di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Agrigento, Dott.ssa Alessandra Vella, con decreto del 14 aprile 2021, e su conforme richiesta della Procura, ha archiviato il procedimento penale che vedeva indagata Carola Rackete – comandante della‘Sea Watch 3‘ – per lo sbarco avvenuto nel porto di Lampedusa il 29 giugno 2019.
Secondo i giudici agrigentini la comandante Rackete aveva compiuto soltanto atti di adempimento di un dovere derivante dagli obblighi di soccorso in mare, e dunque poteva ricorrere la causa esimente prevista dall’art. 51 del Codice Penale, una considerazione che mette con prepotenza in evidenza gli stessi obblighi di soccorso e richiama indirettamente le responsabilità di quelle autorità statali che sarebbero le prime a doverli rispettare.
Si tratta di una decisione largamente prevedibile, dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 16-20 settembre 2020 che aveva respinto il ricorso della Procura di Agrigento contro la mancata convalida dell’arresto della Comandante Rackete. Al di là della rilevanza mediatica del caso, che costituiva la prima prova di forza del ministro Salvini, dopo l’entrata in vigore del decreto sicurezza bis n.53/2019, la decisione del giudice agrigentino, sulla scorta delle motivazioni indicate dalla Corte di Cassazione, assume una importanza particolare, sia per quanto concerne la esatta definizione degli obblighi di soccorso a carico degli Stati, che per l’affermazione di un rigoroso sistema gerarchico delle fonti normative che in materia di attività di ricerca e salvataggio (SAR) subordina la discrezionalità politica ed amministrativa alle previsioni di legge ed alle Convenzioni internazionali, secondo il chiaro disposto degli articoli 10 e 117 della Costituzione. Le stesse motivazioni della Corte di Cassazione, ed il richiamo al principio di legalità che la Corte riafferma, avrebbero potuto indurre ad una diversa decisione anche il Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, che ha ripristinato una misura di fermo amministrativo ai danni della Sea Watch 4, attualmente bloccata nel porto di Trapani. Il riconoscimento del sistema gerarchico delle fonti individuate dalla Corte di Cassazione avrebbe anche comportato una diversa decisione del giudice dell’udienza preliminare di Catania che nel caso Gregoretti ha subordinato l’applicazione delle norme di diritto interno ed internazionale alla discrezionalità dell’atto politico del senatore Salvini che, al tempo in cui occupava la poltrona di ministro dell’interno, aveva vietato persino lo sbarco dei naufraghi trattenuti per giorni a bordo di una nave militare, in attesa che qualche Stato europeo desse la disponibilità per l’accoglienza delle persone soccorse in acque internazionali. Ed era lo stesso ministro Salvini che lanciava l’attacco mediatico e politico contro il magistrato che non aveva convalidato gli arresti della comandante della Sea Watch.
La macchina dell’odio che già aveva colpito Carola Rackete , prima e dopo lo sbarco a Lampedusa, si rivolgeva contro un magistrato che aveva solo applicato correttamente la legge, dimostrando coraggio e professionalità in un momento in cui alti esponenti politici scaricavano la loro violenza contro giudici ed operatori umanitari che si richiamavano al rispetto dei principi costituzionali e del diritto internazionale. Adesso lo stesso giudice, la dott.ssa Vella, sulla base di quanto deciso dalla Corte di Cassazione ha potuto ribadire le ragioni della sua decisione ed ha archviato il procedimento penale a carico della comandante Rackete.
Ma è soprattutto nei procedimenti penali ancora aperti contro esponenti delle Organizzazioni non governative e delle società armatrici, a Trapani (processo Iuventa) ed a Ragusa (processo Open Arms) che il riconoscimento dei doveri di soccorso in acque internazionali operato dalla Corte di cassazione dovrebbe portare ad una archiviazione dei procedimenti, giunti alla fase di conclusione delle indagini preliminari a Trapani, e ancora oggetto di giudizio a Ragusa, dove la procura ha impugnato la decisione di non luogo a procedere adottata dal Tribunale.
