Dalle navi quarantena alla detenzione amministrativa informale

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Sembra ormai finita la stagione dell’accoglienza/detenzione sulle navi quarantena, che dal mese di aprile del 2020 hanno sostituito di fatto un sistema di prima accoglienza che il Decreto sicurezza del 2018 imposto da Salvini aveva destrutturato, dopo l’attacco giudiziario al sistema di accoglienza diffusa esploso con il caso Riace. Sembra calato intanto il silenzio sugli abusi che si sono verificati durante l’attività delle navi traghetto noleggiate a caro prezzo per assolvere la funzione di garantire la quarantena obbligatoria per tutti coloro che facevano ingresso in Italia via mare, autonomamente o per ragioni di soccorso. Rimangono a ricordare il costo umano del Decreto della Protezione civile del 12 aprile 2020, istitutivo delle navi quarantena, le giovani vite che si sono perse, qualche procedimento penale, le denunce del Garante Nazionale per le persone private della libertà personale.

Dal primo giugno dunque, tutti i naufraghi soccorsi dalle ONG, alle quali ormai si delega l’attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, dopo il ritiro dalle acque internazionali di tutti gli assetti navali di Frontex, e l’inerzia dei mezzi militari italiani, saranno accolti dopo lo sbarco,in centri di prima accoglienza/hotspot, ubicati esclusivamente a terra. Negli stessi centri finiranno anche i più numerosi migranti in fuga dalla Libia, ma anche dalla Tunisia, dall’Algeria e dall’Egitto, che arrivano autonomamente o sono soccorsi all’interno delle acque territoriali italiane, e che costituiscono ormai quasi il 90 per cento degli arrivi via mare in Italia. Il loro numero non si discosta sensibilmente, ialmeno per ora, da quello dello scorso anno, meno di 70.000 persone in tutto. E non si può certo parlare di “invasione”, come hanno ripreso a fare i soliti sciacalli, considerando anche che un terzo dei migranti che partono dalle coste libiche viene intercettato in acque internazionali dalla sedicente Gurdia costiera “libica”, e ricondotto nei centri lager dove gli abusi sono uno strumento per estorcere ai familiari altri soldi al fine di salvare la vita dei propri congiunti.

2. Come si è verificato quando il governo ha presentato i dati in Parlamento, in occasione dell’accoglienza dei profughi ucraini, la soglia di ricezione nei centri di accoglienza in Italia rimane particolarmente bassa, anche se sulla carta si è tornati alla formula dell’accoglienza diffusa, prevedendosi l’attivazione di una modalità di assistenza diffusa affidata a Comuni e associazioni del terzo settore per garantire l’accoglienza fino a 15.000 persone.

Ancora più ridotta appare invece la possibilità di sistemazione di quanti arriveranno questa estate nei centri di prima accoglienza/hotspot, che peraltro rimangono disciplinati da una normativa legale assai lacunosa, e che nella prassi amministrativa diventano spesso luoghi di confinamento, se non di detenzione vera e propria. Rimane ancora operativa la previsione del Decreto sicurezza n.132 del 2018 che introduceva la possibilità di trattenere i cittadini destinatari di un provvedimento di allontanamento in “strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza” previsione che non veniva abrogata né modificata dal successivo Decreto Legge n. 130/2020 convertito con modifiche in Legge n. 173/2020,. A seconda della nazionalità, basti pensare ai tunisini, si sono verificati numerosi casi di migranti appena sbarcati a Lampedusa e destinatari di un provvedimento di respingimento subito dopo il trasferimento a Porto Empedocle. Che non è molto distante dal Centro per i rimpatri(CPR) di Pian del Lago a Caltanissetta. In ogni caso, secondo l’art. 20 comma 5 bis del Regolamento di attuazione n.394 del 1999, tuttora vigente, anche nei casi di respingimento differito deve essere fornito al destinatario del provvedimento emesso dal Questore l’avviso sul diritto all’assistenza legale e ad un difensore di fiducia, con ammissione, ricorrendone i presupposti, al patrocinio a spese dello stato, dal momento che lo “straniero” risulta “destinatario del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, in relazione all’udienza di convalida prevista dall’art. 13 comma 5 bis del testo unico”.  Secondo la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale, i diritti di difesa, ed i limiti alla detenzione amministrativa, vanno riconosciuti a tutti, anche ai migranti destinatari di una misura di allontanamento forzato. Secondo la Corte,“Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Che un tale ordine di idee abbia ispirato la disciplina dell’istituto emerge del resto dallo stesso articolo 14 censurato, là dove, con evidente riecheggiamento della disciplina dell’articolo 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta, si prevede che il provvedimento di trattenimento dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto.”

