di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Malgrado il Decreto del 4 febbraio scorso adottato dal precedente ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, dopo l’adozione di un piano nazionale per la ricerca e il salvataggio (SAR) in mare, continua a prevalere una prassi imposta dagli accordi bilaterali stipulati dai governi italiani e dai ministri dell’Interno che privilegiano il cosiddetto law enforcement ( contrasto dell’immigrazione illegale) rispetto alla salvaguardia della vita n mare e della dignità delle persone migranti, intrappolate nei paesi di transito alla mercé di trafficanti senza scrupoli e di forze di polizia colluse. Una politica miope che avvantaggia le lobby militari e le cosche mafiose di trafficanti e milizie, che arrivano a condizionare governi ancora troppo deboli e incapaci di garantire il rispetto dei diritti umani e degli obblighi di soccorso.
Le attività di soccorso sono fortemente rallentate per la classificazione degli eventi di soccorso (SAR) come meri “eventi migratori” e per la mancata assegnazione di un porto sicuro di sbarco (POS), nell’assenza di navi degli Stati o di assetti navali di Frontex, presenti fino al 2018, e si ricorre alle ONG per fare fronte ad eventi di emergenza, che si lasciano poi gestire secondo prassi in contrasto con le Convenzioni internazionali. Ancora in queste ore rimane senza un porto sicuro di sbarco la nave della ONG Open Arms con oltre cento persone a bordo, mentre il mare è sconvolto da una fortissima burrasca da nordovest. Perchè non consentire subito l’attracco nel più vicino porto sicuro di Lampedusa ?
Ieri sulla rotta dalla Tunisia alla Sicilia il naufragio di un barcone carico di migranti di diversa nazionalità fuggiti dalla Libia. Un morto e 22 dispersi il bilancio di questa ennesima tragedia che si ricollega direttamente ai nuovi accordi di collaborazione tra Italia e Tunisia perfezionati lo scorso anno, incentrati sul rafforzamento della guardia costiera tunisina e sul blocco delle imbarcazioni in mare, piuttosto che su una attività coordinata di soccorso immediato con il successivo sbarco in un porto sicuro. Come sarebbe prescritto dalle Convenzioni internazionali SOLAS del 1984 e di Amburgo del 1979 (SAR). Giusto poche settimane fa era stata diffusa la notizia di un accordo più rigoroso tra Italia e Tunisia per i rimpatri e per la intercettazione in mare con un maggior supporto operativo per la riconduzione nei porti di partenza dei migranti che sarebbero riusciti a partire dalle coste tunisine. Ai maggiori controlli segue la scelta di rotte sempre più pericolose e soprattutto la tattica dei trafficanti di fare partire le imbarcazioni anche quando le condizioni meteo stanno peggiorando. Non esistono canali legali di ingresso, né per i cd. migranti economici, né per i potenziali richiedenti asilo o per i soggetti più vulnerabili. La strumentalizzazione della pandemia da COVID 19 ha permesso a quasi tutti i governi europei di inasprire la politica dei muri e dei respingimenti. Nel silenzio dei mezzi di informazione italiani continuano le attività di respingimento in acque internazionali, adesso persino dalla zona Sar maltese, delegate alle motovedette libiche, donate, assistite e coordinate dalle autorità italiane. Nelle ultime settimane oltre 1500 persone sono state bloccate in acque internazionali e riportate in Libia in alcuni casi documentati, dopo avere subito percosse da parte dei guardiacoste libici. Lo scorso anno sarebbero state più di 15000 persone, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale delle migrazioni (OIM), che sarebbero state intercettate in alto mare, nel Mediterraneo centrale, per essere riconsegnate alla polizia anti immigrazione libica (DCIM) e finire quindi di nuovo nelle mani dei trafficanti. Come raccontano quei testimoni che sono riusciti a raggiungere l’Italia dopo un’altro tentativo di fuga.
