Quale giustizia per Riace?

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Non esistono leggi ingiuste, ma applicazioni ingiuste della legge, e quando una disposizione normativa risulta in contrasto con un principio costituzionale esiste il ricorso alla Corte Costituzionale, nel rispetto del principio di gerarchia delle fonti del diritto, che dovrebbe consentire anche di risolvere il contrasto tra diverse previsioni di legge. La politica produce le leggi, attraverso l’attività del Parlamento, ormai fortemente predeterminata dai governi, e spesso ne condiziona l’applicazione, con gli strumenti della pubblica amministrazione, con una ramificata distribuzione delle competenze e con ricorrenti conflitti tra i vari livelli decisionali. A seconda delle maggioranze le leggi cambiano e cambiano ancora più rapidamente le modalità di applicazione, in base a criteri di responsabilità amministrativa che possono portare alla configurazione di responsabilità penali. nel rispetto del principio di legalità, della riserva di legge come prevede l’art.25 della Costituzione, che aggiunge anche che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Non si può contrapporre dunque, in astratto il diritto alla giustizia, ma occorre perseguire il fine della giustizia attraverso i mezzi offerti dall’ordinamento.

Gli strumenti processuali dovrebbero rispettare i diritti di difesa degli imputati, su un piano di parità, senza differenze tra chi è stato ministro e chi ha svolto soltanto il ruolo di sindaco in un piccolo comune. Tutti dovrebbero essere uguali davanti alla legge, a partire dal diritto di essere informati dei procedimenti penali e dei capi di imputazione che vengono contestati. Perché i diritti di difesa non dipendono dai sondaggi a dalla consistenza delle forze politiche alle quali si appartiene. Come non dipende dal “sentire comune” l’esercizio dei poteri discrezionali di valutazione rimessi alla magistratura giudicante.

La materia dei controlli di frontiera e dell’accoglienza dei migranti e richiedenti asilo è stata da sempre caratterizzata per la propensione ad un uso ampio dello strumento penale come metodo di governo dei fenomeni, con una progressiva criminalizzazione di tutto quanto, e delle persone, che a terra o in mare prestavano assistenza umanitaria, entrando in collisione con quella politica che chiudeva tutte le vie di ingresso e trasformava persone già legalmente soggiornanti nel territorio in immigrati irregolari, da allontanare, o da sfruttare nei settori più violenti ed oscuri del mercato del lavoro.

Si è intanto perfezionato un progetto politico di attacco generale ala solidarietà, fatto proprio dalle destre, ma innescato a partire dal 2016 anche da partiti moderati di centro-sinistra, che speravano in questo modo di arginare la deriva populista che si è invece verificata nel corso degli anni, e che la pandemia da COVID 19 potrebbe rendere vincente. Il processo penale sembra diventato in troppe occasioni, da strumento per l’accertamento della responsabilità individuale, un canale di comunicazione rivolto al “popolo” per sancire la prevalenza dei fini politici, o la legittimità di un indirizzo amministrativo di chiusura, di fronte al rispetto dei doveri primari di soccorso ed assistenza sanciti dalla Costituzione, che con l’art.117 richiama al riguardo anche le Convenzioni internazionali e le disposizioni dell’Unione Europea.

L’adempimento dei doveri primari di soccorso in mare e di assistenza a terra si è ridotto così a mera causa di giustificazione ( artt. 51 e 54 del Codice penale) o ad esimente umanitaria ( art. 12 comma 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98), secondo cui “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”. Se in Italia non è stato introdotto il reato di solidarietà, sono numerosi i titoli di reato che si sono utilizzati per penalizzare attività che in opposizione all’orientamento politico dominante si richiamavano direttamente ai principi di solidarietà ed accoglienza. Tra gli altri, dopo le norme penali in materia di immigrazione irregolare, si è fatto ampio ricorso alla contestazione del reato di associazione per delinquere, anche quando mancava del tutto qualsiasi profilo di vantaggio economico o di altra natura.

