“Law Enforcement” versus obblighi di soccorso

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Un ennesimo naufragio annunciato, quasi a vista della costa di Lampedusa, perché dovevano essere salvati prima, e non essere avvicinati soltanto dopo una fantomatica telefonata con richiesta di soccorso, come ha comunicato la Guardia costiera (vedi comunicato in calce). Evidentemente i barchini che si avvicinano a Lampedusa entrano nelle acque territoriali ( 12 miglia, circa 22 chilometri dall’isola) senza che nessuno se ne accorga. Ci dobbiamo credere, fino a quando una seria inchiesta della magistratura non accerterà la dinamica dei fatti, le comunicazioni ed i rilevamenti delle autorità marittime che continuano a considerare queste traversate del Mediterraneo centrale, su barchini aperti e sovraccarichi, tanto da potersi ribaltare ad ogni minimo spostamento delle persone, come un mero “evento migratorio” da tracciare, e non piuttosto come caso di distress (pericolo immediato per la vita) da affrontare nei tempi più rapidi, già in acque internazionali, con attività Search and Rescue (SAR). In base alle Convenzioni internazionali che forniscono la nozione di distress occorre inviare subito mezzi di soccorso, anche al di fuori della regione SAR di competenza, come avveniva nel 2014 fino a quando é durata l’operazione Mare Nostrum, ed ancora fino al 2016, seppure in modo più sporadico. Le agghiaccianti immagini video diffuse in rete lasciano supporre una realtà molto diversa dai comunicati ufficiali, e rimane da spiegare il ruolo dell’elicottero dell’agenzia europea Frontex che ha seguito tutte le fasi dei soccorsi, nelle stesse ore nelle quali altri barchini partiti dalla Libia o probabilmente dalla Tunisia raggiungevano le coste di Lampedusa. Da quando l’elicottero di Frontex aveva cominciato a tracciare le imbarcazioni in navigazione verso Lampedusa ?

I corpi delle sette vittime, allineati questa mattina sul molo Favaloro di Lampedusa, e ci sarebbero anche nove dispersi, tra cui alcuni bambini, costituiscono il prezzo della “dissuasione” dell’immigrazione irregolare, che per motivi elettorali i governi affrontano con gli strumenti di polizia (law enforcement) piuttosto che con interventi tempestivi di salvataggio, non appena avvistate le imbarcazioni presenti nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Perché si devono ridurre gli arrivi sulle coste italiane. Mentre sono sempre più numerose le persone che scompaiono nel nulla dopo essere state intercettate in mare dalle unità libiche legate alle milizie colluse con i trafficanti. Come avviene sistematicamente anche per effetto degli accordi tra Malta Italia e governo provvisorio di Tripoli. Una politica omicida attuata con gli accordi con i libici (2008-2017)e con la invenzione della cd. zona SAR “libica”, con il ritiro delle unità militari della Guardia costiera nelle acque territoriali e con i fermi amministrativi delle ONG nei porti, dopo le sporadiche operazioni di salvataggio che vengono loro consentite a seguito della cooperazione operativa, rafforzata da Frontex, con la sedicente Guardia costiera libica. Nel Mediterraneo centrale dal 2019 non ci sono più unità navali di Frontex, e gli assetti navali dell’operazione Eunavfor Med IRINI, tracciano i barconi, formano i guardiacoste libici, ai quali poi segnalano le imbarcazioni da intercettare, ma non soccorrono più naufraghi. Perché ogni operazione di soccorso che va a buon fine viene considerata come un pull factor (fattore di attrazione). Come ricorda Mauro Seminara su Mediterraneo cronaca, questo naufragio non costituisce un episodio isolato. Eventi analoghi erano già verificati ad ottobre e poi a novembre del 2019, “con due imbarcazioni giunte in autonomia fino alle acque territoriali italiane e poi capovolte mentre una motovedetta si avvicinava per un intervento che non sappiamo più se di soccorso o di “law enforcement”. Questa situazione di abbandono nelle acque del Mediterraneo centrale è conseguenza diretta delle chiusure di Malta, che non ha mai ratificato gli emendamenti alla Convenzione SAR di Amburgo del 1979, che la obbligherebbero a soccorrere tutte le persone che chiamano soccorsi nella vastissima zona SAR che si è attribuita per ragioni economiche, e dell’Italia, che, dopo gli accordi con i libici, delega alle motovedette tripoline i respingimenti collettivi operati persino nella zona SAR maltese.

