di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Dopo giorni di attacchi sempre più gravi alle Organizzazioni non governative che soccorrono naufraghi nel Mediterraneo centrale, Dunja Mijatović, Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa ha pubblicato un Rapporto che stigmatizza le politiche di esternalizzazione con cui gli Stati europei contrastano le attività di ricerca e salvataggio delle ONG, delegando alle milizie ed alle guardie costiere dei paesi di transito, come la Libia, il respingimento collettivo dei migranti intercettati in mare. Nel Rapporto non si auspica soltanto una diversa politica migratoria che dia almeno la possibilità di fare ingresso legale in Europa per chiedere il riconoscimento della protezione internazionale, ma si sottolinea il valore centrale dei doveri di soccorso in mare in capo agli Stati e la necessità che questi cooperino con le ONG che svolgono da anni attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. Obiettivo sempre più chiaro delle politiche di sbarramento, supportate da una parte crescente dell’opinione pubblica, in un momento di emergenza sociale e sanitaria derivante dalle ondate di pandemia che si succedono senza sosta, come è del resto diventato un obiettivo perseguibile l’abbattimento dei diritti umani delle persone migranti. In Italia gli “sbarchi” ritornano materia di concorrenza elettorale, anche tra i partiti di destra, mentre la magistratura sembra in difficoltà e non mancano neppure magistrati che parlano di una nave militare italiana che avrebbe dovuto riportare in Libia i naufraghi soccorsi in acque internazionali ( caso Diciotti), malgrado la condanna subita nel 2012 dall’Italia, da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, sul caso Hirsi. Questo segnale è davvero inquietante e segna la misura della barbarie che sta entrando nei nostri tribunali. Continuano intanto, anche in questi ultimi giorni, i consueti respingimenti collettivi illegali delegati nel Mediterraneo centrale alla sedicente guardia costiera “libica”. Non sono “salvataggi” ma sequestri di persona a scopo di estorsione. nessuna autorità statale comunica che fine fanno i migranti riportati a terra dai guardia-coste libici, e molte testimonianze confermano una sistematica esposizione ad abusi di ogni genere. Per questa ragione qualunque tipo di soccorso operato nei confronti di chi fugge dalla Libia si rivolge a persone in stato di pericolo, già prima del tentativo di attraversamento del Mediterraneo, ed ogni intervento di soccorso in mare che li possa sottrarre ai libici va considerato come concluso da soccorritori che operano in stato di necessità.
2. Nel Rapporto del Commissario europeo per i diritti umani si ricorda come già nel 2019, il Commissario avesse invitato le autorità degli Stati membri del Consiglio d’Europa a garantire che gli sbarchi avvenissero “solo in luoghi sicuri sia ai sensi del diritto marittimo che ai sensi del diritto dei diritti umani e dei rifugiati”. Aveva anche esortato gli Stati a valutare attentamente tutti i rischi rilevanti quando si assegna un place of safety, ad astenersi dal dare istruzioni ai comandanti di nave che potrebbero, direttamente o indirettamente, portare a sbarchi in luoghi non sicuri e a rispettare la scelta discrezionale dei comandanti di una nave di rifiutare lo sbarco in un luogo che non considerano “sicuro”. Il Commissario aveva inoltre invitato gli Stati membri a cooperare nella ricerca di un place of safety e a non lasciare che i disaccordi avessero la precedenza sulle considerazioni umanitarie”.
Si ricorda poi come numerosi rapporti abbiano confermato che “la Libia non è ancora un luogo sicuro per lo sbarco, a causa delle gravi violazioni dei diritti umani commesse contro rifugiati e migranti, e del conflitto in corso nel Paese. La crisi sanitaria del Covid-19 ha solo peggiorato la situazione. L’8 maggio 2020 l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto una moratoria su tutte le intercettazioni e i rientri in Libia. Tuttavia, nonostante i ripetuti avvertimenti delle organizzazioni internazionali, la situazione non è cambiata: le persone soccorse in mare continuano a essere sbarcate in Libia”. Nel 2019, secondo i dati dell’OIM, 9.225 persone sarebbero state sbarcate in Libia dopo essere state intercettate in mare. Nel 2020, nonostante la crisi del Covid-19, il numero di persone intercettate si è attestato a 11.891, il 34% in più rispetto a tutto il 2019.
