di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Come era prevedibile, il protrarsi dell’udienza preliminare sul caso Gregoretti, con l’accoglimento della richiesta avanzata dalla difesa del senatore Salvini per l’audizione come testi di numerosi politici , anche dell’attuale ministro Lamorgese che all’epoca dei fatti contestati dal Tribunale dei ministri di Catania non rivestiva incarichi di governo, ma era solo prefetto e componente del Consiglio di Stato, sta oscurando i fatti e le norme sui quali si sarebbe dovuto pronunciare il GUP,. Fatti e norme sui quali era stata limpida e argomentata la richiesta di autorizzazione a procedere formulata dal Tribunale dei ministri di Catania, che sembra ormai uscita dall’attenzione generale, oltre che dal campo delle audizioni dei testimoni. Non sembra che le testimonianze raccolte abbiano portato un qualsiasi contributo per valutare quanto il Tribunale dei ministri contestava al senatore Salvini, che nella qualità di ministro dell’interno, in violazione delle Convenzioni internazionali di diritto del mare, avrebbe evitato di rispondere tempestivamente alla richiesta di POS (Place of Safety) presentata formalmente da IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center), il 27 luglio 2019, bloccando in questo modo la procedura di sbarco dei migranti, in modo da determinarne la illegittima privazione della libertà personale, costringendoli inoltre a rimanere in condizioni psico-fisiche critiche a bordo della nave Gregoretti ormeggiata nel porto di Augusta fino al pomeriggio del 31 luglio 2019, momento in cui veniva autorizzato lo sbarco. Secondo quanto accertato dal Tribunale dei ministri di Catania, peraltro, “nell’unica riunione del Consiglio dei Ministri, tenutasi in data 31/7/2019, la questione relativa alla vicenda della nave Gregoretti non figura all’ordine del giorno e non è stata oggetto di trattazione nell’ambito delle questioni varie ed eventuali”.
Si sta attribuendo così rilievo, all’interno di un procedimento penale, a valutazioni meramente politiche che dovrebbero provare l’assunto della difesa, secondo cui la scelta di trattenere per quattro giorni i naufraghi, già soccorsi in precedenza da un peschereccio, l’Accursio Giarratano, e da un mezzo più piccolo della Guardia di Finanza, rispondeva all’esigenza politica di concludere prima dello sbarco la negoziazioni con l’Unione Europea e in particolare con alcuni Stati membri, per la “redistribuzione” di una parte dei naufraghi soccorsi in acque internazionali. Elemento ancora più singolare, per non dire preoccupante, di questa interminabile fase del “processo prima del processo”, è costituito dalle semplificazioni e dai paragoni ricorrenti nel corso delle deposizioni dei testi, chiamati a deporre su una materia che sembra diventata pretesto per una passerella processuale. L’esito sembra davvero scontato, la decisione del giudicedi Catania si conoscerà il prossimo 14 maggio, assai probabilmente con il “non luogo a procedere” per il senatore Salvini, mentre si assiste ad un ulteriore rilancio degli attacchi e delle inchieste nei confronti delle Organizzazioni non governative che nel corso degli anni, dal 2016 ad oggi, hanno salvato da naufragio in mare, ma anche dalla detenzione arbitraria in Libia, decine di migliaia di persone.
Sui mezzi di informazione vicini ai partiti sovranisti ritornano i termini diffamanti usati negli anni scorsi “taxi del mare”, “trucchi delle ONG “, “clandestini”, tanto per alimentare poi quelle ventate di odio che inquinano i canali social dopo che i capi politici lanciano il segnale di attacco. Una tecnica ormai nota, che negli ultimi tempi è diventata più sottile, con i principali produttori di odio che adesso sembrano assumere il ruolo delle vittime, anche di fronte alla giustizia, ed eserciti di seguaci e di cloni che diffondono nell’opinione pubblica una percezione dei fatti che si allontana sempre più dalla realtà. Alla fine l’incasso elettorale è garantito, sia che si sieda al governo, che si rivesta il ruolo di opposizione. E i messaggi lanciati da un tribunale, magari anticipando le decisioni dei giudici, sono sempre efficaci per determinare uno spostamento del consenso elettorale o per riconquistare posizioni politiche di vantaggio.
Una nota rilanciata dall’ANSA giovedì 11 marzo riporta quanto dichiarato dal senatore Salvini in merito alle “Inchieste sulle Ong”: Avro’ prossimamente un confronto con il ministro dell’Interno. Che il traffico di esseri umani sia un business per la malavita organizzata e che alcune Ong siano complici era una mia convinzione ed ora lo e’ anche di diverse procure”. Scontato l’effetto che queste dichiarazioni avranno sul popolo di seguaci che ripetono gli stesso slogan del “capitano” quando non tracimano direttamente nel discorso d’odio. Dal confronto in sede di testimonianza all’udienza preliminare sul caso Gregoretti si passa direttamente alla collaborazione tra forze di governo. Miracoli della politica italiana.