Non basta invocare l’Unione Europea o costringere Malta al rispetto degli obblighi internazionali di soccorso. Occorre cancellare il Memorandum d’intesa formato da Gentiloni nel 2017 che, con il Codice di condotta Minniti dello stesso anno, ha costituito il presupposto per la criminalizzazione dei soccorsi umanitari delle ONG e per la creazione di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) esclusivamente affidata ai libici. Soprattutto si devono inviare al più presto nelle acque internazionali del Mediterraneo tutte le navi militari che sono attualmente trattenute vicino alla costa e che invece devono garantire il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, attività imposte agli Stati dalle Convenzioni internazionali, che non possono essere cancellate, dopo qualche generico richiamo di rito, da norme regolamentari di carattere amministrativo che permettono alle autorità marittime di non considerare un evento di soccorso di necessità ( forza maggiore) come una attività dovuta immediatamente, ma lo declassano a mero “evento migratorio”, da tracciare anche senza interventi immediati al di fuori delle nostre acque territoriali. L’uso distorto della discrezionalità amministrativa, come i fini politici di difesa dei confini, invocati ancora da Salvini nei diversi procedimenti Gregoretti ed Open Arms, dunque law enforcement, ritenuti prevalenti rispetto alle Convenzioni internazionali, possono uccidere.

2. Lo svolgimento del servizio di ricerca e soccorso è disciplinato in Italia dal DPR n. 662/1994 con cui è stata recepita la Convenzione di Amburgo e rientra nella competenza primaria del Ministero delle infrastrutture e trasporti che si avvale del Corpo delle Capitanerie di Porto/Guardia costiera che comunque risulta anche alle dipendenze della Marina militare.

Nel mese di ottobre del 2009, un anno dopo il Trattato di amicizia con la Libia, e dopo il Protocollo operativo del dicembre 2017 ( governo Prodi) con il governo di Tripoli, venivano adottate, con atto di approvazione del Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, le “Linee Guida per l’impiego delle risorse S.A.R. nelle aree situate al di fuori della S.R.R. Italiana nel corso di eventi riguardanti il controllo del flusso dei migranti “. Da questo momento in poi si è codificata per via amministrativa la prevalenza delle attività di law enforcement sull’adempimento degli obblighi di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali. I successivi accordi bilaterali tra gli Stati, ed il governo di Tripoli, supportati dalle attività di Frontex e dai finanziamenti europei hanno comportato il ritiro delle unità militari che potevano operare soccorsi nel Mediterraneo centrale e la pratica sempre più diffusa dei respingimenti delegati ai libici. Con una violazione reiterata da parte degli Stati, non solo delle Convenzioni internazionali di diritto del mare, ma anche della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.

In base alle “Linee Guida” adottate nel 2009, che non hanno natura legislativa, e che dunque non possono anteporsi alle norme aventi forza di legge come le Convenzioni internazionali ratificate con legge dello Stato, “a seguito di segnalazione all’I.M.R.C.C. ( Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana) dell’avvistamento di un’unità navale non identificata in navigazione oltre i limiti della S.R.R. Italiana, che verosimilmente trasporta migranti in direzione delle coste nazionali, lo stesso I.M.R.C.C. provvede alla diffusione delle informazioni relative all’evento stesso secondo le previsioni dell’accordo tecnico operativo per gli interventi connessi con il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, di cui al Decreto Interministeriale 14.7.2003; a questo punto la Centrale Operativa, ai sensi del punto 4.2.4 della Convenzione S.A.R. del 1979, nella sua veste di I.M.R.C.C., procede immediatamente all’acquisizione delle informazioni necessarie e valuta l’evento sotto il profilo della salvaguardia della vita umana in mare, onde determinare se vi siano condizioni di pericolo grave e imminente e necessità di immediata assistenza per gli occupanti dell’unità. A tal fine le unità aeronavali eventualmente presenti nella scena d’azione provvederanno ad acquisire e trasmettere, con il mezzo di comunicazione più idoneo, secondo quanto previsto dal punto 4.4 della Convenzione S.A.R.’del 1979, all’I.M.R.C.C. i seguenti elementi per la classificazione dell’evento (S.A.R. – non S.A.R.): posizione geografica, ora dell’avvistamento, condizioni meteo-marine, dimensioni e tipologia dell’unità, suo bordo libero (galleggiamento), numero delle persone a bordo e loro condizioni fisiche, eventuale presenza tra essi di donne in stato di gravidanza, bambini, malati, traumatizzati, presenza di cadaveri nei pressi dell’unità; dotazioni di sicurezza presenti a bordo, elementi del moto, altri elementi utili a discrezione del rapportante. Soltanto quando la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) ritenesse sussistere pericolo immediato (distress) per la sicurezza delle persone a bordo si potrebbe classificare l’evento (destrefa) come evento “S.A.R.” (ricerca e soccorso) facendo scattare senza ulteriore dilazione di tempo tutte le attività di soccorso previste dal DPR 662/1994 e dal Piano Nazionale S.A.R.. In tutti gli altri casi invece la presenza dell’imbarcazione in acque internazionali si configura soltanto come un “evento migratorio” da affrontare con gli strumenti del cd. law enforcement, come mero contrasto dell’immigrazione irregolare, qundi con un tracciamento della navigazione, e la ricerca di eventuali “navi madre”, sia pure tenendo sotto attenzione la sorte dei migranti dal punto di vista della salvaguardia del diritto alla vita. Con le conseguenze che ne possono derivare sia nei rapporti di collaborazione con le guardie costiere dei paesi di partenza, principalmente l’Egitto, la Libia e la Tunisia, che sotto il profilo della repressione penale di qualunque comportamento potesse costituire “agevolazione dell’immigrazione irregolare” (law enforcement).

