di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Sabato 21 maggio a Trapani, il giudice dell’Udienza preliminare deciderà un rinvio a giudizio, se non procederà ad archiviare, per i numerosi imputati dell’inchiesta Iuventa, avviata nel 2016 e culminata il 2 agosto del 2017 nel sequestro della nave, attirata con un pretesto nel porto di Lampedusa, e quindi trasferita a Trapani, dove si trova ancora oggi, ridotta ad un rottame. Rispetto ai primi atti di indagine che avevano comportato il coinvolgimento della ONG Jugend Rettet, per cui operava la Iuventa, e di numerosi membri dell”equipaggio, oltre ad alcuni operatori umanitari poi usciti dal procedimento, una mole immensa di intercettazioni telefoniche ha ampliato nel corso degli anni il numero degli indagati che sono arrivati, in base all’Avviso di conclusione delle indagini preliminari dell’11 gennaio dello scorso anno, a 21 persone, tra operatori umanitari ed equipaggio non solo della Iuventa, ma anche delle navi VOS HESTIA di Save The Children e VOS PRUDENCE di Medici senza frontiere, nonchè i legali rappresentanti di queste associazioni. Sembrerebbe invece che nel frattempo la posizione di altri 5 indagati sia stata archiviata. Tre sono i fatti contestati dalla Procura di Trapani. Il primo si sarebbe verificato il 10 settembre 2016, a 15 miglia circa dalle coste libiche. Secondo l’accusa, un’imbarcazione carica di migranti si sarebbe avvicinata alla Iuventa per poi allontanarsi nuovamente con due sole persone a bordo. L’unica fonte di prova è costituita dalle testimonianze di tre agenti di sicurezza, imbarcati sulla Vos Hestia. Lo stesso 10 settembre del 2016, proprio in occasione dei soccorsi che la procura di Trapani contesta oggi agli operatori del gommone di servizio della Juventa, la Guardia costiera libica sequestrava due operatori della nave umanitaria Sea Eye. Gli altri due fatti contestati dalla Procura di Trapani si sarebbero, invece, verificati entrambi il 18 giugno 2017. In questi casi la principale fonte d’accusa è un agente dei servizi segreti sotto copertura imbarcato a bordo della nave Vos Hestia di Save The Children. Il decreto di sequestro preventivo dà atto che in occasione di uno dei due soccorsi operati dalla Iuventa il 18 del mese di giugno del 2017, il barchino dei migranti era “scortato”, oltre che da una imbarcazione ritenuta appartenente ai trafficanti, anche da una “motovedetta libica”, circostanza che sembra svanita nel corso delle successsive indagini, ma che dà la misura dei rapporti esistenti a quel tempo tra trafficanti e sedicente Guardia costiera libica. Sempre secondo lo stesso Decreto di sequestro preventivo “La Guardia Costiera libica ha assistito passivamente al trasferimento a bordo della iuventa senza mai intervenire per procedere all’identificazione ed al controllo delle imbarcazioni utilizzate dai trafficanti durante le successive fasi di rientro; scelta incomprensibile se non nel quadro di una grave collusione tra singole unità della Guardia costiera ed i trafficanti di esseri umani” (si rinvia al riguardo alla relazione dell’agente sotto copertura e alle fotografie accluse). Sembra già evidente in qusto passaggio di un documento del giudice delle indagini preliminari di Trapani la prova di “consegne concordate”, almeno nel soccorso delle prime ore di giorno 18 giugno 2017, non tra i trafficanti e la Iuventa, ma tra gli stessi trafficanti e i componenti della Guardia costiera libica che erano presenti sul luogo dei soccorsi senza intervenire.
Il 2 agosto del 2017, mentre si trovava in acque internazionali, dopo aver eseguito il trasbordo di due migranti siriani salvati dal navi della Guardia costiera italiana, alla comandante della nave veniva richiesto di approdare nel porto di Lampedusa per sottoporsi a controlli. Lo stesso giorno veniva notificato alla stessa comandante un decreto di sequestro preventivo firmato dal Giudice delle indagini preliminari di Trapani. Decreto di sequestro che evidentemente era pronto già prima dell’ingresso della Iuventa in porto.
Nel 2018 la Corte di cassazione si era pronunciata per la conferma del decreto di sequestro preventivo della nave, soltanto sotto il profilo della legittimità della procedura, ma rinviava al giudizio di merito in tribunale per l’accertamento dei fatti, tanto che la posizione della maggior parte degli originari imputati veniva poi archviata. Secondo la Corte di Cassazione “ Costituirà, quindi, l’oggetto del giudizio di merito, a cognizione piena l’approfondita verifica di tale snodo, delicatissimo e cruciale, che impone di discernere fra l’attività, meritoria e salvifica, messa in essere da chi si muove nell’ambito segnato dall’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998 (secondo cui, fermo restando quanto previsto dall’art. 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato), nella cornice fissata dal’obbligo di salvataggio in mare scolpito dal diritto consuetudinario internazionale e richiamato da molteplici Convenzioni (fermando l’attenzione alla sole Convenzione di Montego Bay sopra citata per altri aspetti, l’art. 98 prescrive che ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, fra le altre attività, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo e proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto), e l’attività di chi – consapevolmente concorrendo con i trafficanti di esseri umani – agisce nel senso di agevolarne le condotte illecite e consentire la loro concreta perpetrazione”.