Secondo la trascrizione della testimonianza resa dal ministro dell’interno Lamorgese, riportata dal Giornale di lunedì 8 marzo scorso, ” Le navi che vanno a fare soccorso in acque Sar libiche non è che ogni volta che fanno un soccorso tornano immediatamente indietro. Tante volte, con dei soccorsi effettuati, si fermano nelle aree, diciamo libiche, anche tre, quattro giorni in attesa poi di recuperare il più possibile quelli che sono in difficoltà. Quindi – dice ancora – vuol dire che sono delle navi che comunque sia hanno la possibilità di stare ferme con delle persone appena recuperate in acqua. Di farle stare sulle imbarcazioni anche per quattro, cinque giorni, perché loro chiedono il Pos (place of safety) quando hanno l’imbarcazione piena e poi ritornano”. Secondo il ministro, “Quindi chiedono il Pos con la procedura che ho detto, prima nelle acque Sar libiche, poi Malta e poi l’Italia. Se fossero in condizioni di non poter stare, allora appena recuperati dovrebbero immediatamente venire, avvicinarsi verso Paesi che sono sicuri, tipo Malta e l’Italia e non sempre è così perché talora rimangono anche più giorni”. Attraverso queste dichiarazioni, che seguono alle domande del GUP, si coglie evidentemente l’intento di scaricare sul comandante della nave la responsabilità di non ottemperare alla indicazione di un porto di sbarco che si assume possa provenire anche dalla Libia, in quanto paese al quale si riconosce una area di ricerca e salvaraggio (SAR) di esclusiva competenza. Circostanze certo controverse che si sono dimostrate indifendibili in altri processi contro le ONG, ma del tutto irrilevanti nel caso della valutazione del comportamento del senatore ministro, all’epoca dei fatti titolare del Viminale, perchè la Gregoretti era una nave da guerra battente bandiera italiana e non una imbarcazione noleggiata da una Organizzazione non governativa.
In realtà nella sua deposizione la ministro Lamorgese avrebbe messo in rilievo una certa discontinuità rispetto a quanto avveniva con Salvini al Viminale. Come riporta Repubblica“a parte i primi tre sbarchi del suo ministero ( tra cui quello della Ocean Viking di ottobre 2019 lasciata in mare per una settimana dopo il suo ingresso in acque italiane) Luciana Lamorgese ha tenuto a sottolineare che dal Viminale la richiesta di redistribuzione è sempre partita contemporaneamente alla concessione del porto di sbarco che dipende solo ed esclusivamente dal ministero dell’Interno tramite l’ufficio di collocamento. Così come, durante la gestione Lamorgese, non è mai esistito un caso come la Gregoretti in cui per migranti soccorsi da una nave militare italiana sia stata chiesta la redistribuzione. “E’ territorio italiano – ha spiegato il ministro dell’Interno – e non esiste chiedere la redistribuzione”. Ma questa continuità/discontinuità di “linea politica” quanto può pesare nell’accertamento dei fatti rappresentati dal Tribunale dei ministri di Catania, e delle norme penali sulle quali il Giudice dell’Udienza preliminare è tenuto a decidere ?
Alla domanda del Giudice dell’Udienza preliminare dott. Sarpietro, “Secondo lei qual è la differenza fra il caso Diciotti, Gregoretti e l’Ocen Viking?”, il ministro risponde : “Ogni volta che c’è uno sbarco sicuramente ci sono delle difficoltà che affrontano tutti gli uffici. Oggi noi seguiamo una linea che è quella, perché all’epoca, nel 2018, fu fatto il decreto Sicurezza, di blocco della possibilità di interdizione del porto che è stato poi effettivamente utilizzato. Ma in effetti, poi, se vogliamo, nonostante ci fosse il decreto di interdizione, sostanzialmente tutte le volte regolarmente sono scesi, perché c’è anche da dire che quando arrivano poi sulle nostre coste dobbiamo iniziare tutta la procedura della redistribuzione, rapporti con l’Europa e quant’altro. Su questo non c’è dubbio». E invece i dubbi che vengono da queste dichiarazioni sono consistenti. Dovrebbe essere noto a tutti che il decreto sicurezza bis 14 giugno 2019, n.53, all’art. 2, con la rubrica ” Inottemperanza a limitazioni o divieti in materia di ordine, sicurezza pubblica e immigrazione), ( non il primo decreto sicurezza n.113/2018 come erroneamente dichiarato al GUP dal ministro Lamorgese) permetteva al ministro dell’interno di vietare l’ingresso nelle acque territoriali e nei porti italiani e di sanzionare i casi di “inottemperanza”, soltanto nel caso di soccorsi operati dalle ONG, restando espressamente escluse la navi militari italiane (art.2). Nel caso di soccorsi operati sia pure nella fase finale da navi militari italiane rimane esclusa qualsiasi possibilità di comparazione con i soccorsi operati dalle ONG, tema sul quale si è incentrata la testimonianza della ministro Lamorgese a Catania. E la valutazione del comportamento del senatore Salvini va operata con riferimento al tempo della vicenda Gregoretti, sulla base delle norme allora vigenti, senza richiamare situazioni politiche successive, o rapporti con l’Unione Europea di cui sono noti a tutti gli esiti fallimentari. Il cosiddetto Patto di Malta concluso nel mese di settembre del 2019, al quale si sta dando tanto spazio negli interrogatori dei testimoni in questa interminabile udienza preliminare, è successivo al tempo dei fatti contestati sul caso Gregoretti ( luglio 2019) e non ha avuto alcuna approvazione a livello europeo che gli conferisse una qualsiasi efficacia normativa, tanto meno con effetto retroattivo.