Le “linee guida” adottate nel 2009 risentivano evidentemente, oltre che di quanto previsto dalla legge Bossi-Fini del 2002, all’articolo 11 ( in base al quale “Il Ministro dell’interno, sentito, ove necessario, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, emana le misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana”), dei Protocolli operativi stipulati nel dicembre del 2007 tra l’Italia e la Libia, ai fini di regolamentare i soccorsi nelle acque internazionali, seguiti poi dalla conclusione del Trattato di amicizia tra Italia e Libia del 2019, e dalla prassi dei respingimenti collettivi, prima direttamente in Libia, come nel caso della motovedetta della Guardia di finanza Bovienzo, il 6 maggio del 2009, che poi è costata una condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo (caso Hirsi), che per i successivi respingimenti operati da unità italiane e proseguiti nel 2010, con trasbordo diretto dei naufraghi intercettati in mare in acque internazionali dalle unità italiane ad unità libiche, che quindi riportavano i fuggiaschi sulle stesse coste e negli stessi centri di detenzione dai quali erano fuggiti.

Si introduceva allora una prassi illegale di omissione di soccorso che seppure con forme diverse per effetto degli accordi intercorsi con i libici, prosegue ancora oggi, con la breve interruzione temporale dell’operazione Mare Nostrum nel 2004. La mera classificazione come “evento migratorio”, non ancora riconducibile ad una situazione di distress immediato,,implica una disapplicazione delle Convenzioni internazionali (tra le quali la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e la CEDU) che vietano il respingimento collettivo verso paesi che non potevano offrire porti sicuri di sbarco (come la Libia) ed impongono di considerare come evento SAR qualunque intervento operato in alto mare nei confronti di imbarcazioni stracolme e, per quanto in apparente assetto di navigazione, prive dei più elementari requisiti di sicurezza e navigabilità. Imbarcazioni che secondo le Convenzioni internazionali sono tutte da ritenere in condizioni di distress, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale da parte delle autorità marittime o politiche tenute ad intervenire. La differenza tra la discrezionalità affidata alle autorità marittime italiane ed il diritto internazionale è molto chiara. La nozione di distress è così stabilita dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, ch. 1, para. 1.3.11) «[…] una situazione in cui vi sia ragionevole certezza che un’imbarcazione o una persona sia minacciata da un pericolo grave ed imminente e che richieda immediata assistenza». Come non ritenere in questa condizione le imbarcazioni sempre più fatiscenti che partono dalla Libia e dalla Tunisia per attraversare il Mediterraneo con il loro carico di umanità dolente ?

3. Con il Decreto Ministeriale numero 45 del 04/02/2021, in attuazione dell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994 n.662, ed è stato pubblicato il nuovo “Piano nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare”, edizione 2020. Il nuovo piano contiene regole specifiche e moduli operativi per garantire l’effettivo rispetto di tutti gli obblighi di salvataggio a carico degli Stati, già richiamati nel Piano nazionale per la ricerca ed il salvataggio in mare del 1996, seguito alla ratifica in Italia della Convenzione SAR (ricerca e salvataggio) di Amburgo del 1979. Il piano nazionale Sar 2020 dà attuazione a quanto prescritto dalla regola 4.5 dell’Annesso alla Convenzione sulla ricerca di salvataggio in mare (SAR) adottata ad Amburgo nel 1979 con successivi emendamenti annessi, ratificata dall’Italia con legge 3 aprile 1989 numero 14. Si tratta quindi di un atto normativo di rango subordinato rispetto alle leggi dello Stato e alle Convenzioni internazionali alle quali comunque  fa riferimento, richiamate nel manuale IAMSAR adottato dall’ Imo nel 1999, contenente linee guida per le organizzazioni S.A.R. nazionali, aventi lo scopo di “meglio chiarire gli obblighi assunti dagli Stati” che hanno ratificato la Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979.

