattimento, siano sfuggite responsabilità di grado più elevato, rispetto ai ruoli esercitati dai due soli imputati. Ai quali viene comunque dificile ricondurre tutte le responsabilità per quanto accaduto quel terribile 11 ottobre 2013.

Si può ritenere che le autorità italiane, ed in particolare la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) e il Comando generale della Marina CINCNAV, fino ai loro vertici più alti, potessero ritenere esclusa una loro attività di ricerca e salvataggio (SAR) solo sulla base di una prima qualificazione della vicenda come “evento migratorio” e del successivo trasferimento di competenze alle autorità maltesi, che soltanto poche ore dopo questo “trasferimento di responsabilità”, dichiaravano per l’ennesima volta la loro incapacità, o la loro non volontà, di intervenire direttamente con l’invio di un mezzo navale da La Valletta? Gli imputati, ma soprattutto l’intera catena di comando nella quale erano inseriti, si possono ritenere assolti solo perché hanno dichiarato “di non sapere” che il peschereccio stava imbarcando acqua da ore, quando proprio questo dettaglio era stato al centro delle comunicazioni telefoniche intercorse con il dottor Jamou? Si può davvero credere che le telefonate provenienti dal barcone già quattro ore prima del suo affondamento non fossero “informazioni di pericolo”? E’ amissibile richiedere un dolo ( seppur generico) in una fattispecie penale nella quale viene in rilievo l’elemento omissivo e colposo ? Come si puo’ escludere un preciso nesso causale, perchè non si puo’ accertare il numero delle vittime e l’ora esatta del decesso delle vittime, a fronte della minuziosa ricostruzione della cronologia dei fatti acquisita agli atti del processo, che tutti possono verificare direttamente? Non basta che nella strage il dottor Jamou abia perso i suoi due figli e che su questo non ci possano essere dubbi? Quanto può rilevare il numero delle vittime, o l’orario del loro decesso, nell’accertamento delle responsabilità di chi non ha disposto l’immediato intervento di soccorso di una imbarcazione che si trovava in una situazione di distress?

Non sembrano comunque giustificabili, da parte delle autorità marittime di coordinamento, indicazioni di non avvicinarsi alle imbarcazioni in difficoltà in alto mare per non intralciare il coordinamento SAR di altri Stati, o peggio, per non dissuadere questi Stati dall’invio di loro mezzi di soccorso ( come dichiarato da uno degli imputati nel corso dell’ udienza del 13. gennaio 2022, p.174 degli atti processuali) . Per arrivare a dichiarare un evento SAR non occorre giungere al ribaltamento di un barcone, come si verificò in quel terribile 11 ottobre 2013. E neppure si può attendere per ore che lo Stato responsabile di un’area SAR attivi il suo sistema di soccorso mentre centinaia di persone sono a rischio di annegare.

Al di là del rimpianto per tante vite perdute in un evento di soccorso che troppo a lungo è stato considerato come un comune “evento di immigrazione irregolare”, di fronte alla richiesta di assoluzione della Procura di Roma, ed ancora di più in caso di prescrizione delle accuse, rimane forte la preoccupazione, dopo una sentenza che rischia di cancellare tutte le responsabilità istituzionali, che le strategie di contrasto dell’immigrazione irregolare e la distorsione delle norme di diritto del mare da parte di provvedimenti amministrativi interni, magari riconducibili a singoli ministri, possano anche in futuro negare quel diritto alla vita, e quel diritto di asilo, che secondo le Convenzioni internazionali e la nostra Costituzione, devono prevalere su malintese prassi di “difesa dei confini” e sulle pur legittime attività di contrasto dell’immigrazione irregolare.


ANSA/Il naufragio dei bambini. I pm, ‘assolvete gli imputati’

Sono 2 militari della Marina. Annegarono in 268, 60 erano minori (di Marco Maffettone)

(ANSA) – ROMA, 04 OTT – “Gli imputati vanno assolti perche’ il fatto non sussiste”. E’ la richiesta della Procura di Roma per i due militari di Marina imputati nel processo per il “naufragio dei bambini”, il drammatico evento dell’11 ottobre del 2013 avvenuto al largo di Lampedusa in cui morirono 268 persone, tra cui 60 minori. Una requisitoria, quella della Procura, aperta dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco il quale ha voluto sottolineare davanti ai giudici della seconda sezione collegiale della Capitale che non si tratta un un processo “ai responsabili del naufragio”, perche’ questi sono “i mercanti di uomini che hanno messo 400 persone su un peschereccio e poi gli hanno sparato contro”. Ne’ e’ un processo “ai tempi e ai modi di come sono state effettuate le modalita’ di salvataggio poiche’ – ha detto il rappresentante dell’accusa – l’intervento e’ stato effettuato in zona Sar Maltese dalle autorita’ di quel Paese e il tutto esula dalle responsabilita’ della giurisdizione italiana”. I pm di piazzale Clodio sono tornati, quindi, a chiedere di far cadere le accuse per l’allora responsabile della sala operativa della Guardia Costiera, Leopoldo Manna, e dell’allora comandante della sala operativa della Squadra navale della Marina, Luca Licciardi. In passato, infatti, la Procura aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine a cui pero’ si era opposto il gip. Nel procedimento risultava iscritta anche la comandante di Nave Libra (l’imbarcazione della Marina Militare che navigava a poche decine di miglia dal barcone dei migranti, ndr), Catia Pellegrino, la cui posizione e’ stata stralciata. Nei confronti di Manna e Licciardi i reati contestati sono di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo. Dagli elementi emersi nel corso delle indagini, per i pm dunque non c’e’ stata “la volonta’ degli imputati di volere la morte dei migranti. Non c’e’ alcun dolo, le procedure sono state rispettate e la loro missione e’ salvare le persone in mare”. Nel corso della requisitoria i rappresentati dell’accusa hanno affermato che “le procedure, seppur farraginose all’epoca, sono state attuate. I due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca. Le modalita’ con cui e’ avvenuto il naufragio non hanno permesso di stabilire un bilancio ufficiale, c’e’ un deficit di conoscenza sul numero dei morti, sulle cause e sulla riconducibilita’ al presunto ritardo. Nave Libra non sarebbe potuta arrivare prima. Non ci sono elementi per affermare la penale responsabilita’ degli imputati, le procedure sono state rispettate”. L’esame di tutti i testimoni e degli esperi ascoltati dal Tribunale, ha sottolineato ancora Colaiocco, ha fatto “emergere che gli imputati avevano delle procedure regolamentari, poi modificate a seguito degli eventi, da seguir. E i venti minuti impegnati da ogni imputato a verificare con i propri superiori la fattibilita’ dell’accoglimento della richiesta e a renderla operativa, costituiscono tempi fisiologici in ogni operazione di salvataggio”. In base a quanto ricostruito dai magistrati di piazzale Clodio, le autorita’ maltesi, che in un primo momento si erano assunte l’onere dei soccorsi, avrebbero segnalato agli omologhi italiani, alle 16.22 di quel drammatico giorno, la necessita’ di un intervento della nave militare Libra in quanto piu’ vicina al luogo in cui si trovavano i migranti siriani che stavano fuggendo dalla guerra civile. (ANSA). MAF 04-OTT-22 16:58