Guerra ai migranti nel Mediterraneo e guerre permanenti nel mondo. Che fare?

di Fulvio Vassallo Paleologo

Dedicato alle vittime delle stragi del 3 e del 11 ottobre 2013  ed alle migliaia di persone sepolte nel cimitero Mediterraneo, stragi per le quali la magistratura non ha ancora individuato tutti i responsabili.

1. Nazionalismi, guerre e popoli in fuga. La esternalizzazione delle frontiere per impedire l’esercizio effettivo del diritto di asilo con l’accesso al territorio di uno Stato sicuro.

La progressiva diffusione dei nazionalismi, seguita alla caduta del muro di Berlino e l’avvento di un economia globalizzata fondata su un liberismo sfrenato, che ha reso sempre più forti le differenze di ricchezza, su scala nazionale ed internazionale, oltre ai correlati disastri ambientali che hanno compromesso l’equilibrio dell’ecosistema in numerose regioni del mondo, hanno inasprito le politiche migratorie, mentre è cresciuto il numero di persone costrette a lasciare il proprio paese per cercare altrove protezione. Di fronte a questi fenomeni di sistema, vissuti come perenne emergenza, gli Stati europei, e l’Italia in particolare, hanno adottato politiche di sbarramento e prassi di respingimento collettivo che hanno svuotato il diritto di accedere ad un territorio sicuro, garantito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 a protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per i respingimenti collettivi eseguiti nel 2009 verso la Libia (caso Hirsi), l’Italia e altri paesi europei hanno preferito seguire la via della esternalizzazione, affidando alle autorità militari di paesi terzi, che non rispettano i diritti umani,  il ruolo di raggiungere le imbarcazioni in navigazione verso le coste europee e quindi bloccarle riportando nei punti di partenza i migranti che cercavano di salvare la loro vita e quella dei loro familiari, tra questi il numero crescente minori, talvolta bambini di pochi anni.

2. La militarizzazione del Mediterraneo per il contrasto dell’immigrazione irregolare. L’agenzia europea Frontex. L’operazione IRINI.

L’Unione Europea non è stata capace di dotarsi di una politica comune nella gestione delle frontiere esterne Mediterraneo. Allo stesso modo è mancata una politica estera comune capace di imporre nei confronti dei paesi terzi principi di diritto e prassi operative che fossero effettivamente rispettosi dei diritti umani. Si è preferito concentrare tutti gli sforzi in quella che viene comunemente definita come guerra  contro l’immigrazione illegale, senza alcuna preoccupazione per i conflitti interni che nel frattempo dilagavano in tutti gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo e in quelli immediatamente prospicienti. Sotto la spinta di una martellante campagna mediatica si è praticata una vera e propria guerra contro il diritto al soccorso delle persone in fuga dagli Stati di transito, messe in mare su imbarcazioni sovraccariche e fatiscenti da trafficanti senza scrupoli che potevano contare della copertura delle milizie private, collegate ad organizzazioni criminali, e dei gruppi militari ufficiali che controllavano il territorio. Malgrado un Regolamento Europeo (n 656 del 2014) stabilisse per l’agenzia Europea Frontex precisi doveri di salvataggio e l’assoluto rispetto delle Convenzioni internazionali a salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, le prassi operative delle missioni impegnate nelle attività di controllo di questa agenzia, a partire dal 2018, si sono orientate verso la mera collaborazione con i Paesi terzi per la segnalazione delle imbarcazioni da intercettare in mare e ricondurre nei punti di partenza.

Le operazioni militari europee Eunavfor Med (Sofia) che avrebbero dovuto contrastare il traffico di droga, di armi e in modo subordinato, anche di esseri umani ,si sono risolte in attività di sorveglianza sul traffico commerciale, senza un’effettiva partecipazione ad attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, nelle quali pure numerose navi militari europee erano presenti, mentre le imbarcazioni dei migranti cercavano comunque di sfuggire alle motovedette libiche e di raggiungere le coste europee.

Le motovedette libiche hanno intercettato e riportato indietro decine di migliaia di persone ogni anno, ed il numero delle vittime è cresciuto in modo esponenziale, non per l’aumento delle persone in fuga dalla Libia o dalla Tunisia, ma per le prassi di abbandono in mare, rivolte a favorire le intercettazioni in acque internazionali da parte delle guardie costiere dei paesi nordafricani. Anche Malta ha permesso ai libici intercettazioni illegali nella vasta zona Sar riconosciuta a questo paese dall’IMO. Organizzaziine internaziinale del mare diretta emanazione delle Nazioni Unite che si è prestata a favorire le politiche di ritiro dei mezzi di soccorso statali dalle acque internazionali, cone nel caso del riconoscimento di una enorme zona SAR di ricerca e salvataggio attribuita alla competenza esclusiva dei libici. Anche se le autorità libiche sono ancora prive di una Centrale di coordinamento dei soccorsi ( MRCC) unificata.

