Nuovo fermo amministrativo contro una ONG mentre nel Mediterraneo centrale si continua a morire, ed i libici attaccano i naufraghi.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Sequenza di morti per abbandono, dopo la intensificata collaborazione tra autorità tunisine ed italiane, frutto degli ultimi accordi perfezionati dalla ministro dell’interno Lamorgese e da Di Maio. I libici sparano e tentano di speronare una imbarcazione carica di naufraghi, gli stati europei non operano più soccorsi in acque internazionali per non dovere garantire poi un porto di sbarco sicuro, e la solita squadretta inviata dal ministro delle infrastrutture e dal Corpo delle Capitanerie di porto da cui dipende, procede ad imporre l’ennesimo fermo amministrativo ad una nave di soccorso delle ONG. Si completa così il tentativo di svuotare di soccorritori e testimoni il Mediterraneo centrale per utilizzare le tragedie che continuano a ripetersi, con la morte di tanti innocenti, per dissuadere da future partenze dalla Libia e dalla Tunisia, paese dal quale transitano anche molti subsahariani che, fuggiti dai centri di detenzione libici, cercano salvezza attraversando il Mediterraneo dalle coste tunisine. Di fatto ormai una unica rotta. Nessuna risposta da parte degli Stati alle richieste di canali legali di ingresso, di consistenti corridoi umanitari per evacuare i centri di detenzione libici, e di una missione internazionale di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. Unici obiettivi rimangono i migranti, e chi li assiste adempiendo ai doveri di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali e dai minimi principi di solidarietà umana.

2. Le ultime vittime degli accordi tra Italia, Libia e Tunisia erano partite da Zuwara in Libia, provenivano da Egitto, Eritrea, Sudan e Bangladesh, e si erano avvicinati alle acque Sar tunisine per sfuggire ai pattugliamenti delle motovedette libiche finanziate ed assistite dall’Italia. Tre stragi in quattro giorni. Tra i morti ed i dispersi, in prevalenza, giovani subsahariani in fuga dagli orrori della Libia. Ma anche in Tunisia, oltre alla gravissima crisi ancora imposta dal COVID 19, la situazione dei diritti umani si va rapidamente deteriorando, anche per i tunisini, e per coloro che provengono da paesi terzi, per chi viene riportato a terra come “migrante illegale” non ci sono speranze di futuro.

3. La Procura di Agrigento, dopo la denuncia di una ONG, ha intanto aperto una indagine sul tentato speronamento di una piccola imbarcazione carica di naufraghi da parte di una motovedetta donata dall’Italia al governo di Tripoli dopo il Memorandum d’intesa del 2017. Su questo gravissimo tentativo di sequestro in acque internazionali, con il pieno appoggio di Malta, che sarebbe stata obbligata ad inviare suoi mezzi di soccorso piuttosto che delegare il respingimento collettivo ai libici, è stata aperta una indagine anche a livello europeo. Tutti adesso dovranno considerare quello che succede davvero nel Mediterraneo centrale e comprendere quali sono le vere ragioni per le quali si vogliono allontanare le ONG, scomodi ma preziosi testimoni di un sistema di respingimento messo su anche con il ricorso ad una suddivisione omicida delle zone SAR ( che dovrebbero essere di ricerca e soccorso) in violazione di tutte le Convenzioni internazionali, ed in particolare dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.

4. Arriva intanto, prontamente rilanciato dal solito “Giornale”, un Comunicato “preconfezionato” della Guardia costiera italiana sul fermo amministrativo della Geo Barent di Msf. Un comunicato fuorviante e in evidente malafede. Si ripesca la Direttiva europea 2009/16 che il Tar di Palermo lo scorso febbraio aveva ritenuto non rilevante e che lo stesso Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, pur riformando ll provvedimento del Tar, non aveva più richiamato. Le autorità marittime, e chi li orienta, si fanno forti del fatto che il controllo di sicurezza periodico (Psc) della Geo Barent comunque andava fatto dopo l’ingresso in porto, per il rinnovo della certificazione, a differenza dei controlli straordinari disposti nei confronti di altre Ong. Ma le modalità ed i risultati delle attività di controllo tradiscono le vere finalità dell’ispezione e presto se ne occuperanno i tribunali. Sarà comunque sempre troppo tardi per le persone che non potranno essere soccorse e sbarcate in un porto sicuro, che finiranno per annegare, se non saranno riprese prima dalle motovedette libiche e ricondotte nei campi di detenzione dai quali erano fuggite. Di nuovo tra le mani dei trafficanti. A Zawia, e non solo, comandano ancora loro, anche se vestono la divisa della Guardia costiera libica.