3. Il quadro fornito dal Rapporto, che tiene contro delle norme di diritto internazionale del mare e di diritto dei rifugiati smentisce quanto viene sostenuto in queste settimane in Italia nelle indagini contro le ONG e sui giornali che stanno rilanciando una vera e propria campagna di odio contro i soccorsi umanitari. In base al Rapporto “Le intercettazioni della Guardia costiera libica, seguite dai rimpatri, continuano ad essere possibili principalmente a causa della maggiore cooperazione degli Stati membri con le autorità libiche. Inoltre, il trasferimento della responsabilità delle operazioni di salvataggio alla Guardia costiera libica e l’indicazione data ai comandanti di seguire le sue istruzioni ha portato a più di 30 navi private che effettuano salvataggi a riportare i sopravvissuti in Libia dal 2018. La dichiarazione di una zona di ricerca e salvataggio (SAR) da parte della Libia e i crescenti ostacoli alle operazioni delle ONG hanno consentito agli Stati membri di sottrarsi ai loro doveri per salvare rifugiati e migranti, lasciando ulteriormente campo libero alla Guardia Costiera libica per intercettare e riportare a terra rifugiati e migranti rintracciati in mare”.
Il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa stigmatizza in particolare il caso adesso all’attenzione della Procura di Ragusa, del cargo Maersk Etienne,. con il ritardo nello sbarco dei naufraghi verificato tra agosto e settembre del 2020. Come ricorda il Rapporto, “Le persone soccorse dalla Maersk Etienne erano state lasciate al largo delle coste maltesi per quasi sei settimane, prima di essere trasferite su una nave di una ONG e sbarcate in Italia. Il Commissario ha ripetutamente denunciato il rischio per la salute fisica e mentale dei sopravvissuti e degli equipaggi che tali lunghi ritardi comportano, oltre a sottolineare gli obblighi degli Stati di rispettare, tra l’altro, il diritto delle persone salvate di chiedere protezione internazionale, ricevere assistenza e cercare rimedi contro le misure adottate”. Secondo il Commissario, “questi ritardi hanno anche ridotto la capacità delle ONG di riprendere le operazioni di soccorso, poiché comportano sia maggiori rischi operativi che maggiori costi. Inoltre, l’impatto di tali lunghi ritardi sulle navi private e commerciali è particolarmente problematico, poiché impone un notevole onere finanziario mentre vengono dirottate dalla loro rotta, a causa della forte riduzione degli sforzi condotti dagli Stati membri”.
Secondo quanto si legge nel rapporto, al quale ha collaborato anche Matteo Villa dell’ISPI, “Il Commissario condanna fermamente il fatto che, attraverso le loro azioni e omissioni, gli Stati membri abbiano ulteriormente aumentato i rischi di return in Libia, dove rifugiati e migranti affrontano gravi violazioni dei diritti umani, piuttosto che adottare misure decisive per prevenirlo. Il Commissario è anche molto preoccupato per le notizie di respingimenti in altre parti del Mediterraneo. Nota che la negazione totale delle accuse contenute nei rapporti di organizzazioni per i diritti umani degne di rispetto, incluso la loro liquidazione come “notizie false”, non sono risposte serie da parte di governi responsabili che apprezzano lo stato di diritto”. Per il Commissario, “sono aumentate le sfide per gli stati costieri, ed è necessario evitare ritardi nello sbarco, poiché presentano gravi rischi per i diritti, la salute e il benessere dei sopravvissuti e degli equipaggi delle navi che li hanno soccorsi. È necessaria una maggiore e più prevedibile solidarietà da parte di altri Stati, ma utilizzare i rifugiati e i migranti soccorsi come pedine per spingere altri Stati a trasferirli non è mai accettabile”. E qui è evidente il riferimento alla politica imposta dal precedente ministro dell’interno Matteo Salvini che tra il 2018 ed il 2019, in diverse occasioni, ha utilizzato il trattenimento prolungato dei naufraghi a bordo delle navi soccorritrici, per ottenere una loro redistribuzione tra diversi paesi europei. Una politica, che si è sostanziata poi in una serie di decisioni individuali riferibili esclusivamente al ministro dell’interno, che appare incompatibile con la tutela dei diritti umani affermata dalle Convenzioni internazionali. Come potrebbe risultare incompatibile con le norme del nostro codice penale, se i giudici volessero esaminare questi profili senza cadere nella bagarre politico-mediatica che la Lega, adesso al governo, ha ripreso ad alimentare.