Dunque si tratta di una decisione che non fa stato nell’accertamento dei fatti, e delle normative che disciplinano i soccorsi in mare. Già nel 2018 la Procura di Palermo chiedeva l’archiviazione, poi disposta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo, di una indagine contro alcune ONG avviata sulla base di segnalazioni analoghe a quelle che nel 2017 erano state inviate alla Procura di Trapani, con riferimento ad altre ONG, tra cui la stessa Jugend Rettet. Il 19 giugno 2018 erano stati chiusi i procedimenti penali a carico della Sea Watch e della Golfo Azzurro., con riferimenti anche alla IUVENTA, oggetto delle indagini di Trapani. “Alla luce delle indagini svolte, non si ravvisano elementi concreti che portano a ritenere alcuna connessione tra i soggetti intervenuti nel corso delle operazioni di salvataggio a bordo delle navi delle Ong e i trafficanti operanti sul territorio libico”, avevano scritto i pm. “Le indagini svolte non hanno permesso di appurare la commissione di condotte penalmente rilevanti da parte del personale Ong”.
2. Nel caso Iuventa si tratta di un inchiesta che ha visto cambiare nel corso del tempo sia gli indagati che i capi di imputazione, che si sono moltiplicati soprattutto per effetto di numerose intercettazioni, ben al di là dell’originario materiale probatorio, di dubbia attendibilità, proveniente da agenti infiltrati presenti a bordo della VOS HESTIA di Save The Children. Ma anche andando ad approfondire gli atti del procedimento, si tratta di centinaia di pagine, e saranno gli avvocati difensori ad entrare nel merito delle singole contestazioni, risulta difficile, al di là della quantità dei materiali, soprattutto captazioni telefoniche, ritrovare nessi logici e ricostruzioni in linea con il reale svolgersi dei fatti, ben chiarito invece da Rapporti internazionali, come quello del Forensic Oceanography di Londra.
In base al Diritto internazionale, recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno riconosciuto le Convenzioni internazionali di diritto del mare ed i loro allegati come fonte primaria degli obblighi di comportamento dei comandanti e delle autorità statali tenute ad intervenire nel corso di eventi SAR ( di ricerca e salvataggio). A margine del caso Iuventa non si tratta dunque di auspicare una nuova legislazione in materia di soccorsi in mare che nessuno Stato può autonomamente modificare, ed appare utopico allo stato degli odierni rapporti politici, in Italia ed in Europa, attendersi una riformulazione più puntuale del reato di agevolazione dell’immigrazione clandestina. Reato che l’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998 prevede come una fattispecie a larghissimo spettro, tanto da far dubitare che sia rispettato il principio costituzionale della cd. “riserva di legge” in materia penale. Il procedimento Iuventa andrebbe chiuso già alla luce della legislazione vigente e del sistema delle cause di giustificazione previste dal codice penale, esattamente come nel febbraio del 2020 ha deciso la Corte di cassazione sul caso Rackete, e come hanno deciso diversi altri giudici di merito nei loro provvedimenti di archiviazione dei procedimenti avviati da alcune procure siciliane contro le ONG impegnate nei soccorsi nelle acque internazionali.
