Archiviata una parte dell’indagine Iuventa. Quali prove contro MSF e Save The Children ?

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. E’ stata definitivamente archiviata l’indagine della Procura di Trapani nei confronti di Don Mussie Zerai, della comandante della nave Iuventa Pia Klemp, di alcuni membri dell’equipaggio e dei mediatori culturali a bordo della stessa nave, coinvolti ininizialmente nelle indagini portate avanti dal 2016 dallo SCO e dalla Procura di Trapani. Evidentemente a loro carico non è stato trovato un brandello di prova a fronte delle accuse per cui si è chiesto il rinvio a giudizio, riferite a tre eventi di soccorso contestati ai comandanti ed ai capomissione della Iuventa nel mese di settembre del 2016 e nel mese di giugno del 2017. Già da tempo risultava archiviata anche l’indagine contro la ONG Jugend rettet, per cui la nave Iuventa, a partire dal 2016, aveva operato soccorsi nel Mediterraneo centrale, portando in salvo oltre 14.000 persone, “sottratte” alla sedicente Guardia costiera libica, ed alla furia del mare, che in assenza di mezzi di soccorso statali, e poi senza le navi civili delle ONG, ha richiesto un tributo in vite umane sempre più alto. Fino agli ultimi casi di abbandono in mare verificatisi in questi ultimi giorni.

Alcuni giornali hanno dato per inziato il “processo” Iuventa nei confronti degli altri indagati, prima ancora che il Giudice dell’Udienza preliminare di Trapani si pronunziasse sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata lo scorso marzo dalla Procura. Secondo altre fonti sembrerebbe che le “prove” raccolte dalla Procura, per la loro quantità, possano fare prolungare l’udienza preliminare, fino a farla diventare quasi un processo prima del processo. Nel senso comune prevalente nell’opinione pubblica, insomma, sembrerebbe che, sotto la grande quantità di “prove” raccolte dall’accusa, non possano mancare elementi di responsabilità che potrebbero giustificare il rinvio a giudizio degli indagati. Come se la quantità delle intercettazioni, al di là del loro utilizzo parziale, potesse supplire alla mancanza di nessi logici e giuridici tra i fatti realmente accertati e le responsabilità penali che ne deriverebero. Insomma, una giustizia penale a peso.

In realtà le archiviazioni di cui si è avuta conferma in questi giorni fanno saltare alcuni passaggi centrali delle accuse iniziali, come la ipotesi delle cd. “consegne concordate” di migranti dai trafficanti agli operatori umanitari, che avrebbero avuto al centro le telefonate di richiesta di soccorso, poi girate alle ONG, ricevute da don Mussie Zerai, che a causa di queste accuse è stato per anni sulla graticola mediatica al punto di ricevere vere e proprie intimidazioni e pesanti insinuazioni sul suo operato. I residui elementi di accusa su questo punto si riducono ad una documentazione fotografica assai dubbia ed alle supposizioni di soggetti terzi che operavano come infiltrati a bordo della nave di Save The Children, che sono stati già ampiamente smentiti da indagini indipendenti. Nessuno potrà mai ritenere che le imbarcazioni delle ONG fossero colluse con i trafficanti solo perchè si trovavano in acque internazionali nei punti di passaggio ben noti da anni per coloro che in fuga dalla Libia si trovavano su imbarcazioni in rotta verso Malta o Lampedusa. E’ facilmente dimostrabile, al di fuori di ogni insinuazione, che il posizionamento delle navi delle ONG, prima che fosse costituita una zona SAR “libica” nel 2018 ( giugno), ed ancora prima che fosse emanato il codice di condotta Minniti ( luglio 2017), fosse concordata nel corso di riunioni tra i responsabili delle ONG ed i vertici della Guardia costiera italiana, allo scopo di ridurre il numero delle vittime, sempre più elevato in quel periodo per il ritiro dei mezzi di soccorso statali e degli assetti navali dell’agenzia Frontex. Stando ai dati dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2017, 2.253 persone hanno perso la vita o sono state dichiarate disperse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo: la quasi totalità di loro (2.171) sulla rotta verso l’Italia.