Il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020, nell’ambito dei provvedimenti assunti dal governo a seguito dell’emergenza COVID 19, si è collocato in continuità con il decreto sicurezza bis e con le conseguenti prassi adottate dal Viminale. Nella parte in cui consente al ministro dell’interno, tramite le autorità alle sue dipendenze, di negare l’ingresso nelle acque territoriali alle navi che battono bandiera straniera e che devono completare una operazione di salvataggio con lo sbarco nel porto sicuro più vicino. La motivazione principale che tale divieto deriverebbe dall’esigenza di non mettere in crisi il sistema sanitario nazionale per effetto degli sbarchi a terra delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale, è ormai ampiamente smentita dai fatti, e dal numero irrilevante di focolai di COVID 19 derivanti dagli sbarchi dei naufraghi soccorsi in acque internazionali, rispetto al numero ben più consistente di focolai attivi tra la popolazione italiane straniera residente in Italia. Come ha osservato la dottrina (Algostino), “A parte la considerazione che il servizio sanitario è compromesso da anni di tagli di spesa e dal processo di regionalizzazione e aziendalizzazione, i cui effetti non possono ricadere sul diritto alla vita, alla salute e sul divieto di trattamenti inumani e degradanti dei migranti, anche se si trattasse – come non è – di persone tutte positive al virus, è evidente che non è a rischio la tenuta del sistema sanitario del Paese, mentre dalla mancata assegnazione di un porto sicuro discende un’immediata lesione del diritto alla salute (e non solo) del naufrago”. Quel decreto interministeriale è ancora in vigore mentre non trova ancora applicazione, soprattutto sotto il profilo degli interventi dovuti in acque internazionali e sulle informazioni dovute dai comandi marittimi, il recente Piano nazionale SAR, approvato con Decreto del 4 febbraio 2021, a firma dell’ex ministro delle infrastrutture De Micheli.
Sembra dunque continuare la guerra contro i soccorsi operati da navi private appartenenti ad Organizzazioni non governative, alimentata sul fronte interno da una martellante campagna d’odio sui principali social e sui giornali più vicini ai partiti di destra. Mentre sulla base degli accordi bilaterali con le autorità libiche, che il governo italiano si appresta a fare rifinanziare dal Parlamento, la sedicente Guardia costiera libica viene guidata ad operare un numero crescente di respingimenti su delega, e dopo avere aperto il fuoco su lavoratori del mare imbarcati su pescherecci di Mazara del Vallo, minaccia apertamente le navi delle ONG, intimando loro di non operare in acque internazionali. All’interno della zona SAR impropriamente riconosciuta ad una Libia che, come Stato unitario, non esiste ancora, e che le autorità di Tripoli fanno coincidere quasi per intero con la ZEE (zona di esclusivo interesse economico), dunque fino a 50 miglia dalle coste della Tripolitania e della Cirenaica, escludendo il diritto alla libera navigazione in acque internazionali per quelle navi umanitarie che potrebbero arrivare a soccorrere naufraghi prima dell’arrivo delle motovedette libiche. Motovedette che sono ancora in mano alle milizie che in diverse località sono colluse con le organizzazioni criminali che gestiscono le partenze, come a Zawia. Eppure, anche se questa situazione è ben nota agli organismi internazionali, che hanno messo sotto accusa Al Milad (Bija), capo della Guardia costiera di Zawia, l’Italia continua a rifinanziare gli interventi in Libia ed a richiedere all’Unione Europea finanziamenti sempre più consistenti da trasferire alle milizie libiche, in un progetto di esternalizzazione delle frontiere che parte dal Trattato di amicizia del 2008 tra Berlusconi e Gheddafi.
Le norme di diritto internazionale richiamate dalla Corte di cassazione, ed applicate adesso dai giudici di Agrigento per archiviare il caso Rackete, potrebbero costituire un limite alle scelte politiche adottate dal Viminale che vieta o ritarda a discrezione l’ingresso in porto di navi che portano a bordo naufraghi, o le sottopone a defatiganti fermi amministrativi, impedendo per mesi che possano svolgere quelle attività di soccorso in acque internazionali che gli Stati hanno deciso di omettere per non favorire le partenze dalle coste nord-africane, e dunque per l’asserito fine politico di contrastare l’immigrazione “illegale” e per “difendere i confini nazionali”.