Il Piano Nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare adottato soltanto il 4 febbraio scorso, con decreto ministeriale della ministro De Micheli, forniva indicazione chiara nel senso di attribuire la responsabilità dei primi interventi di soccorso alle autorità Sar avvertite per prime dell’evento di soccorso e ribadiva un concetto di distress che avrebbe dovuto comportare la classificazione come attività di ricerca e salvataggio e non come mero evento migratorio per qualunque intervento in favore di imbarcazioni sovraccariche di migranti e individuate sulle rotte del Mediterraneo centrale provenienti dalla Libia e dalla Tunisia. Un intervento che andrebbe garantito nei tempi più rapidi.
Continua invece a prevalere la prassi operativa imposta dal Ministero dell’Interno italiano che limita alle acque territoriali italiane l’operatività delle unità di soccorso della Marina Militare e della Guardia Costiera puntando sul ricorso alle unità commerciali e a qualche imbarcazione delle ONG per fare fronte agli eventi di soccorso che si continuano a verificare nel Mediterraneo centrale, soprattutto nella zona Sar maltese a sud di Lampedusa. Con una impostazione che era già contenuta nel Codice di condotta Minniti del 2017 si vorrebbero trasformare le navi umanitarie delle ONG in unità embedded, ammesse ad operare interventi di salvataggio soltanto quando non sia più possibile fare intervenire la sedicente guardia costiera “libica” o la Guardia costiera tunisina. Con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi anche oggi. Ma su questo cala il silenzio dei mezzi di informazione. E Salvini può rilanciare la sua propaganda “antisbarchi” sfruttando la nuova collocazione della Lega al governo. L’Unione europea a cui si richiama adesso la Lega in versione europeista ha da tempo delegato ai paesi più esposti, come la Grecia, Malta o l’Italia, la gestione delle politiche di contrasto dell’immigrazione irregolare alle frontiere esterne, con il supporto dell’agenzia FRONTEX.
I più recenti accordi perfezionati tra Malta e il governo di Tripoli hanno permesso alle motovedette libiche di operare anche all’interno della zona Sar maltese dopo che era stato smascherato, grazie anche alle denunce di pochi giornalisti indipendenti, il lavoro sporco di respingimento collettivo affidato da Malta a pescherecci fantasma, che fino al mese di aprile dello scorso anno imperversavano nel Canale di Sicilia, bloccando le imbarcazioni cariche di migranti e rigettando i naufraghi “soccorsi” direttamente in un porto libico, anche a costo di fare altre vittime tra le persone più vulnerabili.
Il Piano nazionale per ricerca e il salvataggio in mare adottato alla fine del governo Conte 2 avrebbe dovuto impedire queste prassi, aggravate dalla “cooperazione operativa” fornita dagli assetti aerei di Frontex, che avvistano le imbarcazioni cariche di migranti in alto mare e ne comunicano la posizione alle autorità dei paesi di transito che non garantiscono l’esercizio effettivo del diritto di asilo ed un immediato salvataggio in mare, con lo sbarco in un porto sicuro. Quanto sta avvenendo in questi ultimi giorni sembra però spegnere le speranze di un maggior rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso sanciti a carico degli Stati. Continuano ad essere violate le Convenzioni internazionali che impongono di privilegiare la salvaguardia della vita umana in mare rispetto alle esigenze di difesa dei confini e di contrasto dell’immigrazione illegale.
Non solo, un’informazione tossica che mira a diffondere allarme tra la popolazione, sostenendo la propaganda di destra, esalta l’incremento del numero degli sbarchi lo scorso anno rispetto al 2019 senza considerare che l’arrivo di circa 30 mila migranti in Italia in un anno costituisce una piccola frazione del numero di migranti che hanno comunque fatto ingresso irregolare del nostro paese nello stesso periodo ed è comunque molto inferiore numero di persone che venivano soccorso in mare negli anni dal 2014 al 2017. L’ex ministro Salvini può così prodursi in un ennesimo sfoggio di contraddizione sostenendo per un verso la continuità delle sue scelte con quelle del governo Conte 2 per dimostrare la sua innocenza sul caso Gregoretti e per questo chiamando come testimone il ministro Lamorgese il prossimo 19 febbraio a Catania. Ma poi, al fine di rilanciare la sua propaganda elettorale contesta allo stesso ministro, che adesso rimane al governo accanto ai nuovi ministri della Lega, di avere spalancato i porti alle navi cariche di naufraghi, dunque di non avere condiviso la sua politica di “chiusura dei porti” e di divieti di ingresso “ad navem”. Come se il rispetto, spesso tardivo degli obblighi di soccorso e sbarco sanciti dalle Convenzioni internazionali, e dunque dell’articolo 117 della nostra Costituzione, stiamo vedendo ancora in queste ore per i naufraghi raccolti dalla nave Open Arms, fosse un mero esercizio di “buonismo”, magari frutto di una scelta politica, e non invece un atto dovuto in base alla legge ed al diritto internazionale.