Intanto però a partire dal mese di luglio del 2017 gli incontri periodici tra le ONG ed i rappresentanti delle autorità marittime italiane venivano interrotti su preciso input politico. Si stava preparando il Codice di condotta Minniti, ed era ormai imminente il sequestro della nave Iuventa a Lampedusa, avvenuto il 2 agosto dello stesso anno.

Come riferiva un ANSA del 9 luglio 2017, “la riunione della Guardia Costiera italiana con le Ong che operano nel Mediterraneo centrale per prestare soccorso ai migranti, prevista per il 13 luglio, è stata rinviata a data da stabilire.  La riunione è stata rinviata ufficialmente per “motivi organizzativi legati all’attività operativa di questo periodo”, ma ( sempre secondo l’ANSA) è probabile che il rinvio “a data da stabilire” sia legato alle scelte di carattere politico che l’Italia si appresta a fare nei prossimi giorni per arginare il flusso ininterrotto di migranti nel nostro Paese. La riunione Guardia Costiera-Ong si svolge(va) annualmente per parlare delle regole in corso riguardo al soccorso dei migranti”. Regole che venivano sconvolte dal codice di condotta Minniti. Secondo Amnesty International, Il codice di condotta proposto per le Ong che salvano vite in mare era “immorale” e “potrebbe mettere in pericolo altre vite. La bozza del documento veniva proposto per la prima volta in occasione di una riunione informale del Consiglio europeo di giustizia e affari interni il 6 luglio 2017,, una settimana prima dell’incontro con le ONG, poi fatto saltare. Sono i tempi dell’inchiesta Iuventa.

2. Nel caso dell’evento dell’11/13 luglio 2017 si contesta agli indagati, imbarcati a bordo della Vos hestia di Save The Children, di essere intervenuti in assenza dei presupposti di pericolo imminente per i naufraghi. La assenza di una situazione di reale distress, nella quale si poteva desumere il carattere doveroso degli interventi delle navi umanitarie, può essere facilmente smentita, per le condizioni di sovraccarico delle imbarcazioni soccorse, in base alle fonti di diritto internazionale, e della giurisprudenza che si è occupata di casi simili, procedendo all’archiviazione delle indagini. Infine, purtroppo, la smentita più atroce è arrivata dall’evidenza dei fatti, con ripetute stragi verificatesi proprio per il ritardo degli interventi di soccorso, persiino a ridosso delle coste italiane, perchè ad una prima valutazione, anche da parte di assetti aerei e di Frontex, le imbarcazioni stracariche di migranti in fuga dalla Libia ( e dalla Tunisia) erano apparse in buone condizioni di navigabilità. E dalla mancanza di una situazione di reale distress si è ricavata,anche con riferimento alla zona SAR maltese, nel corso degli anni, con le stesse cadenze argomentative, la contestazione del reato di agevolazione dell’immigrazione clandestina ( art. 12 del Testo Unico 286/98), la stessa che è alla base del procedimento Iuventa a Trapani. Dal 2016 le Procure italiane hanno aperto venti inchieste sulle ONG, di cui soltanto tre rimangono aperte, mentre nessuna delle inchieste che avevano come questione centrale la natura “arbitraria e strumentale” degli interventi di soccorso delle navi delle ONG è sfociata in un procedimento penale con una condanna.