Sul caso della mancata convalida degli arresti di Carola Rackete la Corte di Cassazione aveva affermato i seguenti principi che hanno una valenza di portata generale, che va oltre la natura cautelare del procedimento.
Secondo la Corte di Cassazione (Sentenza n. 6620, depositata il 20 febbraio 2020) “ Il controllo di ragionevolezza del giudice della convalida deve dunque essere effettuato sulla base di una interpretazione adeguatrice delle norme di rango primario – le norme appunto che disciplinano la convalida dell’arresto in flagranza – a quelle di rango costituzionale che stabiliscono limiti tassativi al potere dell’autorità di polizia giudiziaria di incidere sulla libertà personale degli individui. Il giudice di Agrigento ha correttamente interpretato quelle norme di legge (artt. 385 e 391 cod.proc.pen.) alla luce dei principi di rango costituzionale. Egli ha puntualmente ricostruito la vicenda processuale, ripercorrendo nel corpo del provvedimento la scansione temporale degli eventi, riepilogando gli antefatti dal giorno del salvataggio dei naufraghi fino ai contatti tra la capitana e la polizia giudiziaria nei giorni successivi, allorché la Sea Whatch3 era alla fonda davanti al porto di Lampedusa, nonché ciò che avvenne poco prima dell’ingresso in porto, la notte del 29 giugno 2019. Tale ricostruzione risultava necessaria allo scopo di inquadrare un evento che si caratterizzava per la sua singolarità, oggettivamente al di fuori dei casi normalmente affrontati in sede di convalida di arresto. Alla luce di tutto ciò, il Giudice ha ritenuto non legittimo l’arresto della Rackete in quanto operato in presenza di un divieto stabilito dall’art. 385 cod.proc.pen. Secondo quanto argomentato nel provvedimento impugnato, la misura precautelare era stata adottata al di fuori del perimetro di legalità, in forza della ricorrenza di una causa di giustificazione, individuata nell’adempimento del dovere di soccorso. Tale causa di giustificazione trovava correttamente il proprio fondamento, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, proprio in una valutazione complessiva e non parcellizzata di tutti gli elementi fattuali rilevanti per comprendere la situazione palesatasi agli operanti nelle fasi immediatamente precedenti alla condotta di ingresso nel porto, e di quelli ad essi antecedenti, tutti elementi conosciuti da coloro che avevano operato l’arresto.
La Corte di Cassazione ritiene che: “Tenuto conto che la privazione della libertà personale della Rackete era avvenuta in quel preciso contesto fattuale, descritto alle pagg. 8-11 dell’impugnata ordinanza, il Giudice ha escluso la legittimità dell’arresto perché effettuato, quanto alla sussistenza del reato di cui all’art. 1100 cod nav., in assenza del requisito di “nave da guerra” della motovedetta V.808, e, quanto al reato di cui all’art. 337 cod.pen., in presenza di una causa di giustificazione, ex art. 51 cod.pen. “.
Secondo i giudici della Cassazione, All’esito di un percorso esegetico delle fonti normative di rango internazionale, che sono vincolanti per lo Stato italiano e per tutti coloro che sono tenuti nel loro operare all’osservanza della legge italiana, il Giudice ha ritenuto configurabile in capo alla capitana della nave la causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere di soccorso che, a mente dell’art 385 cod.proc.pen., comporta uno specifico divieto di arresto in flagranza e di fermo. È ben vero che, sulla base dell’inequivoco dato testuale della norma processuale, detto divieto opera a condizione che la causa di non punibilità sia riconoscibile nel contesto dei fatti che hanno richiesto l’intervento d’urgenza (“quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare”). Non di meno, contrariamente all’assunto del ricorrente, non è certo la presenza di una articolata motivazione del provvedimento ad escludere di per sé che l’esimente “appaia” sussistente. L’articolata motivazione, al contrario, si giustifica proprio in forza della complessità della vicenda, della delicatezza del bene giuridico compresso (la libertà individuale), della conseguente necessità di ricostruire con attenzione e precisione le fonti normative, anche di rango internazionale, idonee a fondare la sussistenza della causa di giustificazione dell’art. 51 cod.pen. e il suo esatto contenuto. Sono questi gli elementi, indicati dal Giudice, a costituire il parametro della valutazione della ragionevolezza dell’operato di coloro che hanno eseguito l’arresto.
