di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Un bimbo di un anno è morto tra il freddo e gli stenti nella foresta dove sono accampati i profughi, al confine tra Polonia e Bielorussia, dopo un mese e mezzo trascorso con i genitori siriani in condizioni terribili. Altre vittime si registrano in Bielorussia e decine di profughi sono stati arrestati in Polonia. Dopo negoziati tecnici con le agenzie Onu (Unhcr e Oim) sono stati effettuati dalla Bielorussia rimpatri “volontari” verso l’Iraq. Le terribili condizioni inflitte ai potenziali richiedenti asilo ammassati alla frontiera polacca rendono bene quanto sia stato “volontario” il rimpatrio di coloro che hanno scelto, per non mettere a rischio la vita dei propri figli, di fare ritorno “volontario” e “assistito” nel paese dal quale erano fuggiti. Il rimpatrio “volontario” in Iraq di un primo gruppo di 431 migranti: sarebbe avvenuto dopo forti pressioni della primo ministro tedesca Merkel, ormai alla fine del suo mandato.
L’agenzia di frontiera dell’UE Frontex sta lavorando con le autorità polacche e irachene per organizzare voli charter dalla Polonia”. Sembrerebbe anche che si sia aperta una trattativa tra la Bielorussia e la Germania per l’apertura di “corridoi umanitari”. Possiamo immaginare a quale prezzo e per quante persone. Nella partita rientreranno anche le forniture di gas. Lo scontro politico ed economico tra Stati si gioca ormai sulla pelle dei migranti e sulla riduzione, se non sulla negazione sostanziale, del diritto alla protezione internazionale. Un diritto riconosciuto da Direttive e sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che all’art. 19 vieta i respingimenti collettivi in frontiera.
La ferocia con la quale ci si accanisce contro persone in cerca di protezione è sotto gli occhi di tutti, anche se gli stati fanno di tutto per impedire l’accesso in frontiera ai giornalisti, agli avvocati, agli operatori umanitari. Un gruppo di migranti è stato attaccato dai cani della polizia al confine della Lituania. Il video è stato diffuso dalle autorità bielorusse e mostra i migranti stesi a terra a dormire nei sacchi a pelo e gli agenti lituani intervenire con i cani. La guardia di frontiera lettone si è giustificata affermando che si è trattato di un incidente dovuto ai fari puntati dai bielorussi. La stessa ferocia, che si riscontra alle frontiere esterne orientali dell’Unione Europea, si ripete da anni nelle acque del Mediterraneo centrale.
La sedicente guardia costiera libica, finanziata dall’Italia, dopo una intimazione illegale ad allontanarsi dalla cosiddetta zona SAR libica, minaccia di sparare su una nave civile di ricerca e soccorso di Sea Watch con 120 naufraghi a bordo in acque internazionali. La nave Geo Barents di MSF con il suo carico di cadaveri e superstiti delle torture nei campi di detenzione in Libia è costretta a vagare per giorni in mare aperto prima che le autorità italiane assegnino un porto sicuro di sbarco. Mentre scriviamo, altre 75 persone sono abbandonate ancora una volta in alto mare nel Mediterraneo centrale, da ore, senza che le autorità italiane e maltesi, informate della chiamata di soccorso, dichiarino l’evento SAR ed inviino mezzi statali di ricerca e soccorso. Per loro se non ci sarà un naufragio, nelle prossime ore, potrebbe ripetersi l’ennesima intercettazione/sequestro da parte delle motovedette libiche.
Quasi 30.000 persone sono state riprese quest’anno dai libici in alto mare. Bilancio di un fallimento totale sul piano della garanzia effettiva dei diritti umani. Su una sponda e sull’altra del Mediterraneo. Le responsabilità principali ricadono sui governi nazionali, non sull’Unione Europea che si è condannata all’estinzione. Senza il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, l’Unione europea sarà presto vittima dei partiti sovranisti che dilagano ovunque. Come un cancro incurabile che distrugge la tradizione democratica su cui si è tentato di costruire una Europa dei diritti, oltre che dei mercati.

2. Quanto succede nel Mediterraneo non è meno grave degli attacchi contro i migranti ammassati alla frontiera tra Bielorussia e Polonia, dove sembra ormai prossima la costruzione di un muro. Ma presto si potrebbe trovare un accordo economico sulla pelle dei profughi e, come la Turchia di Erdogan, anche la Bielorussia potrebbe svolgere un ruolo attivo nel blocco dei potenziali richiedenti asilo diretti verso le frontiere esterne nell’Unione Europea.
Attraverso la esternalizzazione delle attività di controllo delle frontiere sulla base di accordi con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, la negazione sostanziale del diritto alla protezione, che si configura con il divieto di accesso in frontiera e con espedienti procedimentali attraverso procedure “accelerate”, costituisce ormai una prassi quotidiana anche nel nostro paese. Il diritto di asilo è ricompreso tra i diritti fondamentali dell’uomo, ed è riconosciuto dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione, allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Come stabiliva la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25028/2005, il diritto di asilo comprende il diritto all’ingresso nel territorio dello Stato ed il diritto di accedere alla procedura di esame della domanda di asilo. Il richiedente asilo, dunque, sia che entri attraverso canali irregolari, sia che venga soccorso in mare, caso che in base all’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, non comporta automaticamente un ingresso irregolare, ha un diritto soggettivo perfetto all’ingresso sul territorio dello Stato, quantomeno al fine di vedere esaminata la sua situazione personale. Si tratta di un diritto soggettivo perfetto che può essere variamente conformato in base alle previsioni di legge, come prevede l’art.10 della Costituzione (riserva di legge) ma non può essere compresso già prima dell’ingresso in frontiera con misure di carattere amministrativo, se non escluso del tutto, fino alla configurazione di un respingimento o di una espulsione. Si può verificare soltanto un respingimento, ma solo su base individuale, quando ricorrano le specifiche e limitate ipotesi richiamate dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
Si configura comunque un respingimento, ed una correlata giurisdizione, tutte le volte che venga impedito lo sbarco a terra o l’ingresso nelle acque territoriali, e ricorre un respingimento collettivo quando questo divieto di ingresso o di sbarco non si rivolga direttamente ad una singola persona, ma riguardi una collettività di persone, in ipotesi anche donne e minori non accompagnati, senza alcuna identificazione su base individuale.
3. La normativa dell’Unione Europea, e quindi quella dei singoli stati, come l’Italia, prevedono, oltre al diritto di asilo contemplato dalla Convenzione di Ginevra del 1951, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria, da riconoscere anche nel caso in cui il richiedente asilo abbia subito abusi nel paese di transito (come la Libia), e non nel paese di origine. In questo senso una importante decisione della Corte di cassazione (Ordinanza n. 28170 del 14 ottobre 2021) in favore di un cittadino senegalese che aveva subito abusi durante il suo transito in Libia. Ma la dimensione degli abusi subiti dai migranti in Libia travalica la dimensione individuale e può dirsi elemento che caratterizza la condizione di tutti i migranti intrappolati nei centri di detenzione o intercettati in alto mare e riconsegnati alle autorità libiche. Come confermano gli allarmi dell’OIM la maggior parte di queste persone non viene neppure registrata allo sbarco, non si trova più nei neppure nei centri di detenzione “ufficiali”, e scompare nell’inferno dei cd, centri di detenzione informali, o si ritrova in una condizione para-schiavistica alla mercé di cittadini libici che ne possono abusare senza alcun timore di essere perseguiti.
Costituisce un dato costante ed incontrovertibile come, in assenza di canali legali di ingresso e di effettive possibilità di concessione di un visto di ingresso “umanitario”, la maggior parte, se non la quasi totalità degli ingressi dei richiedenti asilo avvenga attraverso canali irregolari. Le crisi politiche e militari, i disastri ambientali e da ultimo la pandemia da Covid 19 hanno ampliato di molto il numero dei “migranti forzati”, anche se la maggior parte di loro rimane vicina ai paesi di origine. Nel caso dei migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale, anche se si tratta di persone, e spesso in gravi condizioni di vulnerabilità, si ritiene possano definirsi come “flussi misti”, in quanto i potenziali richiedenti asilo, i soggetti vulnerabili, le donne ed i minori non accompagnati si trovano sulle stesse imbarcazioni con persone alle quali, prima ancora che facciano ingresso nel territorio dello Stato, in virtù della loro provenienza nazionale ( da paesi terzi cd. “sicuri”) si attribuisce la definizione di “migranti economici”. Ma è una distinzione che di fatto serve ad impedire l’accesso alla procedura di asilo, senza corrispondere ad una vera qualificazione giuridica che riconosca uno status della persona. Negli ultimi anni, inoltre, a fronte delle attività di contrasto attuate anche nei confronti delle navi civili delle ONG, e dei prolungati periodi di fermo amministrativo loro imposti, solo una parte degli ingressi si verificano per ragioni di soccorso, mentre sono sempre più frequenti i cd. sbarchi autonomi, in particolare sulle coste siciliane e calabresi.
Rimangono comunque molto ridotte le possibilità di ingresso attraverso i corridoi umanitari, e la prospettiva di un trasferimento di potenziali richiedenti asilo intrappolati in Libia, verso altri paesi africani (come il Niger ed il Rwanda), anche in questo caso “su base volontaria” non sembra in grado di ridurre significativamente il numero di persone trattenute in centri di detenzione della Tripolitania, nei quali subiscono quotidianamente abusi ed estorsioni. Chi riesce a salvarsi può imbarcarsi solo con il ricorso alle organizzazioni criminali che, spesso colluse o identificabili con le autorità di polizia e della Guardia costiera libica, continuano a controllare le vie di fuga via mare dalla Libia. Le organizzazioni criminali gestiscono anche le partenze dalla Tunisia, talora di migranti sub sahariani provenienti dalla Libia, e anche lì sono frequenti i casi di corruzione, come è confermato dal recente arresto del capo della guardia costiera di Sfax. Eppure in Italia si continua ad indagare sulle ONG e ad attaccarle sul piano del discorso pubblico, come se queste fossero “complici” degli scafisti, come nel caso Iuventa ancora aperto a Trapani., dopo oltre quattro anni dal sequestro della nave.
Quanto succede oggi ai confini orientali dell’Unione Europea e persino gli accordi che si profilano con la Bielorussia hanno diversi precedenti. Gli accordi con i paesi terzi, in particolare quelli (intergovernativi) con la Turchia, stipulati nel 2016, hanno sancito la definitiva esternalizzazione del diritto di asilo, con la possibilità accordata ad uno Stato dell’Unione ( in quel caso la Grecia) di respingere al di fuori dell’Unione Europea persone in cerca di protezione, e per la loro provenienza sicuramente qualificabili come richiedenti asilo.
Nelle attività di law enforcement dirette a contrastare il traffico di esseri umani il target principale sono ormai diventati, piuttosto che i trafficanti, i potenziali richiedenti asilo che cercano di entrare nel territorio dell’Unione Europea, via mare, ed anche in misura crescente, attraverso le rotte terrestri, come la rotta balcanica. Negli ultimi mesi, proprio in conseguenza dell’acuirsi della crisi dei rifugiati provenienti dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq, malgrado una elevata percentuale di persone sicuramente meritevoli di protezione internazionale, sono aumentate le violenze ai danni di chi cercava di raggiungere le frontiere europee, con numerose vittime di prassi di polizia che hanno cercato di chiudere tutte le possibili rotte terrestri, impedendo con la violenza l’accesso al territorio anche a persone già riconosciute come meritevoli di status di protezione in base a documenti rilasciati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Un’inchiesta giornalistica ha svelato le violenze sui migranti al confine tra Croazia e Bosnia. ’L’inchiesta è stata pubblicata dal network Lighthouse Report. Secondo la commissaria Ylva Johansson: membro della Commissione Ue per gli Interni: «Le notizie sui respingimenti alle frontiere esterne dell’Ue sono scioccanti». Johansson ha spiegato che è necessaria un’indagine per approfondire quello che sta succedendo: «Le notizie riportate sembrano indicare un qualche tipo di orchestrazione della violenza alle frontiere esterne, e sembrano esserci prove convincenti di un uso improprio dei fondi europei, che devono essere approfondite».
L’art.14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 stabilisce invece che “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” a meno che non abbia commesso un crimine contro l’umanità o non costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato di ingresso. La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati vieta conseguentemente di ritenere illegale o di rifiutare l’ingresso in frontiera di una persona che, seppure priva di documenti, intende presentare una istanza di protezione. In base all’art.31 di questa Convenzione “ Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali per ingresso o soggiorno irregolare a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal Paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata … entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o la loro presenza irregolari ”. E garanzie specifiche sono previste, anche in base alle Direttive dell’Unione Europea in materia di protezione internazionale riguardo le procedure di frontiera, sia per quanto concerne il diritto all’informazione e l’accesso alla mediazione linguistica, che per quanto concerne i diritti di difesa, la individuazione dei minori non accompagnati, dei soggetti vulnerabili e delle vittime di tratta. In base all’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 gli Stati parte sono obbligati, in tutte le decisioni politiche o amministrative relative ai minori di anni diciotto, dunque anche nei provvedimenti di ammissione al territorio o di respingimento, a rispettare il “superiore interesse del minore”.

4. Nei documenti delle Nazioni Unite è forte la critica “verso gli Stati, quali l’Italia, invocano spesso il vincolo del territorio come scusante per l’omissione di soccorso, dichiarando di non avere giurisdizione. Come se lasciare una persona annegare fosse meno grave che spingerla in acqua”.
Secondo le Convenzioni internazionali, a partire dai Protocolli allegati alla Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale di Palermo del 2000, le attività di contrasto nei confronti del traffico e della tratta di esseri umani devono svolgersi nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, soprattutto del diritto alla vita, e del diritto a fare comunque ingresso nel territorio di uno stato, per presentare una istanza di protezione internazionale. Diritto fondamentale sancito dalla Convenzione di Ginevra che vieta all’art. 33 il respingimento verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali e in cui l’integrità della persona potrebbe essere a rischio . Il principio di non respingimento è rinforzato dalla previsione del Quarto Protocollo (art.4) allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che vietano i respingimenti collettivi. Rimane infatti principio generale del diritto internazionale, e del diritto euro-unitario, che prima di adottare una misura di allontanamento forzato occorre esaminare la situazione individuale della persona e concedere tempi e modi per un ricorso effettivo
Anche se in termini numerici sono risultate di scarso impatto, malgrado gli elevati costi umani, le politiche di rimpatrio (return) rimangono l’unico tema sul quale si cerca di adottare una politica comune europea. Si assiste così al tentativo, già a livello di Consiglio dell’Unione, di accantonare i rilevanti obblighi di soccorso previsti a carico degli Stati e degli assetti operativi delle missioni Frontex dai Regolamenti europei n.656/2014, per accentuare la collaborazione con i paesi terzi soprattutto ai fini dei rimpatri forzati e la funzione di indagine e collegamento con diverse agenzie investigative, in primis con Eurosur ed Europol, attività di polizia riconducibili al concetto di “law enforcement”.
Il Patto europeo sulle migrazioni, ed la correlata Raccomandazione sui soccorsi in mare adottata dalla Commissione europea il 23 settembre 2020 non hanno fornito alcuna certezza sugli obblighi di soccorso a carico degli Stati e sul diritto delle persone ad essere soccorse in mare e ad avere accesso al territorio per presentare una istanza di protezione. Il più recente Piano contro il traffico di migranti adottato dall’Unione Europea mantiene il costante richiamo al contrasto dell’immigrazione irregolare ed alla esternalizzazione dei controlli di frontiera, senza aprire alcuna effettiva possibilità di ingresso per i potenziali richiedenti asilo. Tutti i canali legali di ingresso rimangono bloccati. Nei fatti che si possono documentare e nelle testimonianze raccolte negli ultimi mesi, le violenze commesse alle frontiere greco-turche ed ai danni dei migranti bloccati sulla rotta balcanica, anche con il contributo di agenti dell’agenzia europea Frontex, sono in aumento. E non mancano ricorsi contro Frontex davanti gli organi della giustizia internazionale.
5. l divieto di ingresso nel territorio dello Stato, e dunque il diritto di chiedere asilo in questo paese, non può essere giustificato da esigenze di negoziazione a livello europeo per ottenere la successiva redistribuzione delle persone soccorse in mare o dei richiedenti asilo, che però può verificarsi solo dopo la presentazione di una domanda di protezione e non solo in base alla mera qualifica di “naufraghi”, tantomeno se le stesse persone vengono qualificate come “clandestini”. Almeno da questo punto di vista sembra che il governo Draghi abbia preso le distanze dalle prassi arbitrarie adottate dal governo giallo-verde fino al mese di agosto del 2019. Ma il problema è aperto ancora oggi, anche alle frontiere terrestri, e rimane oggetto di strumentalizzazione ad ogni evento di soccorso seguito dallo sbarco nei porti italiani, mentre dalle aule giudiziarie si ritorna ad inquinare il dibattito pubblico per la carica di falsificazione che caratterizza le argomentazioni utilizzate per difendere la linea dei “porti chiusi”. Di certo non tocca all’Unione Europea od ai singoli Stati stabilire regole di sbarco dei naufraghi soccorsi in acque internazionali, modificando la portata delle Convenzioni internazionali e dei loro emendamenti ed annessi. Né si possono costruire muri o sospendere i soccorsi in acque internazionali in attesa che l’Unione Europea trovi una politica comune basata sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti umani.
6. Il riconoscimento effettivo del diritto di asilo dipende anche dal rispetto delle Convenzioni internazionali che consentono l’ingresso per ragioni di soccorso e per chiedere protezione. Non vale opporre il principio di sovranità degli Stati, che possono rifiutare l’ingesso al cittadino di un altro paese non dotato di regolari documenti di ingresso ( visto, se richiesto) e soggiorno.. Ogni persona che si trovi in condizione di essere soccorsa in acque internazionali è soggetta ad una giurisdizione statale, quanto meno dei paesi informati dell’evento di soccorso che possono intervenire per garantire innanzitutto il diritto alla vita, ed in base a questa giurisdizione deve avere l’effettivo accesso al salvataggio, allo sbarco in un porto sicuro, all’accesso al territorio per presentare una richiesta di protezione. Con la negazione di una qualsiasi giurisdizione sulle persone che si trovano in pericolo in acque internazionali, magari ritenendo la competenza esclusiva degli Stati di bandiera delle navi soccorritrici, non si può legittimare la negazione del diritto al soccorso, dunque del diritto alla vita, e del diritto di chiedere asilo o altra forma di protezione internazionale o umanitaria.
Si vedano le posizioni dell’UNHCR e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani in https://www.dirittoconsenso.it/2021/09/02/il-soccorso-in-mare-di-migranti-nel-diritto-internazionale/#_ftn31
Cfr. M. Marchegiani, Il principio di non refoulement ai tempi del Covid-19, in Diritto immigrazione e cittadinanza, 2021, 3, consultabile in https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-2/825-il-principio-di-non-refoulement-ai-tempi-del-covid-19
Cfr. C. Hein, I migranti forzati e l’accesso all’asilo in Italia, Dossier statistico Immigrazione, IDOS, 2021, p. 132,
P. Bonetti, La crisi afghana come spunto per risolvere i nodi strutturali del diritto di asilo, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2021,3, consultabile in https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/128-fascicolo-n-3-2021/editoriale-n-3-2021/231-editoriale
Bielorussia
Arrivato in Iraq volo con 431 migranti Riportati in patria da Minsk nella regione del Kurdistan
(v.”Bielorussia: partito per l”Iraq volo…” delle 14.38)(ANSA-AFP) –
ERBIL, 18 NOV – E” atterrato in Iraq il volo della Iraqi Airways partito questo pomeriggio da Minsk con 431migranti a bordo, riportati in patria dalla Bielorussia, dove erano giunti nel tentativo di attraversare il confine conl”Unione europea. Lo ha riferito un portavoce del governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, da cui proviene la maggior parte delle persone rimpatriate. (ANSA-AFP).
18-NOV-21 17:37 NNNN
Poland-Belarus border crisis: Iraq to start repatriating citizens – Deutsche Welle
Poland-Belarus border: Repatriated Iraqi migrants arrive home – Deutsche Welle