4. Il rapporto del Commissario ai Diritti Umani del Consiglio di Europa si chiude infine con una serie di raccomandazioni rivolte agli Stati membri che si riportano qui integralmente. ” In considerazione di questa situazione, gli Stati membri dovrebbero: ● esaminare urgentemente l’impatto delle attività di sorveglianza aerea e assicurarsi che non contribuiscano alle violazioni dei diritti umani, anche facilitando i ritorni in Libia ● indagare prontamente su eventuali accuse di respingimenti o altri rimpatri illegali; ● in considerazione delle limitazioni intrinseche associate all’uso delle navi come luoghi di quarantena, assicurarsi che lo sbarco tempestivo a terra delle persone soccorse rimanga sempre la priorità. Lo “sbarco” su altre navi dovrebbe essere utilizzato solo come misura temporanea quando non sono disponibili altre alternative adeguate a terra e in linea con i principi di proporzionalità, non discriminazione e trasparenza; ● garantire che la permanenza in quarantena delle persone soccorse risponda a considerazioni di salute pubblica in modo appropriato, e strettamente limitato al periodo di quarantena necessario e protetto da chiare garanzie dei diritti umani. In particolare, le persone vulnerabili, compresi i bambini, le persone con condizioni mediche di base e le vittime di torture o trattamenti inumani, devono essere prontamente identificate e fornite di tutto il supporto medico necessario” . Secondo il Commissario, “Le autorità devono inoltre garantire che la situazione dei diritti umani a bordo sia strettamente monitorata da organismi di monitoraggio indipendenti e che venga fornito l’accesso ai difensori dei diritti umani che lavorano per garantire l’assistenza e la protezione del migrante”.
Con riferimento alle crescenti restrizioni imposte alle attività di ricerca e salvataggio in mare delle ONG, il Commissario conclude osservando che “Le restrizioni alle ONG hanno gravi implicazioni per la protezione dei diritti e delle vite in mare. Piuttosto che riconoscere le ONG come partner chiave, colmando una lacuna cruciale lasciata dal loro stesso disimpegno, gli Stati membri hanno persistito in un approccio apertamente o tacitamente ostile. Ciò sta portando a ulteriori riduzioni della capacità di salvataggio in mare e a limiti al monitoraggio dei diritti umani. Inoltre, tali azioni continuano a stigmatizzare il lavoro di questi difensori dei diritti umani. Sebbene gli Stati membri abbiano il diritto di imporre requisiti amministrativi e altri requisiti necessari alle ONG per garantire la sicurezza, il Commissario osserva che si perpetua una preoccupante tendenza alla criminalizzazione di coloro che salvano vite in mare. Alla luce di ciò, gli Stati membri dovrebbero: ● riconoscere il lavoro sui diritti umani delle ONG che salvano vite in mare in linea con il loro status di difensori dei diritti umani; ● fornire una risposta immediata alle richieste delle ONG per l’assistenza in mare e l’assegnazione di porti; ● astenersi dall’utilizzare in modo improprio procedimenti penali e amministrativi e requisiti tecnici semplicemente per ostacolare il lavoro salvavita delle ONG; ● garantire che le loro leggi non criminalizzino la ricerca e il salvataggio o sanzionino in altro modo il rifiuto dei comandanti di seguire istruzioni che potrebbero compromettere l’efficacia della ricerca e operazioni di salvataggio o portare allo sbarco in luoghi non sicuri e revocare o modificare le leggi che potrebbero avere questo effetto; ● garantire che le ONG abbiano accesso alle acque territoriali e ai porti e possano tornare rapidamente in mare, e aiutarle a soddisfare qualsiasi altra esigenza relativa a le loro esigenze lavorative o tecniche, anche durante la crisi sanitaria del Covid-19″ .
5. Si tratta di considerazioni che si basano sulla difesa dello Stato di diritto oltre che dei valori fondanti della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, e dei suoi Protocolli aggiuntivi, su cui sarebbe bene che riflettessero i giudici nazionali chiamati a giudicare sulle richieste di procedimento penale contro il senatore Salvini e contro diversi esponenti delle Organizzazioni non governative. L’art. 117 della Costituzione, le leggi di ratifica ed il sistema gerarchico delle fonti nazionali, richiamato anche dalla sentenza della Corte di cassazione del 20 febbraio 2020 sul caso Rackete, impongono di non trascurare le norme internazionali di tutela dei diritti umani, al pari di quelle, sempre di provenienza internazionale che riguardano il diritto marittimo ed il diritto dei rifugiati e richiedenti asilo. Non si può neppure dimenticare che in mare none esistono “clandestini” o “migranti economici”, qualità che si possono riconoscere solo dopo lo sbarco a terra in un porto sicuro, ma soltanto persone e naufraghi. In base alla Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale del 2000 ed ai suoi Protocolli allegati, la salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone non può essere pregiudicata dalla finalità pure legittima, perseguita dagli Stati sovrani, di difendere i propri confini. Sarebbe auspicabile che anche i giudici italiani ne tenessero conto nella loro attività decisionale, prima di dovere arrivare davanti ai Tribunali internazionali. Perché in uno stato democratico il fine non giustifica i mezzi, mai.