La Corte di Cassazione condivide dunque “la valutazione del Giudice di Agrigento, che ha ritenuto non ci fossero i presupposti per convalidare l’arresto, eseguito in quel descritto contesto fattuale, poiché operante il divieto di cui all’art. 385 cod.proc.pen., è corretta. La verosimile esistenza della causa di giustificazione è stata congruamente argomentata. In questo ambito, il provvedimento ripercorre, necessariamente, le fonti internazionali (Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, SOLAS- Safety of Life at Sea, Londra, 1974, ratificata dall’Italia con la legge n. 313 del 1980; Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 147 del 1989 e alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994; Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita dall’Italia dalla legge n. 689 del 1994), sia allo scopo di individuare il fondamento giuridico della causa di giustificazione, identificata nell’adempimento del dovere di soccorso in mare, sia al fine di delinearne il contenuto idoneo a scriminare la condotta di resistenza. Proprio le citate fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento Io interno, in forza del disposto di cui all’art. 10 comma 1 Cost. – tutte disposizioni ben conosciute da coloro che operano il salvataggio in mare, ma anche da coloro che, per servizio, operano in mare svolgendo attività di polizia marittima -, sono il parametro normativo che ha guidato il Giudice nella valutazione dell’operato dei militari per escludere la ragionevolezza dell’arresto della Rackete, in una situazione nella quale la citata causa di giustificazione era più che “verosimilmente” esistente. Nè si potrebbe ritenere, come argomenta il ricorrente, che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “piace of safety”). Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile». Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Per l’Italia, il piace of safety è determinato dall’Autorità SAR in coordinamento con il Ministero dell’Interno. Secondo le citate Linee guida, «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12). «Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative». (par. 6.13)”.
Per la Corte di Cassazione, “Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave. Ad ulteriore conferma di tale interpretazione è utile richiamare la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”.
2. Tutte le argomentazioni addotte dall’ex ministro dell’interno Salvini come base dei suoi provvedimenti, prima del decreto sicurezza bis, semplici direttive, poi decreti, di divieto di ingresso nelle acque territoriali, sono demolite dalla Cassazione. Anche la ricostruzione dei fatti secondo la quale la comandante Rackete avrebbe intenzionalmente tentato di schiacciare contro il molo la piccola motovedetta della Guardia di finanza, che si interponeva andando avanti ed indietro, tentando di impedire il definitivo attracco della nave, viene destituita di fondamento. Come era evidente sin dal principio, in base alla ricostruzione dei video e alle numerose foto riprese anche da comuni cittadini durante le concitate fasi dell’ormeggio della nave in banchina. Secondo la Corte di Cassazione, “In conclusione, la verifica del giudice della convalida è stata correttamente compiuta e corretta è la sua decisione. Il giudice non soltanto ha ritenuto configurabile, nella situazione descritta nel provvedimento, la causa di giustificazione dell’adempimento del dovere di soccorso, individuandone la portata, ma ha anche valutato che la sussistenza di tale scriminante fosse percepibile da parte degli operanti che avevano proceduto all’arresto, sulla base di una valutazione della singolarità della vicenda e delle concrete circostanze di fatto, come meticolosamente riepilogate. Non è ammessa, infatti, una privazione della libertà personale da parte della polizia giudiziaria quando, avuto riguardo alle circostanze del caso, ricorrano nel concreto cause di giustificazione idonee ad escluderne la rilevanza penale, in termini di ragionevolezza, sulla scorta degli elementi di conoscenza in capo a coloro che hanno operato la misura privativa della libertà personale (Sez. 6, n. 49124 del 01/10/2003, P.M. in proc. Todirica, Rv. 227721 – 01).