Se di “processo politico”, e dunque di una prima anomalia, si deve parlare, non è certo per scelta degli indagati, ma per la documentata interazione tra ambienti politici ed organi inquirenti nella fase iniziale delle indagini. Si deve innanzitutto risalire al tempo nel quale venivano avviate le indagini, nella seconda metà del 2016, quando dall’Agenzia europea Frontex provenivano segalazioni di comportamenti “sospetti” delle navi delle ONG che in quel periodo, in sinergia con la Guardia costiera italiana, operavano nel Mediterraneo centrale una preziosa attività di soccorso che gli Stati non garantivano più, dopo la chiusura dell’operazione Mare Nostrum nel 2015 e di Triton (di Frontex) alla fine del 2016. Operazioni di navi inviate dalla societa civile che, ben prima che venisse costituita una fittizia “zona SAR libica” nel giugno del 2018, svolgevano attività di soccorso fino a 12 miglia dalle coste libiche ( nel caso di Triton fino a 135 miglia a sud di Lampedusa) . Risulta che in quel periodo anche assetti militari italiani operavano attività SAR all’interno delle acque territoriali libiche (12 miglia), quando erano in gioco vite umane. Tra le contestazioni contenute negli atti di accusa la circostanza che l’intervento della Iuventa avrebbe “sottratto” un centinaio di migranti alla “Guardia costiera libica”, come se gli estensori di questi atti non fossero consapevoli dei comportamenti criminali di questa stessa Guardia costiera in episodi ampiamente documentati nei quali le attività di interdizione dei soccorsi operati dalle ONG producevano vittime. Per non parlare delle condizioni terribili nelle quali si venivano a trovare, sistematicamente esposti a stupri ed a torture a scopo di estorsione, tutti i naufraghi che non venivano “sottratti” ala sedicente Guardia costiera libica, allora quasi inesistente come Centrale di coordinamento (MRCC) e neppure riconosciuta dall’IMO, e riportati nei campi di detenzione allestiti a terra, sotto il controllo delle stesse milizie che controllavano i guardiacoste. Eppure, malgrado la situazione dei migranti in Libia fosse disperata, gli Stati europei e l’italia in particolare ritraevano gli assetti navali prima presenti in acque internazionali e dunque il ruolo delle ONG che salvavano i migranti forzati in fuga da quel paese era assolutamente meritorio e conforme alle norme di diritto internazionale. In un’intervista pubblicata sul quotidiano tedesco Die Welt, il capo di Frontex Fabrice Legeri confermava l’impostazione delle accuse rivolte alla Iuventa ed alle altre navi umanitarie, sostenendo che l’elevato numero di operazioni di soccorso compiute dalle ONG «rende più difficile per le autorità di sicurezza europee indagare sulle reti dei trafficanti». I diritti umani, la stessa vita delle persone, venivano cosi’ indicati come variabili da sacrificare in nome della difesa dei confini e del contrasto dell’immigrazione irregolare.
Come si evince da un Rapporto di Human Rights Watch del 2017, Il 10 maggio e il 23 maggio di quell’anno, le navi di pattuglia delle forze di guardia costiere libiche in acque internazionali erano intervenute nei soccorsi già in corso da parte di organizzazioni non governative, con comportamenti minacciosi tali da provocare il panico senza fornire giubbotti di salvataggio a persone in cerca di salvataggio su navi non idonee alla navigazione . Il 23 maggio 2017 , gli operatori umanitari assistevano – e filmavano – agenti della guardia costiera libica che sparavano colpi in aria. Venivano quindi raccolte testimonianze corroborate da parte dei sopravvissuti secondo cui gli ufficiali avevano sparato anche colpi in acqua dopo che i migranti erano saltati in mare. In quella data tre navi delle ONG erano coinvolte in una operazione SAR (ricerca e salvataggio) sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana (MRCC) Save the Children con la Vos Hestia, l’Aquarius, di Medici senza frontiere; e la Iuventa, di Jugend Rettet. Sotto il coordinamento del Centro ufficiale di coordinamento per il salvataggio marittimo in Italia (IMRCC) di Roma, i soccorritori lavoravano insieme per diverse ore per trasferire i migranti dai gommoni fatiscenti alle loro imbarcazioni. Gia’ nel 2017 dunque, durante le operazioni di soccorso, la Guardia costiera libica circondava i mezzi di soccorso e sparava colpi in mare in prossimità dei gommoni terrorizzando i migranti che si gettavano in acqua. Si trattava di circostanze ben note alla Guardia costiera ed alla Marina italiana che a quel tempo collaboravano stabilmente con le navi delle Organizzazioni non governative. Come si fa ancora oggi a parlare di migranti “sottratti” alla Guardia costiera libica?
3. Nel mese di marzo del 2017 le carte dell’indagine sulla IUVENTA, condotta da un agente, per quanto risulta, dello SCO e dagli ex poliziotti, reclutati come componenti della security della nave Vos Hestia di Save The Children, venivano “passate” a Matteo Salvini, La seconda anomalia del “caso Iuventa” nasce dunque dallo stretto legame tra attività di indagine affidate nel 2016 anche al Servizio Centrale Operativo (SCO), le attività di documentazione di agenti dei servizi di sicurezza ptivati a bordo della Vos Hestia di Save The Children, e le comunicazioni di queste indagini fatte ad alcuni politici, come Salvini, che ne faceva uso propagandistico, fino destinataal sequestro della nave Iuventa avvenuto a Lampedusa il 2 agosto del 2017. Erano i giorni in cui l’allora ministro dell’interno Marco Minniti tentava di imporre alle ONG un Codice di condotta che nella parte relativa alla collaborazione con la sedicente Guardia costiera libica, sulla base del Memorandum d’intesa stipulato con il governo di Tripoli il 2 febbraio 2017, anticipava i contenuti del Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, pur rimanendo privo nel frattempo di copertura legislativa. Di fatto politici di governo e di opposizione entravano in concorrenza per dimostrare l’efficacia delle loro politiche sulla sicurezza dei confini marittimi attaccando l’essenziale ruolo delle ONG nei soccorsi nel Mediterraneo centrale. Ma la bolla mediatica montata attorno al caso Iuventa era destinata a scoppiare.