Da ultimo l’operazione militare europea Eunavfor Med denominata IRINI, presente nel Mediterraneo centrale,  si è limitata ad attività di mero controllo di navi commerciali che trasportavano armi o altri beni sotto embargo diretti verso le coste libiche senza procedere ad attività di ricerca e salvataggio come pure si sarebbe dovuto svolgere in base alle Convenzioni internazionali ed ai Regolamenti europei di portata vincolante per gli Stati e per tutte le navi militari battenti bandiera europea.

3. Gli accordi bilaterali e la invenzione di una zona Sar “libica”.Le Missioni militari italiane all’estero con particolare riferimento alla Libia. Il ruolo delle organizzazioni non governative.

A partire dagli accordi stipulati nel 2004 e nel 2007, da diversi governi italiani con l’autorità di Tripoli, l’Italia ha assunto un ruolo di coordinamento, accertato anche dalla magistratura, delle attività della sedicente Guardia Costiera Libica. Ruolo che adesso è stato assunto dalle autorità turche dopo che nel 2020 Erdogan ha inviato cospicui mezzi militari e anche assetti navali a difesa del governo provvisorio di Tripoli sotto attacco da parte dell’esercito del generale Haftar.

Il Memorandum d’Intesa Italia Libia del febbraio del 2017 firmato da Gentiloni e da Minniti  è adesso sotto scadenza è potrebbe essere rinnovato automaticamente entro il 2 novembre del corrente anno se l’Italia non comunicherà l’intenzione di recedere. Il voto sulle missioni militari italiane all’estero, con la complicità del PD, ha di fatto anticipato la proroga del Memorandum sul quale anche il nuovo Parlamento esprimerà un voto favorevole. Appare evidente come il nuovo premier in pectore Giorgia Meloni non sia nelle condizioni di modificare questa politica di esternalizzazione, anche a fronte della impraticabilità della sua proposta elettorale di “blocco navale”, che urta contro i dettami basilari del diritto internazionale. La creazione di centri hotspot in Libia appare difficilmente conciliabile con gli standard minimi adottati dalla Comunità internazionale in materia di diritti umani, e sembra anche impraticabile alla luce della situazione sul campo, in un paese ancora diviso tra milizie che si combattono senza esclusione di colpi. Le proposte del senatore Salvini, circa il ripristino dei decreti sicurezza da lui varati nel 2019, cozza in modo frontale con le decisioni più recenti della giurisprudenza e in particolare della Corte di Cassazione che hanno affermato l’obbligo di soccorso in mare anche a carico delle autorità statali, la qualificazione della Libia come Paese terzo “‘non sicuro” e la non punibilità delle condotte di salvataggio posta in essere dalle organizzazioni non governative.

Si può tuttavia attendere che, proprio a fronte di questa giurisprudenza, le nuove autorità di governo italiano, prima di introdurre per decreto legge inasprimenti normativi, ritornino alle pratiche di fermo amministrativo per bloccare le porti il più a lungo possibile le navi delle ONG. Anche se una recente sentenza della Corte di Giustizia ha drasticamente limitato il potere delle autorità marittime nell’imporre controlli a discrezione e procedere quindi al fermo amministrativo delle navi solo per avere queste soccorso un numero troppo elevato di naufraghi. Vedremo quanto si riuscirà a contrastare queste prassi amministrative e questi nuovi provvedimenti di legge con il richiamo al Diritto del’Unione Europea ed alle Convenzioni internazionali. In ogni caso l’Italia rischia l’apertura di procedure di infrazione, come si è verificato con la Polonia e con l’Ungheria.