In questo modo sono stati sottoposti a procedimento penale soggetti che avevano rispettato i doveri primari di soccorso ed assistenza, senza alcun fine di lucro, mentre sono andati, e continuano ad andare esenti da responsabilità quegli agenti istituzionali che hanno praticato politiche di abbandono in mare e di esclusione sociale dopo l’ingresso nel territorio dello Stato, fino alla clandestinizzazione delle persone migranti accolte a terra. Un percorso di degrado della nostra convivenza sociale scandito dalle leggi, come i Decreti sicurezza approvati durante il primo governo Conte, e dai procedimenti penali aperti nei confronti di chi ha cercato di resistere fino alla disobbedienza civile ed alla disapplicazione della normativa che negava diritti fondamentali della persona. Come si è verificato nel caso del modello di accoglienza diffusa di Riace, che poteva risultare eversivo rispetto ad un modello di accoglienza basato su grossi centri e su una continua rotazione delle persone accolte nel territorio, da un luogo ad un’altro nel quale fosse possibile garantirsi qualche scampolo di reddito per la sopravvivenza.

2. Mentre nei casi che hanno riguardato le ONG che operavano soccorsi in mare si è assistito ad una sfilza di provvedimenti di archiviazione ed addirittura si sta svolgendo a Palermo un processo che vede imputato un ex ministro dell’interno per il suo rifiuto a garantire un porto sicuro di sbarco alle persone soccorse in mare, nel diverso caso di Riace si è arrivati in primo grado ad una condanna pesantissima nei confronti di Mimmo Lucano e di altri soggetti ed operatori umanitari impegnati nelle attività di accoglienza diffusa sul territorio. Nessuno è riuscito però a dimostrare che il sindaco di Riace avesse agito per conseguire un vantaggio personale, o che la sua attività non avesse carattere umanitario, una volta che lo Stato ritardava nel pagamento dei fondi necessari per le prestazioni di assistenza richieste al comune, e quindi chiudeva i progetti di accoglienza, mettendo le persone che venivano gettate per strada in una condizione oggettiva di “stato di bisogno”. Come purtroppo è documentato in modo incancellabile dalla tragica fine di Becky Moses, morta per diniego di permesso di soggiorno e per mancata accoglienza, dopo che le regole amministrative del sistema di accoglienza SPRAR/CAS la avevano costretta a lasciare Riace.

Non è del resto possibile ignorare la situazione di illegalità diffusa che caratterizza la Locride e la piana di Rosarno da anni, nella quale le prime vittime sono i migranti abbandonati sul territorio da un sistema di accoglienza che non ha saputo garantire alcuna inclusione sociale nella legalità, Una situazione che ancora oggi rischia di diventare esplosiva, a fronte dell’aumento degli sbarchi sulle coste ioniche della Calabria di profughi in fuga dalle persecuzioni che li affliggono in tanti paesi, come l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq e dell’abbattimento del sistema di accoglienza frutto dei decreti sicurezza voluti da Salvini nel 2018 e nel 2019. Non sembra, sotto questo profilo, che lo smantellamento dei modelli di accoglienza diffusa sia recuperato dal più recente Decreto immigrazione e sicurezza n.130 del dicembre 2020. Ed al posto dei centri di accoglienza a terra si stanno moltiplicando le cd. navi quarantena, con uno spreco di danaro che potrebbe essere diversamente investito a terra nella ricostruzione di un sistema di prima accoglienza che oggi non esiste più.

3. Al di là della verifica di possibili irregolarità amministrativi e contabili, il processo contro Mimmo Lucano e gli altri imputati di accoglienza a Riace non si doveva neppure fare, per il ruolo di supplenza che il Comune di Riace era stato chiamato a svolgere a fronte di una evidente incapacità delle amministrazioni periferiche dello Stato a garantire un livello minimo di accoglienza alle persone che, fino al 2018, in numero molto superiore rispetto ad oggi, venivano portate a terra da mezzi militari, e solo in parte dalle ONG, dopo essere state soccorse in alto mare. Già consistenti perplessità erano emerse nell’Ordinanza del giudice delle indagini preliminari del 26 settembre 2018. Si tratta dunque di un procedimento penale che adesso dovrà essere ricondotto ad una valutazione equa dei fatti e delle cause di giustificazione, sulla base di importanti rilievi che già sono stati fatti dalla Corte di Cassazione nel 2019 e che hanno diviso nel tempo anche la magistratura giudicante. Sarà comunque un processo che, dopo la sua definizione, andrà sotto esame anche da parte della giustizia internazionale, sotto il profilo della garanzia dei diritti fondamentali della persona e del giusto processo, principi che già oggi appaiono a rischio.