Come riportava il Post nel febbraio del 2019, “L’ex poliziotto Pietro Gallo dice di essere pentito per il ruolo che ha avuto nella creazione del cosiddetto “scandalo ong”, la polemica contro le organizzazioni non governative impegnate nei salvataggi di migranti nel Mediterraneo centrale. Tra il 2016 e il 2017, quando lavorava come agente di sicurezza a bordo della nave Vos Hestia dell’ong Save the Children, Gallo fornì informazioni e dossier sulle ong ai servizi segreti e allo staff di Matteo Salvini; le sue azioni contribuirono a trasformare i salvataggi in mare in un argomento politico controverso e le ong nell’avversario principale di opinionisti e forze politiche contrarie all’immigrazione. Inoltre, l’indagine su tre ong portata avanti dalla procura di Trapani e partita dalle sue denunce è una delle poche ancora in corso”. La “confessione” di Gallo è contenuta in un’intervista, pubblicata dal Fatto Quotidiano rilasciata al giornalista Antonio Massari. Eppure il procedimento Iuventa continua a basarsi su quelle accuse captate nelle conversazioni tra gli agenti della sicurezza privata imbarcati a bordo della Vos Hestia di Save The Children. Come riporta la stessa fonte, “Gallo si imbarcò per la prima volta sulla Vos Hestia nel settembre del 2016 insieme un altro ex poliziotto, Lucio Montanino. Un’altra ex poliziotta, che avrà una parte importante in questa storia, Floriana Ballestra, rimase invece a terra. Tutti e tre erano impiegati dalla Imi Security Service, una società di sicurezza privata ingaggiata per svolgere servizio sulla nave noleggiata da Save the Children, una delle ong più note e organizzate tra quelle che hanno operato nel Mediterraneo Centrale”. Risulta quindi di dominio pubblico la circostanza che “Era proprio lì che Gallo e i suoi colleghi della Imi Security Service si trovavano a operare alla fine del settembre 2016. Erano passati appena venti giorni dal loro imbarco sulla Vos Hestia, ma Gallo e gli altri avevano già deciso che l’attività delle ong era irregolare e andava denunciata. Gallo e Floriana Ballestra, che era rimasta a terra, scrissero allora allo staff di Matteo Salvini e ad Alessandro Di Battista, importante dirigente del Movimento 5 Stelle, mentre Ballestra inviò una relazione lunga una decina di pagine al Dipartimento di Informazioni sulla Sicurezza, cioè i servizi segreti. Infine, il 14 ottobre, un paio di settimane dopo aver avvertito politici e servizi segreti, Gallo decise di fare una vera e propria denuncia ai carabinieri.” “Secondo Gallo e Ballestra, l’ong tedesca aveva rapporti ambigui con i trafficanti e sembrava che fosse in combutta con loro per trasferire i migranti dalle imbarcazioni di fortuna alla loro.” Esattamente le stesse valutazioni riprodotte nel decreto di sequestro della nave e nei capi di imputazione contestati agli imputati.
Sulle prime fasi dell’indagine non mancano ombre inquietanti. Secondo quanto pubblicato da Famiglia Cristiana in un articolo a frima di Andrea Palladino, pochi giorni dopo il sequestro della Iuventa a Lampedusa, “Spunta un collegamento tra le attività dell’organizzazione di estrema destra Defend Europe contro i migranti e il sequestro della nave Iuventa della Ong tedesca Jugend Rettett, avvenuta il 2 agosto su ordine della procura di Trapani. Collegamento che – ricostruisce Famiglia Cristiana – prende due nomi e due volti specifici, quelli di Cristian Ricci e Gian Marco Concas. Il primo è alla guida della società di sicurezza privata Imi Security Service, ovvero il gruppo di mercenari che ha denunciato le ‘anomalie’ della nave Iuventa, facendo aprire il fascicolo della Procura di Trapani.” Pohi giorni dopo il sequestro della Iuventa a Lampedusa la sedicente Guardia costiera libica tentava di sequestrare un altra nave delle ONG, la Proactiva Open Arms. Questo il contesto all’origine dell’indagine sul caso Iuventa, che poi si estenderà ad altre navi delle Ong.
