di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli arrivi autonomi dalla Libia e dalla Tunisia, non solo a Lampedusa, e le poche navi umanitarie che non sono state bloccate dai provvedimenti di fermo amministrativo hanno operato al limite delle loro possibilità, con la prospettiva di subire altri fermi una volta che le autorità marittime italiane concedono un porto di sbarco sicuro, sempre tardivamente. L’Unione Europea con le missioni Eunavfor Med IRINI e Frontex si sta mobilitando soltanto per favorire le intercettazioni delegate alla guardia costiera libica, e comunica direttamente con la Centrale “congiunta” di controllo a Tripoli (JRCC) la posizione dei barconi da intercettare. Se prima a coordinare erano le autorità italiane, adesso nella partita dei respingimenti su delega a valenza politica è entrata pesantemente anche la Turchia che controlla i principali porti della Tripolitania, dove ha stabilito basi per le proprie navi militari.
Il vuoto che si è voluto creare nel Mediterraneo centrale, per lasciare campo libero alle motovedette libiche, e per non fare assumere agli stati costieri europei le responsabilità di soccorso, e di conseguente indicazione di un porto di sbarco sicuro, ha comportato un aumento esponenziale delle vittime, oltre 1000 quest’anno. Si muore per annegamento nelle acque internazionali, ma si può morire anche quando la salvezza sembra ormai raggiunta, a poche miglia dalle coste italiane. Quando soccorsi operati prima, in acque internazionali, forse, avrebbero potuto salvare tante vite. Non si hanno notizie di interventi di soccorso operati dalle navi della Marina militare della missione Mare Sicuro, presenti ma invisibili nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Le attività della Guardia di finanza nelle stesse acque sembrano limitate al controllo della cd. immigrazione illegale (law enforcement), ma si tratta di assetti navali che non sono idonei ad operazioni SAR di ricerca e salvataggio.
Sono ancora in fondo al mare, a 90 metri di profondità, tra Lampedusa e Lampione, i corpi di nove persone annegate il 30 giugno scorso, per le autorità italiane che devono organizzare il loro recupero sembra che i costi siano troppo alti.
Si sono rimosse rapidamente le notizie sulle conseguenze di questa situazione indotta dal ritiro del naviglio di soccorso italiano che prima operava nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, ed è ulteriormente accresciuta l’arroganza criminale dei guardiacoste libici ai quali è stato permesso di operare nella zona SAR maltese, fino a 45 miglia a sud di Lampedusa. Attendiamo l’esito delle indagini avviate dalla Procura di Agrigento.
2. In quella stessa zona è in corso da alcune ore l’ennesima emergenza, centinaia di persone a rischio di naufragare, che difficilmente potranno essere soccorse senza l’intervento delle unità della guardia costiera italiana, dopo che Malta ha sistematicamente negato per mesi qualunque intervento SAR nelle acque di propria competenza.
#SeaWatch3 ha lanciato Mayday Relay a tutte le navi in area. @alarm_phone segnala oltre 800 persone in pericolo su diverse barche. Ne stiamo monitorando alcune ma non possiamo intervenire (abbiamo 263 persone a bordo).Cosa aspettano le autorità a fare il loro dovere?
Sembra che nelle ultime ore la Guardia costiera italiana abbia ripreso ad operare soccorsi in acque internazionali, ma le navi più grosse come la Dattilo e la Diciotti rimangono inspiegabilmente lontane dall’area dove potrebbero contribuire a salvare centinaia di vite. Speriamo che oggi la Guardia costiera italiana riesca ad intervenire in tempo. Nel periodo gennaio-novembre 2020 la Guardia costiera italiana ha recuperato in alto mare, al di fuori dell’area SAR italiana, soltanto 181 persone, mentre negli ultimi sei mesi del 2019 le persone soccorse nella stessa area dalla Guardia costiera italiana erano state 368, più del doppio in soli sei mesi. Solo per fare un esempio relativo, nel 2017 la stessa Guardia costiera aveva soccorso nel Mediterraneo centrale, incluse le acque territoriali, oltre 22.000 persone, mentre 5.913 persone venivano soccorse da unità della Marina militare, 1184 dalla Guardia di finanza e 14.976 persone da assetti navali di Frontex. Nello stesso anno, le ONG con il coordinamento della centrale della Guardia costiera di Roma ( non esisteva ancora una zona SAR libica) avevano salvato la vita ad oltre 46.000 persone, malgrado i primi sequestri (caso IUVENTA il 3 agosto 2017) e l’adozione del Codice di condotta Minniti. Il calo è dovuto più alla riduzione delle partenze dalla Libia e dalla Tunisia, che non al blocco delle navi delle ONG, in quanto nel 2021, malgrado la politica dei fermi amministrativi, ed i lunghi tempi di quarantena, gli arrivi autonomi a Lampedusa sono più che raddoppiati rispetto agli ultimi due anni., tenendo anche conto di oltre 18.000 persone riportate indietro dai libici (dati OIM), dopo essere state intercettate in alto mare. Come sono più che raddoppiate le vittime di naufragio.
Rimangono ancora incerte le linee operative alle quali si attengono gli assetti militari italiani nei casi di attività SAR di ricerca e salvataggio in acque internazionali. Dal 2018 non viene più pubblicato il Dossier annuale della Guardia costiera che riassumeva il contesto operativo ed i principali dati delle operazioni SAR che si svolgevano nel Mediterraneo centrale. Le informazioni che si ricavano dai social e dai siti ufficiali sono sempre più lacunose. Le richieste di informazioni per accesso civico vengono generalmente eluse con motivazioni che si richiamano alla sicurezza nazionale o alle relazioni diplomatiche con altri Stati.


3. Adesso occorre predisporre un piano coordinato di soccorsi in acque internazionali, con le autorità maltesi, e con i vertici delle missioni europee, per impedire che altre vite vadano perdute e che i libici compiano altre intercettazioni proibite dal diritto internazionale. Lo impongono le Convenzioni internazionali di diritto del mare, e lo impone la normativa italiana, come il Piano SAR nazionale 2020, che stabilisce in questi casi precisi obblighi di intervento per le autorità marittime italiane anche al di fuori delle acque territoriali e della zona contigua (24 miglia dalla costa). Perché il valore primario da salvaguardare è la vita umana ed in alto mare non ci sono “clandestini” da arrestare ma persone da soccorrere.
Si deve innanzitutto considerare come i Regolamenti europei n.656/2014 e n.1896/2019 prevedano espressamente un richiamo a tutte le Convenzioni internazionali di diritto del mare, congiuntamente alla Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati. Anche secondo l’ordinamento nazionale, l’ingresso per ragioni di soccorso rimane ben distinto dal cd. ingresso irregolare o “clandestino”, come è ribadito dall’art.10 ter del Testo Unico 286/1998 in materia di immigrazione, in base al quale “lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi.” (cd. approccio Hotspot).
In base all’art. 98 della Convenzione Unclos del 1982, che sancisce l’“Obbligo di prestare soccorso”, ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:1.presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; 2.proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa. In base alla stessa Convenzione, ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali. Tale obbligo di collaborazione ai fini del soccorso in mare è ulteriormente specificato in altri Trattati internazionali di diritto marittimo, i più importanti dei quali sono la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (Solas)[ e la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR).
Nelle sue linee applicative il Piano nazionale SAR italiano 2020 fa riferimento alle metodologie tecnico-operative di ricerca e soccorso contenute nel manuale IAMSAR adottato dall’ Imo nel 1999 contenente linee guida per le organizzazioni S.A.R. nazionali, aventi lo scopo di “meglio chiarire gli obblighi assunti dagli Stati” che hanno ratificato la Convenzione di Amburgo. La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974( Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte “…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…” (Capitolo V, Regola 7) . La stessa Convenzione SOLAS obbliga il“comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…” [Capitolo V, Regola 33)
In base al punto 3.1.9 della Convenzione di Amburgo del 1979, oggetto di un emendamento introdotto nel 2004, che Malta non ha mai ratificato, “la Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.
La Risoluzione MSC 167-78 ha quindi individuato delle “linee guida”1 che costituiscono la cornice entro cui i singoli Stati possono disciplinare la materia: esse, in particolare, prevedono che ciascuno Stato dovrebbe disporre di piani operativi che disciplinino in dettaglio le modalità con cui deve effettuarsi l’azione di coordinamento, per affrontare tutti i tipi di situazioni SAR. Come ricordano gli stessi giudici,“la Risoluzione citata individua altresì il principio del centro di coordinamento di “primo contatto” stabilendo che (punto6.7) “Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l’assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio,poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l’RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità.” Lo stesso principio è ribadito dal paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR, Vol 1, dove si prevede che un RCC (Rescue Coordination Center) dopo la ricezione di una chiamata di soccorso, diventa responsabile nella gestione delle relative operazioni S.A.R. fino a quando altra autorità competente non assuma il coordinamento.
Come richiamato dai giudici del Tribunale dei ministri di Palermo nel caso Open Arms, “deve escludersi che lo Stato di “primo contatto” si identifichi con quello di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio; tale individuazione, invero, confligge innanzitutto con la stessa lettera del testo normativo di riferimento (Risoluzione MSC 167-78), che al punto 6.7 fa esplicito riferimento al “primo RCC contattato”, esigendo, dunque che il “contatto” sia realizzato con il centro di coordinamento per le attività di ricerca e soccorso costituito, in ottemperanza alle linee guida IMO, presso ogni Stato aderente alle convenzioni in materia; essa, poi, appare incoerente con lo scopo perseguito dalle richiamate linee guida (criterio ermeneutico, questo, di primaria rilevanza nell’applicazione dei trattati e delle convenzioni internazionali), scopo che, come s’è detto, consiste nel far sì che la collaborazione degli Stati converga verso il risultato di consentire alle persone soccorse di raggiungere quanto prima un posto sicuro, arrecando alla nave soccorritrice il minimo sacrificio possibile”
4. In base al Paragrafo 240 del Piano nazionale Sar 2020, “Inoltre all’esterno dell’area di responsabilità nazionale l’I.M.R.C.C. coordina le azioni a favore di mezzi e persone in pericolo, nei casi in cui agisca in qualità di primo R.C.C. informato dell’evento e fino a quando l’R.C.C. competente, o altro RCC in grado di poter meglio assistere, assuma il coordinamento delle operazioni SAR£. Il Centro di coordinamento che ha avuto notizia dell’evento SAR valuterà richiesta di Cooperazione di altri MRCC circa disponibilità di proprio risorse SAR nell’ambito dell’intera regione di responsabilità nazionale anche a prescindere dall’esistenza di accordi bilaterali o regionali in materia. Questa previsione appare della massima importanza e costituisce una forte innovazione anche alla luce dei casi di conflitto con le autorità di Malta, che si sono verificati in questi anni e in particolare, dopo il naufragio dell’ 11 ottobre 2013 nel quale persero la vita centinaia di migranti e su cui attualmente è aperto un procedimento penale davanti al Tribunale di Roma. e non si è fatta ancora luce sulla strage di Lampedusa del 3 ottobre di quello stesso anno.
Preoccupa sempre di più il vuoto che si è creato nel Mediterraneo, suddiviso in diverse aree di competenza SAR, nel campo della giurisdizione. Fino a quando si erano verificati respingimenti collettivi, come nel caso Hirsi, o con i sequestri penali, adottati sulla base dei provvedimenti amministrativi di diniego di ingresso nelle acque territoriali, le sentenze dei giudici europei ed italiani avevano permesso la tutela del diritto al soccorso, al punto di riconoscere il salvataggio in mare come adempimento di uno specifico dovere, qualificabile come esimente in caso di esercizio dell’azione penale. Con il sovrapporsi dei provvedimenti di fermo amministrativo, basati sulla sostanziale equiparazione delle navi private delle ONG a navi di trasporto passeggeri, e con le sanzioni amministrative che attribuivano natura commerciale ad attività dovute di ricerca e salvataggio, potrebbero rimanere al di fuori di qualsiasi giurisdizione tutti gli eventi SAR che si verificano in alto mare, inteso come acque internazionali.
Il nuovo Piano Sar Nazionale 2020 potrebbe favorire un maggior rispetto del diritto internazionale e del principio di gerarchia delle fonti, con il richiamo prevalente alle Convenzioni internazionali di diritto del mare, al Manuale IAMSAR ed alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.
Oggi occorre soccorrere vite in pericolo, e non dubitiamo che la Guardia costiera metta di nuovo al servizio di tutti le sue immense risorse di professionalità. Ma la sfida per garantire effettivamente i soccorsi in alto mare rimane aperta, tra una politica insofferente a qualsiasi sindacato di legittimità, ed una giurisdizione che appare sempre più in crisi quando la decisione, in materie che toccano i controlli di frontiera e le migrazioni, può assumere rilievo sulle scelte politiche o sui rapporti con altri Stati. La tutela dei diritti fondamentali, ed tra questi del diritto alla vita ed al soccorso in mare, per non parlare del diritto di asilo e del divieto di respingimento, non possono comunque rientrare nell’area dei diritti modificabili in base ad una scelta discrezionale delle autorità amministrative, come quelle che si continuano a verificare nei confronti degli attori civili e militari coinvolti nelle operazioni di intercettazione e di salvataggio in alto mare.