In acque internazionali, durante, e dopo, eventi di soccorso, non esistono “clandestini”. La Convenzione SAR di Amburgo del 1979 obbliga comunque gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” ed a “[…] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro” (Annesso, Cap. 2, par 2.1.9 e 2.1.10 della Convenzione di Amburgo). La stessa Convenzione impone un rapporto tra l’estensione delle zone SAR e le capacità dei servizi SAR del Paese responsabile e afferma la doverosità della collaborazione delle autorità marittime degli Stati costieri al fine di garantire un soccorso effeicace ed uno sbarco in un porto sicuro nel più breve tempo possibile. Non basta qualificare gli eventi di soccorso come eventi migratori per esonerare gli Stati costieri da ogni responsabilità di intervento e coordinamento, e magari per riconfigurare una responsabilità penale in capo ai soccorritori. Il Piano SAR nazionale del 1996,e poi quello più recente per il 2020 ,confermano gli obblighi di coordinamento e di intervento a carico degli Stati, anche al di fuori della zona SAR di propria competenza, non appena le autorità marittime vengono a conoscenza di un evento di soccorso in acque internazionali.

3. Dopo le archiviazioni delle posizioni di buona parte degli originari indagati nel processo Iuventa, si comprende ancora meno quali motivazioni abbiano portato al coinvolgimento nelll’indagine delle Organizzazioni non governative MSF e Save The Children, le cui navi nel 2017 operavano in stretta sinergia con la Iuventa. Altre indagini paralllele sono state chiuse da tempo dalla Procura di Palermo. Gli eventi contestati a comnandanti, capomissione e rappresentanti di queste due organizzazioni non governative appaiono, se non successivi, in buona parte slegati dai fatti contestati agli operatori umanitari della Iuventa, ed anche le date nelle quali si sarebbero svolti risultano diverse. Si sa soltanto che, a carico degli operatori umanitari a bordo di queste navi, dei comandanti e dei capi missione, e degli stessi agenti infiltrati, sono state eseguite migliaia di intercettazioni e sequestri di materiali informatici, che dovrebbero risultare negli atti allegati al fascicolo processuale prodotto dalla Procura di Trapani. Dei contenuti di queste intercettazioni si è appreso molto poco, per quanto riferito negli atti di accusa resi pubblici in alcuni passaggi da qualche organo d’informazione.

Al comandante della Vos Hestia di Save The Children si contesta di avere imposto “il divieto di comunicare qualsiasi sospetto di reato alle forze dell’ordine”. Inoltre gli indagati imbarcati sulla nave Vos Hestia, in occasione del soccorso operato dalla iuventa il 10 settembre 2016, avrebbero concorso nel reato di agevolazione dell’immigrazione clandestina, per avere effettuato il trasbordo dei naufraghi da suddetta nave, ed averli poi sbarcati due giorni dopo a Trapani. Una contestazione che si regge su quanto contestato il medesimo giorno agli operatori di Iuventa che avrebbero “collaborato” con due presunti scafisti, che poi si sarebbero allontanati verso le coste libiche “indistrurbati”. Secondo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari gli operatori di Save The Children, Medici Senza Frontiere e JIuventa “erano mossi nelle loro condotte criminose da aspetti economici”. ma quali fossero questi aspetti economici non lo precisa alcun atto dell’indagine, se non con riferimento alla consueta contestazione di un fine indirettamente lucrativo che si muove alle ONG che svolgono attività di soccorso ed assistenza umanitaria. Fine che finora è stato escluso nei numerosi procedimenti penali intentati contro le ONG.

In un altro soccorso avvenuto tra il 4 e il 5 maggio del 2017 si contesta che la Vos Hestia si sarebbe deliberatamente diretta verso un punto nel quale si trovvano diverse imbarcazioni partite dalla Libia in condizioni di difficoltà, senza avvertire della rotta le autorità marittime italiane, che però una volta che la nave giungeva sul luogo dei soccorsi erano certo informate, tanto che la indicavano come OSC (coordinator on scene). Accuse tutte ricavate dalle comunicazioni e dai materiali informatici reperiti a bordo della nave senza alcuna menzione ai rapporti di comunicazione con la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC). Altre accuse, verso gli operatori di Save The Children, relative a luci mantenute accese durante le ore notturme o di ingresso nelle acque libiche per “sottrarre” migranti alla guardia costiera libica, si commentano da sole. Come le accuse riguardanti lla “omessa denuncia” di presunti scafisti a bordo. Come si voleva imporre con il codice di condotta Minniti. Come se i comandanti delle navi umanitarie dovessero assolvere compiti di polizia e quindi come se il valore primario della salvaguardia della vita umana in mare dovesse cedere rispetto ai poteri di indirizzo delle autorità marittime nazionali (IMRCC) ed alle esigenze di contrasto dell’immigrazione clandestina.