3. Le motivazioni addotte dalla Corte di Cassazione appaiono coerenti con le contestazioni contenute nella richiesta di autorizzazione a procedere formulata con l’ordinanza del Tribunale dei ministri di Palermo sul caso Open Arms, poi recepite dalla Procura di Palermo e quindi confermate dal Giudice dell’udienza preliminare di Palermo, che ha disposto il rinvio a giudizio del senatore Salvini, fissando la prima udienza del procedimento penale per il prossimo 15 settembre. I richiami al sistema gerarchico delle fonti, alla Costituzione ed alle norme internazionali forniscono anche la misura degli abusi di discrezionalità amministrativa esercitati dall’ex ministro dell’interno fin dal momento del suo insediamento al Viminale, a partire dal caso Aquarius, con la politica propagandistica di “chiusura dei porti”. Una politica che ha fatto la fortuna elettorale dei partiti di destra, a scapito del rispetto dello stato di diritto e del diritto internazionale del mare.
Sarà decisivo per la salvaguardia dello Stato di diritto nel nostro paese che tali principi, soprattutto nella parte che ribadiscono gli obblighi di soccorso a carico degli Stati fino alla indicazione di un porto di sbarco sicuro, già presi in considerazione nei numerosi casi di archiviazione delle accuse contro le ONG, siano tenuti presenti nei diversi processi ancora aperti a Trapani (Iuventa), sulla quale si attende la decisione del Giudice dell’Udienza preliminare, dopo la conclusione delle indagini, ed a Ragusa (Open Arms), addirittura per violenza privata. A Ragusa non è bastata neppure l’archiviazione disposta dal Tribunale perché la Procura ha presentato appello ed ha riaperto il processo.
Non è più tempo di ripetere soltanto il consueto “mantra” secondo cui l’Unione Europea dovrebbe fare di più, o che le competenze dei soccorsi in acque internazionali spetterebbero se non ai libici, alle autorità maltesi, a fronte della evidente mancanza di mezzi delle autorità marittime de La Valletta e della enorme estensione della zona SAR maltese. Sarebbe forse meglio se si tenesse in evidenza in primo piano quanto impone il diritto internazionale in materia di obblighi di ricerca e soccorso senza trascurare il dettato della normativa interna.
Il costo della gigantesca montatura mediatico-giudiziaria contro i soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale non è stato pagato soltanto dagli operatori umanitari, e dalle tanto odiate ONG, ma soprattutto dai migranti che hanno fatto naufragio, e che sempre più numerosi finiscono dispersi in mare. Migliaia di persone che a causa della pressione esercitata sulle navi delle ONG, a partire dal Memorandum di intesa con il governo di Tripoli del 2 febbraio 2017 e del Codice di condotta adottato dall’ex ministro dell’interno Minniti, sono stati abbandonate in mare o respinte con l’aiuto della sedicente guardia costiera “libica”. La guardia costiera di un governo che non controlla neppure l’intero territorio nazionale e che, come è stato dimostrato, risulta collusa con le organizzazioni criminali che tutti a parole dicono di volere combattere. Fino a quando il governo libico non garantirà sicurezza e dignità, con uno status legale e con un vero sistema di accoglienza ( e non di internamento) ai migranti ed ai potenziali rifugiati presenti nel suo territorio, non si potrà parlare di “dovere morale” di garantire i diritti umani delle persone di diversa nazionalità intrappolate nel pantano libico. E di questo, il Presidente del Consiglio Draghi ed i ministri Di Maio e Lamorgese dovrebbero prendere atto, per non essere, in caso contrario, annoverati come complici degli abusi che i migranti continuano a subire quando si trovano in Libia, o quando vengono riportati indietro, nei campi di detenzione dai quali sono fuggiti, dopo essere stati intercettati in alto mare . Le recenti denunce dell’UNHCR e dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla condizione dei migranti in Libia, anche in riferimento alle attività della sedicente Guardia costiera “libica”, non potranno essere ignorate a lungo.