In quei mesi la Iuventa, come la Vos Hestia, insieme alle altre imbarcazioni delle Ong, operava a poca distanza dalle acque territoriali libiche, in un braccio di mare che dalla fine della missione Mare Nostrum nel 2014 era stato lasciato sostanzialmente scoperto: la nuova missione navale di Frontex frutto dell’accordo tra le istituzioni europee e il governo Renzi (Triton, diventata Themis) aveva come scopo la tutela delle frontiere italiane, e quindi le navi che ne facevano parte raramente si avvicinavano alle acque libiche, come invece spesso avveniva con Mare Nostrum, una missione esplicitamente dedicata al salvataggio.
4. Tra i fatti contestati ancora oggi agli indagati nel procedimento Iuventa ricorre un caso di “trasbordo” che sarebbe successivamente stato al centro dei divieti introdotti surrettiziamente, non essendo fonte legislativa, dal Codice di condotta Minniti. Trasbordi da nave a nave, anche su navi militari italiane, che però costituivano almeno fino al mese di luglio del 2017, una prassi costantemente osservata dalle ONG, con il pieno avallo della Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC). E’ ampiamente provato che nella normalità dei casi (e parliamo di oltre 10.000 vite salvate in alto mare dalla IUVENTA) da questa nave venivano effettuati normalmente trasbordi su navi delle ONG (e non solo) più grosse al fine di garantire maggiore efficacia e tempestività alle attività di salvataggio, come previsto dal Diritto internazionale del mare, che non vieta affatto i trasbordi di persone tra navi soccorritrici ma impone massima rapidità ed efficacia nei soccorsi.
Semmai, proprio un trasbordo era servito ad “incastrare” la Iuventa. E’ bene ricordare che in occasione dell’ingresso a Lampedusa e del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, la Iuventa non operava attività di soccorso e si trovava in acque internazionali, venendo costretta a fare ingresso nel porto di Lampedusa su ordine della Guardia costiera italiana, che aveva imposto il trasbordo di due(!) migranti siriani soccorsi in precedenza in acque internazionali da unità navali appartenenti alla stessa Guardia costiera. Questo si, stando alle prassi di quel periodo, era un trasbordo davvero insolito ed evidentemente mirato a fare entrare la nave in un porto italiano al fine di procedere al sequestro ed al successivo esercizio dell’azione penale.
5. La terza anomalia dell’indagine Iuventa risulta dalla circostanza che inizialmente si contesta all’equipaggio della nave, che operava proprio al limite delle acque territoriali libiche, di avere salvato vite umane in pericolo, come è prescritto dal diritto internazionale, in tre episodi, uno nel setembre del 2016 e in due casi nel giugno del 2017, in collaborazione con i trafficanti. Collaborazione ravvisabile, secondo l’accusa, nell’allontanamento dalla nave dei barchini ormai vuoti dopo i soccorsi, o della mera presenza di imbarcazioni di presunti trafficanti non meglio identificati sulla scena dei soccorsi, come se si trattasse di “consegne concordate”. Qui saranno certamente utilizzate le numerose intercettazioni disposte nel corso delle indagini. Mancano tuttavia allo stato, prove evidenti di una qualsiasi collusione. Mentre, come si è visto, persno il decreto di sequestro dà atto della presenza sulla scena del soccorso operato nelle prime ore del 18 giugno 2017 di una unità navale qualificata come guardia costiera libica. Le contestazioni contenute nei capi di imputazione sono ricavate sulla base di mere presunzioni desunte dalle osservazioni e dalle dichiarazioni degli agenti infiltrati presenti a bordo della VOS HESTIA. Che peraltro in tempi successivi ritrattavano o ridimensionavano quanto dichiarato in precedenza., arrivando persino a dichiarare il loro “pentimento”. Dalla mera presenza di imbarcazioni di “presunti” trafficanti, peraltro non meglio identificati, nella zona dei soccorsi operati dalla Iuventa, e dalle rotte dei mezzi di servizio della Iuventa durante le operazioni di ricerca e salvataggio, negli atti di accusa, sembrerebbe desumersi invece , direttamente, che vi fosse un accordo tra non meglio identificati trafficanti ( o scafisti?) e parte dell’equipaggio della nave per agevolare l’ingresso “illegale” dei naufraghi in Italia. Mentre è afatto notorio come già in quel periodo, come in tempi più recenti, le Ong fossero sotto tiro, come la condizione dei migranti in fuga dalla Libia fosse terribile e quanto atroci fossero gli abusi ai quali venivano esposti i naufraghi intercettati in alto mare dalla guardia costiera libica e riconsegnati alle milizie che gestivano i centri di detenzione. Da più rapporti internazionali si ricava anche un elevato livello di collusione tra i trafficanti e la guardia costiera libica,che in diverse occasioni minacciava con le armi le navi delle ONG. Sarebbe stato legittimo che i comandanti delle imbarcazioni delle ONG si ritirassero dalla scena dei socccorsi per effetto delle richieste delle autorità libiche ? Secondo l’art. 10 co. 1 Cost., ‘l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute” tra le quali rientra ormai anche il principio di “non-refoulement’ ed a questo principio era improntato il rifiuto dei comandanti delle navi delle ONG che si rifiutavano di collaborare con la sedicente Guardia costiera libica nella intercettazione dei migranti in alto mare e nella loro riconduzione a terra.