Secondo il rapporto degli ispettori della Guardia costiera, “l’ispezione ha fatto emergere che i mezzi di salvataggio presenti a bordo (zattere, cinture di salvataggio), certificati dallo Stato di bandiera, sono sufficienti per un numero massimo di 83 persone a fronte delle 410 sbarcate nel porto di Augusta .Pertanto, in caso di emergenza a bordo della nave, che comporti l’evacuazione della stessa, l’equipaggio non sarebbe in grado – anche da un punto di vista dell’organizzazione di bordo – di garantire che le persone ospitate possano essere avviate ai mezzi di salvataggio né ovviamente trovare posto sufficiente sugli stessi. In aggiunta, sono state accertate carenze sulla composizione e certificazione dell’equipaggio, sulle istruzioni al Comandante per garantire la stabilità della nave, per un totale di 22 carenze di cui 10 che, per la loro gravità, hanno determinato il fermo della nave”.

In sostanza il comandante doveva lasciare in acqua le persone in evidente situazione di distress che richiedeva un salvataggio immediato, persone che eccedevano la portata della nave, i rubinetti non dovevano gocciolare, l’equipaggio che era in regola per le autorità norvegesi non lo era più per quelle italiane, perché costretto a profondere il suo “impegno lavorativo” oltre un orario certo di servizio.

Gli ispettori non citano per intero neppure la Convenzione Solas, che utilizzano ampiamente ed a sproposito per fare i loro rilievi,(senza richiamare ad esempio l’articolo 4.b con la “clausola di esonero” per forza maggiore). La sostanza è sempre la stessa e si ritrova per intero nelle motivazioni di altri fermi amministrativi. evidentemente corrisponde ad una direttiva (informale) ministeriale.. Si rispolvera la categoria di “nave di soccorso”, del tutto priva di basi legali e quindi si reputa che la nave in base alle dotazioni di sicurezza di cui dispone ed ai requisiti strutturali ha “trasportato” un numero di persone eccedente la portata massima. Come se non fosse adempimento di un preciso dovere giuridico, oltre che morale, soccorrere il maggior numero possibile di naufraghi. Solo il comandante può decidere quando l’attività di soccorso mette a rischio nave ed equipaggio e così è stato anche in questo caso. La recente sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, ed in genere tutti gli atti di natura amministrativa, non possono modificare la valenza delle Convenzioni internazionali in materia di obblighi di soccorso in mare, come peraltro ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza Rackete del 16 febbraio 2020. Lo impone l’art. 117 della Costituzione italiana.

Si deve aggiungere che l'”attività di ricerca e soccorso svolta sistematicamente” non può comportare una nuova classificazione della nave da parte dello Stato del PSC (controllo in porto) e che la ripetizione di interventi di salvataggio è conseguenza del mancato adempimento degli obblighi di coordinamento nelle attività SAR di ricerca e soccorso, stabiliti a carico degli Stati dalle Convenzioni internazionali e soprattutto dalla Convenzione SAR di Amburgo del 1979. Infatti dal momento che le autorità italiane e maltesi, che dovrebbero intervenire anche nella cd, zona SAR libica, in quanto il governo di Tripoli non può garantire porti di sbarco sicuri, sono tempestivamente informate di tutti gli eventi SAR che occorrono nel Mediterraneo centrale ed omettono sistematicamente di riconoscere questi eventi come SAR, derubricandoli a meri “eventi migratori”, e di conseguenza si rifiutano di intervenire con propri mezzi, questa inadempienza ormai sistemica, costata ormai migliaia di vite, le ultime vicino a Lampedusa, costringe le poche navi delle ONG che ancora operano nel Mediterraneo centrale ad una serie successiva di salvataggi che dovrebbero essere operati da guardie costiere e da unità militari italiane e maltesi. Come avveniva peraltro fino al 2017 prima della svolta politica impressa dagli accordi con il governo di Tripoli e per le Ong dal codice di condotta Minniti, per non parlare della invenzione di una finta zona Sar libica, nel 2018, dopo mesi di trattative con l’IMO (Organizzazione marittima internazionale), senza che le autorità libiche disponessero della Centrale di coordinamento (MRCC) e dei mezzi necessari per garantire i salvataggi in alto mare, risultando soltanto frutto di quegli accordi politici. Centrale operativa (MRCC) e assetti navali per intervenire tempestivamente e salvare vite in acque internazionali che non esistono ancora oggi, tanto quando occorre ci pensa l’Italia ad ordinare i fermi delle navi umanitarie ed a assistere le motovedette tripoline. Ed il 15 luglio prossimo il governo Draghi chiederà al Parlamento di apporre l’apposito bollino a questi accordi di collaborazione, con il rifinanziamento della sedicente Guardia costiera libica