Nota del Garante nazionale sul Decreto-legge dal titolo “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori e la semplificazione procedimentale in materia di immigrazione”
Nota del Garante nazionale sul Decreto-legge dal titolo “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori e la semplificazione procedimentale in materia di immigrazione”
In attesa di avere contezza del provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2022 e nella certezza che, al di là di espressioni riportate dalla stampa, il Ministero dell’Interno avrà già doverosamente considerato molti degli aspetti che qui si intende evidenziare, il Garante nazionale ritiene utile ricordare alcuni principi nazionali e sovranazionali che vincolano il nostro Paese.
Per altri aspetti, sarà, ovviamente, il Parlamento a valutare la necessità di una decretazione d’urgenza in materia.
Una premessa
Le Convenzioni internazionali sono un limite alla potestà legislativa dello Stato e gli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione codificano il principio per cui il diritto internazionale e le Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia non sono derogabili dalla legislazione interna. In prospettiva di un’analisi dettagliata del decreto-legge approvato il 28 dicembre scorso dal Consiglio dei ministri e del processo di sua successiva conversione, gli elementi di riferimento sono le norme di diritto internazionale nonché quelle del diritto, anche interno, della navigazione e del soccorso in mare[1].
Circa gli specifici punti:
Il soccorso
La Corte Europea dei diritti dell’uomo (più avanti CtEdu) nelle sentenze emesse nel caso Sharifi c. Italia e Grecia del 21 ottobre 2014[2] (ricorso n. 16643/09) e nel caso (Grande Camera) Hirsi Jamaa c. Italia del 23 febbraio 2012[3] (ricorso n. 27765/09) ha affermato che il mancato accesso alla procedura d’asilo o a qualsiasi altro rimedio legale all’interno del porto di attracco configura una violazione dell’articolo 4 del Protocollo n.4 alla Convenzione, che, come è noto, è parte integrante della Convenzione stessa. La CtEdu ha sottolineato che il sistema di Dublino deve essere applicato in modo compatibile con la Convenzione e che nessuna forma di respingimento o di rimpatrio collettivo e indiscriminato può avere luogo. Ovviamente tali principi sono noti al Legislatore italiano e da esso condivisi.
Risulta evidente che debbano, quindi, essere garantiti nel territorio nazionale il transito e la sosta al fine di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità. Sorge il problema se questa possa avvenire «ai soli fini» di esercitare tali funzioni e non anche ai fini di tutelare le garanzie complessive che ogni persona debba avere anche sul piano giuridico. Appare opportuno comunicare le operazioni al Centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera della nave. Ovviamente, ciò non fa venir meno alcuna responsabilità dello Stato che ha effettuato il soccorso.
La domanda per le persone migranti a bordo delle navi che hanno effettuato il soccorso pone preliminarmente la dicotomia tra «possibilità» e «obbligo». La prima ipotesi rappresenta un incremento delle potenzialità che compongono l’idea stessa di salvataggi, sempre che vi siano anche elementi informativi adeguati e indipendenti disponibili a bordo dell’imbarcazione. La seconda impone una irragionevole accentuazione di vulnerabilità che farebbe antecedere la politica interna di uno Stato rispetto al principio sovranazionale di massima tutela di chi può trovarsi in condizioni di fragilità sul piano personale e anche giuridico. Certamente il testo varato dissiperà la perplessità perché la seconda ipotesi esporterebbe il Paese al rischio di censure internazionali. È, infatti, principio ineludibile, che non possa essere la finalità di radicare la responsabilità per l’accoglimento o il respingimento della domanda d’asilo in capo agli Stati di bandiera delle navi in oggetto[4] il criterio che compone il diritto umanitario degli Stati democratici[5].
