Ritorna in libertà il trafficante/guardiacoste libico Bidja, quali garanzie di legalità in Libia?

di Fulvio Vassallo Paleologo

Come scrive la nostra amica Nancy Porsia, “Bidja è stata rilasciato oggi per mancanza di prove. Scagionato e libero. Come mi confermano fonti militari in Libia. Era stato arrestato lo scorso ottobre con accusa di corruzione e traffico di esseri umani. Risultato delle simmetrie variabili della campagna elettorale in corso…” Adesso probabilmente riprenderà il suo posto al comando delle milizie di Zawia che intercettano in mare e detengono in campi di trattenimento nei quali la tortura e l’estorsione costituiscono la quotidianità. Come riporta Agenzia Nova le milizie di Zawiya hanno “giocato un ruolo di primissimo piano nella difesa della capitale Tripoli dal golpe tentato (e poi fallito) dal generale Khalifa Haftar nell’aprile del 2019. Lo stesso “Bija” è apparso al fronte all’interno delle milizie del Gna insieme ai combattenti siriani”. La Stampa ricorda “come atto del nuovo governo di unità nazionale, il segnale fuori dal Paese africano non è dei migliori. O forse è uno dei prezzi da pagare per ottenere la tanto agognata pacificazione del Paese”. In Libia si rafforza cos il sistema criminale mafioso che intercetta i migranti in mare ed in Italia c’e’ chi plaude sostenendo che i guardiacoste libici addestrati dalle forze italiane ed europee non violano i diritti umani,. In vista, all’ordine del giorno dei lavori del Parlamento italiano, il rifinanziamento delle missioni militari per assistere la sedicente Guardia costiera “libica”, malgrado la liberazione e la reintegrazione di Bija e le sentenze di Tribunale che accertano le sevizie perpetrate ai danni di persone intercettate in acque internazionali e riportate dalle motovedette tripoline nei campi di detenzione sotto il controllo delle milizie colluse con i trafficanti.

Al-Milad (Bidja) era già nella lista delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per crimini legati al traffico di migranti dalla Libia all’Europa. Il primo giugno del 2017, era stato rivelato dalle Nazioni Unite che l’uomo era “pesantemente coinvolto” nel traffico di esseri umani nel Mediterraneo ed era stato anche accusato di aver intenzionalmente affondato alcune barche piene di migranti, utilizzando armi da fuoco. Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu e dell’Aja – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia Costiera chiamata Tallil (usata da Bija, nda) e portata al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture». Questo non poteva essere ignorato da chi sosteneva nel 2017 un Codice di condotta ( Minniti) che prevedeva la riconsegna dei naufraghi ai libici ed il dovieto di entrare nelle acque libiche per salvare la vita delle persone. Un codice di condotta che non ha valore di legge ma che alcune procure hanno utilizzato per incriminare operatori umanitari che avevano salvato vite in mare. I successivi governi, soprattutto al tempo di Salvini al Viminale, hanno sempre riconfermato la loro collaborazione con la guardia costiera libica, fino alle più recenti dichiarazioni di Draghi e del ministro dell’interno Lamorgese. Adesso, dopo la trionfale liberazione di Bidja, come giustificheranno il sostegno che da Bruxelles e da Roma continua ad arrivare alle autorità di Tripoli? Vedremo presto chi voterà nel Parlamento italiano il rinnovo dei finanziamenti alla sedicente Guardia costiera libica. Nei campi di detenzione in Libia intanto si continua a sparare su chi cerca di fuggire.

Il rilascio di Bidja è stato ordinato dall’ufficio del pubblico ministero dopo che sarebbero decadute le accuse nei suoi confronti. Si tratta di un fatto gravissimo che segue di pochi gioni la visita di Draghi e Di Maio in Libia, in un periodo di intensa attività diplomatica tra il governo provvisorio di Tripoli, il premier turco Erdogan, e le autorità russe ed egiziane, mentre ritorna alla ribalta il generale Haftar che ancora controlla con le sue milizie una buona parte della Libia. Bidjia è stato accolto trionfalmente dai suoi sostenitori, e tutto lascia presumere che avrà ancora un ruolo nei rapporti con i servizi dei paesi europei presenti in un paese ancora diviso, e con i servizi italiani in cerca di sponde in Libia. Come ricorda Sicurezza Internazionale i precedenti non mancano e nessuno potrà nasconderli. Le autorità italiane erano a conoscenza della condotta di Bija già prima delle Nazioni Unite e il Ministero della Difesa aveva pubblicato un rapporto, datato 10 maggio 2017, in cui si spiegava che l’uomo aveva “controllato l’attività di contrabbando dall’Ovest di Tripoli al confine con Tunisia dal 2015”. Tuttavia, solo un giorno dopo la pubblicazione del rapporto, l’11 maggio 2017, Bija si trovava proprio in Italia, in Sicilia precisamente, invitato dai rappresentati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per prendere parte ad uno degli incontri che aveva seguito la firma del Memorandum d’intesa tra Roma e Tripoli per combattere “l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani”, firmato il 2 febbraio 2017.