2. L’articolo 98, paragrafo 2, della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare – UNCLOS del 1982 prevede che “ogni Stato costiero promuove la costituzione ed il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima ed aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con tutti gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”. L’organizzazione S.A.R. di ogni Stato è tenuta a adottare piani operativi, determinando le fasi di emergenza (incerfa: pericolo non certo; alerfa: pericolo certo ma non immediato; detresfa: pericolo immediato). Nel caso delle imbarcazioni sovraccariche di migranti naviganti sulle rotte del Mediterraneo centrale non si tratta di eventi migratori ma di situazioni di distress che impongono interventi immediati. Secondo l’Annesso alla Convenzione di Amburgo del 1979,’ ogni unità di ricerca e di salvataggio che viene a conoscenza di un caso di pericolo prende immediatamente dei provvedimenti se è in grado di fornire assistenza ed in tutti i casi informa senza indugio il centro di coordinamento di salvataggio o il centro secondario di salvataggio della zona dove si è verificato il caso di pericolo (4.3 dell’Annesso). E, se non vi è un centro di coordinamento di salvataggio responsabile o se, per qualsiasi ragione, il centro di coordinamento di salvataggio responsabile non è in grado di coordinare la missione di ricerca e di salvataggio, i mezzi che partecipano dovrebbero designare di comune accordo un coordinatore sul posto (4.7.3 dell’Annesso). Il paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR, Vol 1, stabilisce che, di norma, un RCC (Rescue Coordination Center) quando riceve una chiamata di soccorso, assume la responsabilità nella gestione delle operazioni S.A.R. connesse a quell’evento. Qualora accada che il primo R.C.C. a ricevere la chiamata di soccorso non sia quello responsabile dell’area (S.R.R. – Search and Rescue Region) in cui l’evento è in corso, esso dovrebbe immediatamente riferire in merito alla situazione di emergenza al R.C.C. di competenza ed intraprendere tutte le azioni necessarie per coordinare la risposta alla situazione in atto, fintanto che l’R.C.C. di competenza non assuma la responsabilità del coordinamento. Questa regola applicata alla creazione della fantomatica zona SAR libica è stata utilizzata per abbandonare in mare decine di imbarcazioni che hanno fatto naufragio, se non sono state intercettate, anche con modalità violente dai guardiacoste libici. E ancora il decreto interministeriale del 7 aprile 2020, che vietava alle navi private straniere lo sbarco di naufraghi in Italia, a meno che non avessero coinvolto precedentemente le autorità “competenti” restava sulla stessa linea, poi confermata nel decreto immigrazione n.130 del 2020, che sotto questo profilo non ha modificato il decreto sicurezza bis imposto da Salvini nel mese di giugno del 2019. In ambito nazionale, l’IMRCC si coordina con il Ministero dell’Interno (ed in particolare col Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione) competente per l’identificazione e l’accoglienza dei migranti sul territorio italiano, in base a quanto previsto dall’art.10ter d.lgs 286/98. La procedura operativa emanata dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Sop 009/2015, a valenza interministeriale) prevede che tale individuazione del POS avvenga “tenendo conto delle convenzioni internazionali e avendo cura di limitare la permanenza a bordo delle persone soccorse», di ogni status, indirizzandovi le unità che li hanno presi a bordo durante il S.A.R. Ancora in queste ore si sta negando alla Open Arms, bloccata con il suo carico di naufraghi nel mare in burrasca, la indicazione di un porto sicuro di sbarco. Una prassi che si ripete da tempo, malgrado alcune aperure recenti, che sarà sicuramente utilizzata da Salvini nel processo Gregoretti a Catania, anche se in questo caso non si può davvero parlare di un ritardo dovuto ad una trattativa con altri paesi europei al fine di una successiva distribuzione dei naufraghi.