«Imporre» e non «dare la possibilità» di domanda di protezione internazionale agli Stati di bandiera delle navi delle Organizzazioni non governative potrebbe degenerare verso una situazione di immediatezza del respingimento degli altri non richiedenti e, quindi, entrare in contrasto con il citato articolo 4 del Protocollo n. 4 della Convenzione.
I requisiti
Le navi che effettuano «in via non occasionale» attività di ricerca e soccorso in mare devono corrispondere, nel loro operare, ad alcuni requisiti. Le informazioni avute dal Garante nazionale sono riassumibili nei seguenti aspetti:
- idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali (obiettivo condivisibile);
- tempestivo avvio di iniziative volte ad acquisire le intenzioni di richiedere la protezione internazionale. Il problema sorge laddove il diritto internazionale marittimo non individua il comandante di una nave quale competente a determinare lo status di coloro che ricadono temporaneamente sotto la propria tutela a seguito di un’operazione di salvataggio e non è dunque in alcun modo tenuto a richiedere alle persone soccorse se vogliano presentare domanda di protezione internazionale. Peraltro il paragrafo 6 delle “Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare”[6] adottato nel 2004 dal Comitato marittimo per la Sicurezza[7] (Agenzia Onu specializzata nel settore) nel contesto dell’adozione di una serie di emendamenti alle Convenzioni Sar[8] e Solas[9], prevede che ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non debba essere consentita qualora possa ostacolare la fornitura di tale assistenza o possa ritardare lo sbarco;
- la richiesta all’Autorità Sar competente, nell’immediatezza dell’evento, dell’assegnazione del Pos (place of safety). Da una parte ciò riprende quanto già previsto; da un’altra, occorre ben valutare se ciò possa essere compatibile nella singola situazione in essere con le norme sul soccorso in mare, che hanno il precetto consuetudinario e generalmente accolto di non mettere in essere qualsiasi azione che aggravi la situazione di pericolo, individuale e collettivo, tenendo anche conto della vulnerabilità delle singole persone, che potrebbe accentuarsi in caso di mancata risposta alle richieste di coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso condotte nelle zone Sar di competenza di altri Paesi.
- il raggiungimento del porto di sbarco individuato dalle competenti Autorità senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso. Anche in questo caso occorre non piegare la giustezza del precetto a finalità diverse. In assoluto, il precetto è elemento di garanzia per le persone; va tuttavia letto in congiunzione con la specificità del Pos assegnato. Inoltre, questo punto va letto in connessione con quello di cui alle cosiddette «operazioni plurime», sempre tenendo conto dell’articolo 1158 del Codice della navigazione[10] che riguarda l’ipotesi di omissione di soccorso.
- comunicazione alle Autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane o, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle Autorità di Pubblica sicurezza, delle informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata delle fasi dell’operazione di soccorso effettuata. L’interpretazione dell’indicazione è quella dei fini investigativi che, comunque, non devono poter ostacolare lo sbarco. Su questa linea, in termini più generali, vale il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni unite contro la Criminalità organizzata transnazionale del 2000[11], che in tema di contrasto al traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima, all’articolo 19 recita «Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato».
- le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non devono aggravare situazioni di pericolo a bordo né impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco. Inoltre:
- nel caso di operazioni di soccorso plurime, le operazioni successive alla prima devono essere effettuate in conformità agli obblighi di notifica e non devono compromettere l’obbligo di raggiungimento, senza ritardo, del porto di sbarco. Qui occorre preliminarmente osservare che qualora una nave abbia raccolto alcune persone in rischio di naufragio e stia avviandosi verso il Pos indicato dalle Autorità, ha comunque l’obbligo, sulla base del diritto del mare, di soccorrere altre persone, qualora sia raggiunta da una comunicazione del loro pericolo e sia in grado di poterle accogliere. Tale obbligo non può venir meno sulla base di un provvedimento di un singolo Paese, tantomeno ai fini della regolazione degli accessi al suo territorio. È opportuno ricordare l’articolo 98 della Convenzione Unclos del 1982, che prevede che ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri, debba procedere quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa. Relativamente alla ventilata previsione di sanzioni in merito, per il comandante dell’imbarcazione, potrebbe palesarsi in sede di applicazione la scriminante dell’articolo 51 c.p. dell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica.