La questione che purtroppo si continua a riprodurre, anche negli Hotspot e nei centri di prima acccoglienza, riguarda la sostanziale privazione della libertà personale che comporta la detenzione amministrativa al di fuori delle strutture definite come Centri per il rimpatrio (CPR), riservati alle persone destinatarie dei provvedimenti di respingimento o di espulsione. Provvedimenti che adesso vengono adottati anche nei confronti di persone che si trovano in “altre strutture” come gli Hotspot ed i centri di transito in frontiera, a disposizione delle autorità di polizia. L’art. 10-ter d.lgs n. 286 del 1998 non chiarisce se la permanenza nei punti di crisi, altrimenti definiti Centri di prima accoglienza/Hotspot, debba avvenire in strutture aperte, dalle quali lo straniero possa allontanarsi, oppure in luoghi chiusi, ove, quindi, si attuerebbe un’autentica ipotesi di privazione della libertà personale, come si verifica nella prassi più diffusa. La norma, riformulata nel 2017, tace anche sulle forme di controllo giurisdizionale sulla detenzione, attivabili su impulso del detenuto, ex art. 5 comma 4 della CEDU.

I Rapporti delle Organizzazioni non governative che hanno potuto visitare i centri di detenzione amministrativa in frontiera e le strutture Hotspot descrivono una realtà ben lontana dalle previsioni di legge. Tutto sembra affidato alla discrezionalità amministrativa. Lo “stato di emergenza” derivante dalla pandemia da Covid-19 ha comportato una espansione senza precedenti delle procedure di limitazione della libertà personale sostanzialmente rimesse alle autorità di polizia. La carenza dei centri di accoglienza ha determinato già sulle navi quarantena casi di trattenimento arbitrario, perchè prolungato oltre i termini di legge, per la mancanza di strutture nelle quali trasferire i migranti al termine della quarantena. Cosa succederà adesso, dopo il ritiro delle navi quarantena e la fine dello stato di emergenza derivante dalla pandemia?

Le persone internate nei centri di prima accoglienza o negli Hotspot, in molti casi, vi rimangono ancora oggi più a lungo dei quattro giorni previsti dalla Costituzione (art.13) per la convalida giurisdizionale delle misure amministrative di limitazione della libertà personale, senza alcun diritto di difesa, a differenza di quanto dovrebbe accadere invece, e non sempre accade, nei Centri per il rimpatrio (CPR). Su questo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha detto cose molto chiare, con sentenze di condanna dell’Italia, come nel caso Richmond Yaw/Italia, ch è stato semplicemente nascosto e presto rimosso. Con la sentenza Richmond Yaw e altri contro Italia, pubblicata il 6 ottobre 2016, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’art.5 par.1, lett.f e par. 5 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, per il prolungamento arbitrario del trattenimento amministrativo all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria (Roma), e per il mancato riconoscimento del diritto alla riparazione del danno derivante dalla ingiustificata privazione della libertà personale.

L’Italia non si è neppure adeguata alla sentenza di condanna inflitta sul caso Khlaifia dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, e come nel caso di altre condanne riportate a Strasburgo, il governo ha proseguito, anche per ragioni commerciali, nella sua politica di collaborazione con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, ma non si sono certo bloccate le partenze.

