di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Il Tribunale civile di Ragusa ha revocato la multa di 300.000 euro inflitta al comandante Claus Peter Reisch della ONG tedesca Lifeline dopo il salvataggio di migranti in mare e l’ingresso nel porto di Pozzallo,nel mese di settembre dello scorso anno. Anche il sequestro della nave “Eleonore” della ONG Lifeline é stato revocato. Secondo il portavoce della ONG Lifeline,“la sentenza dimostra che il diritto internazionale è al di sopra della volontà di un singolo ministro. “Si può anche dire che il salvataggio in mare e l’umanità non sono mai un crimine”.
E una decisione che afferma principi di portata generale come la prevalenza del diritto internazionale e degli obblighi di soccorso sui decreti sicurezza Salvini e, di riflesso, sulle prassi di fermo amministrativo ancora adottate dalla ministro Lamorgese. Sono principi già affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 16-20 febbraio 2020 e dalla recente sentenza di archiviazione da parte del GIP di Agrigento nel caso Rackete. Salvare vite in mare costituisce in ogni caso adempimento di un dovere imposto dalle Convenzioni internazionali. Dovere di soccorso che gli Stati non rispettano quando concludono accordi operativi con paesi terzi che non rispettano i diritti umani e che non garantiscono lo sbarco in porti sicuri.
Secondo la Corte di Cassazione,“La verosimile esistenza della causa di giustificazione e stata congruamente argomentata. In questa ambito, il provvedimento ripercorre, necessariamente, le fonti internazionali (Convenzione per Ia salvaguardia della vita umana in mare, SOLAS- Safety of Life at Sea, Londra, 1974, ratificata daii’Italia con Ia Iegge n. 313 del 1980; Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall’Italia con Ia Iegge n. 147 del 1989 e alia quale e stata data attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994; Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sui diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel1982 e recepita daii’Italia dalla Iegge n. 689 del1994), sia allo scopo di individuare il fondamento giuridico della causa di giustificazione, identificata nell’adempimento del dovere di soccorso in mare, sia al fine di delinearne il contenuto idoneo a scriminare Ia condotta di resistenza”.. “Proprio le citate fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora,
l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale
generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento
interno, in forza del disposto di cui all’art. 10 comma 1 Cost. – tutte disposizioni ben conosciute da coloro che operano il salvataggio in mare, ma anche da coloro che, per servizio, operano in mare svolgendo attività di polizia marittima -, sono il parametro normativo che ha guidato il Giudice nella valutazione dell’operato dei militari per escludere Ia ragionevolezza dell’arresto della Rackete, in una situazione nella quale Ia citata causa di giustificazione era piu che “verosimilmente” esistente”.
Per la Corte di Cassazione,“L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”).
II punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono
assicurare il coordinamento e Ia cooperazione necessari affinche i capitani delle
navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano
dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista,
senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente Ia
salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca
e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo Ia
responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e Ia
cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui e stato prestato soccorso
vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto
conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione
Marittima Internazionale. In questi casi, le Parti interessate devono adottare le
disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve
tempo ragionevolmente possibile”.
2. Gli stessi principi di diritto, secondo il sistema gerarchico delle fonti, se correttamente applicati, dovrebbero portare al non luogo a procedere nel procedimento IUVENTA a Trapani, aperto dal 2017, ed al rigetto del ricorso della Procura di Ragusa contro la sentenza di “non luogo a procedere” del Tribunale di Ragusa, nel procedimento penale sul caso OPEN ARMS. Non si può certo parlare di “consegne concordate”, di “resistenza” o di “violenza privata” quando si agisce nel rispetto del diritto internazionale e sono gli Stati che continuano impunemente a violare gli obblighi di coordinamento e soccorso stabiliti a loro carico dalle Convenzioni internazionali.
Prime pagine quando si fermano le navi umanitarie, silenzio ed omertà quando i giudici decidono per l’archiviazione. Crollano i teoremi giudiziari, smentiti dai fatti gli articoli diffamatori pubblicati su tanti giornali, ma cresce inarrestabile la ventata di odio verso i naufraghi soccorsi in mare e gli operatori umanitari.
3. Il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020 e il Decreto immigrazione n.130 del 2020 non hanno intaccato i poteri discrezionali del Viminale nella assegnazione di un porto sicuro di sbarco e nella gestione delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, per le quali le autorità italiane si rifiutano sistematicamente di assumere il coordinamento, tentando di trasferirlo sulle autorità maltesi e libiche. Anche se sono noti da tempo i sistematici rifiuti delle autorità maltesi, gli abusi e le violenze perpetrati dalla sedicente Guardia costiera libica, e la condizione di completa negazione dei diritti umani ai quali vanno incontro i naufraghi intercettati in mare e riportati in Libia. Continua la guerra contro i soccorsi umanitari. Adesso, dopo i fallimenti dei procedimenti penali, con i provvedimenti di fermo amministrativo. Provvedimenti che come afferma il Tribunale di Ragusa nel caso Eleonore, hanno natura “punitiva”, Osserva in proposito il Tribunale, “Orbene, lo scrutinio in merito all’afflittività della sanzione amministrativa, tale da permetterne una qualificazione come “sostanzialmente penale” può essere condotto alla luce dell’ampia nozione di “materia penale” elaborata dalla Corte EDU, a partire dalla sentenza Engel, ove si è individuata una triade di indicatori (alternativi), consistenti nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, nella natura dell’illecito e nella natura, nonché nel grado di severità, della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (principi recepiti dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea,
cfr. sent. 26 febbraio 2013, Akeberg Fransson, C617/2010).
La Corte EDU, con riferimento al concetto di “materia penale”, ha pertanto esteso i presidi formulati nell’art. 7 della Convenzione a sanzioni dotate di una funzione punitiva sostanzialmente assimilabile a quella delle pene, e ciò a prescindere dal coinvolgimento del bene della libertà personale, ritenendo piuttosto rilevante l’attitudine di tali sanzioni di incidere sulle capacità personali, relazionali,
economiche e lavorative del condannato, determinata, tra le altre cose, dal loro significativo ammontare.
Ciò premesso, ritiene il decidente che la sanzione amministrativa al tempo prevista dall’art. 12, comma 6-bis TUI abbia natura punitiva e debba dunque soggiacere alle garanzie che la Costituzione e il diritto internazionale dei diritti umani assicurano alla materia penale, ivi incluso il principio di retroattività della lex mitior, ciò anche alla luce del mutato apprezzamento del legislatore.
La misura ivi prevista (sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000, oltre alla la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione) non può infatti ritenersi meramente ripristinatoria dello status quo ante, né semplicemente mirante alla prevenzione di nuovi illeciti (cfr., tra l’altro, l’art. 10 della L. 689/1981, pure richiamata dall’abrogato art. 12, comma
6-bis, ove si prevede che la sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a euro 10 e non superiore a euro 15.000).
Invero, già dall’ammontare della sanzione, nell’ampia cornice edittale ivi prevista, oltre che dalla previsione che la confisca della nave venga disposta sempre, senza essere ad esempio subordinata alla reiterazione della condotta, può desumersene l’elevata carica afflittiva, che può spiegarsi in funzione di una finalità di deterrenza o prevenzione generale negativa, certamente comune alle pene in senso stretto
(si vedano sul punto le osservazioni del Presidente della Repubblica all’atto della promulgazione della legge di conversione del D. L. 53/2019, invocate dal ricorrente, che ha egli stesso sottolineato la gravità delle sanzioni per cui è causa.
Il testo della sentenza “Reisch” in italiano