Potrebbero anche verificarsi nuovi episodi di criminalizzazione delle attività di soccorso con la incriminazione degli operatori umanitari che hanno salvato vite umane in mare. Di fronte a questi rischi occorre che le organizzazioni non governative abbiano una comunicazione più efficace rivolta direttamente all’opinione pubblica italiana, comunichino in tempo reale le attività di salvataggio e gli eventuali rifiuti di soccorso da parte degli Stati, e si dotino di legal team che possono contrastare tempestivamente con la massima energia, e dunque con denunce tempestive, le eventuali attività di contrasto dei soccorsi umanitari, come la chiusura dei porti, poste in essere in passato dalle autorità italiane.
A partire dalle stragi di migranti per abbandono in mare e dagli attacchi che potranno rivolgersi in futuro nei confronti delle organizzazioni non governative, bisognerà mettere in evidenza tutte le violazioni del diritto internazionale  e del diritto europeo che le autorità italiane potranno commettere il nome di una malintesa prevalenza del diritto nazionale sulle fonti internazionali. Una questione oggetto di propaganda nel corso delle elezioni più recenti, con gli avvertimenti rivolti all’Europa dalla Meloni  al grido di “la pacchia e’ finita”. Avvertimenti del tutto inutili, perché ormai l’Europa ha dimostrato di non sapersi dotare di una politica estera comune e di non riuscire ad adottare neppure una politica migratoria di gestione delle frontiere esterne, al di là del supporto economico e militare ad operazioni puramente repressive come quelle affidate all’ agenzia Frontex ed alle missioni Eunavfor Med IRINI. Senza nessuna attenzione per i diritti umani violati nei paesi di transito e per le vite in mare in pericolo nelle acque del Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più pericolosa del mondo.

4. Sicurezza delle persone migranti, sicurezza della navigazione commerciale  e dei canali di rifornimento delle materie prime. La nuova definizione della missione della Marina militare italiana Mare sicuro-Mediterraneo sicuro.

Occorre tenere conto che la guerra ha cambiato profondamente la situazione militare nel Mediterraneo ed ha modificato profondamente le regole di ingaggio delle imbarcazioni militari italiane presenti nel canale di Sicilia e nel tratto di mare che separa la Libia dal nostro paese. È notizia di questi ultimi giorni, al di là della ridefinizione della missione Mare sicuro adesso denominata Mediterraneo sicuro, l’attribuzione di nuovi compiti di sorveglianza a questa missione, non più soltanto a garanzia dei pescatori che operavano nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, ma anche per sorvegliare e proteggere da eventuali attacchi terroristici le installazioni sottomarine destinate a garantire l’accesso del gas dai paesi terzi del nord Africa. L’ampliamento dell’area di operatività della missione potrebbe comunque implicare nuove tensioni per il controllo di un area strategica del Mediterraneo, nella quale russi, turchi, egiziani, greci e grandi multinazionali giocano una partita senza esclusione di colpi, per garantirsi il predominio nello sfruttamento delle risorse energetiche sottomarine.

Diventa così sempre più percepibile la contraddizione tra l’istituzione di una zona SAR “libica”, a partire dal 2018, per dissuadere i soccorsi umanitari, e l’esigenza di tornare a presidiare quella stessa zona, affidata ai paesi terzi come la Tunisia e la Libia. Paesi privi di un naviglio militare efficiente e di sistemi efficaci di coordinamento dei soccorsi, che non riescono a svolgere attività di ricerca e salvataggio, e neppure di sorveglianza, malgrado le numerose motovedette fornite dall’Italia, limitandosi ad intercettare ed a sequestrare persone da ricondurre ai punti di partenza. Dopo il ritiro dalle acque internazionali degli assetti militari italiani e di Frontex, per evitare il doveroso salvataggio dei naufraghi, adesso si cerca di essere presenti in queste stesse acque del Mediterraneo centrale con nuovi assetti navali militari, invisibili alle navi di soccorso e coperte da segreto militare, per il controllo delle tubature dei gasdotti che sono diventati essenziali per garantire il fabbisogno energetico dell’Italia.

5. Verso la guerra globale. Prospettive per I migranti in transito e per le popolazioni residenti nei territori sotto attacco.

Appare ormai evidente come la politica degli accordi bilaterali con i paesi di transito e, su scala più vasta, gli accordi conclusi  dall’Unione Europea con la Turchia nel 2016, per fermare i migranti siriani che cercavano di arrivare in Europa, abbiano soltanto prodotto l’effetto di militarizzare i regimi di frontiera favorendo la proliferazione delle organizzazioni criminali e l’esplosione di conflitti interni ai paesi di transito. I costi umani sono stati altissimi e la conta delle vittime prosegue ogni giorno Migliaia di persone hanno perso la vita in mare perché le esigenze di difesa dei confini europei sono prevalse rispetto alla salvaguardia della vita in mare ed al diritto di chiedere asilo. La falsa sicurezza spacciata agli elettorati europei con la guerra alle migrazioni ha significato morte e soprusi di ogni genere per chi era costretto ad abbandonare il proprio paese per cercare protezione e salvezza in Europa.