3. Vedremo adesso come si comporterà il Ministero dell’Interno ed il nuovo ministro delle Infrastrutture, da cui dipende la Guardia costiera, sugli eventi Sar che non sono certo riducibili ad “eventi migratori”, e che si verificheranno ancora più spesso che nel recente passato, sulle rotte dalla Libia e dalla Tunisia Non sarà certo il cambio di governo in Italia, con la presenza della Lega in alcuni ministeri, che rallenterà le partenze, ma sarebbe meglio parlare di vere e proprie fughe, che nei prossimi mesi saranno sempre più numerose per effetto della crisi sanitaria, economica e politica che sta dilaniando, oltre alla Libia, anche la Tunisia.
Quanto sta avvenendo in questi giorni dopo la individuazione di imbarcazioni in difficoltà nella vasta zona Sar maltese e ai limiti delle zone Sar libica e tunisina conferma come ancora prevalgano gli indirizzi che limitano l’ operatività degli interventi di soccorso in acque internazionali, tanto dei mezzi statali, che di quei pochi ancora ancora presenti appartenenti alle organizzazioni non governative. Numerose imbarcazioni delle ONG che avrebbero potuto salvare migliaia di persone rimangono bloccate nei porti italiani per effetto dei provvedimenti di fermo amministrativo disposti in modo coordinato dalle capitanerie di porto su evidente impulso politico. Non ci si può limitare ad attendere su questo, non senza preoccupazioni, il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Se manca una opposizione in Parlamento si devono costruire una serie di trincee di resistenza attiva nella società.
In materia di immigrazione non sembrano proprio in vista “scelte coraggiose da parte del nuovo governo”. Scelte che potrebbero comportare l’apertura di un dialogo con la società civile. Ammesso che una “trattativa” sia stata possibile in passato, abbiamo visto con quali risultati, sembra evidente che con questo governo e con questi ministri non sarà possibile alcun vero confronto: al Viminale si continua a ritenere che le attività di ricerca e salvataggio (SAR) siano delegabili a paesi come Malta, come la Libia o la Tunisia, che non garantiscono la salvaguardia effettiva della vita umana in mare. Già nel 2019 il ministro dell’interno Lamorgese sosteneva che la Guardia costiera libica “aveva fatto un ottimo lavoro”. E la missione Nauras rimane dal 2017 nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli, per assistere le motovedette donate dall’Italia, con una proroga votata a larga maggioranza dal Parlamento italiano lo scorso anno. Con un contorno di processi penali per le attività di sospetto contrabbando dei marinai, imbarcati a bordo delle navi di Nauras, che rende bene l’opacità dell’intera operazione. Non si può trattare con chi dà per scontata l’esistenza di una zona di ricerca e salvataggio (SAR) che sarebbe riconosciuta a livello internazionale dall’IMO al governo di Tripoli, che non controlla per intero il territorio nazionale e i porti di partenza. Se non si pone fine al riconoscimento di una zona SAR libica ed alla missione Nauras ritirando la nave ancora presente a Tripoli, non ci potrà essere alcuna discontinuità rispetto al passato recente e nessun impatto positivo sulle politiche di (omissione di) soccorso in mare.
Chi limita le attività delle unità di soccorso italiane e delle ONG sulla base degli accordi con il governo tunisino supportando le attività della Guardia Costiera di quel paese, non contrasta le organizzazioni criminali che gestiscono le partenze ma contribuisce al ripetersi di stragi che non sono soltanto frutto di trafficanti spietati che mandano allo sbaraglio i migranti. Con la costituzione del nuovo governo e con il continuo pressing della Lega che rivendica un maggiore impegno nelle attività di blocco degli sbarchi e di contrasto dell’immigrazione, che si continua a qualificare come illegale, richiamandosi agli indirizzi repressivi ormai prevalenti anche a Bruxelles , basti vedere la Raccomandazione sui soccorsi in mare proposta dalla Commissione europea il 23 settembre 2020, non ci sono margini di “speranza”.