La sanzione amministrativa:
Il passaggio da reato penale a sanzione amministrativa che può essere letto come elemento depenalizzante può avere effetti molto peggiori rispetto all’attività in sé operata da chi presta soccorso in mare. Occorrerà valutare quali sanzioni amministrative saranno imposte. Resta tuttavia il punto fermo del Garante nazionale consistente nel fatto che la valutazione da parte della Magistratura è comunque elemento di garanzia rispetto a sanzioni che abbiano effetti, sul piano pratico, anche maggiori e che vengono imposte dal potere amministrativo.
Certamente la lettura del testo definitivo sarà in grado di chiarire molti aspetti e sciogliere le attuali perplessità, qui sopra espresse. In tale prospettiva il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha inteso pronunciarsi già sul testo così provvisoriamente illustrato dagli Organi di informazione e ribadisce la sua volontà di un costruttivo dialogo in merito. Un dialogo che tiene presenti i diritti e le necessità primarie, incluso il soccorso, di chi mette in mare la vita propria e quella dei suoi cari in cerca di un “altrove” migliore, il diritto della collettività a essere rassicurata circa la presenza di persone irregolari sul proprio territorio, il diritto dell’Ordinamento a non essere esposto a rischi di censura rispetto a quegli impegni che costituiscono l’ossatura del proprio sistema democratico.
Roma, 30 dicembre 2022
Mauro Palma
[1] Sono numerosi i trattati stipulati in materia di sicurezza marittima e salvataggio in mare a cui potrà farsi riferimento per la valutazione di compatibilità del diritto interno al diritto internazionale: la Convenzione Internazionale per la Salvaguardia della Vita Umana in Mare (SOLAS) del 1974, la Convenzione Internazionale sulla Ricerca e Salvataggio Marittimo (SAR) del 1979, o la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982.
[2] https://hudoc.echr.coe.int/spa#{%22itemid%22:[%22001-155921%22]}
[3] https://hudoc.echr.coe.int/spa#{%22fulltext%22:[%22Hirsi%20Jamaa%20c.%20Italia%22],%22documentcollectionid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22],%22itemid%22:[%22001-146329%22]}.
Va osservato, inter alia, che nella sentenza la CtEdu precisa che: « Nella citata sentenza Hirsi Jamaa c. Italia la Corte ha affermato che «secondo il diritto internazionale in materia di tutela dei rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non sarebbe se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, o a bordo di una nave battente bandiera dello stesso, bensì se essa sia sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso»
[4] L’articolo 91 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che stabilisce che le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui battono bandiera.
[5] L’articolo 13 del Regolamento di Dublino III attribuisce la competenza a esaminare la domanda di protezione internazionale allo Stato membro la cui frontiera è stata varcata illegalmente dal richiedente in provenienza da un Paese terzo.
[6]Contenute nella Risoluzione MSC 167(78) (adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS). https://www.refworld.org/docid/432acb464.html
[7] MSC, Maritime Safety Committee. Il comitato per la sicurezza marittima è composto da tutti gli Stati membri dell’IMO.
[8] Convenzione internazionale sulla ricerca e soccorso in mare del 1974; https://www.guardiacostiera.gov.it/normativa-e-documentazione/Documents/Conv%20Amburgo%20comparazione%20testo%20originale-emendato%20ITA.pdf
[9] Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974.
[10]https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-18&atto.codiceRedazionale=042U0327&atto.articolo.numero=0&atto.articolo.sottoArticolo=1&atto.articolo.sottoArticolo1=10&qId=&tabID=0.7086388268937864&title=lbl.dettaglioAtto
[11] https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1&art.versione=1&art.codiceRedazionale=006G0168&art.dataPubblicazioneGazzetta=2006-04-11&art.idGruppo=8&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=6