Sul caso Gregoretti un proscioglimento che rimane senza basi legali

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. La sentenza di proscioglimento del Senatore Salvini sul caso Gregoretti è passata piuttosto in sordina nel caos dell’informazione estiva, fortemente condizionata dalla pandemia e dallo scontro sul Green Pass e sull’obbligo vaccinale. Tuttavia non è mancato chi ne ha tentato una utilizzazione distorta, proiettando quanto deciso a Catania sul prossimo processo Open Arms che si apre a Palermo il 15 settembre prossimo. Fermo restando il rispetto per tutte le sentenze della magistratura, non sarà quindi inutile un breve commento, in un momento in cui nel nostro paese è assai vivo il dibattito sul rapporto tra discrezionalità politica e Stato di diritto. Da giuristi non possiamo che partire dalla verifica delle fonti normative su cui si è fondata la decisione deI giudice catanese, che ha largamente trattato di temi squisitamente politici per inquadrare l’attività del senatore Salvini, all’epoca ministro dell’interno, nella complessiva attività del governo di cui faceva parte.

Il GUP dell’udienza preliminare di Catania, nel caso Gregoretti, non ha citato norme che potevano mettere in dubbio la tesi assolutoria, già prospettata dalla difesa ed avallata dalla Procura. Tra i riferimenti normativi mancano norme fondamentali per gli sbarchi dopo operazioni di soccorso, come l’art.10 ter del Testo Unico sull”immigrazione 286/98 ed il Piano nazionale Sar del 1996 (citando invece quello del 2020 aggiornato nel 2021). Il comma 9-quinquies dell’art.12 del Testo Unico 286/98, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 ( Bossi Fini), stabiliva, poi, che le modalità di intervento delle Unità della Marina Militare, e di collaborazione con altre unità navali, dovevano essere definite con decreto interministeriale dei Ministri dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. Che non sembra oggetto di un richiamo specifico.

L’art. 10 ter, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (introdotto con d.l. 17 febbraio 2017 n. 13, conv. in l. 13 aprile 2017 n. 46), esclude qualsiasi ipotesi di trattenimento dei naufraghi a bordo delle navi coinvolte in eventi di soccorso (SAR), ai quali viene garantito l’immediato trasferimento in appositi centri di accoglienza (Hotspot), per i rilievi foto-dattiloscopico e segnaletico, e per le eventuali richieste di protezione internazionale.

Il 27 luglio del 2019 il ministro dell’interno impediva al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione dello steso Ministero di “esitare tempestivamente” la richiesta di indicazione di un porto di sbarco sicuro avanzata dalla Centrale di coordinamento della guardia costiera italiana (IMRCC), bloccando quindi le procedure di sbarco dei migranti.

Come ricorda Il Domani, in un recente articolo, “Il 31 luglio del 2019 i carabinieri consegnano ai magistrati di Siracusa, oltre al verbale di ispezione, un ampio fascicolo fotografico dopo un sopralluogo sulla nave Gregoretti. Lo stesso giorno, il 31 luglio, il Procuratore di Siracusa, con una lettera indirizzata alla Prefettura e alla Questura della città siciliana, chiede di procedere allo sbarco immediato delle persone adducendo motivazioni di tipo sanitario”. 

Nel caso Gregoretti non era certo applicabile il Decreto sicurezza bis 14 giugno 2019 n.53 voluto da Salvini, per dare una base legale ai divieto di ingresso nelle acque territoriali, all’art.2 differenziava il naviglio militare rispetto alle navi civili con riferimento ai divieti di ingresso nelle acque territoriali. Quindi tutti i rinvii contenuti nelle motivazioni del proscioglimento ai casi di soccorso operati dalle ONG sono ininfluenti. Anche perché la Gregoretti doveva ricevere tempestivamente la indicazione di un porto di sbarco dalle autorità marittime competenti (IMRCC) di Roma e le persone erano state trattenute a bordo della nave militare per quattro giorni solo per la contraria volontà del ministro dell’interno. Che autorizzava lo sbarco soltanto il 31 luglio 2019 dopo l’esplicita richiesta della Procura di Siracusa e dopo che cinque paesi europei si erano dichiarati disponibili a dare accoglienza ad una parte dei naufraghi. In ogni caso l’assegnazione dei poteri di vietare l’ingresso nei porti italiani, trasferito dal Ministero delle infrastrutture al ministero dell’interno con il Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, non poteva rilevare nel caso della nave Gregoretti che era una nave militare espressamente esclusa dall’area di applicazione del decreto.