Per un successivo evento verificatosi il 13 ottobre del 2017, sotto il coordinamento delle autorità marittime italiane (IMRC) si arriva addirittura a contestare che il comandante della nave Vos Hestia non avrebbe comunicato le condizioni del mare e la galleggiabilità del barchino sul quale stavano i naufraghi. Forse, se gli operatori umanitari avessero omesso di intervenire, come hanno fatto in altre occasioni unità militari italiane, e se il barchino si fosse capovolto per il peso delle persone a bordo, comandante e capmissione sarebbero stati perseguiti per omissione di soccorso…

Quattro operatori di MSF sono rimasti  sotto indagine a Trapani dal 2017 per tre operazioni  di soccorso condotte a bordo di una delle navi umanitarie. la Vos Prudence, che allora operavano nel Mediterraneo centrale, sotto stretto coordinamento della centrale operativa della Guardia costiera italiana. Anche nei confronti degli operatori di MSF si replicano le medesime accuse già elevate nei confronti degli operatori della nave di Save The Children. Si contesta l’omessa denuncia, e la falsa attestazione di circostanze (lo stato del mare o la navigabilità del barchino) ritenute rilevanti ai fini della qualificazione penale dell’azione di soccorso. L’accusa principale nei loro confronti, come riportato dal quotidiano La Repubblica, consisterebbe nell'”Avere ottenuto maggiore visibilità pubblica e mediatica con conseguente incremento della partecipazione – anche economica – dei propri sostenitori dato il costante impiego della nave nei numerosi eventi di soccorso”. Addirittura per la Procura di Trapani , secondo l’atto di conclusione delle indagini preliminari, sarebbe possibile equiparare i volontari ai trafficanti libici, perché “entrambi considerano i migranti come una preziosa merce, e non come naufraghi da salvare”. I numerosi provvedimenti di archiiviazione nei procedimenti penali intentati contro le stesse ONG depongono in senso opposto, sulla natura legittima, anzi doverosa, delle attività di ricerca e salvataggio poste in essere dalle ONG nel Mediterraneo centrale, e lo stesso dovrebbe emergere anche a Trapani. Ed è ampiamente documentato, con riferimento al primo semestre del 2017, prima che fosse adottato il cd. Codice di condotta Minniti, come le navi delle ONG fossero organicamente inserite nel coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali della Guardia costiera italiana nel Mediterraneo centrale. Operazioni che in diverse occasioni si svolgevano anche all’interno delle acque territoriali libiche quando si doveva tutelare il bene supremo della vita umana.

