di Fulvio Vassallo Paleologo
1. L’istituzione dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX)
L’Unione Europea ha predisposto già dal 2004, con il primo Regolamento CE n.2007/2004 istitutivo dell’agenzia Frontex, per “la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea”, un corpo di polizia composto da personale e mezzi provenienti dagli Stati membri, dotato di autonoma personalità giuridica, adesso ridefinito come “Guardia di frontiera e costiera europea”, con sede a Varsavia. In una prima fase le attività di contrasto della cd. immigrazione illegale erano condotte prevalentemente con corpi di polizia misti, dislocati alle frontiere esterne maggiormente a rischio di attraversamento da parte dei profughi e dei migranti. A seguito del Regolamento (CE) n. 863/2007 I singoli stati membri potevano chiedere l’invio di pattuglie mobili composte da agenti Frontex (RABIT) in caso di afflusso massiccio di persone migranti. La iniziale modesta dotazione finanziaria e la sottoposizione dell’operato dell’agenzia alle politiche nazionali degli stati membri ne limitavano tuttavia l’area di operatività, concentrata prevalentemente sulla preparazione e sull’assistenza nelle procedure di rimpatrio con accompagnamento forzato (return). Il primo vero impiego massiccio di Frontex si attuava alla frontiera tra la Grecia e la Turchia, dopo che nel 2011 il governo greco aveva chiesto supporto all’agenzia europea.
I primi anni di vita dell’agenzia erano contrassegnati da una serie di fallimenti, dovuti anche allo scarso impegno da parte degli Stati membri, gelosi della sovranità nella gestione delle forze di polizia di frontiera. Nel 2007 si arrivava addirittura alla sospensione delle operazioni FRONTEX Nautilus nel canale di Sicilia. Il fallimento della missione, fortemente voluta dal commissario europeo Frattini, ed approvata dal ministro dell’interno Amato, era testimoniato dalla forte ripresa degli sbarchi, a fine giugno del 2007, sulle rotte tra la Libia, Malta e la Sicilia. Il dispiegamento delle unità della missione Nautilus aveva solo prodotto una deviazione ed un allungamento delle rotte mentre i migranti venivano costretti a salire su imbarcazioni sempre più piccole e pericolose per sfuggire ai controlli al limite delle acque internazionali. Aumentava soltanto la conta delle vittime.
I periodi di maggiore operatività delle missioni Frontex in Mediterraneo erano già segnati da numerose stragi di migranti, mai così frequenti come quando si riprendeva ad effettuare il pattugliamento congiunto di unità spagnole, maltesi, italiane, greche e di altre nazioni, sotto le insegne di FRONTEX, in Egeo come ai limiti delle acque libiche. Nello stesso periodo, le resistenze dei paesi di origine non permettevano ai singoli Stati membri di completare i piani di rimpatrio forzato che Frontex si proponeva di supportare, mentre nell’Unione europea proseguiva la chiusura dei canali legali di ingresso, con brevi periodi in cui la maggior parte degli immigrati in condizioni di irregolarità riusciva comunque a regolarizzare la propria posizione per effetto dei periodici provvedimenti di regolarizzazione o per l’apertura temporanea dei cd. flussi di ingresso per lavoro, come si verificava in Italia fino al 2017.
2. Gli interventi di Frontex nel Mediterraneo.
In una seconda fase, soprattutto dopo l’approvazione del Regolamento Frontex n. 656/2014/CE, per la “sorveglianza delle frontiere marittime esterne”, a seguito delle stragi a sud di Lampedusa e di Malta, il 3 e l’11 ottobre del 2013, e soprattutto dopo la fine dell’operazione italiana Mare Nostrum (2014), le attività di Frontex vengono potenziate con un consistente gruppo di navi militari, europee destinate si a funzioni di contrasto dell’immigrazione illegale via mare, ma diventate di fatto navi di soccorso, dentro sistemi di coordinamento dei soccorsi da parte delle Centrali nazionali della Guardia costiera (MRCC) nei quali, fino al giugno del 2017, con riferimento al Mediterraneo centrale, rientravano anche le navi delle ONG. La presenza più massiccia di assetti navali ed aerei di Frontex, che si spingevano allora fino a 35 miglia dalla costa libica, e talora anche più a sud, va dal mese di aprile del 2015, dopo la strage del 18 aprile 2015, alla fine del 2016, in corrispondenza alla fase di maggiore afflusso dei profughi siriani che raggiungevano la Libia per imbarcarsi verso l’Europa.
Gli accordi stipulati nel 2016 tra i paesi membri ( senza il coinvolgimento diretto dell’Unione Europea) e la Turchia di Erdogan mutavano drasticamente lo scenario con la negazione sostanziale del diritto di chiedere asilo in frontiera e la cancellazione dei diritti fondamentali della persona, con interventi di polizia di violenza crescente nei confronti dei profughi siriani intrappolati in Turchia che cercavano di raggiungere la Grecia via mare o alla frontiera del fiume Evros. Da quello stesso anno aumentava il dispiegamento di unità Frontex in prossimità delle frontiere terrestri dei Balcani per chiudere ai migranti tutte le vie di fuga verso l’Unione Europea.
Con l’accordo tra gli Stati dell’Unione Europea e la Turchia e con la chiusura della rotta balcanica, l’Unione Europea ha trasformato l’intera regione del Mediterraneo orientale in uno spazio di sbarramento opposto a chi fuggiva, e continua a fuggire, da zone di guerra. «Siamo testimoni», scriveva MSF nel 2016, «delle più crudeli e inumane conseguenze delle politiche europee, usate come strumento per dissuadere e perseguitare persone che stanno solo cercando sicurezza e protezione in Europa». L’Unione Europea ha promesso di pagare 6 miliardi di euro alla Turchia perché impedisca ai rifugiati di spostarsi verso l’Europa. Questa forma di esternalizzazione, non dei controlli di frontiera ma del dovere di garantire la protezione internazionale, prevista dalla Convenzione di Ginevra e dalle Direttive europee, oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art.18), costituisce una grave violazione del diritto dell’Unione Europea e del diritto internazionale. Una violazione che si basa sull’adozione di una categoria normativa falsificata, quella dell’”Accordo” tra Unione Europea e Turchia che non corrisponde alla realtà dei fatti, perché riguarda una pluralità di stati senza coinvolgere direttamente i massimi organi europei, ma che ha dato ampio spazio alla discrezionalità delle forze di polizia, coordinate da FRONTEX, agenzia europea dotata di autonoma personalità giuridica.
Il 2 marzo 2020 il Direttore esecutivo di Frontex ha comunicato di avviare un ulteriore «rapido intervento di frontiera» per assistere la Grecia nella gestione del gran numero di migranti alle sue frontiere esterne. Il governo greco aveva chiesto ufficialmente a Frontex il giorno prima di avviare un rapido intervento di frontiera alle sue frontiere marittime nel Mar Egeo. Proseguiva intanto il supporto offerto a Frontex alle autorità spagnole nei respingimenti collettivi e nelle espulsioni di migranti provenienti via mare dal Marocco.
Nel Mediterraneo centrale la situazione, profondamente diversa da quella riscontrabile in Egeo o ai confini marittimi tra Spagna e Marocco, e questo per ragioni politiche e geografiche, cambia radicalmente nel 2017, con gli accordi bilaterali tra Italia e Governo di Tripoli, con il cd. Codice di condotta Minniti, e quindi con la istituzione ,avvenuta in due fasi, dopo una iniziale bocciatura, della cosiddetta zona SAR “libica” (dicembre 2017-giugno 2018) alla fine riconosciuta dall’IMO. Nei rapporti tra Italia, Malta, Libia e Tunisia prevaleva così la politica degli accordi bilaterali, con un parziale finanziamento europeo, e quindi con una maggiore responsabilità degli Stati costieri. Al fine di eliminare qualsiasi “fattore di attrazione” (pull factor) rispetto alle partenze dalle coste libiche, l’Unione Europea ha quindi ritirato progressivamente tutti gli assetti navali Frontex prima impegnati tra la Libia, la Tunisia, Malta e la Sicilia, nell’operazione Frontex Triton, che ha avuto termine nel 2020. Non sono state previste unità navali di Frontex nella nuova “Joint Operation Themis”, tuttora in corso con assetti aerei che collaborano con i libici e i tunisini, oltre che con le autorità italiane, maltesi e greche. Dalla sorveglianza di superficie, impegnativa perché poteva obbligare ad effettuare operazioni di ricerca e salvataggio, si è passati così alla sorveglianza dall’alto, anche con aerei senza pilota, un modello che adesso si cerca di replicare anche sul Canale della Manica, dove Frontex ha offerto la disponibilità di un assetto aereo.
Dietro l’operato di Frontex non si potevano più nascondere le responsabilità dei governi nazionali. In una lettera indirizzata al Ministro degli esteri Luigi Di Maio, inviata il 13 febbraio 2020, il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa esortava il governo italiano a introdurre nel Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 3 febbraio 2017 maggiori garanzie sui diritti umani. Pur rilevando che sono in corso discussioni per modificare in questo senso alcune parti del Memorandum, il Commissario invitava l’Italia a riconoscere le realtà attualmente prevalenti sul terreno in Libia e a «sospendere le attività di cooperazione con la Guardia costiera libica che comportano il ritorno in Libia di persone intercettate in mare». Come osservava l’OIM, in un o dei tanti comunicati in materia, è necessario rinforzare un sistema di ricerca e soccorso in mare, che possa essere di ampio raggio e guidato direttamente dagli Stati. Allo stesso tempo occorre realizzare con urgenza un meccanismo di sbarco veloce e strutturato, che preveda che gli stati del Mediterraneo si prendano uguali responsabilità nell’assicurare un porto sicuro per coloro che sono stati soccorsi. L’impegno delle navi ONG che operano nel Mediterraneo dovrebbe essere riconosciuto e dovrebbe essere messo un termine a ogni limitazione o ritardo nelle operazioni di sbarco
3. Opacità dell’operato di Frontex e carenza di informazioni, dietro i rapporti ufficiali
La carenza di informazioni ufficiali costituisce un tratto caratteristico comune di Frontex e delle autorità italiane, malgrado la cura nella predisposizione di un sito informativo ufficiale dell’Agenzia. I più recenti rapporti di Frontex, denominati “Analisi rischi” non fanno più riferimento ad attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Le Analisi rischi annuali servono di solito a tracciare bilanci ricavati dai dati dei ministeri dell’interno con i quali Frontex collabora, ed a spargere periodici allarmi sull’aumento degli arrivi in Europa, o in punti caldi delle frontiere esterne dell’Unione. Il silenzio informativo è funzionale a creare uno spazio sottratto a qualsiasi controllo ed a una effettiva giurisdizione, nel quale fare scomparire o rendere ineffettivi i diritti fondamentali della persona, come se il fine perseguito, il contrasto dell’”immigrazione illegale” potesse giustificare i mezzi, anche quando le pratiche inflitte alle persone sottoposte alle attività di controllo in frontiera assumono il carattere di trattamenti inumani o degradanti, o si traducono nell’omissione di soccorso.
Basta confrontare i dati ufficiali forniti dalla Guardia costiera italiana fino al 2018 con l’attuale silenzio di Frontex e delle stesse autorità marittime italiane di fronte alle richieste di informazioni sui soccorsi e con i dati più recenti forniti dall’OIM, per avere la prova di come si sia creato uno “spazio vuoto” a livello operativo ed a livello informativo, proprio sulle rotte del Mediterraneo centrale, uno “spazio vuoto”, sottratto a qualsiasi giurisdizione, che dovrebbe valere come deterrente rispetto alle partenze di imbarcazioni dalla Libia e dalla Tunisia. Le periodiche “analisi di rischio” di Frontex non forniscono dettagli sui rapporti di coordinamento con le guardie costiere dei paesi terzi. In questa vasta area di acque internazionali, ai limiti della zona SAR maltese, ed anche al suo interno, si moltiplicano i tentativi di intercettazione delle motovedette libiche. Soltanto la presenza delle ONG, che con piccoli velivoli contribuiscono alle attività di monitoraggio e soccorso, lascia filtrare una minima parte di quanto avviene in mare. dagli aerei di Frontex provengono solo segnali di avvio delle intercettazioni in mare da parte delle motovedette libiche, anche in acque internazionali, senza che ci sia una sola chiamata che chiami in causa le responsabilità di intervento degli Stati costieri dell’Unione europea.
L’agenzia Frontex è da tempo al centro di una indagine del Parlamento europeo per la scarza trasparenza delle sue attività amministrative e per le attività di “law enforcement” (contrasto dell’immigrazione irregolare) svolta alle frontiere esterne dell’Unione Europea che non rispetta i diritti umani delle persone intercettate, a partire dal diritto alla vita, ed il diritto di chiedere asilo in frontiera, sancito dalla Convenzione di Dublino e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, oltre che dal Regolamento Dublino III e dalle Direttive europee in materia di protezione internazionale. Malgrado questa pressione esercitata sull’agenzia, accusata di condurre operazioni in contrasto con il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale e di altri diritti fondamentali della persona, le prassi operative non sono cambiate e Frontex sta lavorando con le autorità polacche e irachene per organizzare voli charter dalla Polonia”.
4. La trasformazione di Frontex in una agenzia di intelligence
Dopo una ulteriore fase di “crisi” dell’agenzia, dovuta all’apertura di fatto dei canali di ingresso in Europa a seguito delle primavere arabe (2011) e soprattutto dopo la crisi siriana (2015) le funzioni di Frontex si sono evolute, e si è passati da una presenza nei cd. punti di crisi (hotspot) con funzione di identificazione, selezione dei migranti economici ed avvio delle procedure di rimpatrio forzato, salvo i casi dei richiedenti asilo, ad una diversa fase, a partire dal 2016, nella quale l’Agenzia ha operato più sul piano politico, con attività di intelligence interne ai paesi membri e con un ruolo rilevante nei processi di esternalizzazione dei controlli di frontiera nei paesi terzi, come si è verificato soprattutto sulla rotta balcanica, a seguito del rafforzamento accordi tra gli Stati membri dell’Unione europea, i paesi balcanici e la Turchia, per fermare l’esodo di massa dei profughi siriani ( e non solo). In questa fase che va dal 2016 al 2019, anche attraverso le sue periodiche “Analisi dei rischi”, l’agenzia Frontex ha costituito una delle fonti della politica e delle prassi di criminalizzazione della solidarietà, ed in particolare delle attività di salvataggio in mare operato da navi civili nelle acque del Mediterraneo centrale.
Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 a Bruxelles al quale partecipava il neo-presidente del Consiglio Gentiloni confermava il supporto a Frontex e la politica della esternalizzazione dei controlli di frontiera e dell’utilizzo degli Stati di transito per bloccare le partenze dei migranti verso l’Europa. Si voleva impedire – secondo le Conclusioni del Consiglio rese note da Statewatch – che i migranti potessero raggiungere le coste europee e presentare una domanda di protezione internazionale. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati prevede al contrario che non sia penalizzato l’arrivo irregolare in frontiera per la presentazione di un’istanza di protezione, e non permette tetti numerici. Con gli accordi con la Turchia di Erdogan, come nel caso degli accordi con il governo di Tripoli, si è voluto impedire proprio l’arrivo di potenziali richiedenti asilo, penalizzare comunque l’ingresso irregolare, per negare la stessa possibilità di accedere ad un territorio per depositare un’istanza di protezione. Frontex è stata in questa fase lo strumento operativo privilegiato proprio per impedire l’accesso al territorio europeo e dunque la presentazione di una domanda di protezione internazionale, anche se nei documenti europei che la riguardavano la finalità prevalente sembrava costituita dall’esigenza, più politica che realistica, di restituire effettività alle operazioni di rimpatri con accompagnamento forzato, anche attraverso la realizzazione di “voli congiunti”.
Come osservava l’UNHCR, in diversi documenti, né la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo contemplano alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo. A tale riguardo, il Governo greco ha evocato l’art. 78(3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tuttavia, le disposizioni in esso contenute permettevano al Consiglio Europeo di adottare misure provvisorie, su proposta della Commissione Europea e in consultazione col Parlamento Europeo, nell’eventualità in cui uno o più Stati membri si trovino a dover far fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso sul proprio territorio di stranieri cittadini di Paesi terzi, senza però prevedere la possibilità di sospendere il diritto di chiedere asilo e il principio di non-refoulement, entrambi riconosciuti dalle norme internazionali e ribaditi dal diritto dell’UE. Mentre, anche per effetto di questi pronunciamenti, l’agenzia Frontex tendeva a ridurre la presenza dei suoi assetti operativi in mare, anche per evitare di dovere operare troppi interventi di salvataggio che si ritenevano già allora come un fattore di attrazione per future partenze, aumentava la dotazione finanziaria che le veniva destinata soprattutto per il supporto alle operazioni di rimpatrio forzato gestite dagli Stati membri e per intensificare la collaborazione operativa con le altre agenzie di sicureza nazionali ed europee ( come EMSA ed EUROSUR).
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5. Frontex e la criminalizzazione della solidarietà
Sempre a partire dal 2016, aumentavano le attività di intelligence e di comunicazione rivolte a criminalizzare i migranti irregolari, anche se richiedenti asilo, e gli operatori delle organizzazioni non governative che soccorrevano naufraghi in acque internazionali, ed erano testimoni dei gravi atti di violenza commessi dalle autorità libiche già allora colluse con le organizzazioni criminali che gestivano le partenze dei migranti dai porti che controllavano. Si verificava così un gravissimo rovesciamento del principio di realtà, con una completa sovversione del sistema gerarchico delle fonti del diritto, fino alla negazione sostanziale degli obblighi di ricerca e salvataggio sanciti dalle Convenzioni internazionali. Secondo quanto riferiva il Fatto Quotidiano nel maggio del 2017, “I trafficanti di uomini “chiamano direttamente le navi delle ong”. Alla base delle accuse del procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro, ascoltato in quello stesso periodo in Commissione Difesa al Senato, c’era proprio un documento segreto proveniente da Frontex. Si rinvia al rapporto dell’agenzia europea FRONTEX, “EU border force flags concerns over charities’ interaction with migrant smugglers”
Da Frontex già nel 2016 partivano le prime accuse contro le ONG, accuse che oggi sono state in gran parte archiviate, a parte il caso IUVENTA a Trapani per cui si attende ,dopo quasi 5 anni e migliaia di intercettazioni, la fissazione dell’udienza preliminare per decidere sui rinvii a giudizio chiesti dalla Procura. Ed a parte due procedimenti ancora pendenti davanti al Tribunale di Ragusa dove la Procura continua ad opporsi alle archiviazioni tutte le altre inchieste, che hanno avuto un impatto mediatico tale da influenzare i consensi elettorali ed il senso comune, sono state archiviate. I responsabili di Frontex e chi ha orchestrato questa manovra mediatico-giudiziaria che ha spostato gli equilibri elettorali a favore delle destre, non hanno mai risposto per accuse tanto calunniose quanto infondate.
6. Il nuovo Regolamento Frontex (UE) 2019/1896 che istituisce la Guardia di frontiera e costiera europea.
Nel dicembre del 2019 entrava in vigore il Regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019 [1] relativo alla Guardia di frontiera e costiera europea che abrogava i precedenti Regolamenti (UE)n. 1052/2013 e (UE) 2016/1624. Non è stato però abrogato il Regolamento UE 656/2014, dal quale, a carico degli Stati, si ricavano precisi obblighi di salvataggio nei confronti delle persone migranti che si trovano in situazioni di pericolo nel Mediterraneo.[2]
Il nuovo Regolamento adottato nel 2019, aumenta di molto le risorse da destinare all’agenzia FRONTEX. Si prevede anche il rilancio della cooperazione con i paesi terzi al fine di rendere più efficaci le prassi di intercettazione /soccorso in mare e di respingimento/espulsione. Si inquadrano nella “dimensione esterna” delle politiche europee anche le più recenti Raccomandazioni della Commissione europea sul soccorso nel Mediterraneo operato da soggetti privati, adottate il 23 settembre 2020. Anche se si sollecita “il riconoscimento del sostegno fornito da attori privati e ONG nell’esecuzione di operazioni di soccorso in mare e a terra”, chiedendosi di evitare di criminalizzare coloro che danno assistenza umanitaria alle persone in pericolo in mare”, si rafforza la politica basata sugli accordi di collaborazione con le autorità libiche, nelle attività di intercettazione in acque internazionali, con la riconduzione delle persone bloccate in mare in territorio libico. Come confermano gli allarmi dell’OIM la maggior parte di queste persone non viene neppure registrata allo sbarco, non si trova più nei neppure nei centri di detenzione “ufficiali”, e scompare nell’inferno dei cd, centri di detenzione informali, o si ritrova in una condizione para-schiavistica alla mercé di cittadini libici che ne possono abusare senza alcun timore di essere perseguiti.
7. Nuovi strumenti operativi di Frontex, assetti aerei e sorveglianza elettronica
Nelle più recenti politiche europee di controllo delle frontiere esterne, che assumono sempre più carattere intergovernativo, si assiste dunque al trasferimento delle responsabilità dalle sedi di decisione politica a Bruxelles agli Stati membri ed agli organi amministrativi e di polizia di Frontex, che mantiene una personalità giuridica autonoma rispetto a quella dell’Unione Europea. E questo sembra ampliare la possibilità di negoziazione di Frontex e del suo direttore nei rapporti con i governi dei paesi terzi. [3] In realtà dietro questo ricorso a procedure amministrative si cela una sostanziale deresponsabilizzazione degli organi decisionali dell’Unione Europea e dei governi degli Stati membri che utilizzano Frontex come una cortina fumogena, per nascondere responsabilità che vanno ben oltre il board che dirige l’agenzia.
Sono sempre più preoccupanti le recenti attività di intelligence operate da Frontex con il ricorso a sofisticati sistemi di comunicazione e di elaborazione dati, che vengono condivisi con i paesi terzi al fine di favorire rimpatri e respingimenti. Con quali garanzie effettive per il rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita?
Per quanto riguarda il contrasto dell’immigrazione irregolare via mare, sono sempre più evidenti le prove di una crescente interazione tra le diverse agenzie europee che si occupano della sicurezza e del controllo delle frontiere, inclusa l’operazione parallela a FRONTEX, attiva nel Mediterraneo centrale e denominata EUNAVFOR MED, adesso ridefinita come IRINI, e le autorità di polizia dei paesi della sponda sud del Mediterraneo. Statewatch [4]ricorda come le immagini raccolte dai droni dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (“EMSA”) siano state immediatamente valutate dalle Guardia costiera delle nazioni territorialmente responsabili, dunque anche dalle autorità libiche, e contestualmente inviate al quartier generale di Frontex ed integrate nel Sistema di sorveglianza delle frontiere (“EUROSUR”) per una loro analisi da parte dell’agenzia europea e del network di controllo di tutti gli Stati membri UE che hanno frontiere esterne.[5]
Tutti i dati raccolti da Frontex e scambiati con altre agenzie di controllo, sono utilizzati per rilevare e prevenire le migrazioni sin dalla fase iniziale. I dati di EUROSUR e dei centri nazionali di controllo delle frontiere costituiscono il cosiddetto “Common Pre-frontier Intelligence Picture” che consente di estendere l’area di sorveglianza di Frontex sino al continente africano. Più recentemente con l’inasprirsi della crisi migratoria nell’area balcanica Frontex ha spostato ad oriente alcuni assetti navali (nello Ionio) ed aerei, mentre, negli ultimi giorni, si apprende di un intervento di un aereo dell’agenzia anche nel Canale della Manica, dove continua ad aumentare il numero delle vittime dello sbarramento delle frontiere, in un momento in cui la fuga dall’Afghanistan, la difficile situazione dei curdi in Siria ed il diffondersi della pandemia da Covid 19 hanno aumentato le migrazioni forzate. Mentre gli Stati continuano ad inasprire, allo scopo dichiarato di garantire la salute pubblica, i controlli di frontiera, fino al tentativo di chiusure che appaiono sempre più discriminatorie.
8. Le denunce della società civile
Il 17 giugno 2020 quattro organizzazioni non governative (Alarm Phone, Borderline-Europe, Mediterranea SavingHumans e Sea-Watch) hanno presentato il rapporto “Remote control: the EU-Libya collaboration in mass interceptions of migrants in the Central Mediterranean”[6] che evidenzia come le azioni intraprese dalle unità di sorveglianza aerea dell’UE, in collaborazione con le autorità libiche, abbiano facilitato le intercettazioni e i respingimenti collettivi dei migranti. Il rapporto ricostruisce in particolare alcuni eventi di ricerca e salvataggio conclusi con intercettazioni e respingimenti verso e dentro la zona SAR riconosciuta alla Libia. Il 25 maggio 2021 gli avvocati Omer Shatz e Iftach Cohen di front-LEX, Loica Lambert e Mieke Van den Broeck di Progress Lawyers Network, con il sostegno di Panayote Dimitras e Leonie Scheffenbichler di Greek Helsinki Monitor, e Gabriel Green di front-LEX – hanno presentato un ricorso contro FRONTEX alla Corte di giustizia dell’Unione Europea con sede a Lussemburgo. Il ricorso è stato promosso per conto di due richiedenti asilo, un minore non accompagnato e una donna che, mentre chiedevano asilo sul suolo dell’UE (Lesbo), sono stati arrestati violentemente, aggrediti, derubati, rapiti, detenuti, trasferiti con la forza in mare, espulsi collettivamente , e infine abbandonati su zattere senza mezzi di navigazione, cibo o acqua. I ricorrenti sono stati vittime di altre operazioni di “respingimento” durante il tentativo di cercare protezione nell’UE. Come hanno dichiarato gli avvocati dei ricorrenti “confidiamo che la Corte ascolti le vittime, veda ciò che tutti vedono, chieda conto all’agenzia di frontiera dell’UE e ripristini lo Stato di diritto sulle terre e sui mari dell’UE”,
L’unica risposta che l’Unione Europea ha saputo dare finora, di fronte a quella che viene impropriamente definita “crisi migratoria”, è un aumento delle dotazioni delle forze di polizia organizzate da Frontex e un maggior ruolo dell’agenzia nella esternalizzazione dei controlli di frontiera, con un crescente coinvolgimento di paesi terzi che non rispettano i diritti umani e non danno alcuna garanzia per una effettiva attuazione alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. In questo senso il Patto europeo sulle migrazioni e sulll’asilo, e la Raccomandazione 2020/1365 della Commissione “sulla cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso”, del 23 settembre 2020.
9. Quale futuro per le politiche europee di “law enforcement” ?
L’asse principale di intervento dei governi europei verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo punta sempre di più sul contrasto dell’immigrazione “illegale” con la delega delle attività di intercettazione e respingimento, e non certo sui soccorsi in mare. Nelle attività di law enforcement dirette a contrastare il traffico di esseri umani il target principale sono ormai diventati, piuttosto che i trafficanti, i potenziali richiedenti asilo che cercano di entrare nel territorio dell’Unione Europea, via mare, ed anche in misura crescente, attraverso le rotte terrestri, come la rotta balcanica. Negli ultimi mesi, proprio in conseguenza dell’acuirsi della crisi dei rifugiati provenienti dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq, malgrado una elevata percentuale di persone sicuramente meritevoli di protezione internazionale, sono aumentate le violenze ai danni di chi cercava di raggiungere le frontiere europee, con numerose vittime di prassi di polizia che hanno cercato di chiudere tutte le possibili rotte terrestri, impedendo con la violenza l’accesso al territorio anche a persone già riconosciute come meritevoli di status di protezione in base a documenti rilasciati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Un’inchiesta giornalistica ha svelato le violenze sui migranti al confine tra Croazia e Bosnia. ’L’inchiesta è stata pubblicata dal network Lighthouse Report. Secondo la commissaria Ylva Johansson: membro della Commissione Ue per gli Interni: «Le notizie sui respingimenti alle frontiere esterne dell’Ue sono scioccanti». Johansson ha spiegato che è necessaria un’indagine per approfondire quello che sta succedendo: «Le notizie riportate sembrano indicare un qualche tipo di orchestrazione della violenza alle frontiere esterne, e sembrano esserci prove convincenti di un uso improprio dei fondi europei, che devono essere approfondite».
Si dovrà dunque verificare, con una continua attività di monitoraggio, la compatibilità dei sistemi di controllo fisico ed elettronico delle frontiere gestiti da Frontex in sinergia con gli Stati membri, alla luce dei rapporti con i paesi terzi e del coordinamento delle operazioni di blocco in mare, con la tutela dei diritti fondamentali delle persone. La Convenzione di Palermo del 2000 contro il crimine transnazionale, ed i due Protocolli allegati contro il traffico di migranti e la Tratta di esseri umani[7], che sembrerebbero giustificare la “collaborazione di polizia” con tali paesi, antepongono chiaramente la salvaguardia della vita umana in mare ed il rispetto dei diritti umani, alla “lotta contro l’immigrazione illegale” ed alla difesa dei confini. Malgrado questo richiamo e le critiche nei confronti delle attività dell’agenzia Frontex a livello di Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa, le attività di dissuasione e di repressione degli ingressi, si sono rivolte indistintamente anche a potenziali richiedenti asilo, come le persone provenienti da Siria, Afghanistan, Iraq e da tanti paesi dell’Africa sub sahariana, oggi di nuovo dilaniata da gravissimi conflitti interni, basti pensare al Sudan, al Mali, alla Costa d’Avorio, al Burkina Faso ed ai paesi del Corno d’Africa (Somalia, Etiopia, Eritrea). Le più recenti decisioni del Consiglio europeo, come il Piano d’azione dell’Ue contro il traffico dei migranti 2021-2025 recentemente approvato, confermano questa impostazione e rafforzano ulteriormente l’agenzia alla quale si sta attribuendo anche un nuovo ruolo di comunicazione pubblica, e di rapporto con enti privati, per l’acquisto di tecnologia, e con istituti di ricerca per mappature ed analisi che ne possono rafforzare le finalità repressive.
10. Considerazioni conclusive, come si trasformano i controlli di frontiera durante la pandemia ?
La imprevedibile diffusione della pandemia da Covid-19 ha però ribaltato molte analisi dei “rischi migratori”, per un tempo che non si può prevedere, attesa la limitazione del traffico aereo, ed i maggiori controlli imposti all’ingresso negli Stati. Sembra così destinato ad aumentare il numero dei migranti forzati che tenteranno di arrivare negli Stati meridionali dell’Unione europea via mare o attraverso le frontiere terrestri. Si può rilevare come la dichiarazione di uno “stato di emergenza” da parte degli Stati a causa della ricorrente crisi sanitaria, e le crescenti istanze sovraniste e nazionaliste, che stanno dilagando come una metastasi in tutta Europa, abbiano reso obsoleti i vecchi strumenti convenzionali e gli apparati di polizia sui quali si basava la esternalizzazione delle frontiere e persino la funzione repressiva (law enforcement) affidata all’agenzia Frontex. Molti paesi terzi sono infatti sempre più restii a collaborare con le politiche di espulsione e respingimento dei paesi europei, anche se in base alle statistiche sembra che il numero dei rimpatri con accompagnamento forzato effettuati con il supporto dell’agenzia Frontex sia di nuovo in crescita, dopo il calo dello scorso anno.
La realtà dei fatti costringe oggi ad una valutazione meno ideologica ( e meno egoistica) dei rapporti di cooperazione con paesi terzi, che finora hanno avuto come unico obiettivo la riduzione degli arrivi (e dei soccorsi) di migranti e la incentivazione delle operazioni di rimpatrio forzato (return). La sorveglianza sanitaria in frontiera, e la lotta alla cd. “immigrazione illegale” ed ai trafficanti di esseri umani potrà garantirsi davvero soltanto riaprendo canali legali di ingresso, legittimando le attività delle Organizzazioni non governative e ricostituendo sistemi di accoglienza e mobilità tra i diversi paesi europei che si richiamino al principio di solidarietà ed alla tutela dei diritti fondamentali della persona, quali che siano la condizione giuridica ed il paese di provenienza. In questo quadro le attività di Frontex vanno ricondotte al più rigoroso rispetto del principio di legalità, e dunque dei Regolamenti europei che ne disciplinano le attività, che impongono l’effettivo rispetto degli obblighi di soccorso, il rispetto dei diritti fondamentali e delle regole di trasparenza ed imparzialità che sono stabiliti anche nelle Convenzioni internazionali che garantiscono i diritti dei migranti forzati.
La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati vieta di ritenere illegale o di rifiutare l’ingresso in frontiera di una persona che, seppure priva di documenti, intende presentare una istanza di protezione. In base all’art.31 di questa Convenzione “ Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali per ingresso o soggiorno irregolare a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal Paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata … entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o la loro presenza irregolari ”. Gli agenti di Frontex ed i suoi organi direttivi non potranno discostarsi da questo principio basilare generalmente riconosciuto dalle Corti internazionali e dagli organi giurisdizionali nazionali. Le denunce della società civile e le indagini dei giornalisti indipendenti non daranno loro tregua. Gli Stati e gli organi centrali dell’Unione Europea non potranno continuare a nascondere le loro responsabilità dietro l’operato di questa agenzia. Toccherebbe finalmente all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) assumere una posizione duratura di ferma condanna dell’operato dell’agenzia Frontex, e più in generale dei governi che se ne avvalgono, in coerenza con quanto già hanno fatto altri rappresentanti di organismi delle Nazioni Unite, piuttosto che continuare ad operare in una ottica di mera “riduzione del danno” finendo per fare da alibi per le peggiori politiche di detenzione, espulsione e respingimento dei governi nazionali d’intesa con Frontex.
L’esternalizzazione dei controlli di frontiera che si è nascosta dietro il crescente ruolo affidato a Frontex, al di là delle statistiche diffuse annualmente da questa agenzia, è fallita e si è dimostrata non idonea a garantire la “sicurezza nazionale” ed il rispetto dei diritti umani, a partire dal diritto alla vita. La moltiplicazione dei muri alle frontiere esterne dell’Unione Europee, magari con il ricorso ai sistemi di sorveglianza elettronica ed alle “analisi rischi” di Frontex si tradurrà assai presto in un disastro non solo civile, ma anche economico, perché nessun sistema economico oggi, tanto a livello regionale quanto a livello nazionale ed europeo, può sopravvivere in una situazione di frontiere sbarrate e porti chiusi. Ma oltre le ragioni di convenienza economica si impone il rispetto dei diritti fondamentali dell’Uomo.
Il principio di non respingimento sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati rimane un baluardo ineludibile anche rispetto alle operazioni “integrate” poste in essere dall’agenzia. “Vulnerabili” non sono i confini, come vengono definiti nei documenti di Frontex, ma le persone che tentano di attraversarle, costrette a passaggi irregolari ed a ricercare l’aiuto dei passeur per la mancanza di canali legali di ingresso. L’Italia e l’Unione Europea sono oggi di fronte ad una grande emergenza sanitaria che, a seconda dei risultati elettorali, potrebbe spingere a posizioni durature, ancora più drastiche di chiusura delle frontiere. Potrebbero essere tuttavia scelte politiche sempre più inefficaci e disumane perché la mobilità umana sarà comunque inarrestabile. La storia dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (Frontex) lo conferma.
M. Marchegiani, Il principio di non refoulement ai tempi del Covid-19, in Diritto immigrazione e cittadinanza, 2021, 3, consultabile in https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-2/825-il-principio-di-non-refoulement-ai-tempi-del-covid-19
[1] D. Vitiello, E. De Capitani, “Il Regolamento (UE) 2019/1896 relativo alla riforma di Frontex e della Guardia di frontiera e costiera europea: da “Fire Brigade” ad amministrazione europea integrata?”,<http://www.sidiblog.org/2019/12/06/il-regolamento-ue-20191896-relativo-alla-riforma-di-frontex-e-della-guardia-di-frontiera-e-costiera-europea-da-fire-brigade-ad-amministrazione-europea-integrata/> (06/21)
[2] Secondo il Considerando n.20 del Regolamento (UE) 2019/1896 “L’attuazione del presente regolamento non incide sulla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri né sugli obblighi che incombono agli Stati membri in base alla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, alla convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, alla convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e al suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via nave e via aria, alla Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, il relativo protocollo del 1967, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status degli apolidi e ad altri strumenti internazionali pertinenti. Al considerando 21 si ribadisce che”L’attuazione del presente regolamento non incide sul Regolamento (UE) n. 656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. Le operazioni marittime dovrebbero essere condotte in modo tale da garantire, in tutti i casi, la sicurezza delle persone intercettate o soccorse, delle unità che partecipano alle operazioni in mare in questione e la sicurezza di terzi”
[3] In base all’art.71 e seguenti del Regolamento Frontex del 2019, “Gli Stati membri e l’Agenzia cooperano con i paesi terzi ai fini della gestione europea integrata delle frontiere e della politica in materia di migrazione. Sulla base delle priorità politiche definite ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, l’Agenzia fornisce assistenza tecnica e operativa ai paesi terzi nell’ambito della politica dell’Unione in materia di azione esterna, anche per quanto riguarda la protezione dei diritti fondamentali e dei dati personali e il principio di non respingimento”. Secondo l’art. 73 del Regolamento “L’Agenzia può, nella misura necessaria per l’espletamento dei suoi compiti, cooperare con le autorità di paesi terzi competenti per questioni contemplate nel presente regolamento. L’Agenzia rispetta il diritto dell’Unione, comprese le norme e gli standard che fanno parte dell’acquis dell’Unione, anche quando la cooperazione con i paesi terzi ha luogo sul territorio di tali paesi terzi. Inoltre, nel cooperare con le autorità dipaesi terzi, l’Agenzia agisce nell’ambito della politica dell’Unione in materia di azione esterna, anche con riferimento alla protezione dei diritti fondamentali e dei dati personali, al principio di non respingimento, al divieto di trattenimento arbitrario e al divieto di tortura e di trattamenti o pene inumani o degradanti. In base all’art. 75, dello stesso Regolamento, si prevede lo scambio di informazioni con i paesi terzi nell’ambito di Eurosur in base al quale I centri nazionali di coordinamento, e, se del caso, l’Agenzia rappresentano i punti di contatto per lo scambio di informazioni e la cooperazione con i paesi terzi.
[4] Statewatch, “Border surveillance and deaths at sea: Frontex’s invisible flights come under scrutiny,”
[5] M. Monroy, “Drones for Frontex: unmanned migration control at Europe’s borders”, 2020,<https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-354-frontex-drones.pdf> (06/21)
[6] <thtps://www.statewatch.org/news/2020/june/remote-control-the-eu-libya-collaboration-in-mass-interceptions-of-migrants-in-the-central-mediterranean/ (06/21)
[7] Secondo l’art. 19 del Protocollo addizionale contro il traffico di persone, “Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento”.