La visione di base dell’impianto accusatorio che contesta una vasta rete di rapporti clientelari che avrebbero caratterizzato l’accoglienza dei migranti a Riace, ed individua vantaggi di natura non patrimoniale per Mimmo Lucano, e contraddetta innanzitutto dal fatto che non si ravvisano vantaggi di natura personale e politica in favore dell’ex sindaco di Riace che in diverse occasioni ha rifiutato candidature prestigiose che gli avrebbero garantito coperture politiche ed immunità parlamentari, che ha sempre rifiutato, restando legato al suo impegno nel territorio. I migranti che erano accolti a Riace non sono state vittime del sistema di accoglienza diffusa che aveva creato Mimmo Lucano, ma dei metodi di gestione degli organi periferici dello Stato e del Ministero dell’interno che strozzavano le capacità economiche di quel comune, come è successo del resto in altri piccoli comuni italiani, mettendo il sindaco davanti alla necessità di allontanare i migranti per la fine o la insostenibilità dei progetti di accoglienza. Altro che “tornaconto politico personale”, un fine attribuito a Mimmo Lucano senza alcun fondamento probatorio.

Gli affidamenti diretti contestati dalla Procura e l’assenza di gara non tengono conto delle dimensioni del comune di Riace, del contesto territoriale fortemente inquinato per la presenza di organizzazioni criminali che controllano i più importanti gangli economici, che lasciavano preferire l’assegnazione ad una pluralità di associazione, piuttosto che la concentrazione dei rapporti economici su un unico gestore che sarebbe più facilmente sfuggito ai controlli formali del Servizio centrale asilo, come si è verificato in tante parti d’Italia, e come ha accertato la Commissione parlamentare d’inchiesta sui centri per stranieri in casi eclatanti, come la mega-struttura di Mineo in Sicilia. Un paragone tra le due vicende andrebbe certamente fatto, anche per i risvolti penali che ne sono derivati e per i diverso ruolo di controllo delle Prefetture e dell’Autorità giudiziaria in Calabria ed in Sicilia. Ed anche per il diverso peso delle condanne, frutto certamente di un diverso comportamento processuale, ma anche di una visione opposta del rapporto tra solidarietà ed interesse economico nei servizi di assistenza ai migranti. Luca Odevaine, uomo chiave della gestione del CARA di Mineo,. Dopo la condanna del 3 novembre 2016 a due anni e otto mesi  per le tangenti ricevute negli appalti vinti dalla cooperativa La Cascina al centro per richiedenti asilo di Mineo,ha patteggiato anche nell’altro troncone dell’inchiesta: quello sulla concessione dell’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014, allo stesso Cara con una ulteriore condanna a sei mesi, che dunque ha portato la condanna complessiva a tre anni e 4 mesi.

Le contestazioni a Mimmo Lucano, desunte soprattutto da una massa di intercettazioni ambientali raccolta per anni, si basano sui punti noti che hanno caratterizzato il processo e prima le indagini ispettive. Il rilascio delle carte di identità senza pagamento dei relativi diritti, la celebrazione di un matrimonio, il prolungamento dei tempi di accoglienza dei richiedenti asilo, la confusione amministrativa tra il sistema di prima accoglienza nei CAS ( centri di accoglienza straordinaria) ed il sistema degli SPRAR ( fino quando il ministero aveva permesso che questo potesse restare aperto a Riace). Una ricostruzione minuziosa che non va oltre la prova di irregolarità amministrative, da sempre ammesse anche da Mimmo Lucano, nella particolare condizione di assistenza in continua espansione che si verificava negli anni a Riace, Ma era il sindaco che aveva la bacchetta magica ed attirava i migranti a Riace? O non era piuttosto la Prefettura che li inviava perché il sistema di accoglienza in Calabria ( e non solo) in quel periodo non era in grado di assorbire il numero di persone che dopo essere state soccorse in mare sbarcavano nei porti italiani, in media 130.000 persone all’anno ed anche più, il doppio di quanto si sta verificando ancora oggi? Come fare fronte in quelle condizioni alla fine semestrale dei progetti di accoglienza del sistema SPRAR, senza abbandonare sulla strada le persone? Altro che progetto politico-clientelare. Il meccanismo delle prestazioni occasionali individuato dalla procura corrisponde al sistema economico disgregato che caratterizza territori economicamente desertificati come quello di Riace e gli errori di contabilità tra il sistema SPRAR ed il sistema dei centri CAS di accoglienza straordinaria si legano anche alla necessità di fare fronte alla condizione di estremo bisogno nella quale si trovavano le persone in accoglienza di fronte alla scadenza delle misure predisposte in loro favore. Mimmo Lucano ha anche ammesso di aver consegnato le carte d’identità gratuitamente ad alcuni richiedenti asilo, tra le quali quella concessa ad una mamma nigeriana che ne aveva necessità per ottenere la tessera sanitaria e curare il figlio piccolissimo. Una irregolarità amministrativa, certo, un possibile danno erariale irrilevante, ma certo assai distante dalle attività di una associazione per delinquere che si contestano all’ex sindaco, come le tante che esistevano, e probabilmente esistono ancora oggi, nel territorio di Riace.

4. Sembra che in tutti i passaggi della sentenza di condanna del Tribunale di Locri, dai presunti matrimoni di comodo, che di fatto non sono stati mai celebrati, all’aiuto per raggiungere l’Italia, si punti soprattutto, piuttosto che su riscontri documentali, su singoli passaggi delle numerosissime intercettazioni per sostenere la tesi di fondo, che ha comportato per Mimmo Lucano una condanna tanto grave, malgrado il ridimensionamento delle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la sua malafede nella gestione dei servizi di accoglienza. in vista di un vantaggio politico-clientelare che gli sarebbe derivato e di vantaggi per le associazioni che condividevano il progetto Riace.. Da qui la condanna per associazione per delinquere, in quanto Lucano avrebbe agito “allo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio)», così orientando l’esercizio della funzione pubblica «verso il soddisfacimento degli indebiti ed illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative=. Ma come rimangono senza prova gli arricchimenti personali di Mimmo Lucano, si fatica a trovare mezzi di prova che documentino, al di là di qualche passaggio interlocutorio raccolto nelle intercettazioni, vantaggi illeciti conseguiti dalle associazioni, a scapito dei migranti accolti a Riace. Sembra in sostanza che dal terreno delle deduzioni non si sia passati alla prova completa dei fatti per i quali sono state inflitte condanne gravissime, superiori persino a quelle inflitte per gravi fatti di sangue. Di questo si dovrà parlare nel processo di appello.

Non si comprende davvero come da possibili rilevi di abuso di ufficio si possa arrivare a ricostruire un fero e proprio fenomeno associativo, con una peculiare ricostruzione del vincolo di continuità tra i diversi reati che ha portato ad una condanna esorbitante, anche rispetto alle richieste della procura. I reati di truffa, peculato e falso, ricavati da errori di rendicontazione o da intercettazioni telefoniche, vengono contestati quasi in progressione geometrica, poi ricompresi nell’associazione per delinquere della quale sarebbe al vertice proprio Mimmo Lucano. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad una sentenza penale che già per l’entità delle pene, vorrebbe assolvere anche ad una funzione pedagogica, che sembra distante dai principi costituzionali del giusto processo e della responsabilità penale individuale. Come ha osservato Livio Pepino, “Il teorema di fondo sotteso al processo, non scalfito dai mancati riscontri probatori, esclude finanche che possano trovare applicazione istituti, come lo stato di necessità, previsti dal sistema penale per consentire l’integrazione tra legalità formale e giustizia”.

Appare certamente arduo escludere che Mimmo Lucano non abbia agito per prevalenti finalità umanitarie e non certo nell’ambito di un disegno criminale per conseguire direttamente o indirettamente vantaggi personali. Sembrano non rilevare per nulla due successive sentenze del Tar e del Consiglio di Stato relative al caso Riace che avevano invece sottolineato come  nonostante il caos amministrativo che – riconoscono i giudici – «emerge con chiarezza dagli atti di causa», Riace stava svolgendo un ruolo positivo  con  «riconosciuti e innegabili meriti che hanno un ruolo decisivo nel ritenere superate (e non penalizzanti) le criticità». E’ stato anche osservato come “l Tribunale in camera di consiglio ha addirittura cambiato un capo d’imputazione (capo 2) nonostante i pubblici ministeri avessero già modificato l’accusa, trasformando il reato di abuso di ufficio in truffa per erogazione di pubblico denaro, il che potrebbe costituire una violazione del diritto di difesa e motivo di nullità della sentenza”. Bisogna andare oltre, dunque, l’entità sproporzionata della pena, che pure suggerisce una riflessione sui poteri discrezionali del giudice penale.

Sono state persino negate le attenuanti generiche. ritenendo Mimmo Lucano alla stregua di capo di una associazione a delinquere che conseguiva profitti sulla pelle degli immigrati. Tra le tante contraddizioni, basti pensare alla condanna subita da Mimmo Lucano per l’affidamento diretto degli appalti per le pulizie, quando la Corte di Cassazione aveva affermato che “il generico riferimento alla presenza di interferenze od opacità”, sono “contraddittorie” e “illogicamente formulate” le argomentazioni a sostegno della presunta irregolarità dell’appalto, è “apoditticamente evocata” la presunta malafede di Lucano nell’assegnazione del servizio. Ma soprattutto, l’intera procedura era perfettamente regolare. È la legge – sottolineano i magistrati della Suprema Corte – che consente “l’affidamento diretto di appalti” in favore delle cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”.

Le richieste della Procura e l’entità della condanna, oltre che i titoli di reato contestati nella sentenza del Tribunale di Locri, cercano di integrare un quadro accusatorio che i giudici del Riesame e della Cassazione avevano respinto per la «Inconsistenza del quadro indiziario», basato su «elementi congetturali o presuntivi». Adesso occorre attendere le motivazioni della sentenza di condanna. Ma in questo tempo di attesa non si può restare in silenzio oppure rinunciare a promuovere iniziative di solidarietà concreta nei confronti di Mimmo Lucano. Perché al di là delle irregolarità amministrative che anche lo stesso Lucano ammette, che però hanno caratterizzato un modello di accoglienza inclusiva che è stato anche opportunità di (temporanea)rinascita economica e sociale di un territorio, si vuole condannare la concreta attuazione della solidarietà ed il principio dell’accoglienza diffusa. Che dovrebbero rimanere ancora oggi cardine del rapporto, altrimenti sempre più conflittuale, tra persone migranti che sbarcano o sono sbarcate, e fanno una istanza di protezione, ed i cittadini residenti, sempre più schiacciati sul rivendicazionismo individualista, sul populismo demagogico delle destre e da ultimo ammantati nelle false bandiere delle proteste di piazza contro le norme anti-COVID.

5. Luigi Ferrajoli, a conclusione del Convegno “Un mare di vergogna. Linabissarsi dei diritti fondamentali”, tenutosi a Reggio Calabria all’inizio di ottobre, ha lasciato una lezione lucidissima sull’attuale stato della giustizia in Italia, prendendo spunto proprio dalla condanna inflitta pochi giorni prima a Mimmo Lucano dal Tribunale di Locri. “Infine un’ultima considerazione, che riguarda specificamente la giurisdizione e che è sollecitata proprio dalla durissima sentenza di condanna del Tribunale di Locri contro Mimmo Lucano. Essa riguarda la fonte di legittimazione della giurisdizione, che grazie alla Costituzione repubblicana non consiste più soltanto nella soggezione dei giudici alle leggi, ma anche nel ruolo di garanzia dei principi di uguaglianza e dignità delle persone, dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale e dei diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti. Ebbene, i diritti fondamentali equivalgono tutti, come ho già detto, ad altrettante leggi dei più deboli – de più deboli fisicamente, oppure economicamente, oppure socialmente – contro le leggi dei più forti che vigerebbero in loro assenza. E quali soggetti sono più deboli di quei disperati che affrontano terribili viaggi e rischiano la vita nel tentativo di raggiungere i nostri paesi? E’ l’articolo 3 capoverso 2 della nostra Costituzione che impone di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l’uguaglianza delle persone. Naturalmente questo non vuol dire non applicare le leggi in tema di migrazione e non punire le loro violazioni. Vuol dire tuttavia che il giudizio, in accordo con quel principio basilare della nostra Costituzione, deve tener conto degli specifici connotati “di fatto” dei casi sottoposti al giudizio. Deve avere, in breve, un’indispensabile dimensione equitativa.