La valenza applicativa generale dell’art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, (secondo cui nessuno può essere privato della libertà se non nei casi e nei modi previsti dalla legge:) in tutti i casi in cui venga praticata una limitazione della libertà personale dello straniero “irregolare”, al di là delle definizione formale di trattenimento o di detenzione amministrativa, è confermata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La ratio della norma si può estendere a tutte le ipotesi di trattenimento amministrativo (dunque anche nei casi di limitazione della libertà personale all’interno di centri qualificati come centri di soccorso e prima accoglienza (CSPA), o in altre strutture di accoglienza “temporanea”),  come è stato stabilito dalla sentenza della Corte di Strasburgo, sul caso Khlaifia. Con riferimento al trattenimento amministrativo in un Centro di soccorso e di prima accoglienza, come quello di contrada Imbriacola a  Lampedusa, assimilabile agli attuali centri Hotspot,  la Grand Chambre, della Corte europea dei diritti dell’Uomo, con una decisione definitiva sul caso Khlaifia, votata su questo punto all’unanimità, ha riconosciuto la ricorrenza della violazione dell’ art. 5 CEDU da parte dell’Italia, perché i ricorrenti tunisini risultavano essere stati illegalmente privati della libertà personale, nel  CPSA di Lampedusa, nel settembre del 2011. Da allora ad oggi la situazione nel centro Hotspot di Lampedusa non è sostanzialmente cambiata. Ma il 2 dicembre 2021 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha ufficialmente chiuso la procedura di supervisione sull’attuazione della sentenza Khlaifia c. Italia della Corte europea dei diritti umani. Un ennesimo esempio di come la giustizia europea si possa piegare ormai alle scelte politiche dei governi. Le conseguenze di questo disimpegno del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, evidentemente espressione dei governi che nominano i loro rappresentanti, sono già ben visibili.

Una situazione di costante violazione dei diritti umani si riproduce sul nostro territorio dove si trovano ancora oggi luoghi che rimangono di fatto al di fuori del diritto, dove le persone sono anzi indotte ad una ulteriore clandestinizzazione, come si verifica nei numerosi casi in cui poi proseguono la loro fuga verso altri paesi europei, magari dopo la consegna del decreto di respingimento frmato dal Questore. (impropriamente chiamato “foglio di via”). Con il marchio ormai impresso sulla pelle di “clandestini”, che ancora oggi equivale, alle frontiere europee, alla condizione di “senza diritti”.

L’ultima invenzione, in una stagione in cui si tenta con l’ipocrisia delle definizioni di nascondere la sostanza delle politiche migratorie del governo, è costituita dai cd. “centri di transito”, come quello che si è aperto a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, che nei progetti della prefettura e del ministero dell’interno, con i quali collaborano UNHCR e Croce Rossa, dovrebbe servire a favorire il decongestionamento del centro di prima accoglienza/hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa, che già è operativo con un numero di “ospiti” anche quattro volte superiore alla sua capienza massima (250 persone). Una tensostruttura, come quella utilizzata a Porto Empedocle, all’interno del porto, negli anni passati, che malgrado il tentativo di sfumare la vera destinazione, potrebbe servire, in assenza del trasferimento in altri centri di accoglienza, a limitare a tempo indeterminato, e non solo per qualche ora, la libertà personale di quanti vi verranno “accolti”. Le previsioni numeriche che si sono fatte in tema di capienza massima della nuova struttura, appena qualche decina di migranti, appaiono lontane dalla realtà dei transiti a Porto Empedocle, se solo si considera l’esperienza degli anni nei quali all’interno dell’area portuale era funzionante una analoga tensostruttura, nella quale, a fronte di 100 posti previsti, venivano trattenuti in transito anche per giorni oltre 500 persone.

