Un nuovo decreto ministeriale disciplina il salvataggio: mai più abbandoni in mare

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Dopo la conversione in legge, lo scorso dicembre, del decreto immigrazione n.130/2020 che riaffermava con limiti maggiori rispetto al passato il potere del ministro dell’interno di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale”, salvo che si tratti di navi militari, aggiungendosi che questo potere veniva meno nel caso di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di soccorso “competente”, ed “effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca ed il soccorso in mare”, emesse sulla base delle Convenzioni internazionali, è stato adottato il Decreto Ministeriale numero 45 del 04/02/2021, in attuazione dell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994 n.662, ed è stato quindi pubblicato il nuovo “Piano nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare”, edizione 2020.

Il nuovo piano conferma tutti gli obblighi di salvataggio a carico degli Stati, che negli anni scorsi sono stati violati a più riprese. Già il precedente Piano nazionale per la ricerca ed il salvataggio in mare del 1996, seguito alla ratifica in Italia della Convenzione SAR (ricerca e salvataggio) di Amburgo del 1979, distingueva nell’ambito degli eventi di ricerca e salvataggio tra una fase di incertezza, una fase di allerta, e una fase di pericolo (distress), stabilendo a seconda delle diverse fasi, le responsabilità degli Stati e delle competenti autorità marittime, in linea con quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo del 1979 e dai suoi annessi, approvati successivamente. Lo stesso Piano nazionale SAR del 1996 stabiliva poi che la notizia di un evento di soccorso dotata di un minimo di attendibilità dovesse essere considerata veritiera a tutti gli effetti  e dunque tale da fare scattare l’obbligo di intervento immediato dell’autorità Sar che per prima ne fosse venuta a conoscenza. Si riteneva in questo modo preminente la tutela della vita umana in mare rispetto alle dispute sull’attribuzione delle competenze di soccorso, tra gli Stati o tra le diverse autorità degli Stati che fossero venuti comunque a conoscenza di una situazione di distress in mare. Lo stesso principio veniva quindi confermato dal Regolamento Europeo Frontex n.656 del 2014, tuttora vigente in quanto non è stato abrogato dal più  recente Regolamento sulla Guardia di frontiera e costiera europea del 2019.

Tra gli obblighi previsti dal Piano nazionale del 1996 in capo al comando centrale della Guardia Costiera, la trasmissione di tutte le informazioni ai Comandi di coordinamento delle guardie costiere (MRCC) di altri Stati avendo eventualmente informate le autorità diplomatiche locali e riferendo con immediatezza  alla autorità giudiziaria su eventuali ipotesi penalmente rilevanti. Le attività di comunicazione tra diverse autorità non avrebbero dovuto comunque mai costituire causa di ritardo nell’esecuzione delle operazioni di ricerca e salvataggio.

In caso di attività di ricerca e salvataggio affidate a navi mercantili si prevedeva la nomina di un coordinatore delle ricerche di superficie.  e quindi la ulteriore nomina del “Comandante sul posto” allora riservata solo ai Comandanti di mezzi della Marina militare, della Guardia di Finanza, della Guardia Costiera o di altre amministrazioni dello Stato.  In alcune circostanze fino a quando venivano impiegate unità navali di Frontex, anche i comandanti di queste unità sono stati nominati come Comandanti sul posto. Il Piano del 1996 prescriveva poi diversi obblighi a carico del Comandante sul posto e del Comandante dell’Unità di superficie. Si stabiliva così un rapporto di coordinamento che avrebbe dovuto essere essere valutato, anche nei procedimenti penali che hanno avuto come imputati comandanti e capo-missione  delle Ong o autorità politiche e militari.  Purtroppo però la discrezionalità politica dei ministri dell’interno degli Stati più direttamente interessati ai soccorsi nelle acque del Mediterraneo centrale determinava prassi operative assai distanti da quanto previsto dalle Convenzioni internazionali e dalle norme di attuazione. Sempre più evidente appariva la distanza tra quanto si prevedeva nelle Convenzioni internazionali e quanto invece si verificava nella prassi delle operazioni di ricerca e salvataggio.

Lo stesso Piano nazionale SAR del 1996 prevedeva che ogni comando o organo di una amministrazione coinvolta in un’operazione di ricerca e soccorso sì dovesse adoperare affinché all’autorità coordinatrice pervenissero con qualsiasi mezzo tutte le informazioni che le avrebbero consentito di condurre in maniera proficua e massimamente efficace il proprio compito di coordinamento. Il Piano disciplinava anche i rapporti con gli organi di informazione prescrivendo che questi avrebbero dovuto essere caratterizzati “dall’assenza di enfasi e di toni drammatici” oltre a fornite con regolarità e cadenza fissa, possibilmente giornaliera, informazioni concise, accurate, complete e coerenti Inoltre si sottolineava già allora, occorreva evitare valutazioni non supportate da farti, o scuse e in particolare suggeriva di non utilizzare lo scudo del No comment per spiegare l’assenza di una risposta. Nel corso degli anni era emersa tuttavia una crescente mancanza di informazioni, soprattutto da quando nel 2018 la Guardia costiera interrompeva la pubblicazione del suo Report annuale e i conflitti di competenza tra Stati prima, poi le decisioni di singoli ministri, soprattutto dopo il caso Diciotti nel 2018, rallentavano, se non bloccavano del tutto, gli interventi di ricerca e salvataggio dei mezzi statali italiani (Guardia costiera, Guardia di Finanza, Marina militare) al di fuori delle acque territoriali ( 12 miglia dalla costa).