La liberazione di Bidja, che era stato fatto “scomparire” già da alcuni mesi, subito dopo il suo arresto, potrebbe inquadrarsi nella “normalizzazione” della Libia e nel tentativo di rilanciare la “guerra” ai soccorsi umanitari, con una rinnovata sinergia tra le milizie libiche, la sedicente guardia costiera di Tripoli, la nuova guardia costiera “libica” denominata GASC, le autorità europee (inclusa Frontex) ed i servizi di diversi paesi presenti in Libia. Sono anni che la Guardia costiera “libica” tiene sotto il tiro delle sue armi le navi delle ONG che si impegnano nei soccorsi in mare nelle acque internazionali di quella vastissima zona SAR che si è riconosciuta il governo di Tripoli con la coplicità dell’IMO (Organizzazione Marittima internazionale delle Nazioni Unite) e dei governi italiani, che hanno così potuto ritirare gli assetti navali di controllo della sicurezza marittima e di soccorso prima presenti.

Vedremo adesso, nella Libia, che si dovrebbe avviare verso la riunificazione e le elezioni, che ruolo sarà riconosciuto ad un trafficante/guardiacoste in divisa, che sembra riammesso nella Guardia costiera “libica”, un personaggio che con la sua motovedetta e le sue milizie si è reso responsabile del respingimento collettivo illegale, su delega (italiana ed europea), di migliaia di persone e della morte di naufraghi che cercavano di sottrarsi alla intercettazione, ( che è cosa diversa dai salvataggi) in acque internazionali, intercettazioni operate da parte di una Guardia costiera libica che era evidentemente coordinata dalle autorità italiane ed europee. Al punto che Bidja era stato ammesso a partecipare una missione in Italia nella quale poteva avere liberamente accesso nel 2018 al Comando centrale della Guardia costiera italiana ed al Ministero dell’interno. Come se nessuno sapesse chi fosse davvero.

Come riferisce Nello Scavo su l’Avvenire, “ntervistato da Amedeo Ricucci nell’autunno del 2017, Abd al-Rahman al-Milad, noto come Bija, all’inviato del Tg1 fece chiaramente intendere che in cambio di un ricco appalto per gestire la sicurezza dei siti petroliferi concessi ad aziende italiane, avrebbe smesso di doversi arrangiare con certi affari. Traffici che secondo gli esperti Onu si possono riassumere «nell’affondamento delle imbarcazioni dei migranti utilizzando armi da fuoco», la cooperazione «con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf che, secondo fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite». Era l’anno nel Minniti imponeva il suo Codice di condotta, e nel quale venica sequestrata la nave IUVENTA a Lampedusa, come avvio della guerra contro i soccorsi umanitari. Occorreva lasciare campo libero alle motovedette libiche donate dall’Italia e comandate da uomini come Bija.

Con la sentenza del Tribunale di Messina del 28 maggio 2020 venivano condannati , dopo essere giunti in Italia a bordo di una nave umanitaria che li aveva soccorsi in mare assieme alle loro vittime, tre carcerieri/torturatori che appartenevano alla famigerata milizia di Bidja, che controllava in particolare, oltre alla motovedetta sulla quale operava alternativamente come comandate/trafficante, il campo di detenzione di Zawia, il porto, e il contiguo compound dell’ENI.

Si avvicina adesso il rifinanziamento delle missioni italiane in Libia, e tra queste della missione NAURAS della Marina militare che, con unità navali ormeggiate a rotazione nel porto di Tripoli, assiste la sedicente Guardia costiera “libica”, con la Centrale di coordinamento italiana (IMRCC) a Roma evidentemente ben a conoscenza della sorte dei migranti intercettati in acque internazionali e riportati nei centri di detenzione in Libia. Le attività di intercettazione emerse nei procedimenti penali in corso in Italia lasciano aperti molti interrogativi sul rispetto dello stato di diritto già nel nostro paese. Ma non dovrebbero esserci dubbi che in Libia non esiste ancora uno stato di diritto e la liberazione di Bidja conferma come non ci siano autorità in grado di processare chi in Italia, e prima ancora a livello internazionale, è stato indicato come responsabile di gravissimi abusi perpetrati al porto e nei campi di detenzione di Zawia che le sue milizie controllano.

Occorre sospendere qualsiasi sostegno finanziario ed operativo ad una Guardia costiera “libica” che non garantisce il rispetto del diritto/dovere al soccorso ed allo sbarco in un porto sicuro, secondo le principali agenzie delle Nazioni Unite. Devono essere avviate missioni internazionali di monitoraggio e soccorso nel Mediterraneo centrale e devono essere contrastate tutte quelle decisioni di una Commissione europea sempre più debole e divisa, che trova una parvenza di unità soltanto quando si tratta di varare politiche repressive che chiudono qualunque via di fuga, nella prospettiva, emersa anche dal recente Patto europeo sulle migrazioni e nella Raccomandazione della Commisione sui soccorsi nel Mediterraneo, di rilanciare la collaborazione con le autorità libiche. No, non abbiamo proprio bisogno della collaborazione dei dittatori per bloccare le vie di fuga dei profughi dalla Siria, dall’Irak, dall’Afghanistan, e non abbiamo bisogno di trafficanti/comandanti in divisa, che su delega delle autorità italiane, intercettano migranti in acque internazionali, persone alle quali non è data altra possibilità di vita, riconsegnano ai custodi dei centri di detenzione vittime di abusi e violenze che sono stati documentati persino nei tribunali italiani.