A fronte delle persone che vengono trasferite in varie località, dopo sbarchi o soccorsi a Lampeudusa, anche diverse centinaia di persone in una sola giornata, e per la penuria di posti nei centri di prima accoglienza, soprattutto dopo il ritiro delle navi quarantena, è altamente probabile che nei centri di transito come quello di Porto Empedocle, o in altri che dovessero attivarsi, il trattenimento delle persone possa protrarsi ben oltre le poche ore annunciate dal prefetto di Agrigento.

Una restrizione impropria della libertà personale si verifica già in altre strutture denominate centri di prima accoglienza (CPA) ex legge Puglia del 1995(!), o soltanto “Hotspot”, che erano state create con la prevalente finalità di identificare le persone straniere in ingresso nel territorio nazionale dopo uno sbarco autonomo, o dopo un soccorso in mare. Così come si verifica analoga restrizione della libertà personale nel centro di accoglienza di Siculiana, una parte del quale era “riservato” a migranti provenienti da Lampedusa, spesso al centro di tentativi di fuga che sono finiti anche con tragiche conseguenze per i migranti, che nella maggior parte dei casi, vengono arrestati e ricondotti nel centro.

Come ha osservato l’ASGI, “Le modifiche legislative introdotte dalla legge 132/2018 e confermate dal D.L. 130/2020 circa la possibilità di trattenere i richiedenti asilo in appositi locali negli hotspot per un periodo massimo di 30 giorni, al fine di verificarne o determinarne l’identità, e la possibilità di trattenere i cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento in locali idonei in frontiera non hanno risolto il problema dell’assenza di base legale per la privazione della libertà all’interno di tali centri e continuano a sollevare numerose criticità circa la compatibilità con il dettato costituzionale e con la normativa comunitaria”.

La situazione non migliora se si guarda alla Sicilia orientale ed al porto di Augusta (Siracusa). Il vicino centro/hotspot di Pozzallo rimane con le caratteristiche strutturali ch si sono denunciate da anni, mentre in Calabria, dove si è voluto chiudere con il codice penale l’esperienza di Riace, i migranti che arrrivano sempre più numerosi nella Locride rimangono privi di veri centri di accoglienza, e non appena sono liberi dai controlli di polizia costituiscono ancora una sacca di sfruttamento sotto il controllo delle organizzazioni criminali, che tutti dicono di volere combattere. Un impegno che non rispetta certo chi ha destrutturato e chi mantiene in condizioni di estrema fatiscenza, privi del personale necessario, i pochi centri di accoglienza ancora aperti. Non si vedono in altri termini quali conseguenze positive abbia apportato il più recente Decreto 130 del 2020 che avrebbe dovuto rimediare al disastro dei decreti sicurezza imposti da Salvini nel 2018 e nel 2019. Rispetto a 140.000 posti offerti fino al 2017 dai sistemi di accoglienza in Italia, oggi si può stimare che siano rimasti attivi non più di 30-40.000 posti, compresi quelli recentemente attivati per i profughi ucraini, e per chi arriva da sud l’accoglienza, dopo la fase del trattenimento negli Hotspot o nei centri di transito, prosegue nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) gestiti dalle prefetture. Si dovrebero aprire centri di prima e seconda accoglienza per almeno 60.000 persone, quante ne potrebbero arrivare ancora quest’anno, restituendo risorse, personale ed iniziativa al sistema dei centri SPRAR gestito dai comuni. Di certo la guerra in Ucraina ha defintivamente sepolto le prospettive di riforma del Regolamento Dublino III del 2013, e soprattutto il finto accordo di Malta del 2019 sulla “redistribuzione” dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo centrale, di cui si continua a parlare a distanza di anni da quando l’Unione Europea lo ha destituito di qualsiasi fondamento. Con i numeri degli arrivi dei profughi ucraini nei paesi del gruppo di Visegrad ( soprattutto Polonia ed Ungheria) se di redistribuzione si tornerà a parlare, sarà verso i paesi UE meridionali, e non certo nella direzione verso il nordeuropa auspicata dagli ultimi governi italiani.

In questa situazione il prezzo più alto lo pagheranno le persone più vulnerabili, le donne, i minori non accompagnati, le vittime di tortura, sempre più numerose, che arrivano dalla Libia. Ma con il passare dei mesi estivi ed il prevedibile aumento degli arrivi, potrebbero innescarsi episodi di grave tensione e poi sfociare in vere e proprie rivolte, con una ulteriore conflittualità che potrebbe coinvolgere la popolazione residente. Anche perchè non manca la strumentalizzazione politica che è tornata a scaricarsi sullle strutture di prima accoglienza, per alimentare odio etnico e propaganda elettorale in favore dei partiti di destra.

3. Si assiste ancora una volta ad un ennesimo fallimento delle politiche di blocco delle partenze, basate sulla deterrenza che si sperava di perseguire con accordi bilaterali per respingimenti collettivi (su delega ai paesi terzi), tanto da ritenere che il sistena di accoglienza italiano potesse essere ridotto ai minimi termini. Un tragico errore che si continua a ripetere dal 2011, e che si è consolidato con i decreti scurezza imposti da Salvini. Adesso probabilmente è già troppo tardi per evitare che nei prossimi mesi la situazione della prima accoglienza ritorni esplosiva, mentre non si attenua l’onda mediatica ostile comunque alle migrazioni dai sud del mondo e proseguono i processi contro chi ha salvato vite in mare e contro chi ha praticato accoglienza solidale a terra. Non è bastata evidentemente l‘esperienza terribile della rivolta prima dei migranti, e poi dei residenti, a Lampedusa nel 2011.

Sembra sempre di assistere alla ripetizione di un vecchio copione. Si crea un falso clima di emergenza per esigenze elettorali, ma non si affrontano le cause profonde che andrebbero affrontate con interventi strutturali. Oggi si pensa soltanto alla questione dell’arrivo dei profughi ucraini in Italia, molti dei quali stanno già facendo rientro nel loro paese, mentre rimane sempre più grave la discriminazione istituzionale e la lesione dei diritti di libertà, oltre che del diritto di chiedere asilo in un paese sicuro, di quanti fuggono dalla Libia e dagli altri paesi costieri della sponda sud del Mediterraneo. E intanto i partiti più ostili verso l’arrivo e l’accoglienza dei migranti in Italia si apprestano a raccogliere altri consensi elettorali, giocando sugli errori commessi dal governo e soffiando sul fuoco della paura e dello scontro sociale.


Lampedusa 2011,

di Alessandro Dal Lago

“Metti un’isola persa al centro del Mediterraneo, prima porta d’Europa e rotta privilegiata per migliaia di migranti che giungono dalle rive meridionali. Lascia che sul suo lembo di terra sorga un campo di concentramento e riempilo, uno sbarco dopo l’altro, di disperati. L’isola, un tempo abitata da pescatori e abituata solo ad ospitare turisti, sembra ormai una nuova fortezza Bastiani. All’inizio commercianti e bottegai sono contenti. Il presidio permanente delle Forze di polizia garantisce un bel fisso mensile, ma col tempo crescono i malumori. Gli equilibri saltano. Dalle reti si raccolgono cadaveri di naufraghi, il mare sembra un cimitero liquido che lascia affiorare tracce di vite annegate. La gente è stanca di vedere “tutta la miseria del mondo” approdare sulle proprie spiagge. Il dolore, le tragedie, la facce disperate. Nell’isola non c’è più felicità ma il rombo permanente di una guerra: la guerra alle formiche affamate che cercano speranza. Chi ha pensato tutto questo ha fabbricato una bomba sociale. Dagli alambicchi dell’odio distillato in laboratorio è venuta fuori la caccia all’immigrato che si è scatenata a Lampedusa.”

https://insorgenze.net/…/lampedusa-%C2%ABtrattati-come…/