Un rapporto sulla Lbia, redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, documentava già nel 2017 come ” gruppi armati, alcuni dei quali hanno ricevuto un mandato o almeno un riconoscimento dalla Camera dei rappresentanti o dal Consiglio di presidenza, non sono stati sottoposti a un controllo giudiziario significativo. Ciò ha ulteriormente aumentato il loro coinvolgimento nelle violazioni dei diritti umani, inclusi rapimenti, detenzioni arbitrarie ed esecuzioni sommarie. I casi indagati dal gruppo comprendono abusi”. Secondo lo stesso rapporto, “Abd al-Rahman Milad (alias Bija), e altri membri della guardia costiera, sono direttamente coinvolti nell’affondamento delle barche dei migranti usando armi da fuoco. A Zawiyah, Mohammad Koshlaf ha aperto un rudimentale centro di detenzione per i migranti nella raffineria di Zawiyah. Il gruppo di esperti scientifici ha raccolto informazioni su abusi contro i migranti da parte di diverse persone (cfr. Allegato 30). Inoltre, il gruppo di esperti scientifici ha raccolto notizie di cattive condizioni nei centri di detenzione dei migranti a Khums, Misratah e Tripoli. Secondo lo stesso rapporto “il capo della guardia delle strutture petrolifere di Zawiyah, Mohamed Koshlaf, noto anche come Kasib o Gsab (v. punti 105 e 258), è coinvolto nell’approvvigionamento di carburante per i trafficanti. Comanda anche la cosiddetta milizia Nasr.81 Suo fratello, Walid Koshlaf, noto anche come Walid al-Hadi al-Arbi Koshlaf, gestisce la parte finanziaria dell’azienda. Il capo della guardia costiera di Zawiyah, Abd al-Rahman Milad (alias Bija) (vedi anche punti 59, 105 e 258), è un importante collaboratore di Koshlaf nel settore dei carburanti.”
Le contestazioni rivolte ai comandanti delle altre navi coinvolti nell’inchiesta ed alle relative ONG si basano soprattutto nelle “false dichiarazioni” sullo svolgersi dei soccorsi che dalle Ong avrebbero trasmesso alla Centrale operativa della Guardia costiera ed alla circostanza che i comandanti ed i capi missione non avrebbero segnalato presunti scafisti presenti tra i naufraghi. Contestazioni che sembrano legarsi soprattutto alle prescrizioni di comunicazione che si volevano imporre con il Codice di condotta Minniti, atto convenzionale che non diventò mai fonte di obblighi giuridicamente vincolanti, ma contribuì in modo determinante, anche a livello mediatico, alla criminalizzazione dei soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale. Si contesta pure che i soccorsi sarebbero stati effettuati nei confronti di imbarcazioni da pritenere ancora in buono stato di navigabilità. Si può invece ritenere che in tutti i casi contestati ricorresse una situazione di pericolo grave ed imminente. La nozione di distress è così stabilita dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, ch. 1, para. 1.3.11): «[…] una situazione in cui vi sia ragionevole certezza che un’imbarcazione o una persona sia minacciata da un pericolo grave ed imminente e che richieda immediata assistenza». A fronte di questa previsione assai generica, il Regolamento europeo Frontex n.656/2014 specifica diversi criteri per accertare se ricorra una situazione di distress che ricorre quando sono ricevute informazioni affermative secondo cui una persona o un natante è in pericolo e necessita di assistenza immediata; oppure quando in seguito a una fase di allarme, ulteriori tentativi falliti di stabilire un contatto con una persona o un natante e più estese richieste d’informazioni senza esito portano a pensare alla probabilità che esista una situazione di pericolo; oppure quando sono ricevute informazioni secondo cui l’efficienza operativa del natante è stata compromessa al punto di rendere probabile una situazione di pericolo. Si deve ritenere al riguardo che proprio per gli indicatori (tra i quali il carico, il bordo libero, la sicurezza del mezzo, il propulsore) già riportati nel Piano SAR nazionale del 1996, in conformità con il manuale IAMSAR e con la convenzione SOLAS, tutte le imbarcazioni sovraccariche di migranti che si trovano a navigare nelle acque internazionali (alto mare) del Mediterraneo centrale, tutte in condizioni di grave sovraccarico, siano da ritenere in una situazione di distress, ovvero di pericolo imminente, senza attendere che la situazione a bordo, come possibili vie d’acqua o il fermo del motore, o le condizioni meteo, divenga talmente grave da comportare la perdita di vite umane. Perdite che infatti si sono verificate in diverse occasioni, nel corso delle “attività di valutazione” da parte delle autorità competenti.
