di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Neppure l’aggravamento della crisi in Ucraina e il lento disfacimento delle speranze di riconciliazione in Libia, con i connessi effetti sulla mobilità forzata di profughi e rihiedenti asilo, impedisce che sul solito giornale di destra ritorni a campeggiare qualche titolo ad effetto contro i soccorsi in mare operati dalle navi delle Organizzazioni non governative. Secondo il Giornale “Il legale della Corte UE affonda le ONG: il blocco alle navi è lecito”. Il consueto titolo ad effetto, magari per chi non legge neanche il testo dell’articolo, che non corrisponde neppure alla reale portata delle dichiarazioni rese non dal “legale” ma dall’Avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dal 2020. Athanasios Rantos si è espresso in merito al ricorso presentato dalla Sea Watch suggerendo soltanto “che a bordo delle navi private che svolgono un’attività regolare di ricerca e salvataggio in mare possa essere svolto un controllo di conformità alle norme internazionali, verificato, stabilito ed eventualmente assicurato dallo Stato di approdo”. Come prescrivono le norme internazionali, la Direttiva europea e le norme interne. Una “non notizia” che legittima l’ennesimo attacco nei confronti delle Organizzazioni non governative, prima che la Corte di Giustizia nella sua collegialità possa esprimersi sul ricorso presetato non da Sea Watch, come impropriamente recita l’articolo, ma frutto di un rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale amministrativo per la Regione Sicilia. Con ordinanza n. 2974, pubblicata il 23 dicembre 2020, la Terza Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia aveva sollevato questioni di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea attinenti specificatamente all’interpretazione della direttiva 2009/16/CE relativa al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo e delle convenzioni internazionali in materia di diritto marittimo, nonché formulato istanza di procedimento accelerato di cui all’art. 105 del Regolamento di procedura.
La valutazione operata dal Tribunale amministrativo di Palermo nel provvedimento del marzo 2021 che ha sospeso il fermo amministrativo della nave Sea Watch 3, contiene la prova della pretestuosità dei provvedimenti di fermo amministrativo che si continuano ad adottare nei confronti di navi che, se non fossero bloccate in porto, potrebbero contribuire al salvataggio di migliaia di persone, invece abbandonate all’intervento dei sequestratori libici, se non ad un naufragio. Per quel Tribunale infatti “il provvedimento di fermo della SW3 adottato da parte della Capitaneria di Porto ai sensi della direttiva 2009/16/CE sulla base del presupposto della mancanza da parte della nave delle necessarie certificazioni e requisiti commisurati alla concreta attività cd. SAR da questa posta in essere sembra fondarsi su un presupposto che non appare conforme alla normativa comunitaria di riferimento“. La diversa successiva decisione del Consiglio di Giustizia della Regione Sicilia, che ne annulla gli effetti, come osserva Francesca de Vittor non modifica la questione della legittimità dei provvedimenti di fermo amministrativo nei confronti delle navi delle ONG.
Si osserva “in particolare, l’obbligo del comandante di «procedere quanto più velocemente è possibile alsoccorso delle persone in pericolo»deriva direttamente ed esclusivamente dal fatto che egli venga a conoscenza della situazione, indipendentemente dalle circostanze, dalle ragioni o dallo scopo della sua presenza in mare. Tale obbligo viene meno solo nel caso in cui sia pericoloso o irragionevole procedere al soccorso, oppure il comandante sia informato che il suo intervento non è più necessario per la presenza sul luogo di altre navi egualmente o maggiormente idonee, quali potrebbero essere le unità del servizio SAR istituito dallo Stato. Pertanto, indipendentemente dalla circostanza che la nave si trovi casualmente in condizione di prestare il soccorso, o che tale sia lo scopo stesso della sua presenza in mare, il soccorso svolto da navi private non integrate nel servizio SAR istituito dallo Stato costituisce sempre un evento eccezionale e obbligatorio, rispetto al quale trovano piena applicazione il divieto di tenere conto delle persone soccorse di cui all’art. IV, b) della Convenzione SOLAS, e le deroghe previste dalle altre disposizioni convenzionali. Alla luce di questa considerazione non convince l’argomentazione proposta dal Consiglio di giustizia amministrativa che, al fine di negare l’applicazione di tali eccezioni alle navi delle ONG, equipara l’attività di ricerca e soccorso da loro prestata nel Mar Mediterraneo al servizio SAR statale. Paradossalmente, infatti, nella ricostruzione normativa del Consiglio, le navi delle ONG si troverebbero destinatarie di obblighi e vincoli ben maggiori di quelli imposti alle stesse navi statali. Da un lato, esse dovrebbero essere dotate delle stesse certificazioni di una nave passeggeri capace di trasportare centinaia di persone, e dall’altro dovrebbero essere «appositamente allestite e strutturate per l’esecuzione, in sicurezza, delle operazioni di soccorso istituzionalmente svolte». Adeguatezza che, in assenza di una specifica normativa di riferimento,verrebbe di volta in volta valutata secondo il “prudente apprezzamento” delle autorità dello Stato di approdo.
La prassi dei controlli in porto (PSC) si e’ intrecciata con i provvedimenti che disponevano misure di quarantena che di fatto si traducevano in fermi amministrativi in assenza d di presupposti di legge. Nel mese di ottobre dello scorso anno, come riferisce il Manifesto, la ONG ResQ ha fatto ricorso al Tar di Catania contro l’ennesimo fermo amministrativo. Il tribunale amministrativo ha disposto un’ordinanza istruttoria dando un giorno di tempo all’Usmaf per spiegare i motivi della quarantena. L’Usmaf, e quindi il ministero della Salute da cui dipende direttamente, ha preferito revocare il provvedimento in autotutela. «Non aveva alcuna base legale. In base ai Dpcm, ma anche all’esperienza comune delle altri navi, se le persone sono asintomatiche la quarantena non viene disposta. Dall’inizio della pandemia è successo solo alle Ong: l’ennesima misura per ostacolare la loro operatività», spiega l’avvocato Livio Neri, che ha firmato il ricorso.
2. Nel riferire la notizia della dichiarazione dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Il Giornale collega all’ovvio parere espresso da Athanasios Rantos, che non si deve tradurre necessariamente in una decisione della Corte, un riferimento alla nota tesi del governo italiano, sotto la gestione del Viminale da parte della ministro Lamorgese, secondo cui le navi delle ONG per essere impiegate nell’attività di ricerca e salvataggio in mare dovrebbero essere certificate per tale servizio (o non prendere a bordo un numero di persone superiore a quello certificato). Una posizione in contrasto con le fonti normative che regolano i controlli di sicurezza nei porti (PSC) e smentita dai tribunali italiani.
Si dà cosi’ ampio rilievo, anche su alcune agenzie di stampa come l’AGI alla dichiarazione dell’avvocato generale della Corte di Giustizia che si limita ad esprimere concetti molto basici, sui poteri delle autorità statali di effettuare i controlli nei porti di ingresso di qualunque imbarcazione vi attracchi, come previsto tra l’altro da una Direttiva europea. Un potere che il governo italiano ha utilizzato a sproposito, sostituendo la politica dei fermi amministrativi delle navi delle ONG alla pratica dei respingimenti collettivi e dei trattenimenti arbitrari ai quali ci aveva abituato l’ex ministro dell’interno Salvini quando occupava il Viminale.
Subito dopo la diffusione della notizia, un esponente di Forza Italia, evidentemente molto esperto in materia di Diritto dell’Unione Europea, ha rilasciato una dichiarazione nella quale si compiace perchè l’Avvocato generale della Corte di Giustizia avrebbe espresso un parere che si tradurrebbe in una legittimazione dei fermi amministrativi sistematicamente imposti alle ONG, almeno fino a qualche mese fa. In realtà, come emerge dalla lettura di quanto dichiarato dall’Avvocato Generale si è solo confermato che gli Stati, tramite le autorità competenti, hanno il potere di eseguire ispezioni a bordo delle navi che entrano nei porti nazionali ma, pur accennando ad una natura diversa dei soccorsi effettuati a ripetizione, non ha legittimato quelle attività ispettive che possono eccedere i limiti della Direttiva europea e della normativa nazionale ed internazionale in materia di controlli di sicurezza nei porti (PSC).
La sentenza di proscioglimento del comandante e del capomissione della nave Mare Ionio dell’associazione Mediteranea chiarisce del resto, oltre alla legittimità dell’attività di salvataggio in mare operato dalle ONG, la inesistenza di specifiche o di registri particolari per le navi private che operano soccorsi in acque internazionali, smentendo in questo modo, con l’aitorevolezza di un precedente giurisprudenziale, l’assunto del governo italiano e le prassi discrimnatorie adottate dal Corpo delle capitanerie di Porto. Prassi che rischiano di esporre a gravi ritorsioni il naviglio italiano quando gli stessi controlli saranno effettuati nei porti stranieri, come è già stato minacciato in Germania.
I magistrati nella richiesta di archiviazione spiegano che il rimorchiatore svolgeva effettivamente “un’attività di monitoraggio delle imbarcazioni cariche di migranti che sovente partivano dalla costa libica dirette in Italia”; era “stabilmente attrezzato” per svolgere, ove necessario, un’attività di salvataggio di vite umane in mare (“come di fatto è avvenuto nella vicenda oggetto del presente procedimento penale”) e il suo personale era stato “adeguatamente formato per svolgere anche quest’attività”. Soprattutto “Mare Jonio” “non era tenuto a dotarsi di alcuna certificazione Sar per le attività di salvataggio di vite umane in mare”, poiché “non esisteva nell’ordinamento italiano alcuna preventiva certificazione diretta alle imbarcazioni civili per lo svolgimento di tale attività”. Quando la normativa italiana parla di “navi da salvataggio” fa riferimento alle imbarcazioni armate per il recupero e salvataggio di altre imbarcazioni e “non al salvataggio di vite umane, come si ricava dalle prescrizioni tecniche richieste per tale tipo di imbarcazioni”. Una normativa nazionale che imporrebbe un numero massimo di naufraghi salvabili, “si porrebbe probabilmente in contrasto con le norme internazionali a tutela della vita umana in mare (sopra citate), che prevedono che nelle situazioni di emergenza legate a un naufragio è responsabilità del solo comandante dell’imbarcazione di salvataggio decidere quante persone imbarcare a bordo, strappandole dalla morte in mare”. Secondo questi giudici, si tratta di una”decisione che deve essere presa in modo da non compromettere, la stabilità della propria imbarcazione e conseguentemente le vite degli uomini a bordo (equipaggio e naufraghi salvati)”. La individuazione del numero di naufraghi che, in un evento Sar, possono essere stivati a bordo di un’imbarcazione di salvataggio civile “non può certamente essere predeterminata, ma deve necessariamente essere legata anche a fatti contingenti, che variano caso per caso (composizione e numero del proprio equipaggio, condizioni climatiche, forza delle onde, vicinanza di altre imbarcazioni o dei mezzi di soccorso istituzionali, vicinanza del Pos, tempo meteorologico stimato…), oltre che alle caratteristiche strutturali dell’imbarcazione, proprio in relazione alla massima tutela che la Legislazione internazionale e nazionale riconosce alla vita umana”.
3. Non abbiamo certo i mezzi per contrastare la ventata di disinformazione che si ritorna a spargere sui soccorsi in acque internazionali, ma possiamo condividere i documenti dai quali risulta che il potere di ispezione demandato nel nostro paese al Corpo delle Capitanerie di porto non può svolgersi allo scopo di bloccare più a lungo possibile, al di là dei tempi di quarantena spesso imposti in modo altrettanto arbitrario, le navi delle ONG che, malgrado tutto e con una linea di comunicazione di basso profilo, continuano ad operare attività SAR di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale.
Su qualsiasi direttiva che prevede i controlli nei porti prevalgono gli obblighi di ricerca e soccorso ribaditi dal Regolamento europeo n.656/2014. Le navi soccorritrici non possono essere equiparate a navi passeggeri, chi si trova a bordo non ha pagato un biglietto ma è stato salvato in mare. Dietro la logica dei fermi amministrativi c’è la stessa visione distorta che ha fatto parlare di “taxi del mare” e che ha portato all’avvio di numerose indagini penali contro le ONG , ad oggi tutte senza esito, sulla base della confusione tra “ingresso clandestino” e “ingresso per ragioni di soccorso,” distinzione che la legge italiana, l’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, impone in qualsiasi sede giudiziaria, e nelle attività amministrative di controllo nei porti.
Certo la partita che si gioca sui fermi ammiistrativi davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a Lussenburgo ha una portata notevole, non tanto per confermare la dubbia legittimità delle prassi ispettive adottate dalle squadrette inviate dalle Capitanerie di Porto, quanto soprattutto per capire quanto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sia ancora un organo giurisdizionale indipendente, o cominci piuttosto a piegarsi agli indirizzi politici dei governi che stravolgono le norme di diritto internazionale ed europeo per conseguire lo scopo di impedire i soccorsi della società civile, presente con le proprie navi in acque internazionali, e per lanciare messaggi rassicuranti agli elettorati di riferimento.
Vedremo cosa deciderà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’applicazione distorta che sta facendo l’Italia della Direttiva 2009/16/CE. Se non saranno vincenti le ragioni del diritto dell’Unione Europea, o il richiamo alla tutela dei diritti umani ed agli obblighi di soccorso, sanciti dalle Convenzioni internazionali, alla fine le ragioni dell’economia, e del libero traffico marittimo, potrebbero prevalere sulle politiche di blocco praticate attraverso i fermi amministrativi.
Guerra o non guerra, e presto anche in Libia potrebbe riaccendersi il conflitto militare, alla fine il tema della “difesa dei confini”, persino contro persone che fuggono da orrori inimmaginabili e che rischiano di morire in mare, persone che avrebero diritto ad essere soccorse senza guardare al tipo di nave o alla bandiera che batte, o alla sua portata, rimane sempre una facile arma di propaganda e di raccolta di consenso elettorale. Ai tempi di governi di larghe intese, ma in vista delle prossime scadenze elettorali, ritorna la strumentalizzazione di qualsiasi questione connessa con la mobilità migratoria e con gli sbarchi.
Sarebbe tempo che le Organizzazioni non governative ritornino ad attaccare su questi temi, piuttosto che limitarsi ad una linea comunicativa di silenzi, pur di non andare incontro ai fermi amministrativi, magari anche a costo di aspettare settimane per la indicazione, doverosa da parte del Miistero dell’interno, di un porto sicuro di sbarco. Come è imposto dal Diritto internazionale del mare, e come è stato riconosciuto in diverse occasioni dalla giurisprudenza che ha archviato la maggior parte dei procedimenti penali intentati contro gli operatori umanitari delle ONG, ed ha anche sospeso provvedimenti di fermo amministrativo , anche dopo sei mesi dalla loro adozione, provvedimenti che non presentavano i requisiti di legittimità richiesti dalla normativa vigente. Vedremo adesso se e come le dichiarazioni dell’Avvocato generale della Corte di Giiustizia dell’Unione Europea saranno confermate dalla decisione definitiva di questo organo collegiale.. Se esiste ancora un giudice a Lussemburgo.
MARTEDÌ 22 FEBBRAIO 2022 15.10.21
Migranti: Battilocchio, FI condivide linea avvocato Corte Ue = (AGI) – Roma, 22 feb. – “Condividiamo appieno la linea espressa dall’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Athanasios Rantos. Le navi private, quindi anche quelle delle Ong, che svolgono attivita’ di ricerca e salvataggio di persone in mare possono essere soggette a controlli da parte del paese di approdo, ai quali e’ riconosciuta la facolta’ di effettuare tutte le verifiche che i singoli casi impongono nell’ambito di un controllo di conformita’ alle norme internazionali. E’ dunque prevista anche la possibilita’ di procedere con ispezioni a bordo delle imbarcazioni, nonche’ con l’adozione di provvedimenti di fermo nel caso in cui le forze di Polizia incaricate di eseguire i controlli dovessero riscontrare irregolarita’ tali da rappresentare un danno per la sicurezza, la salute o l’ambiente. Si ribadisce quindi il principio per il quale il diritto comunitario e quello internazionale non solo non ammettono deroghe a quanto previsto dalle singole norme, ma prevedono, oltretutto, che siano i singoli Stati a verificarne il rispetto”. Lo afferma il deputato di Forza Italia e responsabile del dipartimento Immigrazione del movimento azzurro, Alessandro Battilocchio. (AGI)Com/Alf