Il Piano nazionale SAR 2020, in linea con le Convenzioni internazionali, distingue diversi livelli di pericolo per ciascuna operazione di ricerca e salvataggio, affermando il principio che in caso di pericolo per la vita umana in mare, comunque siano pervenute le informazioni, in base ad una presunzione di generale credibilità, si devono disporre i primi interventi operativi ed informativi, avviando le operazioni di soccorso con tutti i mezzi nella propria disponibilità.  Si ribadisce l’immediata responsabilità di coordinamento del Comando centrale della Guardia costiera (IMRCC)  tenuto a coordinare direttamente il soccorso se si verifica un disastro in mare di notevoli proporzioni, oppure quando l’area di responsabilità sia particolarmente ampia, oppure ancora ,come previsto al punto  C del paragrafo 234, quando l’intervento avvenga ai limiti esterni della zona di competenza italiana e, dunque in particolare, si prevede lo sconfinamento in acque internazionali o di competenza di altri paesi.

Secondo le Convenzioni internazionali, per come richiamate nelle linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO),agenzia delle Nazioni unite, anche nel nuovo Piano SAR nazionale del 2020 si prevede che il primo Comando centrale di Guardia costiera (MRCC) che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R.ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016; RisoluzioneMSC 167-78 del 20/5/2004)-

La segnalazione di imbarcazioni stracariche di persone prive di giubbotti salvagenti ed in navigazione a tale distanza dalla costa da escludere la possibilità di soccorsi immediati non può essere classificata come un mero” evento migratorio” e configura una situazione di distress che in base alle Convenzioni internazionali dovrebbe dichiararsi immediatamente, soprattutto quando le persone si trovino a bordo di barconi sovraccarichi e senza dotazioni di sicurezza. Occorre intervenire subito, senza attendere dunque che le imbarcazioni così a rischio arrivino ad entrare nella fascia delle acque territoriali ( 12 miglia o 22 chilometri dalla costa). Gli Stati hanno il preciso obbligo di predisporre una organizzazione finalizzata alle attività di ricerca e salvataggio anche al di fuori della propria zona SAR, come è obbligatorio il coordinamento con gli Stati che sono titolari di zone SAR confinanti, ma solo a condizione che questi Stati garantiscano un porto sicuro di sbarco, come non si verifica con la Libia. Tutto questo è imposto dalle Convenzioni internazionali in nome della salvaguardia del diritto alla vita, indipendentemente dagli accordi bilaterali, dalla provenienza dei naufraghi e dalla loro condizione giuridica, in mare non ci sono “clandestini” ma persone da salvare, un diritto negato alle persone che oggi sono giunte a Lampedusa soltanto come cadaveri.


Lampedusa: Guardia Costiera trae in salvo 46 migranti. In corso le ricerche degli eventuali dispersi. 7 i corpi privi di vita recuperati. (Comunicato ufficiale)

Alle prime ore del mattino di oggi, 30 giugno, è  giunta una segnalazione con telefono GSM da parte di un migrante presente a bordo di un barchino in difficoltà. Sul mezzo, a circa 7 miglia da Lampedusa in zona SAR Italiana, veniva segnalata la presenza di circa 60 persone.
Subito prima dell’inizio delle fasi del soccorso, l’unità si è capovolta, verosimilmente a causa dello spostamento improvviso dei migranti, dovuto all’elevato numero di persone a bordo e alle ridotte dimensioni del mezzo, di appena 8 metri. Sul posto sono intervenute due motovedette della Guardia Costiera di Lampedusa: la CP 309 e la CP 312 con team sanitario del CISOM che ha proceduto a rianimare 5 persone ed a stabilizzare una donna in gravidanza.
Al momento sono stati tratti in salvo 46 migranti e recuperate 7 persone prive di vita. Sotto il coordinamento della Guardia Costiera di Palermo sono in corso le ricerche di eventuali dispersi con l’impiego di motovedette della Guardia Costiera, della Guardia di Finanza e di Frontex. Partecipano alle ricerche un Atr42 della Guardia Costiera decollato dalla base aerea di Catania e un elicottero Frontex.