Appaiono poi emblematiche di uno “standard” argomentativo ben preciso, anche con riferimento ad accuse rivolte negli anni successivi contro le ONG, la contestazione che le navi non avrebbero avuto i requisiti, mai dimostrati, richiesti dalla legislazione italiana per la categoria delle navi di soccorso, e l'”ingiusto profitto che le società noleggiatrici avrebbero ricavato dalle attività delle navi oggetto di indagine, consistente soltanto nel pagamento di quanto previsto dai contratti di noleggio. Che evidentemente erano stati stipulati in data molto anteriore ai fatti contestati, ed erano ben noti alle autorità italiane che si erano avvalse a lungo delle navi delle ONG poi sottoposte ad indagine, per soccorrere, dal 2016 in poi, diverse decine di migliaia di persone che, dopo il ritiro più a nord delle navi di Frontex e della Guardia costiera italiana, non avrebbero più avuto alcuna possibilità di salvezza.
6. Per arrivare a sostenere la natura arbitraria dei soccorsi operati dalla Iuventa, che si rivela nulla più che una mera presunzione, si sostiene con gli atti di accusa che le persone a bordo dei barchini non correvano alcun rischio di annegare, come se già il sovraccarico e la mancanza di mezzi di salvataggio non integrasse una situazione di distress. Non si comprende bene sulla base di quali osservazioni e di quali parametri gli inquirenti giungono a quste conclusioni. Che le piu’ recenti sentenze di archiviazione dei procedimenti contro le ONG smentiscono. I comandanti delle navi civili che siano a conoscenza della ricorrenza di un evento SAR, cone si verifica quando hanno notizia della presenza di un imbarcazione sovraccarica in alto mare sono obbligati ad intervenire con la massima rapidità possibile.
L’art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, resa esecutiva in Italia con legge 2 dicembre 1994 n. 689), dispone che “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo. 2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”. Obbligo quest’ultimo che le autorità libiche non avevano certo adempiuto nel 2017, e neppure successivamente, con il concorso della missione NAURAS della Marina militare italiana allora di base a Tripoli.
Non si vede dunque su quale base normativa si possa affermare che le operazioni di salvataggio sarebbero state una sorta di agevolazione dell’immigrazione illegale perchè si sarebbero svolte senza il “coordinamento” della Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) Come se nei casi di soccorso in mare, la mancanza di coordinamento da parte delle autorità marittime degli Stati costieri cancellasse gli obblighi di soccorso immediato a carico del comandante della nave. Che è l’unica autorità che può valutare da vicino il rischio reale e la ricorrenza di un caso di distress. ’Perchè si possa configurare un evento SAR non occorre una comunicazione formale da parte della Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) o tanto meno da altre autorità militari o politiche. Il comandante della nave ha comunque un obbligo preciso di intervento immediato in caso di distress, di cui risponde anche con il reato di omissione di soccorso, ed è l’unica autorità competente nella valutazione della situazione di pericolo e quindi nella tempistica dell’intervento, del quale deve soltanto avvisare, appena possibile, le autorità marittime competenti.
In base alla risoluzione (MSC n. 167 del 20 maggio 2004) del Maritime Safety Committee dell’OMI (Organizzazione marittima nternazionale), dal titolo “Guidelines on the Treatment of Persons rescued at Sea”,il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è tenuto ad individuare il luogo sicuro di sbarco e a fornirlo direttamente o ad accertarsi che tale luogo venga fornito da parte di altro Stato. Nel 2016 e nel 2017 la Libia non poteva garantire porti sicuri di sbarco e non esisteva neppure la finzione della zona SAR libica istituitasoltanto il 28 giugno 2018. Non si poteva collaborare pertanto con la sedicente guardia costiera libica senza infrangere il principio di non refoulement ed il conseguente divieto di respingimenti colletivi, già affermato la Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, verificatosi con respingimenti collettivi in Libia attuati direttamente dalla Guardia di finanza italiana il 6 maggio del 2009.
Il Memorandum d’intesa del 2017 stipulato da Gentiloni e da Minniti non poteva derogare quanto previsto dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, imponendo nuovi obblighi ai comandanti delle navi soccorritrici, segnatamente di collaborare con le autorità libiche. Secondo l’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, “È nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale. Ai fini della presente convenzione, per norma imperativa di diritto internazionale generale si intende una norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere”. E in questo senso, sugli accordi tra Italia e Libia, si era espresso nel 2019 il Tribunale di Trapani (Giudice Grillo) nella sentenza sul caso Vos Thalassa, che, dopo una riforma da parte della Corte di Appello di Palermo,è stata recentemente riconfermata con diverse motivazioni dalla Corte di cassazione.