Il proibizionismo della frontiera ed il nazionalismo populista che ha vinto in molti paesi europei hanno creato le condizioni per lo scoppio di conflitti esterni che potrebbero nel breve periodo deflagrare in guerre vere e proprie.  Come si può temere per esempio rispetto alla situazione di Cipro contesa ancora oggi tra la Grecia e la Turchia. E come potrebbe verificarsi in Libia dove sembra arenato il processo di pacificazione avviato nel 2020. Un processo reso ancora più incerto dalla presenza in Africa del battaglione russo del gruppo Wagner e dalla situazione esplosiva nei paesi a sud della Libia, soprattutto nel Sahel, ormai campo di scontro tra milizie e bande terroristiche in uno scenario ancora legato a variabili internazionali che potrebbero risentire direttamente degli sviluppi del conflitto tra la Russia e l’Ucraina. Con tutti i rischi non solo di una deflagrazione nucleare che questo comporta, ma anche di una moltiplicazione delle zone di scontro armato in Africa e nel Mediterraneo. Sempre e soltanto a scapito delle popolazioni civili ostaggio dei conflitti interni e delle guerre tra Stati fomentate dalle grandi potenze mondiali.

Di fronte ad una situazione tanto complessa occorre sicuramente favorire canali di comunicazione diretta tra sud e nord del Mediterraneo, che impediscano il diffondersi di fake news, di mistificazioni, di strumentalizzazioni politiche, che possono ulteriormente pregiudicare i sentimenti  dell’opinione pubblica, ormai rivolta  in senso sfavorevole contro le persone migranti che cercano soccorso e protezione in Europa. Vanno per questo supportate tutte le iniziative di aggregazione e di denuncia che le organizzazioni dei migranti presenti nei paesi nordafricani cercano faticosamente di portare avanti malgrado la sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica europea ed occidentale. Vanno chiusi i centri di detenzione in Libia con l’immediata evacuazione dei prigionieri ostaggio delle bande di trafficanti e delle milizie governative. Ma occorre anche che i singoli Stati europei rispettino i doveri di salvataggio e di coordinamento tra loro, come prescritto dal Manuale internazionale dei soccorsi in mare IAMSAR. A tal fine va abolita la finzione di una zona SAR di ricerca e salvataggio esclusivamente affidata alle autorità di Tripoli, per intercettare e riportare a terra i migranti in fuga dai centri di detenzione libici. Per tutto questo occorre bloccare il rinnovo automatico del Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017, che potrebbe scattare il prossimo 2 novembre.

Si devono denunciare con energia ancora maggiore tutte le inadempienze degli Stati agli obblighi di soccorso e di coordinamento dei salvataggi in mare in acque internazionali,  obblighi che sono loro imposti dalle Convenzioni delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale del mare. Per questo occorre restituire centralità alle attività di denuncia presso gli Organismi di protezione dei diritti umani presso le Nazioni unite e moltiplicare i ricorsi alle Corti internazionali europee. Le Organizzazioni non governative devono raccogliere e diffondere tutte le testimonianze delle persone soccorse in mare.

Le politiche di contrasto dell’immigrazione basate sulla militarizzazione delle frontiere sono ormai strettamente connesse con le politiche di guerra e dunque con il rischio di una catastrofe nucleare globale. Abbiamo visto tutti come lo scempio di migranti vulnerabili ai confini tra la Bielorussia e la Polonia abbia anticipato l’invasione dell’Ucraina. Allo stesso tempo è sempre più evidente come la crisi economica, l’inflazione, il rincaro di tutti i beni essenziali siano frutto delle privatizzazioni indotte da un sistema liberista mondiale che impoverisce le popolazioni, e ancora di più nei sud del mondo, e non derivino certamente dall’arrivo dei migranti in cerca di protezione per salvare la propria vita e la propria famiglia. Dietro lo spauracchio della “sostituzione etnica” , vecchio cavallo di battaglia della Meloni, si celano ideologie e pratiche del razzismo che vanno combattute sui territori, nei tribunali e sui media.

Questa consapevolezza non si deve limitare soltanto ad una mera percezione individuale, ma deve diventare una pratica collettiva di interconnessione tra tutte le battaglie sociali che dovranno vedere schierate dalla stessa parte le componenti più deboli della nostra società. Occorre porre fine alla guerra tra i poveri. Questa la sfida che si trovano davanti partiti e organizzazioni non governative che, per spezzare la continuità delle politiche di militarizzazione delle frontiere e dunque delle politiche di guerra ai migranti, che poi si saldano con le guerre permanenti che minacciano il mondo, dovranno mettere al centro la riaffermazione del principio di solidarietà sui territori, in Italia ed a livello internazionale.