Appare proprio qui la più evidente contraddizione in cui cade la Procura di Trapani perchè omette di considerare come nel 2017 le navi delle ONG, certamente quelle di MSF e di Save The Children operavano sotto il costrante coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana, come emerge dal Rapporto di attività per il 2017 della Guardia costiera italiana e come sarà agevolmente dimostrabile operazione per operazione, quando si andranno a vedere le comunicazioni intercorrenti tra i comandanti della nave e la Centrale di coordinamento (IMRCC). Basti riflettere sui dati impressionanti che emergono dal rapporto pubblicato nel 2018 dalla Guardia costiera : nella giornata del 16 giugno 2017, dunque due giorni prima dei soccorsi contestati agli operatori della Iuventa, erano stati salvati in alto mare ben 2656 persone in 21 eventi di soccorso, e poi nei giorni 25 e 26 giugno dello stesso anno, nei quali si verificavano i fatti contestati alla ONG MSF, venivano tratti in salvo con il concorso attivo di questa nave, ben 8760 persone in 60 operazioni SAR (ricerca e salvataggio). Si può pensare davvero che in questo contesto ci fosse spazio per “consegne concordate” con i trafficanti libici, o per scopi puramente economici delle ONG he in quel periodo operavano nelle acque a nord della costa libica sulla base di un coordinento diretto delle autorità marittime italiane, con le quali avevano pure frequenti incontri ? Non risulta proprio che la nave di Save The Children fosse di fatto investita della responsabilità di OSC (On Scene Coordinator) ? Su questo ruolo la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC) ha riferito alle autorità inquirenti?

Erano tutti collusi, considerando i naufraghi come una “preziosa merce”, quando gli allarmi venivano smistati proprio dalla Guardia costiera italiana che addirittura, in molte occasioni indicava la Vos Hestia di Save The Children come unità coordinatrice (OSC) dei soccorsi ? Oppure si vuole fare pagare agli indagati di non avere rispettato le regole che, peraltro in tempo successivo, venivano condensate nel cd. Codice di condotta Minniti, che malgrado contraddittorie affermazioni della giurisprudenza, restava un atto amministrativo privo di valore normativo, soprattutto per le parti che risultavano in contrasto con il diritto internazionale del mare? Ha ricordato bene Lorenzo Pezzani, cofondatore del gruppo di ricerca di oceanografia forense del college Goldsmiths,ad Annalisa Camilli su l’Internazionale come “Se si estrapolano degli elementi dal contesto, si costruiscono delle cosiddette bugie fattuali” Di certo per effetto sinergico del Codice di condotta Minniti e delle indagini giudiziarie sul caso Iuventa, Save The Chlidren e Medici senza frontiere erano costrette, pochi mesi dopo il sequestro della nave a Lampedusa, a sospendere le loro operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale. Quante vite umane andavano perdute in quel periodo, dopo il sequestro preventivo della Iuventa, per il ritiro forzato delle navi umanitarie di queste organizzazioni ?

Come osserva Segio Scandura, a parte la gravità delle intercettazioni a carico di giornalisti ed avvocati, che non risutavano peraltro tra gli indagati, che sarebbero state ormai stralciate, ““Gli eventi contestati alle ong sono salvataggi che facevano anche la guardia costiera italiana, la marina militare italiana, la guardia di finanza e le marine militari europee. Nel 2017 c’è stato un giro di boa, perché bisognava creare un buco nero nel Mediterraneo centrale. Per farlo bisognava ritirare le navi governative. Peccato che poi ci fossero questi volontari che salvavano le persone. Perché in tutto questo si perdono le persone, si perdono nel senso che muoiono in mare”.

Quel buco nero è rimasto ancora oggi, non solo in mare, dove si continua ad ostacolare in ogni modo la residua attività di ricerca e salvataggio operata dalle ONG, ma sembra anche negli atti dell’inchiesta che a Trapani ha tentato di mettere sul banco degli imputati operatori umanitari ed organizzazioni che avevano salvato decine di migliaia di vite, dalla furia del mare, ma anche “sottraendole” alla sedicente Guardia costiera libica, come si legge negli atti dell’accusa. Tocca adesso alla giurisdizione fare chiarezza ed archiviare questa ennesima pagina della battaglia giudiziaria che si è combattuta contro le ONG “responsabilli di soccorso” nel Mediterraneo centrale. Mentre sarebbe forse tempo, ma il tempo prima o poi verrà , per indagare quanti si sono resi responsabili in questi anni di omissione di soccorso per non avere adempiuto agli obblighi di soccorsoin mare e di coordinamento tra Stati, sanciti dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare.