Respingimenti collettivi su delega : fuga dalle responsabilità nel voto del Parlamento italiano

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. La prassi dei respingimenti collettivi delegati ai libici è ormai il fulcro delle politiche di esternalizzazione (dimensione esterna) dei controlli di frontiera che le autorità europee ed italiane praticano da anni, dopo gli accordi bilaterali stipulati dai governi italiani e maltesi, e la creazione di una fittizia zona SAR (ricerca e salvataggio) comunicata nel 2018 dal governo di Tripoli all’IMO (Organizzazione internazionale del mare), con sede a Londra ma facente capo alle Nazioni Unite. Una zona SAR nata come conseguenza diretta degli accordi tra i governi italiani e le autorità di Tripoli. Una zona SAR che si è subito trasformata in un area di soprusi e di morte, piuttosto che riuscire ad essere davvero funzionale alla salvaguardia della vita umana in mare.

Per effetto di queste prassi, consolidate attraverso accordi operativi segreti ai quali ha partecipato anche l’agenzia europea FRONTEX, è aumentato il numero dei migranti che, sebbene giunti in acque internazionali, persino nella zona SAR maltese, sono stati ripresi dalle motovedette libiche, donate ed assistite dall’Italia, e risulta raddoppiato quest’anno, il numero delle persone che hanno fatto naufragio ed hanno perso la vita sulla rotta del Mediterraneo centrale. Nelle acque internazionali tra la Libia, la Tunisia e l’Italia si è fatto il vuoto con il ritiro delle navi militari o con il loro disimpegno da operazioni di ricerca e salvataggio, che fino al 2017 avevano salvato decine di migliaia di vite. Negli ultimi anni si è condotta una strategia mediatica e giudiziaria, più recentemente anche attraverso la prassi dei fermi amministrativi delle navi delle ONG, per tenere lontane quelle imbarcazioni private inviate dalla società civile, che impropriamente venivano definite come un fattore di attrazione (pull factor), ma che dovevano essere eliminate perché testimoni di vari casi di abbandono in mare e di omissione di soccorso da parte delle autorità statali ed europee.

Il rinnovo del finanziamento della missione italiana di supporto alle autorità libiche per il contrasto di quella che si continua a definire soltanto come “immigrazione illegale” e il procedimento avviato dal Parlamento europeo per accertare le gravi corresponsabilità di Frontex nelle politiche di abbandono in mare, hanno visto politici di governo ed esponenti di Frontex e di altri corpi militari, tentare una vera e propria fuga dalle responsabilità, per evitare che potessero essere sanzionate scelte che avevano comportato la perdita di centinaia di vite e la tortura o altri trattamenti inumani o degradanti per le persone che, intercettate in acque internazionali su mandato europeo, italiano o maltese, erano finite, subito dopo la riconduzione a terra, in centri di detenzione ancora oggi luogo di abusi di ogni genere.

Secondo Amnesty International, ancora a partire dalla fine del 2020, “la Direzione per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’Interno della Libia, ha legittimato le violazioni dei diritti umani, integrando tra le strutture ufficiali due nuovi centri di detenzione dove negli anni scorsi le milizie avevano sottoposto a sparizione forzata centinaia di migranti e rifugiati”.

Malgrado la gravità dei rilievi delle maggiori organizzazioni umanitarie, malgrado i Rapporti delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa confermassero tutte le denunce fatte da anni dalle ONG e dai pochi osservatori rimasti indipendenti, il Parlamento italiano ha votato il rifinanziamento delle missioni in Libia nella prospettiva di trasferire sulle autorità europee la responsabilità per il coordinamento delle attività di cooperazione pratica con la Guardia costiera libica e con la nuova forza navale che controlla le coste libiche, definita GACS (General Administration for Coastal Security). Mentre rimane avvolto nella nebbia il ruolo della missione europea EUBAM che pure secondo fonti di Bruxelles avrebbe dovuto giocare un ruolo più incisivo nella sorveglianza delle frontiere libiche..

Intanto il Parlamento europeo non arriverà ad ottenere le dimissioni del Direttore generale di Frontex perchè non sembra raggiunta la prova del coinvolgimento diretto di Frontex nei respingimenti collettivi in Egeo, anche se sono stati dimostrati numerosi comportamenti abusivi di singoli agenti. Dopo le pesanti ingerenze dei governi, che ormai si prodigano negli interventi ad adiuvandum in favore degli Stati convenuti dalle parti ricorrenti, non rimane molto da attendere dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dove pure sono stati presentati ricorsi contro respingimenti collettivi eseguiti nel Mediterraneo. Rimangono comunque aperte alcune vie di ricorso ed importanti sedi di denuncia. Innanzitutto gli uffici dei Commissari ai diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. E diventa ancora più rilevante il ruolo dei giudici nazionali, anche se è sempre più evidente il tentativo di “addomesticare” attraverso spregiudicate operazioni mediatiche gli organi giurisdizionali interni, che intanto hanno aperto diversi procedimenti sui casi di abbandono in mare. Dalla “Strage dei bambini” del 2013, fino al più recente caso dell’aggressione armata di una motovedetta libica ai danni di un barcone carico di migranti che si trovava in zona SAR maltese, a 45 miglia a sud di Lampedusa, su cui sta indagando la Procura di Agrigento. La ricostruzione di un quadro di responsabilità istituzionali sui casi di mancato soccorso in acque internazionali e di abbandono alle motovedette libiche è dunque ancora utile, anche per contrastare la disinformazione e la confusione prodotta da chi non vuole pagare il conto di scelte politiche ed operative che sono costate la vita di migliaia di persone innocenti.

Dal momento che nessuno sembra più mettere in discussione la collaborazione con il governo di Tripoli e con la sedicente Guardia costiera libica, anche se costituisce fatto notorio quale sia il costo umano degli accordi operativi stipulati con i libici, tutti i decisori politici, ed a seguito i vertici militari, cercano di fuggire dalle proprie responsabilità, nascondendosi dietro il rimpallo delle attribuzioni decisionali ed operative tra gli Stati, l’Unione Europea, e l’agenzia Frontex, che peraltro è dotata di autonoma personalità giuridica, e dunque mantiene una elevata autonomia rispetto alle istituzioni europee ed ai singoli Stati che la ospitano.

2. Pochi giorni prima del dibattito nel Parlamento italiano sul rifinanziamento delle missioni in Libia, in una audizione parlamentare, il ministro della difesa Guerini ha riconosciuto espressamente il ruolo di coordinamento della sedicente Guardia costiera libica operato dalle autorità italiane, con la missione della Marina militare NAURAS, di base a Tripoli dal 2018, almeno fino a luglio dello scorso anno, Secondo il ministro “”A partire dal 3 luglio 2020, l’attività è condotta in piena autonomia dalla Marina libica, presso proprie infrastrutture a terra e senza il coinvolgimento alcuno di personale della Difesa italiana“,

 Guerini ha ricordato che la missione Mare Sicuro (Nauras) e la missione UE IRINI, “a fronte impronta italiana”, secondo quanto riporta il sito del ministero della difesa, “costituiscono la dorsale principale della nostra presenza nel Mediterraneo. A queste si aggiungono il nostro contributo all’operazione NATO Sea Guardian nonché tutte le attività di dialogo e cooperazione con i paesi del Bacino”. Sono rimaste inascoltate tutte le richieste dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e di Medici senza frontiere, che pure lo scorso 7 luglio erano state sentite in Parlamento. dopo che il 17 giugno scorso, sullo stesso tema, erano stati sentiti il responsabile del Programma difesa dell’Istituto di affari internazionali, e il direttore dell’editoriale Analisi-Difesa.

E’ stata confermata anche la presenza a Tripoli di una motovedetta della Guardia di finanza, non si comprende se con un ruolo autonomo, oppure all’interno delle attività dell’agenzia europea Frontex, con cui la Guardia di finanza italiana collabora stabilmente. Già nel 2018 peraltro il Giudice delle Indagini preliminari di Catania aveva riconosciuto il sostanziale coordinamento delle motovedette libiche da parte delle autorità italiane e lo stesso accertamento traspare in diversi procedimenti penali intentati contro le ONG e poi archiviati.

Non si comprende neppure cosa sia cambiato in questo ultimo anno per escludere il coordinamento italiano delle operazioni SAR dei guardiacoste libici. A meno di non ritenere che l’attuazione degli accordi intercorsi tra la Guardia costiera libica e le autorità militari turche,(in base al più ampio Accordo del 27 novembre 2019, tra la Turchia e il governo di accordo nazionale libico (GNA) che delimita nuovi confini marittimi tra i due paesi per rafforzare “la sicurezza e la cooperazione militare”), non abbia fatto saltare quella catena di comando italo-libica che si era instaurata dopo il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2 febbraio 2017 che ancora oggi si ritiene in vigore. Ma se così fosse, sarebbe opportuno che qualcuno ne renda conto in Parlamento, quando si tratta di rifinanziare le missioni italiane in Libia. In un momento di delicata transizione verso le elezioni e la riunificazione del paese, scelte che sbilanciano gli assetti militari, al preteso fine di contrastare l’immigrazione irregolare, potrebbero avere conseguenze devastanti su un processo di conciliazione nazionale che appare ogni giorno più a rischio.

Si prospetta adesso il trasferimento dei compiti di assistenza e coordinamento delle attività SAR nelle acque del Mediterraneo centrale dagli Stati direttamente responsabili, dall’Italia in particolare, alle missioni di fatto congiunte di Eunavfor Med IRINI e di Frontex. secondo un emendamento presentato dal PD ed approvato in Commissione, prima del voto finale, “con riferimento alla missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera della Marina militare libica ed alla General administration for coastal security si propone di autorizzarla, impegnando il Governo ad una verifica per superare, nella prossima programmazione, la suddetta missione, proponendo di trasferire le funzioni della stessa alla missione bilaterale Miasit Libia e alla missione Irini”.

Una mossa propagandistica, di certo un rinvio, probabilmente un mero annuncio, come lo scorso anno veniva annunciato un Memorandum con la Libia sui diritti umani, mai più redatto. Una ennesima “invenzione estiva”, insomma, che non alleggerisce per nulla le evidenti responsabilità di chi ha votato a favore del rifinanziamento della missione italiana in Libia sulla base di una scelta condivisa dal gruppo dirigente del Partito democratico ( vedi in calce l’audizione del ministro della difesa Guerini).

Secondo l’ emendamento votato su proposta del PD, dunque si “impegna il governo a verificare dalla prossima programmazione le condizioni per il superamento della suddetta missione”. di assistenza alla Guardia Costiera libica, trasferendone le funzioni ad altre missioni “per consolidare il ruolo dell’Italia in Libia, razionalizzare la struttura di comando e potenziare il ruolo europeo”. Una ipotesi priva di fattibilità per la presenza non certo convergente, in quelle stesse acque internazionali del Mediterraneo centrale , della Marina militare turca, che dal 2019 ha stipulato un accordo di “cooperazione pratica” con la Guardia costiera libica. Per un anno gli abusi commessi dai libici potranno continuare impunemente, e nel 2022 nessuno può prevedere quale sarà la situazione sul terreno in Libia, e quali governi proseguiranno il loro confronto sui tanti dossier aperti con Tripoli. Quanto deliberato oggi dal Parlamento italiano rimane solo un tentativo di scaricare gravissime responsabilità legate al rifinanziamento delle missioni militari in Libia.

Il voto parlamentare non ha comunque conseguenze tali da comportare un sostanziale mutamento nella catena di comando, e dunque nelle responsabilità italiane e maltesi sulle attività di ricerca e soccorso (SAR) in acque internazionali, che continuano ad essere subordinate alle politiche statali di controllo delle frontiere marittime e di contrasto dell’immigrazione irregolare.

Del resto le Convenzioni internazionali ed i Regolamenti europei non sono modificabili dai voti sulle missioni militari all’estero. Occorre dunque ricordare che gli obblighi di soccorso a carico degli Stati rimangono comunque al rango più elevato della gerarchia delle fonti, e che in base alla normativa che regola le missioni di Eunavfor Med e di Frontex l’operato degli assetti militari che compongono queste operazioni risponde sempre ai vertici militari e politici degli Stati ospitanti. Nel caso della operazione Eunavfor Med Irini, in particolare, la base operativa della missione si trova in Italia, come è italiano il Comandante operativo. Nel caso delle missioni Frontex vale la catena di Comando che vede al vertice le autorità di polizia dello Stato ospitante, dunque il Ministero dell’interno, per il coordinamento delle operazioni SAR, anche perché è questo Stato che dispone di una organizzazione SAR ed è titolare degli obblighi di ricerca e soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Obblighi inderogabili, incluso il rispetto del divieto di respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 (art.33), che evidentemente non possono essere trasferiti ad agenzie europee che non sono parte delle Convenzioni (SAR) di Amburgo, della Convenzione SOLAS e della Convenzione UNCLOS.

In particolare, secondo la Convenzione di Amburgo del 1979 ed i suoi emendamenti più recenti, quelli del 2004, non sottoscritti da Malta, se le autorità italiane sono avvertite di un evento di soccorso in atto non possono classificarlo come mero “evento migratorio” o trasferire la responsabilità di coordinare (on behalf) le attività SAR ad uno Stato che non è evidentemente in grado di intervenire, o si rifiuta espressamente di inviare propri mezzi. Sebbene gli articoli degli emendamenti alle Convenzioni SAR e Solas non siano di per sé strumenti giuridici vincolanti, sono considerati dalla giurisprudenza, anche in Italia ( si veda Cassazione 16 febbraio 2020, caso Rackete), come fonte del diritto internazionale consuetudinario che stabilisce precisi obblighi di soccorso in mare, e dunque la responsabilità degli Stati. e sono stati indicati da corti e tribunali internazionali come una fonte autorevole del diritto internazionale. Chi non rispetta quegli obblighi di soccorso può andare incontro a procedimento davanti alle giurisdizioni nazionali ed internazionali. La salvaguardia della vita umana in mare rimane priorità assoluta che non può essere subordinata agli accordi bilaterali per contrastare l’immigrazione irregolare.

La materia dei soccorsi in mare in acque internazionali è inoltre disciplinata dalle prescrizioni vincolanti date dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 ( a partire dal divieto di refoulement in paesi non sicuri imposto dall’art. 33), e dunque non si vede come gli Stati possano trasferire queste responsabilità attribuendo ad una agenzia amministrativa come FRONTEX, o a una missione militare, peraltro promossa in sinergia con le Nazioni Unite (risoluzioni 2146 (2014) e 2362 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU, come Eunavfor Med IRINI, il compito di interagire e coordinare attività operative SAR con le autorità libiche. La Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, né dà attuazione ad altri strumenti pattizi regionali (come la Convenzione OUA) che garantiscano il diritto alla protezione internazionale. Nei campi di detenzione libici, con la complicità delle milizie legate al governo di Tripoli i trafficanti continuano ad avere libero accesso e gli abusi sono quotidiani.

Il principio di non respingimento si applica ovunque uno Stato eserciti la giurisdizione, anche quando agisce al di fuori del suo territorio (anche al di fuori delle sue acque territoriali) nel contesto di operazioni di ricerca e soccorso o di intercettazione in mare. In base all’art. 4 del Regolamento FRONTEX n.656/2014, tuttora vigente in quanto non è stato abrogato dal più  recente Regolamento sulla Guardia di frontiera e costiera europea del 2019.“Nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento”. Inoltre, “In sede di esame della possibilità di uno sbarco in un paese terzo nell’ambito della pianificazione di un’operazione marittima, lo Stato membro ospitante, in coordinamento con gli Stati membri partecipanti e l’Agenzia, tiene conto della situazione generale di tale paese terzo”. La eventuale delega all’agenzia Frontex relativa alla gestione dei rapporti con la Guardia costiera libica, non esclude quindi una precisa corresponsabilità dello “Stato ospitante” relativamente alla violazione del divieto di respingimento verso paesi, come la Libia, che non sono in grado di garantire porti sicuri di sbarco. Particolari tutele sono poi previste in favore dei soggetti vulnerabili. Infatti “nel corso di un’operazione marittima le unità partecipanti rispondono alle particolari esigenze dei minori, compresi i minori non accompagnati, delle vittime della tratta di essere umani, di quanti necessitano di assistenza medica urgente, delle persone con disabilità, di quanti necessitano di protezione internazionale e di quanti si trovano in situazione di particolare vulnerabilità”. Inoltre, secondo l’art. 9 del Regolamento europeo n.656/2014, “qualora il centro di coordinamento del soccorso di un paese terzo competente per la regione di ricerca e soccorso non risponda alle informazioni trasmesse dall’unità partecipante, questa contatta il centro di coordinamento del soccorso dello Stato membro ospitante, salvo che tale unità partecipante ritenga che un altro centro di coordinamento del soccorso riconosciuto a livello internazionale sia in condizione di assumere in maniera più efficace il coordinamento della situazione di ricerca e soccorso.

Secondo le Linee Guida dell’IMO per il salvataggio in mare, recepite dal Piano SAR nazionale, e secondo il Manuale IAMSAR, si ribadisce che il primo MRCC (Centro di coordinamento nazionale) contattato rimane responsabile del coordinamento del caso fino a quando il RCC (centro di coordinamento) responsabile [vale a dire. l’RCC responsabile della regione SAR in cui viene prestata l’assistenza] o altra autorità competente si assume la responsabilità. Assegnare ai comandi delle missioni europee di Eunavfor Med IRINI o di Frontex la responsabilità di coordinare gli interventi di soccorso in cooperazione con la guardia costiera libica costituisce dunque una evidente ed illegittima fuga dalle responsabilità per lo Stato che ospita una missione della stessa agenzia, che potrebbe tradursi in una vera e propria omissione di soccorso, sanzionabile anche a livello di giurisdizione interna. In ogni caso, quando si fornisce assistenza ad uno stato costiero in attività di ricerca e salvataggio (SAR), come avviene oggi da parte delle autorità italiane e maltesi, e come in ipotesi dovrebbe avvenire da parte delle missioni europee di Eunavfor Med e di IRINI, in base al diritto internazionale, questi Stati, e queste autorità europee, possono essere ritenuti responsabili, anche in concorso, in relazione alle violazioni dei diritti umani commesse dallo ( o nello) stato costiero cui si presta assistenza, nel nostro caso non solo la Libia ma anche la Tunisia. In base all’articolo 16 del Progetto di Convenzione sulla responsabilità degli Stati per atti illeciti a livello internazionale, si prevede infatti la responsabilità dello Stato in caso di aiuto o assistenza nella commissione di un atto illecito a livello internazionale da parte di un altro Stato.

Occorre ricordare al riguardo che mentre Frontex è una agenzia dotata di personalità giuridica autonoma in base al Regolamento europeo 2007/2004 che la istituisce, la missione Eunavfor Med IRINI si ricollega ad un mandato che non è soltanto europeo, ma discende da deliberati delle Nazioni Unite. Tutto questo rende ancora più insostenibile la posizione di chi oggi in Italia, per rendere accettabile la proposta di rinnovare il sostegno alle missioni militari italiane in Libia, annuncia unilateralmente, a nome del governo italiano, che dal prossimo anno le responsabilità di coordinamento dei Guardiacoste libici, e più in generale la cooperazione operativa con le autorità libiche, possano essere trasferite su una missione militare europea, che si basa peraltro su un mandato ONU, recepito dal Consiglio europeo, e che già incontra forti resistenze da parte del governo turco, dopo che in diverse occasioni, al largo delle coste libiche, si sono sfiorati veri e propri incidenti militari.

3. Non rimane a questo punto che proseguire con le attività di denuncia e con i tentativi di dare voce a chi viene fatto scomparire nei campi di detenzione. La Camera non si è divisa sul voto del rifinanziamento della missione italiana in Libia, ma ha votato a larghissima maggioranza. Un dato del quale tutti devono tenere conto. Ma occorre anche continuare a sostenere soluzioni diverse nei rapporti con le autorità libiche e sui soccorsi nel Mediterraneo centrale che non mancano, e sono state recentemente segnalate in un recente documento firmato da AMNESTY International, da ECRE e da Human Rights Watch. Sono le stesse richieste che facciamo da anni e che continueremo a riproporre anche se la maggioranza che ha approvato il rifinanziamento della missione italiana in Libia ha avuto numeri schiaccianti e gode di un vasto sostegno nel paese, dopo anni di campagne securitarie e di allarmi lanciati per vincere ad ogni tornata elettorale.

Proteggere i diritti nella cooperazione con la Libia in materia migratoria

La cooperazione con il Governo di unità nazionale (Gnu) della Libia che consente alle forze libiche di intercettare le persone in mare e riportarle in Libia continua a svolgere un ruolo centrale nella strategia europea che ha lo scopo di ridurre il numero di arrivi irregolari in Europa via mare. Questa strategia prosegue, nonostante le evidenze che essa favorisca le terribili sofferenze di donne, uomini e bambini che vengono rimpatriati in Libia. La Libia non costituisce un porto sicuro ai fini del diritto internazionale, come riconosciuto dall’Unhcr e da numerose altre istituzioni, considerato il rischio costante che rifugiati, richiedenti asilo e migranti siano soggetti a gravi violazioni e abusi dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, rapimenti, torture e altri maltrattamenti, uccisioni illegali, stupro e altre violenze sessuali, lavoro forzato, negazione dell’assistenza medica ed espulsioni illegali. Inoltre, le autorità libiche sono inadempienti rispetto alle proprie responsabilità in ambito SAR, quali il dovere di garantire il coordinamento efficace e tempestivo delle operazioni di soccorso e l’indicazione di un porto sicuro per lo sbarco, e la loro condotta in mare mette in pericolo vite umane. In tale contesto, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch raccomandano che le istituzioni UE e i suoi stati membri:

 Riesaminino e riformino le politiche di cooperazione con le autorità libiche in materia di gestione delle frontiere e migrazione, al fine di interrompere qualsiasi azione che contribuisca al contenimento delle persone in Libia, dove sono in grave pericolo. In particolare, modifichino i termini della cooperazione con le autorità libiche in tema di gestione frontaliera e migrazione e concentrino gli interventi sulla priorità da dare alla protezione dei diritti umani, anche attraverso una tempestiva evacuazione delle persone a maggior rischio di violazioni dei diritti umani. La politica della UE e la sua strategia di finanziamento in relazione alla Libia dovrebbero avere quale scopo la promozione del rispetto, della protezione e della realizzazione dei diritti umani di tutte le persone che si trovano sotto la giurisdizione delle autorità libiche, tra cui rifugiati, richiedenti asilo e migranti, invece di porsi come obiettivo il controllo delle migrazioni nella UE e/o nei suoi stati membri. Inoltre, dovrebbero contenere una forte componente di due diligence per valutare i rischi in materia di diritti umani e adottare misure efficaci per la loro prevenzione e mitigazione, ed eventuali rimedi.

Limitino la cooperazione con la Guardia costiera libica e l’Amministrazione generale per la sicurezza costiera in acque internazionali ai casi in cui il loro intervento è essenziale per evitare imminenti perdite di vite umane. Subordinino la cooperazione con le autorità marittime libiche a misure volte a prevenire lo sbarco in Libia delle persone soccorse, anche chiedendo alla Guardia costiera libica e all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera di: a) limitare le proprie attività SAR alle acque territoriali libiche, ad eccezione dei casi in cui le loro navi possano rispondere più velocemente a imbarcazioni in difficoltà in acque internazionali; (b) assicurare che tutte le imbarcazioni civili, comprese le imbarcazioni gestite dalle Ong, siano perfettamente in grado di svolgere attività SAR essenziali, senza alcun ostacolo, anche nella zona SAR libica; c) astenersi dal dare indicazioni a qualsiasi imbarcazione di far sbarcare in Libia le persone soccorse o di trasferirle su imbarcazioni libiche, laddove appaia chiaro che tali imbarcazioni faranno sbarcare le persone in Libia; e d) concordare di trasferire le persone salvate in acque internazionali su navi che le faranno sbarcare in luoghi sicuri, diversi dalla Libia.

Si impegnino insieme alle Nazioni Unite e all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) nella definizione di procedure operative, in piena conformità con il diritto e gli standard internazionali, per le operazioni SAR all’interno della zona SAR libica. Fino a quando ciò non accadrà, garantiscano che, conformemente agli obblighi previsti dalle convenzioni SAR, i centri europei di coordinamento per il soccorso esercitino immediato coordinamento qualora vengano segnalate imbarcazioni in difficoltà, anche in acque internazionali all’interno della zona SAR libica, in particolare quando le autorità libiche non adempiano alle proprie responsabilità di coordinamento.

Subordinino la continuazione della cooperazione con le autorità libiche in materia di gestione delle migrazioni e delle frontiere all’adozione di azioni concrete e suscettibili di verifica, quali: a) il rilascio tempestivo di tutti i rifugiati, richiedenti asilo e migranti che sono detenuti arbitrariamente in Libia, e la fine del sistema di detenzione automatica e indeterminata esclusivamente sulla base dello status di migrante, anche attraverso la chiusura di tutti i centri di detenzione; b) il riconoscimento completo e formale dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, Unhcr, sotto forma di un protocollo di intesa che garantisca il pieno accesso dell’organizzazione alle persone bisognose di protezione in tutto il paese e la possibilità di espletare il proprio mandato completamente, indipendentemente dalla nazionalità dei beneficiari; c) la firma e la ratifica della Convenzione sui rifugiati del 1951 e il suo Protocollo del 1967 e l’adozione e attuazione di nuove norme, politiche e procedure in tema di migrazione e asilo, che garantiscano la depenalizzazione dell’ingresso, soggiorno e partenza irregolare, attraverso emendamenti alla legge n.19 del 2010 e alla legge n.6 del 1987, e la creazione di un sistema di asilo che rispetti gli standard internazionali; e d) la creazione di meccanismi nazionali che garantiscano un monitoraggio indipendente, imparziale e trasparente delle violazioni nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia, con lo scopo di assicurare l’assunzione di responsabilità da parte di attori statali e non statali, e al contempo la garanzia che il Servizio per i diritti umani di Ohchr/Unsmil abbia accesso totale e senza impedimenti ai centri di detenzione, punti di sbarco e altri luoghi della Libia in cui si trovano rifugiati, richiedenti asilo e migranti.


Comunicazioni sulla partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali nell’ambito dell’esame congiunto delle Deliberazioni adottate dal Consiglio dei Ministri il 17 giugno 2021, ai sensi della legge 21 luglio 2016, n. 145 (Doc XXV, n. 4 e Doc XXVI, n. 4).7 luglio 2021 Commissioni III e IV Senato e 3 e 4 Camera

Audizione del Ministro della Difesa Guerini (solo per quel che riguarda la Libia)(…) Nell’ambito delle attività marittime che vedono coinvolta la Difesa, lo scorso anno, in occasione della presentazione della Missione 2020, queste Commissioni mi hanno sollecitato a perseguire due specifici indirizzi. Il primo: un maggiore coinvolgimento dell’UE, e quindi un rafforzamento della Missione Irini, nell’addestramento e monitoraggio delle autorità marittime libiche; il secondo: un più definito ruolo delle strutture italiane nei confronti della Marina libica; in particolare, in termini di coinvolgimento diretto nelle attività da queste condotte. Parto da questo secondo aspetto: come noto, la Missione Mare Sicuro assicura un dispositivo aeronavale per la sorveglianza e la sicurezza degli spazi marittimi d’interesse nazionale, ed attraverso la presenza di un’unità navale logistica nel porto di Abu Setta, conduce attività finalizzate all’addestramento ed alla manutenzione dei mezzi disponibili, oltre che allo sviluppo della capacità di comando e controllo dei propri mezzi da parte della Marina libica. In particolare, per quanto riguarda il comando e controllo, fino al 2 luglio 2020 a bordo della nostra nave sono state resi disponibili a personale libico sistemi di comunicazione per i collegamenti con le centrali operative marittime operative degli altri Paesi, e coordinamento tra le proprie unità e quelle delle Missioni nazionali ed internazionali operanti nell’area. A partire dal 3 luglio 2020 l’attività è condotta in piena autonomia dalla Marina libica, presso propria infrastruttura a terra e senza coinvolgimento alcuno di personale della Difesa italiana. Sul fronte europeo, la Missione Irini (…) ha come principale obiettivo quello di contrastare il traffico di armi verso la Libia (…). Nonostante le diffidenze iniziali ha sempre operato con un approccio bilanciato verso tutte le parti coinvolte (…). Inoltre, l’Italia ha dato un forte impulso alla revisione del mandato della Missione nell’ottica di un rinnovato coinvolgimento nell’addestramento delle unità marittime libiche, in maniera analoga a quanto fatto dalla Missione precedente, Sophia, al fine di rafforzarne le capacità [dei libici, n.d.r.], anche con un coinvolgimento concreto del UE e degli Stati membri. Nel mio ultimo colloquio con il Primo Ministro [libico] ho colto l’occasione per evidenziare i risultati ottenuti da Irini e per sottolineare allo stesso tempo l’importanza della ripresa dell’addestramento da parte della Missione europea della Guardia Costiera libica. Il Comando della Missione ha già condiviso con le autorità locali un’ipotesi di programma addestrativo funzionale alla formazione del personale nella gestione delle situazioni di crisi ed emergenza, nel rispetto dei diritti umani e di genere.

Intervento Senatrice Garavini Bene che l’Italia si renda artefice anche rispetto all’Unione europea dell’Operazione Irini per ripristinare obiettivi precedentemente coperti dall’Operazione Sophia, non soltanto, quindi, rispetto al contrasto al traffico di armi, ma anche rispetto – ad esempio – ai corsi di formazione nei confronti delle truppe libiche. Ma non crede Ministro che, alla luce del crescente numero di morti nel Mediterraneo (…), non sarebbe utile che l’Italia si rendesse artefice della richiesta forte nei confronti della UE affinché tra gli obiettivi dell’operazione Irini non ci sia anche il ripristino di obiettivi precedenti volti alla ricerca e soccorso di persone in mare? Successivamente si dice favorevole all’intervento per formare la GC libica perché il rischio di un nostro venir meno ad un impegno porterebbe a favore Paesi come la Turchia. Ma l’attenzione alla tutela dei diritti deve avere priorità e non essere disattesa.

Intervento On. Palazzotto L’architrave[della politica estera italiana] è la Missione di supporto alla GC libica che anche quest’anno viene confermata nonostante sia stato cambiato il nome, forse in un maldestro tentativo di camuffarla: si chiama, infatti, di supporto alle istituzioni libiche preposte al controllo delle frontiere marittime. Sto parlando di una missione specifica e non del complesso delle giustissime missioni di sostegno al processo di stabilizzazione in Libia (…). Non sto parlando di Mare sicuro sul quale però devo chiedere al Ministro Guerini come s’intendono spendere i 15 milioni di euro in più che sono stanziati ad invarianza di assetti sia navali sia per quel che riguarda il personale. A che cosa, quindi, servono questi 15 milioni aggiuntivi? Le accertate violazioni dei diritti umani e la violenza esercitata dalle autorità libiche nei confronti di migranti e rifugiati sono ormai dati di fatto che non è più possibile ignorare senza assumersi la responsabilità di esserne complici. I riferimenti generici al rispetto dei diritti umani nella cooperazione militare con istituzioni saldamente nelle mani di organizzazioni mafiose, sono divenuti ormai insostenibili. Bastano le immagini che abbiamo visto in questi giorni della motovedetta che spara sui migranti. La motovedetta che spara è una di quelle donate dall’Italia, come quella che ha sparato sui nostri pescherecci. Evidentemente, c’è qualcosa che non ha funzionato in quattro anni di addestramento, se gli uomini che abbiamo addestrato sparano sui nostri pescherecci e sulle persone in distess invece di soccorrerle. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guitierrez (…) in un rapporto in cui invita Stati a non cooperare al respingimento di migranti verso la Libia, fa riferimento a violenze inaudite, e nello specifico scrive: “I migranti sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri ed altre forme di violenza sessuale” e parla di condotta “spregiudicata e violenta da parte della GC libica nel corso di salvataggi ed intercettazioni in mare”. È in atto un’inchiesta della Corte Penale internazionale per crimini contro l’umanità che indaga anche sui Governi, in particolare su quello italiano. Dunque, davvero possiamo continuare a far finta che tutto questo non stia accadendo? Che senso hanno i riferimenti all’Unhcr, alle Nazioni Unite, alla Agenzie (…)se non si dà seguito quanto viene scritto nei rapporti delle stesse istituzioni ?Infine: il ruolo della nave nel porto di Tripoli nella missione di supporto alla GC libica. Non parlo di Mare sicuro e osservo che in tre diversi atti parlamentari è stato negato il ruolo di supporto al coordinamento del soccorso in mare del JRCC libico, ed è stato specificato che quella nave svolge solo un mandato di manutenzione delle motovedette donate. In due inchieste di Taranto le intercettazioni evidenziano che alcuni ufficiali coinvolti in un traffico di sigarette, parlano del ruolo della nave, dicendo che i soccorsi li coordinavamo noi, In un’altra, questa di Agrigento, le intercettazioni tra la centrale operativa della GC e la nave nel porto di Tripoli dimostrano che quella stessa nave svolge un ruolo fuori mandato, E questo è un problema che riguarda la sovranità di questo Parlamento! È utile scriverle queste cose nelle relazioni al Parlamento! Se quella nave deve fare il supporto ed il coordinamento delle operazioni di soccorso, bisogna assumersi la responsabilità di scriverle nei documenti che il Parlamento deve esaminare e votare.

Nel pomeriggio in video conferenza i Ministri degli Esteri e della Difesa hanno replicato alle questioni poste durante l’audizione. Sulla Libia Guerini ha detto:1) In riferimento al ruolo di addestramento di Irini verso la GC libica (quesito della Garavini), Guerini afferma che sotto impulso italiano questa funzione è tornata ad essere preminente tra i compiti della missione. In questo specifico settore esistono elementi di continuità tra Irini e Sophia, che aveva già condotto attività di addestramento di GC libica, con il supporto degli Stati membri della UE, in particolare d’Italia e Spagna che avevano messo a disposizione i propri istituti di formazione per supportare la condotta delle attività addestrative. I moduli addestrativi prevedevano, e continuano a prevedere anche specifiche attività correlate al rispetto dei diritti umani e della parità di genere e il trattamento delle persone recuperate in mare. Relativamente alla revisione del mandato dell’operazione e, quindi, al rispristino degli obiettivi di ricerca e soccorso che avevano Sofia, fermo restando l’obbligo da parte di tutte le navi d’intervenire in automatico nel caso di pericolo per la vita umana in mare, il tema deve essere affrontato in ambito europeo, nel più ampio alveo delle questioni migratorie, di cui si è discusso anche nel recente Consiglio europeo dello scorso 25 giugno.2) In riferimento alla sollecitazione dell’On, Palazzotto, relativamente alle attività dell’unità navale di Mare Sicuro ormeggiata a Tripoli, come ho avuto modo di evidenziare, la stessa svolge attività di addestramento e supporto alla manutenzione di mezzi navali libici ed ha contribuito allo sviluppo di una capacità di comando e controllo dei propri mezzi da parre della Marina libica. Relativamente all’eventuale coinvolgimento di questa unità e del suo personale nella condotta di unità SAR da parte della GC libica di alcuni anni fa, come evidenziato nella mia relazione, sino al 2 luglio 2020 a bordo della nave erano resi disponibili sistemi di comunicazione per attività di coordinamento operativo. Nello specifico veniva attivato un Lybian Navy Comunication Center con la possibilità di fruire di strumenti come, ad esempio, utenza telefonica abilitata alle chiamate internazionali, capacità fax ed email per inoltrare e ricevere segnalazioni inerenti eventi SAR, apparati per la comunicazione VHF ed HF per esercitare il controllo in mare dei propri assetti navali. Sostanzialmente a bordo della nave si recava un ufficiale di collegamento libico che sfruttando i sofisticati sistemi di supporto svolgeva le attività secondo le direttive ricevute dalle autorità libiche; questo ufficiale di collegamento, secondo le istruzioni ricevute, compilava e firmava un fax di segnalazione per comunicare agli enti SAR limitrofi – per l’Italia MRCC Roma – l’assunzione della responsabilità degli eventi, nonché i successivi aggiornamenti. Nessuna comunicazione veniva fatta dal personale italiano. Come ho detto, a partire dal 3 luglio 2020 tutte le attività operative libiche sono condotte dalla GC libica attraverso l’utilizzo di proprie infrastrutture e capacità di comunicazione ubicate a terra, senza alcun coinvolgimento di personale italiano.3) Relativamente alla missione della Guardia di Finanza le cui finalità sono illustrate nella scheda n. 48, l’attività prevede la presenza a Tripoli di un’unità navale guardiacoste, dello stesso tipo di quelle cedute alla Libia, con la finalità di addestrare il personale alla loro condotta e manutenzione, includendo in questo senso la costituzione di una mini-scuola nautica in Libia. Nel merito delle modalità con cui l’attività viene quotidianamente condotta, non ricadendo il personale e gli assetti impiegati nella catena di comando della Difesa, non dispongo di ulteriori dettagli oltre a quelli contenuti nella scheda. Peraltro, tale scheda si trova nella delibera in esame nell’area relativa alle attività internazionali delle forze di polizia.4) Per quel che attiene l’uso di fondi [Fa riferimento ai 15 milioni in più di Mare Sicuro rilevati da Palazzotto], vorrei sottolineare che le risorse finanziarie stabilite nella delibera in esame, per quanto riguarda il comparto Difesa, sono finalizzate esclusivamente al fabbisogno delle forze armate italiane impiegate nelle molteplici attività previste nei teatri operativi.5) Rispondendo poi a Gennaro Migliore sui rapporti con al Turchia in Libia, Guerini ricorda di aver sempre chiarito l’importanza strategica per l’Italia della stabilità della Libia. Si sta lavorando per definire meccanismi di coordinamento al fine di evitare sovrapposizioni delle rispettive autorità e cercare di mantenere o recuperare la nostra prevalenza a livello UE e nazionale in quei settori dove maggiore è stato il nostro impegno nazionale in passato, in termini di disponibilità di mezzi e addestramento, come, ad esempio, nel caso della GC libica che nel recente passato, invece, ha visto una forte presenza turca nell’esercizio di questa funzione. 6) Nel merito di recenti comportamenti della GC libica richiamati sempre da Migliore, condivido che si tratti di comportamenti assolutamente inaccettabili. Sottolineo nel contempo il fatto che le autorità libiche stesse hanno già condannato il comportamento del comandante della nave ed è stata disposta un’inchiesta. Si tratta di una presa di posizione che credo non abbia precedenti.