Vengo così a una regola di deontologia giudiziaria sulla quale ho insistito più volte e i cui parametri costituzionali sono stati letteralmente ribaltati dalla sentenza del Tribunale di Locri. E’ la regola dell’equità. Si tratta di una regola a mio parere fondamentale dell’epistemologia giudiziaria, che purtroppo è ignorata dalle teorie processualistiche e, soprattutto, è costantemente violata dall’esercizio burocratico del potere giudiziario. Che cosa è l’equità? L’equità è una dimensione conoscitiva del giudizio che non ha nulla a che vedere con le altre due tradizionali dimensioni conoscitive del ragionamento giudiziario: né con la corretta interpretazione della legge nell’affermazione della verità giuridica, né con la corretta valutazione dei fatti e delle prove nell’accertamento della verità fattuale. Essa riguarda la comprensione e la valutazione delle circostanze singolari e irripetibili che fanno di ciascun fatto, di ciascun caso, di ciascuna vicenda sottoposta al giudizio un fatto, un caso, una vicenda irriducibilmente diversi da qualunque altra, pur se sussumibile – per esempio il furto di una mela come il furto di un diamante – nella medesima fattispecie legale. Giacché ogni fatto è diverso da qualunque altro, e il giudice, ma ancor prima il Pubblico Ministero non può sottrarsi alla comprensione equitativa dei suoi specifici e irripetibili connotati. Giacché il giudice non giudica il furto, o la truffa o il peculato in astratto, ma il furto o la truffa o il peculato concreto: quello, appunto, sottoposto volta a volta al suo giudizio. 

Ebbene, è chiaro che la comprensione del contesto, delle concrete circostanze, delle ragioni singolari del fatto comporta sempre, anzi impone, un atteggiamento di indulgenza a favore dei soggetti più deboli, che più di tutti sono titolari di diritti fondamentali lesi o insoddisfatti. I codici penali prevedono attenuanti e aggravanti per meglio connotare ciascun fatto sottoposto al giudizio. Per esempio l’articolo 62, n. 1 del nostro codice penale prevede l’attenuante consistente nell’“aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale”: circostanza indubitabile nei comportamenti di Mimmo Lucano ma clamorosamente ignorata dalla sentenza dei giudici di Locri. Questa sentenza, con la sua insensata durezza, ci fa dunque comprendere l’assoluta inderogabilità della dimensione equitativa di ogni giudizio, che nessun insieme di circostanze attenuanti o aggravanti è sufficiente a sostituire, essendo essa legata all’infinità dei connotati fattuali dei diversi fatti, ciascuno dei quali, ripeto, è irrepetibilmente diverso da qualunque altro, ed impone al giudice il dovere e la responsabilità di conoscerne e valutarne l’intera complessità e singolarità alla luce dei valori costituzionali. 


Seguono qui due articoli di Enrico Fierro, esempio per tutti coloro, giornalisti e non solo, che non piegano la schiena.

Martedì 30 Marzo 2021

Un processo una farsa

http://www.saleincorpo.it/editoriali/982-un-processo-una-farsa

Il processo a Mimmo Lucano è sempre più politico
di Enrico Fierro
Il Domani, 28 aprile 2021

.http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=99809:il-processo-a-mimmo-lucano-e-sempre-piu-politico&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1