Ai fini della valutazione dei fatti riferibili al caso Gregoretti dovrebbe ricordarsi che al tempo dei fatti contestati al senatore Salvini, un quadro normativo esisteva, tanto a livello internazionale, che a livello nazionale. Ed in base alle norme si dovrebbe operare nella valutazione della responsabilità penale. Sembra ignorarsi che già dal 1996 esisteva un Piano SAR nazionale, recentemente aggiornato ,derivante da prescrizioni che tutti potrebbero consultare anche nel manuale IAMSAR (del 2005) e nelle Convenzioni internazionali ( e relativi annessi), Lo stesso giudice delle indagini preliminari, peraltro, dovrebbe conoscere bene la situazione delle aree SAR nel Mediterraneo centrale, perché già nel primo processo Open Arms, nel marzo 2018, aveva riconosciuto che di fatto la Guardia costiera libica era coordinata dalle autorità marittime italiane. In quell’occasione risultava agli atti come funzionava il sistema di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, anche prima che nel giugno del 2018 fosse riconosciuta a livello internazionale una zona SAR “libica”. Dopo la chiamata di soccorso proveniente dalla Open Arms con la richiesta di un porto di sbarco “ il personale a bordo della nave militare italiana Capri (operazione NAURAS), di stanza a Tripoli, comunicava a Roma che una motovedetta della Guardia Costiera Libica di lì a poco avrebbe mollato gli ormeggi per dirigersi verso l’obiettivo, e specificava che la detta Guardia Costiera avrebbe assunto la responsabilità del soccorso”. Si ritiene davvero che i paragoni tra il caso Gregoretti ed i soccorsi operati dalle ONG, prima e dopo il 2018, addirittura fino ai giorni nostri, possano incidere sulle decisioni da assumere sulla motivata richiesta di procedimento esitata dal Tribunale dei ministri di Catania sul caso di una nave militare italiana, all’interno di una area portuale italiana, a bordo della quale i naufraghi venivano trattenuti per 4 giorni in prossimità della banchina di sbarco?
Nessuna fonte normativa, tanto meno il cd. Patto di Malta del 2019, successivo peraltro alla vicenda Gregoretti, dunque irrilevante sul piano normativo, prevede che lo sbarco dei naufraghi, previsto dall’art. 10 ter del T.U. n.286/98 sull’immigrazione, e quanto più sollecitamente possibile dalle Convenzioni internazionali, possa essere ritardato a discrezione del ministro dell’interno, in vista di trattative con altri stati europei volte al fine della redistribuzione dei naufraghi. Ma non era questa la materia oggetto di un procedimento penale.
In sede di udienza preliminare si sarebbe dovuto valutare piuttosto quanto affermato dal Tribunale dei ministri di Catania, che mirava ad un accertamento delle responsabilità personali e non ad un processo ad una linea politica : “La decisione del ministro ha costituito esplicita violazione delle convenzioni internazionali in ordine alla modalità di accoglienza dei migranti soccorsi in mare e, al contempo, non sussistevano profili di ordine pubblico di interesse preminente e tali che giustificassero la protratta permanenza dei migranti a bordo della Gregoretti”. Per lo stesso tribunale, “per il reato di sequestro di persona “è sufficiente il dolo generico, consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua libertà fisica, intesa come libertà di locomozione”. Si trattava dunque di “una costrizione a bordo non voluta e subita, sì da potersi qualificare come apprezzabile e dunque penalmente rilevante l’arco temporale di privazione della libertà personale sofferto”.