L’articolo 83 del Codice della Navigazione, conferma la distinzione tra navi militari e naviglio commerciale, sancendo che “Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, d i sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”. Una base testuale inattaccabile che lascia senza basi legali la ritardata indicazione di un POS da parte del Viminale, e non permette di avvicinare i casi Gregoretti ed Open Arms. Non era certo necessario, dunque, per valutare il comportamento del senatore Salvini nel caso Gregoretti richiamare i diversi casi di soccorsi operati nel Mediterraneo centrale dalle ONG presenti a partire dal 2016, perché le regole di ingaggio e di coinvolgimento nelle operazioni SAR di navi civili, come nei casi di successiva indicazione di un porto sicuro di sbarco non avevano nulla di comune con le attività d’ufficio operate dalle navi militari della Guardia costiera, nei rapporti tra i diversi ministeri interessati al fine della individuazione di un porto sicuro di sbarco in Italia. Come appare del tutto ridondante il riferimento a “zone grigie” nelle modalità operative dei soccorsi da parte delle ONG, che il Giudice dell’Udienza preliminare di Catania ritiene utile richiamare in un procedimento penale nel quale rilevava esclusivamente l’intervento di unità militari battenti bandiera italiana. Non si coglie in particolare la rilevanza, nella sentenza di proscioglimento nel procedimento Gregoretti, dell’ampio richiamo al procedimento penale per il caso IUVENTA. ancora alla fase di fissazione dell’udienza preliminare, dopo quattro anni dal sequestro della nave e dall’avvio del procedimento penale. Certo serve a cogliere il punto di vista del giudicante, che si lascia andare a considerazioni generiche sulle ONG come “sponda ai trafficanti di migranti”, dunque su un procedimento penale nel quale non è parte.

2. Malgrado la sentenza di proscioglimento con formula piena del giudice dell’udienza preliminare di Catania, si deve ancora considerare quanto affermato dal Tribunale dei ministri di Catania, La decisione del ministro ha costituito esplicita violazione delle convenzioni internazionali in ordine alla modalità di accoglienza dei migranti soccorsi in mare e, al contempo, non sussistevano profili di ordine pubblico di interesse preminente e tali che giustificassero la protratta permanenza dei migranti a bordo della Gregoretti”.

Pure prescindendo in questa sede dal profilo della fondatezza di un udienza preliminare che si è articolata su una pluralità di udienze, costituendo di fatto una sorta di giudizio anticipato, con l’assunzione di nuove prove al di fuori del dibattimento, rimane dubbio come si sia potuto escludere anche “una minima probabilità di colpevolezza dell’imputato”. A fronte dello scarto tra i fatti verificati nello specifico caso Gregoretti nei rapporti esclusivi tra il Ministero dell’interno e le autorità europee, in assenza di basi normative per dare un fondamento legale al potere di veto del ministro dell’interno che vietava prima l’ingresso in porto e poi lo sbarco dei naufraghi ad una nave della Guardia costiera italiana. La memoria difensiva del senatore Salvini e la conseguente “integrazione istruttoria” disposta dal GUP con l’audizione di numerosi politici, persino della ministro Lamorgese, neppure in carica all’epoca dei fatti, hanno permesso alla difesa di fare prevalere considerazioni di ordine finalistico, la difesa dei confini, la negoziazione con l’Unione europea, la sicurezza nazionale, sul riscontro dei fatti oggettivi e sulla ricostruzione del sistema gerarchico delle fonti normative rilevanti nel caso Gregoretti. Che si sarebbe dovuto tenere ben distinto dai casi di precedenti divieti di ingresso nelle acque territoriali impartiti dal ministro dell’interno anche con mezzi irrituali, come le direttive amministrative “ad navem” che dal 2018 vietavano l’ingresso nelle acque territoriali alle navi civili delle Organizzazioni non governative. Semmai qualche linea di paragone si sarebbe potuta tirare con il caso Diciotti, che nel 2018 riguardava già una nave della Guardia costiera, che pure aveva avuto sviluppi diversi dal successivo caso Gregoretti. Nel caso Diciotti il Parlamento si era sostituito all’autorità giurisdizionale, ed aveva negato l’autorizzazione a procedere richiesta dal Tribunale dei ministri, senza che il caso venisse poi portato davanti alla Corte Costituzionale. Un’occasione perduta, come è stato osservato, che non esclude che in futuro la stessa Corte Costituzionale possa essere chiamata a pronunciarsi sulla distinzione tra atto politico ed atto di amministrazione, e quindi sui poteri del ministro dell’interno di vietare l’ingresso nei porti italiani alle navi civili e militari che hanno operato attività SAR ( di ricerca e salvataggio) nelle acque del Mediterraneo centrale, anche al di fuori della zona SAR attribuita all’Italia.