Non si riscontrano nelle Convenzioni internazionali SOLAS e SAR obblighi di informazione preventivi a carico di un comandante che intervenga per svolgere attività di salvataggio in mare. Si prevede soltanto che la nave soccorritrice proceda al soccorso “informando, se possibile, l’unità in pericolo o l’Autorità SAR”. Attendere del resto che uno Stato costiero riceva una specifica comunicazione da parte della nave soccorritrice potrebbe condannare a morte persone che vanno soccorse immediatamente. Se in presenza di più eventi di soccorso contemporanei una singola imbarcazione in situazione di distress non venga segnalata immediatamente, questa circostanza non permette certo di confgurare una responsabilità penale per agevolazione dell’immigrazione clandestina, soprattutto quando si opera in acque non italiane e quando le stesse persone soccorse vengono trasbordate successivamente in acque internazionali su mezzi coordinati dalla Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC)S.Occorrera’ valutare per questo come si sono formate le prove che vengono addotte nei capi di imputazione, relative a difetti di comunicazione tra le navi delle ONG e la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana. Se ci sara’ un dibattimento le verifiche documentali e le indagini difensive saranno al centro di ogni udienza.
Sono gli stessi rapporti di attività della Guardia costiera italiana per il 2017 che dimostrano come fosse costante il coordinamento delle ONG da parte della Centrale operativa della stessa Guardia costiera (IMRCC) almeno fino a quando con il Codice Minniti il ministero dell’interno tentava di introdurre norme regolamentari, prive di alcun autonomo rilievo normativo, che però incidevano negativamente anche sui rapporti tra ONG, Guardia costiera ed altre autorità preposte al controllo delle frontiere marittime .Partiva proprio in quel periodo una furiosa campagna di criminalizzazione dei soccorsi umanitari. Tanto che successivamente, in tempi diversi, sia MSF che Save The Children erano costrette a sospendere le proprie attività di soccorso nel Mediterraneo centrale.
7. Rispetto alle anomalie dell’indagine sulla iuventa, poi estesa ad altre ONG, le anomalie riscontrate nelle intercettazioni di giornalisti, avvocati e docenti universitari appaiono poco rilevanti sul piano dell’economia processuale, ma rimangono un inquietante messaggio che si è rivolto a quanti volevano fare chiarezza su questo caso. Ripercorrendo le fasi delle indagini successive al sequestro della nave Iuventa, dal 2018 al 2021, si nota un netto cambio di registro, particolarmente evidente negli atti di conclusione delle indagini preliminari depositati soltanto lo scorso anno. Anche di questo tratteranno specificamente gli avvocati difensori nel corso delle udienze. Le contestazioni infatti sembrano risentire dell’impostazione tipica di altre inchieste relative a navi umanitarie che operavano attività SAR nel Mediterraneo centrale, con tutti i classici temi di accusa che le più recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno demolito, costringendo all’archiviazione della maggior parte dei procedimenti penali ancora aperti contro le ONG. Identiche argomentazioni, basate su un presunto comportamento fraudolento delle navi soccorritrici, che si ritrovano adesso nelle posizioni della difesa del senatore Salvini, nel processo Open Arms a Palermo. La stessa difesa del senatore Salvini certamente utilizzerà quanto verrà deciso a Trapani sul caso Iuventa, in caso di rinvio a giudizio degli attuali indagati, per l’ulteriore capovolgimento del processo di Palermo. In modo da nascondere i capi di imputazione a carico dell’imputato dietro una valanga di accuse contro le ONG, anche su materie, come gli obblighi di soccorso in mare, che sono state oggetto di procedimenti chiusi con archiviazione delle accuse contro le ONG e sulle quali la Corte di cassazione, in particolare sul caso Rackete, ha espresso una precisa valutazione di liceità con riferimento al comportamento dei comandanti delle navi e dei capomissione. Se si volesse indagare davvero sulle “consegne concordate”, l’attenzione degli inquirenti dovrebbe rivolgersi nei confronti degli agenti istituzionali che collaborano stabilmente con le autorità libiche nei respingimenti collettivi su delega, vere e proprie “rendition”, piuttosto che sulle ONG che nel corso degli ultimi anni, hanno dovuto svolgere un ruolo di supplenza rispetto agli obblighi di ricerca e soccorso in acque internazionali che gli Stati e gli assetti operativi delle operazioni europee ancora attive (Eunavfor Med) non rispettano più. E intanto la Iuventa rimane a marcire nel porto di Trapani, ormai inutilizzabile per soccorrere altre vite in pericolo in alto mare. Per queste vite, che potranno andare perdute, quali forme di risarcimento saranno possibili?