Comunicato della Guardia Costiera: fermo amministrativo per nave “Geo Barents”.

Il 2 Luglio 2021, ispettori della Guardia Costiera, specializzati in sicurezza della navigazione, hanno sottoposto la nave “GEO BARENTS” – di bandiera norvegese – ad un’ispezione volta a verificare l’adeguatezza della stessa rispetto alle vigenti norme in materia di sicurezza della navigazione, composizione e certificazione dell’equipaggio, tutela ambientale e condizioni di vita e di lavoro a bordo .
Le ispezioni del personale della Guardia Costiera rispondono a una direttiva comunitaria (2009/16/EC), recepita dall’Italia nel 2011, e che riguarda tutte le navi straniere che approdano nei nostri porti e ancoraggi; ciò, con il preciso scopo di garantire che le navi siano adeguatamente equipaggiate e certificate per prevenire il verificarsi di incidenti in mare.
La “GEO BARENTS” è attraccata nei giorni scorsi nel porto di Augusta per sbarcare 410 migranti, dove ha successivamente trascorso il periodo di quarantena disposto dalle Autorità sanitarie nazionali.
La nave è stata sottoposta a un’ispezione “periodica”, prevista dalla citata direttiva comunitaria, essendo trascorsi più di 12 mesi dall’ispezione precedente, svolta in Finlandia nell’Aprile 2019.
L’ispezione ha evidenziato diverse irregolarità di natura tecnica, tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi, ma anche delle stesse persone che sono state e che potrebbero, in futuro, essere recuperate a bordo, nel corso del servizio di assistenza svolto.
In particolare, considerata l’attività di ricerca e soccorso che la nave svolge sistematicamente, l’ispezione ha fatto emergere che i mezzi di salvataggio presenti a bordo (zattere, cinture di salvataggio), certificati dallo Stato di bandiera, sono sufficienti per un numero massimo di 83 persone a fronte delle 410 sbarcate nel porto di Augusta.

Pertanto, in caso di emergenza a bordo della nave, che comporti l’evacuazione della stessa, l’equipaggio non sarebbe in grado – anche da un punto di vista dell’organizzazione di bordo – di garantire che le persone ospitate possano essere avviate ai mezzi di salvataggio né ovviamente trovare posto sufficiente sugli stessi.

In aggiunta, sono state accertate carenze sulla composizione e certificazione dell’equipaggio, sulle istruzioni al Comandante per garantire la stabilità della nave, per un totale di 22 carenze di cui 10 che, per la loro gravità, hanno determinato il fermo della nave.
La nave è stata quindi sottoposta a “fermo amministrativo” che sarà rimosso alla rettifica delle irregolarità rilevate in sede ispettiva.

Dal 1 Gennaio 2021 ad oggi sono state ispezionate dal personale militare specializzato della Guardia Costiera 681 navi di bandiera straniera, di diverse tipologie, che hanno toccato i porti nazionali. Di queste 55 sono state sottoposte a fermo amministrativo a causa di non conformità alle norme internazionali, riscontrate in fase ispettiva, tali da porre un rischio serio per la sicurezza della navigazione e/o per l’ambiente marino