Per queste ragioni occorre costituire un nuovo fronte di resistenza che raccolga tutti i soggetti e le associazioni che ancora si battono in difesa dei diritti umani dei migranti. Per le stesse ragioni occorre non rinunciare alla denuncia tempestiva dei fatti che si verificano in mare e mantenere alta l’attenzione sui processi che dovranno stabilire le responsabilità personali di chi ha deciso l’abbandono in mare o il trattenimento a tempo indeterminato sulle navi di soccorso. Il procedimento penale non si può trasformare in una occasione permanente di strumentalizzazione. Non si tratta certo di accertare una generica “responsabilità politica” che finirebbe poi per tradursi in una generale assoluzione delle politiche di respingimento e di abbandono in mare. Occorre riaffermare la legalità internazionale e lo stato di diritto che neppure ai tempi del Covid sono derogabili per forza maggiore o sulla base di provvedimenti amministrativi discrezionali frutto sullo stato di emergenza.
COMUNICATO STAMPA
Open Arms – Emergency: dopo 12 giorni in mare, la denuncia di centinaia di respingimenti e il soccorso di 40 persone, alla deriva da ore senza alcun aiuto;La Missione 80, partita 12 giorni fa dal porto di Barcellona, ha visto il nostro rimorchiatore, la Open Arms, con a bordo personale di EMERGENCY, impegnato in continue operazioni di ricerca e soccorso, tutte concluse con il respingimento da parte di motovedette libiche delle centinaia di persone che in questi giorni hanno tentato la traversata in mare su imbarcazioni precarie e instabili. Ad accompagnare la nostra nave ammiraglia, anche il nostro veliero Astral, in missione di monitoraggio e supporto. Moltissime le segnalazioni arrivate alle nostre navi dalla ONG Alarm Phone e dagli assetti aerei umanitari di SeaWatch, alle quali abbiamo tentato di rispondere con operazioni di ricerca dei target in pericolo, sollecitando nel contempo le autorità competenti ad assumersi la responsabilità del soccorso come prevedono le principali Convenzioni internazionali. I nostri tentativi di soccorso si sono rivelati tuttavia inutili, preceduti ogni volta dall’intervento della cosiddetta guardia costiera libica, giunta sul posto su coordinamento dei governi europei. Ieri poi, dopo lunghe ore di ricerca, siamo riusciti finalmente a rintracciare e raggiungere una piccola imbarcazione di legno, da ore alla deriva, con a bordo 40 persone, tra cui una donna e un bimbo di tre mesi e tre ragazzi minorenni che viaggiavano soli. In zona molte le imbarcazioni presenti, nessuna delle quali è intervenuta. Nonostante la nostra imbarcazione si trovasse in zona Sar maltese, siamo stati avvicinati dalla motovedetta libica Fezzan P658 che ci ha intimato di abbandonare quelle che loro consideravano “acque territoriali libiche”. Dopo momenti di tensione, la motovedetta si è allontanata e abbiamo potuto terminare le operazioni di soccorso. Ora i 40 naufraghi sono in salvo sul ponte della Open Arms e hanno bisogno di sbarcare in un porto sicuro prima possibile anche a causa del deterioramento delle condizioni meteorologiche previsto nelle prossime ore.Alla luce di quanto osservato in questa ultima settimana, dei respingimenti per procura e delle omissioni di soccorso da parte dei governi europei, ribadiamo che la Libia non può essere considerato un luogo sicuro, come già testimoniato dalle organizzazioni internazionali che lì operano, e che dunque le persone che da lì fuggono non possono in nessun caso essere riportate indietro. Ribadiamo inoltre che l’Europa ha il dovere di tutelare le loro vite e i loro diritti, assicurando soccorso e cure e garantendo loro la possibilità di fare richiesta di asilo come previsto dal diritto internazionale e dalle nostre Costituzioni democratiche.