Attraverso le domande alle quali evidentemente rispondono i politici “testimoni” emerge a tratti la posizione della Procura e la visione del Giudice unico dell’udienza preliminare di Catania, che sembrerebbero concordare con la tesi della difesa del senatore Salvini sulla “continuità” delle attività di interdizione dello sbarco dei naufraghi al fine di costringere gli Stati europei ad accoglierne almeno una parte. Luigi Di Maio, chiamato a testimoniare nel corso di una udienza preliminare che si è trasformata di fatto in un processo anticipato,, aggiunge ad una precisa domanda del GUP, che “di solito, quando c’era un momento di criticità nel governo, a questo corrispondeva sempre un momento politico a tre, di solito o addirittura a due, in alcuni casi tra i due vicepremier e il presidente del Consiglio in cui si cercava la soluzione per lo sbarco”. Lo stesso Di Maio però in diverse occasioni riferisce che i provvedimenti amministrativi di divieto di sbarco erano riferibili esclusivamente al titolare del Viminale. Anche queste dichiarazioni inducono a confondere fatti diversi tra loro perché evidentemente il senatore Di Maio, come sembrerebbe verificarsi anche per il GUP, non distingue i casi SAR operati dalle ONG, che operano con navi private, dall’attività di soccorso, in realtà un trasbordo in vista dello sbarco, che era stata affidata nel luglio del 2019 alla Gregoretti, nave militare battente bandiera italiana, dunque territorio italiano a tutti gli effetti.
Dopo l’avvicendamento al Viminale, nell’estate del 2019, nessuno può negare la cessazione dei divieti di sbarco rivolti magari ad una singola nave. Con l’insediamento del governo Conte 2 e dunque con l’uscita del senatore Salvini dal ministero dell’interno, le trattative con gli Stati europei si svolgevano solo dopo lo sbarco a terra, senza tenere i naufraghi incastrati per giorni sul ponte di una nave, civile o militare che fosse. Poi con la pendemia la situazione era destinata a cambiare ancora una volta e con il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020 il quadro normativo di riferimento mutava ancora una volta, mentre si doveva arrivare al mese di dicembre dello stesso anno per una parziale modifica dell’art. 2 del decreto sicurezza bis del 2019.
Sono i fatti che smentiscono quanto si sta tentando di dimostrare a Catania, che vi fosse una sostanziale continuità di governo nelle scelte sugli sbarchi tra il Conte 1 ed il Conte 2. La ministro Lamorgese non può non ammettere, come dimostrano i fatti, che i divieti di ingresso nei porti italiani comminati dal ministro Salvini quando era al Viminale non sono stati reiterati, almeno a partire dalla fine del 2019, anche se il governo rosso-giallo è riuscito a bloccare in altra maniera ( forse anche più efficace) le navi delle ONG con i fermi amministrativi stabiliti nei porti di attracco in maniera assolutamente uniforme, se non con formule prestampate, nei confronti delle imbarcazioni delle ONG, dopo ispezioni tecniche chiaramente mirate a rilevare ragioni per il blocco a tempo indeterminato. Questione sulla quale è adesso intervenuta una sospensiva del Tribunale Amministrativo di Palermo e sulla quale si attende il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Sembra totalmente ignorata la decisione del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, confermata da una sentenza della Corte di cassazione del gennaio-febbraio 2020, di non convalida dell’arresto in flagranza del capitano della nave Sea Watch 3 Carola Rackete a seguito della violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane stabilito con provvedimento adottato dal Governo italiano. Come osserva anche la dottrina, “Il GIP dopo aver riconosciuto la scriminante dell’adempimento di un dovere – il dovere di salvare le vite in mare che si esaurisce solo con lo sbarco delle persone in un luogo sicuro – ha esplicitamente escluso l’idoneità dei provvedimenti ministeriali in tema di chiusura dei porti nazionali a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della nave e sullo Stato ai sensi delle normative internazionali sovraordinate”.
Se si vuole davvero richiamare la prassi dei divieti di sbarco imposti dall’ex ministro dell’interno Salvini fino a quando è rimasto in carica, prima e dopo il decreto sicurezza bis del 2019, nessun giudice potrà eludere un confronto con le previsioni normative richiamate da questa giurisprudenza che ha trovato conferma anche in una decisione della Corte di cassazione. Gli obblighi di ricerca e soccorso in mare imposti agli Stati dal diritto internazionale, richiamato dall’art. 117 della Costituzione, e dall’art. 10 ter del testo Unico sull’immigrazione n.286/98 non potranno essere aggirati con motivazioni politiche che capovolgano l’ordine delle fonti normative. E tanto dovrà valere nei processi penali e nei canali informativi, almeno fino a quando si resti nell’ambito dei principi basilari dello stato di diritto in materia di garanzie della giurisdizione e di diritti di difesa.