3. La ricostruzione della politica di governo in materia di migrazione e ricollocazione, ampiamente esposta nella sentenza di proscioglimento, sembra omettere passaggi fondamentali, come le reazioni europee al caso Diciotti, e la mancata partecipazione del senatore Salvini alla riunione dei ministri dell’interno dell’Unione Europea, tenutasi a Parigi il 21 luglio 2019, pochi giorni prima del caso Gregoretti. In quella sede il Presidente francese Macron aveva affermato: “Dobbiamo rispettare le regole umanitarie e del diritto marittimo internazionale. Quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto più vicino. È una necessità giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilità”. Malgrado i risultati del vertice di Parigi avessero ottenuto l’adesione di 14 Stati europei Salvini lo definiva un flop ed innescava un confronto con i principali leader europei che comprometteva le possibilità di collaborazione ai fini della ricollocazione. Come veniva definitivamente provato dal successivo vertice di Malta del 23 settembre 2019, fortemente voluto dal governo italiano, nel quale si adottava una bozza di Piano di ricollocazione che raccoglieva soltanto l’adesione di sei paesi UE e restava successivamente del tutto privo di effetti, tanto da scontentare anche i consueti sostenitori dello stesso Salvini. La posizione della Commissione europea sulla individuazione dei porti di sbarco, del resto, era già nota da tempo.

Come riferiva La Repubblica il 26 agosto 2018, in un articolo di Alberto d’Argenio, nei giorni del caso Diciotti, ” per il commissario Ue alle Migrazioni, Dimitri Avramopoulos,“I politici italiani devono mettere fine al gioco delle accuse, attaccare l’Ue significa spararsi nei piedi. Alcuni responsabili di governo per ragioni di politica e consenso interno si comportano in modo poco responsabile mentre sui migranti è necessario andare avanti tutti insieme, oppure il progetto europeo è a rischio”. Secondo Avramopoulos, “la priorità per tutti, Italia inclusa, dovrebbe essere quella di assicurare che le persone sulle navi siano sbarcate”. Lo stesso aggiungeva: “Non spetta alla Commissione dire dove vadano sbarcati, lo stabiliscono il diritto internazionale e la legge del mare, ma certamente bisogna trovare il modo di farli scendere subito a terra. Non sono nemici, non sono una minaccia per la sicurezza nazionale, sono solo persone vulnerabili e i governi hanno un imperativo umanitario ed etico da rispettare: bisogna sbarcarli e offrire loro assistenza e supporto”. Come ha fatto il Giudice dell’udienza preliminare di Catania a dare per buone le giustificazioni fornite dal senatore Salvini che ha motivato il ritardo dello sbarco dei naufraghi, trattenuti quattro giorni a bordo della Gregoretti, con le trattative avviate a livello europeo per la loro successiva ricollocazione in altri Stati ? La comparazione operata tra i casi Diciotti e Gregoretti, è rimasta limitata alle differenti posizioni politiche dei testimoni coinvolti nel procedimento su istanza della difesa, piuttosto che su una ricostruzione della diversa dinamica dei fatti e del quadro normativo che li doveva disciplinare.

Per il caso Diciotti e per la Gregoretti Salvini aveva dunque ordinato il blocco di navi della Marina militare al largo delle nostre coste impedendo di fatto lo sbarco dei naufraghi. Come ricordava il Fatto Quotidiano “tuttavia, mentre nel caso della nave Diciotti – attrezzata per il soccorso in mare – si era trattato di un’azione concertata con tutto il governo per convincere gli altri paesi europei a ripartire le quote di richiedenti asilo da accogliere, nel caso della Gregoretti – destinata all’attività di vigilanza da pesca – il meccanismo di ripartizione era già avviato, per cui non non c’era alcun interesse pubblico o rischio per l’ordine pubblico che potessero giustificare la decisione di bloccare di tenere su una nave oltre 100 persone al largo di Augusta. Almeno secondo il tribunale dei ministri. Inoltre quando la Gregoretti prese a bordo i migranti era appena entrato in vigore il decreto sicurezza-bis voluto dallo stesso Salvini che escludeva espressamente che il divieto di ingresso in acque italiane e di sbarco possa essere applicato a navi militari italiane (come era accaduto un anno prima alla Diciotti, ndr) che, in quanto tali, non possono essere considerate un pericolo per la sicurezza nazionale.”

Il 16 ottobre 2019 la Commissione europea inviava una comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio dell’UE intitolata “Progress report on the Implementation of the European Agenda on Migration”. Secondo questa Comunicazione, nel 2019, “Disembarkation events, including by NGO vessels, in the Central Mediterranean clearly demonstrated the need to find European solutions for a sustainable approach to migration management, based on solidarity, common responsibility and respect of fundamental rights.
Upon requests from Member States, the Commission has coordinated ad hoc relocation exercises throughout the year.

Come ha affermato il ministro Lamorgese nel corso della sua testimonianza, salvo tre casi iniziali appena insediata al Viminale, tutte le richieste di relocation sono sempre partite quando il ministero dell’interno aveva già assegnato un porto di sbarco in Italia. Il governo tedesco, in persona del ministro dell’interno, aveva chiesto lo sbarco in Italia prima della successiva ricollocazione. La eventuale applicazione di clausole in deroga al Regolamento Dublino poteva riguardare solo persone che avessero già manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale e dunque non poteva verificarsi prima del loro sbarco a terra. Questi sono i fatti.

Tutta la ampia ricostruzione degli eventi SAR tra il 2018 ed il 2019, offerta dalla sentenza di proscioglimento, in linea con la memoria difensiva dell’imputato, appare orientata in definitiva a gettare ombre sull’operato delle ONG, da sempre nel mirino del senatore Salvini, piuttosto che a stabilire o a escludere profili di responsabilità nel caso Gregoretti. Del tutto pleonastico il riferimento all’anno 2020, caratterizzato dal diffondersi della pandemia da Covid 19, dunque da vicende di soccorso nel Mediterraneo centrale comunque successive ai fatti oggetto del procedimento Gregoretti, e del tutto irrilevanti in questo procedimento, anche a fronte del mutato quadro politico, istituzionale e sanitario.

4. Tra gli allegati del Piano nazionale SAR si deve richiamare anche la Direttiva numero 1636 del 2 maggio 2006 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, secondo cui a latere dell’intervento delle operazioni di ricerca e salvataggio condotte in mare è necessario provvedere a terra l’organizzazione del Soccorso sanitario e l’assistenza alla popolazione interessata dall’evento con esplicito riferimento al Soccorso sanitario. all’eventuale impiego di mezzi mobili di soccorso sanitario, al trasporto il ricovero dei feriti, alle misure i igienico-sanitarie, all’assistenza psicologica, demandate alle ASP. La Direttiva va letta oggi in rapporto all’art.10 ter del TU n.286/98 in materia di immigrazione, che prevede il cosiddetto approccio Hotspot e distingue espressamente l’ingresso “per ragioni di soccorso” rispetto all’ingresso irregolare o “clandestino”.

Non si possono trascurare le differenti relazioni dell’Autorità garante per le libertà personale sul caso Gregoretti e sui casi delle navi traghetto per la quarantena, a bordo delle quali opera adesso la Croce Rossa.  Che pure presentano molti aspetti critici, ma che certamente sono situazioni non comparabili con una nave militare bloccata davanti ad un porto siciliano nell’estate del 2019. La predisposizione dei servizi di accoglienza a terra, con riferimento al tempo dei fatti riguardanti il caso Gregoretti (luglio 2019), prima dunque della dichiarazione di uno stato di emergenza per la pandemia da Covid 19, non poteva costituire ragione per negare lo sbarco ai naufraghi soccorsi da una nave militare italiana, anche tenendo conto della modesta quantità di sbarchi che si registrava nel 2019, non certo una pressione immane, rispetto agli anni precedenti, e rispetto pure agli anni successivi. Semmai questi ritardi nella collocazione dei naufraghi a terra potevano ricollegarsi al primo decreto sicurezza Salvini del 2018, che destrutturava il sistema di accoglienza già esistente in Italia.

In ogni caso le navi militari a cui sono assimilate quelle della Capitaneria e della Finanza sono a tutti gli effetti di legge territorio italiano, dunque per il trattenimento a bordo delle persone si applica la normativa italiana, a partire dagli articoli 13 e 16 della Costituzione. Se anche si dovesse ritenere che nel caso Gregoretti si sia limitata soltanto la libertà di circolazione e non la libertà personale, sembra violata la riserva di legge stabilita dalla norma costituzionale, perché in capo al ministro dell’interno il potere di vietare l’ingresso in un porto italiano ad una nostra nave militare non è previsto né dal Decreto sicurezza bis del 2019, né da altra norma di legge o di Convenzione internazionale.

5. Il Piano SAR italiano del 1996 fa riferimento alle metodologie tecnico-operative di ricerca e soccorso contenute nel Manuale IAMSAR adottato dall’ Imo nel 1999 contenente linee guida per le organizzazioni S.A.R. nazionali, aventi lo scopo di “meglio chiarire gli obblighi assunti dagli Stati” che hanno ratificato la Convenzione di Amburgo. Secondo le guide linea dell’IMO, ““ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco”. (par. 6.20).

Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (di cui alla Risoluzione MSC 167-78 del maggio 2004), ove si prescrive, peraltro, alle parti contraenti di dotarsi di un Centro nazionale di coordinamento delle attività di soccorso (MRCC – Maritime Rescue Coordination Centre) nonché di appositi piani operativi. In Italia il piano operativo è stato adottato con Direttiva SOP 009/15, edita nel settembre 2015 dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera (l’IMRCC), con l’obiettivo di individuare le procedure da seguire per una più rapida e tempestiva individuazione del POS nei casi in cui l’IMRCC abbia assunto il coordinamento di operazioni di soccorso, quand’anche al di fuori della Search and Rescue Region (SRR). Come ricorda Sandro Saba, in una nota a margine del caso Diciotti, “Nel dettaglio, s’è previsto che, ove l’attività di soccorso in mare sia stata effettuata materialmente da unità navali della Guardia Costiera italiana, la richiesta di assegnazione del POS debba essere presentata da MRCC Roma al Centro nazionale di coordinamento (NCC), con successivo inoltro al Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione del Ministero dell’interno, competente all’indicazione del POS ove operare lo sbarco.” Questa Direttiva rimane alquanto misteriosa, in quanto il Ministero delle infrastrutture ha negato la sua ostensione dopo una richiesta di accesso civico. Sorprende tuttavia la coincidenza di numerazione con altra Direttiva ministeriale, questa del Ministero dell’interno, che riguarda materia ben diversa. Di certo non possono indicarsi tra le fonti normative gli accordi maturati ad un “Tavolo tecnico di coordinamento a livello ministeriale”, quando si riscontrino linee operative in contrasto con quelle fissate dalla legge e dalle Convenzioni internazionali.

La Direttiva SOP 009/2015 redatta dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione e Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ed alla quale avevano contribuito la Commissione Europea, Frontex, Europol, EASO, UNHCR e IOM. regola invece il cd. Approccio Hotspot già previsto a livello europeo nel 2015 (Decisioni adottate dal Consiglio n.1523 del 14 settembre 2015 e 1601 del 22 settembre 2015). Quest’ultima Direttiva ministeriale non contiene disposizioni specifiche sulla indicazione del porto sicuro di sbarco, né fa riferimento ai soccorsi operati da navi militari, ma disciplina le procedure di identificazione da svolgersi a terra, dopo lo sbarco, per distinguere i migranti economici dai richiedenti asilo, dopo la informazione prevista dalla legge.

6. La Corte di Cassazione con la sentenza del 16/20 febbraio 2020 ha riaffermato il principio di gerarchia delle fonti anche rispetto ad atti di discrezionalità amministrativa posti in essere dal Ministro dell’interno. Le autorità politiche e di polizia di uno stato, a partire dal ministro dell’interno, non possono dunque ritenere derogabili le prescrizioni del diritto internazionale marittimo, in nome di un “superiore interesse nazionale alla difesa dei confini”. L’art. 4 del Regolamento europeo 2016/1624, adesso confermato su questo punto dal successivo Regolamento n.1896 del 2019 sulla Guardia di frontiera e costiera europea, prevede espressamente che, nel corso delle operazioni di controllo delle frontiere marittime, le attività S.A.R. continuano comunque ad essere avviate e condotte in conformità a quanto previsto dal Reg. EU 2014/656, ovverosia in conformità alle norme di diritto internazionale sul S.A.R. Come ricorda la corte di Cassazione, “non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave. Come ricorda la Corte di cassazione con la sentenza n. 6626, 16/20 gennaio 2020, al fine della individuazione del cd. Place of safety (POS) “è utile richiamare la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui “la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”. Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi, non determina dunque la conclusione delle operazioni S.A.R., perché le operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro (place of safety o P.O.S.). L’obbligo di individuare detto luogo sicuro, in accordo con tutte le altre Autorità eventualmente interessate, ricade sull’MRCC che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse, in accordo con tutte le altre Autorità governative interessate.

7. Adesso i sostenitori social di Salvini, le tante articolazioni della Bestia, e le sue propaggini giudiziarie, proseguiranno a fare confusione facendo pesare questa decisione sul procedimento Gregoretti nel caso ben diverso del processo Open Arms a Palermo. Eppure questa sentenza fa riferimento ad un importante precedente della Corte Costituzionale che dovrebbe impedire un uso strumentale del concetto di discrezionalità politica.

La sentenza di proscioglimento del senatore Salvini sul caso Gregoretti cita la sentenza n.81 del 2015 della Corte Costituzionale, per distinguere l’atto politico insindacabile dalla giurisdizione, rispetto agli atti di amministrazione posti in essere da singoli ministri. Secondo la Corte Costituzionale,” gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.

Per il GUP di Catania, tuttavia, “nel caso della Gregoretti, la necessità del sacrificio, ben più ridotto rispetto a quello del confinamento nelle navi – quarantena, era dettato dal bisogno della regolamentazione di un flusso migratorio immane, da un continente all’altro, con conseguenti problematiche inerenti alla tutela della sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico, che imponevano la redistribuzione, non gestibile da una sola Nazione”. E dunque “In sostanza, la compressione dei diritti dei migranti trova evidenti giustificazioni nei casi in cui dei valori altrettanto importanti, possano essere messi in pericolo senza tale limitazione. Valori primari, che legittimano l’intervento dello Stato in una direzione piuttosto che in un’altra”.

La conclusione che trae il Giudice dell’Udienza preliminare che ha prosciolto il senatore Salvini, sembrerebbe però escludere la natura politica degli atti a lui contestati, sostenuta dalla difesa, ma se ne afferma la legittimità e dunque l’assenza di qualsiasi rilevanza penale degli stessi, in quanto sarebbero stati conformi “alla cornice normativa in materia di migrazione, senza alcun debordamento dal perimetro precettivo imposto”. Viene da chiedersi allora per quale motivo si è dato tanto spazio alla ricostruzione delle politiche di governo della migrazione e dei rapporti con l’Unione Europea. Sono le norme non gli indirizzi politici di governo che dovrebbero assumere rilievo nei tribunali. Ma le norme, richiamate secondo il principio gerarchico affermato dall’art.117 della Costituzione italiana, andrebbero ricostruite nella loro interezza e nella loro relazione gerarchica, senza mettere sullo stesso piano, se non addirittura ribaltare, con il richiamo a “tavoli tecnici di coordinamento”, decisioni politiche europee, decreti ministeriali, norme di legge, Convenzioni internazionali e Regolamenti o Direttive europee. E’ la Corte di Cassazione che segna invece l’ordine gerarchico della normativa in materia di designazione del place of safety e degli sbarchi successivi.

Deve comunque prevalere il principio di legalità, non la logica o la linea della maggioranza politica. Nelle motivazioni conclusive della sentenza di proscioglimento ritorna invece prepotente il richiamo a una “determinata e ferma linea politica del governo italiano in merito al fenomeno migratorio dalle coste nordafricane, condivisa chiaramente dalle due forze politiche che sostenevano l’esecutivo stesso, oltre che dal Presidente del Consiglio in carica”. Ed ancora “tale linea politica di governo era portata avanti in maniera salda e decisa attraverso una adeguata azione diplomatica a livello europeo, coordinata dalla Presidenza del Consiglio” … mentre … “la strategia anzidetta, sotto il profilo operativo, era soprattutto demandata al Ministro dell’interno dell’epoca dei fatti, senatore Matteo Salvini, e successivamente, dopo la nascita del governo Conte 2, alla nuova ministra dell’interno, Luciana Lamorgese”.

8. Secondo il GUP di Catania, “La formula il fatto non sussiste è stata adottata perché l’imputato ha agito non ‘contra ius‘ bensì in aderenza alle previsioni normative primarie e secondarie dettate nel caso di specie. Allo stesso non può essere addebitata alcuna condotta finalizzata a sequestrare i migranti per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile”.

Quali siano però le “previsioni normative primarie e secondarie dettate nel caso di specie” non appare chiaro. Nei punti decisivi delle motivazioni conclusive della sentenza di proscioglimento si fa così riferimento ad una “ben definita “copertura politica e normativa“, confermata anche dal preaccordo di Malta del 23 settembre 2019, successivo ai fatti e del tutto privo di valenza normativa retroattiva. Appare irrilevante l’episodio introdotto dalla difesa e riferito alla nave Ocean Viking che tra ottobre e novembre del 2019 doveva attendere ben dieci giorni per l’assegnazione di un POS da parte delle autorità italiane, trattandosi di una nave civile appartenente ad una ONG e non di nave militare, peraltro già in acque territoriali, come nel caso della Gregoretti.

L’univa argomentazione di taglio giuridico che viene portata a fondamento della sentenza di proscioglimento finisce così per consistere nella incertezza delle Convenzioni internazionali (UNCLOS, SOLAS, SAR e delle relative linee guida dell’IMO), che imporrebbero lo sbarco a terra dei naufraghi ma, secondo il giudicante, anche non immediatamente, come sembrava ritenere il Tribunale dei ministri, ma “in un tempo ragionevolmente breve” per predisporre le misure di accoglienza a terra. Solo che a fondamento di questa ricostruzione si indica soltanto una non meglio precisata “normativa del tavolo tecnico adottato nel mese di febbraio 2019” che si sarebbe svolto presso il ministero dell’interno,

Anche il riferimento alla misteriosa Direttiva ministeriale SOP del 2015, che stabiliva la competenza del ministero dell’interno nella indicazione del porto sicuro di sbarco, appare ininfluente, ai fini dell’accertamento della non perseguibilità del Senatore Salvini, non trattandosi di norma di legge ma di mero atto amministrativo che non può prevalere rispetto ad obblighi fissati da leggi o da Convenzioni internazionali. D’altra parte il Giudice dell’Udienza preliminare di Catania, quasi smentendo una parte dei precedenti assunti, riconosce “la sostanziale competenza esclusiva del ministero dell’interno”, aggiungendo che il ministro dell’epoca, senatore Matteo Salvini, aveva avocato a sé ogni decisione in materia di eventi riguardanti il salvataggio dei migranti che arrivavano in Italia, in merito alla indicazione del più volte citato place of safety”. In definitiva, però, “un lasso temporale di 2 o 3 giorni intercorrente tra la richiesta e la concessione di un place of safety può essere considerato legittimo” per ragioni logistiche, “oltre che nella prospettiva della redistribuzione a livello europeo”.

Tra le fonti di legittimazione del comportamento del senatore Salvini ci si limita a citare, oltre alla incertezza della normativa internazionale, le decisioni prese dal Tavolo tecnico di coordinamento riunito presso il ministero dell’interno il 12 febbraio 2019. Si cerca così di ricondurre ad una attività di ordinaria amministrazione le scelte del Senatore Salvini che ritardava la indicazione del porto sicuro di sbarco e poi negava per tre giorni l’autorizzazione allo sbarco dei naufraghi. ed a tale scopo si mette in evidenza come, nel diverso caso dei soccorsi operati dalle ONG, anche il successivo ministro dell’interno avesse ritardato per periodi anche superiori ( fino a 10 giorni) l’autorizzazione all’ingresso nelle acque territoriali. Si trascura di ricordare la eterogeneità della normativa introdotta con il decreto sicurezza bis n.53 del 2019, che valeva soltanto per le navi civili delle ONG battenti bandiera straniera, come detto in precedenza, inapplicabile alle navi militari battenti bandiera italiana. I tempi necessari per ottenere dai Partners Europei le indicazioni per le ricollocazioni” richiamati dal GUP di Catania, non potevano rilevare in alcun modo in assenza di uno specifico disposto normativo. Si trattava in sostanza di mere trattative politiche e non di procedure fissate da Direttive o da Regolamenti europei.

9. Nelle parti finali della sentenza di proscioglimento, relative alle questioni riguardanti la presenza di minori a bordo della Gregoretti, e il rispetto dei diritti umani nel corso dell’intera vicenda, si tenta un bilanciamento tra sicurezza dello Stato, ordine pubblico, salvaguardia della salute dei cittadini, ed “il diritto di limitare anche fortemente la libertà dei migranti soccorsi in mare”. Di certo la mancata autorizzazione allo sbarco dei naufraghi non si poteva ricollegare “a precise disposizioni regolamentari per ottenere la redistribuzione in sede europea”, per la precisa e superiore portata normativa dell‘art. 10 comma ter del Testo unico sull’immigrazione n.286/98, secondo cui, “Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento foto-dattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito”. Non si vede come possano incidere sull’applicazione di questa norma di legge, di cui si omette il richiamo,la trattativa a livello europeo, l’impatto della comunicazione mediatica dell’imputato, o la sua intenzione di difendere i confini nazionali o la sicurezza pubblica, come sembra del tutto pleonastico, nella decisione sul caso della nave Gregoretti il riferimento alla ben diversa situazione degli sbarchi per ragioni di soccorso dopo lo scoppio della pandemia, con la conseguente dichiarazione di uno “stato di emergenza”, a febbraio dello scorso anno, e dopo il Decreto interministeriale n.150 del 7 aprile 2020, della cui legittimità è comunque possibile dubitare.

10. Sembra dunque riuscito il tentativo della difesa del senatore Salvini che, nella prospettazione del giudice che lo ha prosciolto, avrebbe adempiuto in tempi ordinari atti conformi ai suoi doveri di ufficio, come se fossero state rimosse dal corso dei fatti le sue dichiarazioni e le sue scelte, esternate anche attraverso i social, nei giorni del fermo della nave Gregoretti fuori dai porti di Catania e di Siracusa.

Il richiamo alla sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale in ordine al riconoscimento delle garanzie stabilite dall’art.13 Cost. alle persone verso cui è in corso un respingimento o una espulsione, nei relativi casi di limitazione della libertà personale, può anche ritenersi ininfluente nel caso Gregoretti. Si dovrebbero piuttosto ricordare al riguardo le sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, 1° settembre 2015 e 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, ove s’è ritenuta la violazione da parte dell’Italia dell’art. 5, par. 1, CEDU (che consente la limitazione della libertà personale, per finalità di gestione del fenomeno migratorio, solo in presenza di base legale nel diritto interno) in ipotesi di trattenimento forzoso presso i centri di soccorso e di prima accoglienza (di cui all’art. 10ter t.u.). Oltre alla limitazione della libertà personale (art.13) va considerata anche la libertà di circolazione (art.16) nelle diverse limitazioni che sono previste dalla legge riguardo alle persone migranti sbarcate a terra dopo essere state soccorse in mare. La compressione della libertà di circolazione dei migranti, nello specifico caso della nave Gregoretti, sembra avvenuta in modalità non conformi a quanto previsto dalla legge, ed al riguardo non si possono invocare accordi di tavoli tecnici tenuti presso il ministero dell’interno, o tentativi di intese politiche a livello europeo. Ancor meno possono assumere rilievo occasionali esigenze organizzative delle prefetture nella individuazione dei centri di prima accoglienza dei naufraghi. Perché l’art. 16 della Costituzione, che pure prevede in casi specifici limitazioni della libertà di circolazione, stabilisce la cd. riserva di legge, e dunque anche i casi di limitazione della libertà di circolazione devono essere previsti con un atto avente forza di legge, per questo venne introdotto l’art.10 ter, del T.U. 286/98, e non possono essere frutto di intese tecniche a livello amministrativo o ministeriale, e neppure oggetto, o conseguenza, di accordi in fieri con altri paesi dell’Unione Europea.