2. Il piano Sar Marittimo 2020 adesso approvato con il Decreto ministeriale del 4 febbraio scorso, dà attuazione a quanto prescritto dalla regola 4.5 dell’Annesso alla Convenzione sulla ricerca di salvataggio in mare (SAR) adottata ad Amburgo nel 1979 con successivi emendamenti annessi, ratificata dall’Italia con legge 3 aprile 1989 numero 147.  Si tratta quindi di un atto normativo di rango subordinato detto alle leggi dello Stato e alle Convenzioni internazionali alle quali comunque  fa riferimento, la cui efficacia normativa assume spessore proprio in virtù di quanto previsto o richiamato nel piano.

Nelle sue linee applicative il Piano SAR italiano del 2020 fa riferimento alle metodologie tecnico-operative di ricerca e soccorso contenute nel manuale IAMSAR adottato dall’ Imo nel 1999 ed alla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974( Convenzione SOLAS) che obbliga il“comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…” [Capitolo V, Regola 33(1)]. Spetta poi ai governi ed alle relative autorità marittime e militari, in particolare ai Centri di Coordinamento del soccorso il completamento degli obblighi posti a carico dei comandanti delle navi in mare, assicurando nelle rispettive aree di responsabilità S.A.R.un’efficiente organizzazione dei servizi di ricerca e salvataggio (Marittime Rescue Coordination Centre o M.R.C.C.), in grado di gestire le comunicazioni di emergenza e di coordinare le operazioni in modo tale da garantire il salvataggio delle persone ed il loro sbarco in un luogo sicuro.

Il Piano SAR Marittimo nell’edizione del 2020 mantiene la struttura del precedente Piano SAR del 1996 ma introduce prescrizioni in diversi punti più specifiche, in linea con le Convenzioni internazionali aggiornate nel tempo con emendamenti ed annessi, e con la disciplina interna prevista nel caso di soccorsi e sbarco di un numero elevato di migranti.  Vediamo adesso le novità più rilevanti.

Appare innanzi tutto molto interessante come, nel rispetto della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sul caso Rackete, già in apertura si faccia espresso riferimento, nelle operazioni di soccorso di massa “correlate al fenomeno migratorio via mare”,  alle previsioni specifiche di cui all’articolo 10 ter del decreto legislativo 286/98 (Testo unico sull’immigrazione) che stabilisce le modalità di conclusione di tutte le operazioni di salvataggio con lo sbarco dei naufraghi a terra, da avviare poi verso il sistema dei cosiddetti centri hotspot. Sembra  dunque da escludere, già in virtù di questo richiamo, che i naufraghi possano essere trattenuti a bordo delle navi soccorritrici per un tempo ulteriore rispetto all’ingresso nelle acque territoriali, e poi in porto, prima del loro sbarco a terra.

Sembra assai importante, tra le definizioni adottate del Piano SAR, che per soccorso si intenda non solo l’operazione destinata al recupero delle persone in pericolo, con le prime cure mediche, ma anche quanto necessario  al loro trasporto in un “luogo sicuro”. Il Piano contiene una precisa definizione di “luogo sicuro di sbarco” (POS o Place of safety), che è da intendere come quel luogo in cui le operazioni di soccorso si considerano terminate. E altresì un luogo ove la sicurezza relativa alla vita dei sopravvissuti non e più minacciata e dove i loro bisogni umani di base come cibo, riparo e necessità sanitarie, possano essere soddisfatte. E’inoltre un luogo da cui possono essere organizzati i trasporti verso la prossima destinazione o la destinazione finale dei sopravvissuti. Di certo una nave, sia essa una nave militare come la Gregoretti, o una nave mercantile, o ancora una imbarcazione appartenente ad una ONG, non può essere qualificata come luogo sicuro (POS-Place of safety).. Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi non determina dunque la conclusione delle operazioni S.A.R., perché tali operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro(place of safety o P.O.S.),.L’obbligo di individuare detto luogo sicuro, ricade sull’ MRCC che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse, eventualmente in accordo con tutte le altre Autorità governative interessate. Tale obbligo va inquadrato nelle attività dovute, circa la indicazione del porto di sbarco sicuro, che la legislazione nazionale italiana assegna al ministro dell’interno, in base al decreto sicurezza bis del 2019, non modificato in questa parte dal recente “decreto immigrazione” n.130 del 2020, convertito in legge a dicembre.

3. Il Piano SAR 2020, in linea con le Convenzioni internazionali, distingue poi diversi livelli di pericolo per ciascuna operazione di ricerca e salvataggio, affermando il principio che in caso di pericolo per la vita umana in mare, comunque siano pervenute le informazioni, in base ad una presunzione di generale credibilità, si devono disporre i primi interventi operativi ed informativi, avviando le operazioni di soccorso con tutti i mezzi nella propria disponibilità.  In casi particolari si afferma l’immediata responsabilità di coordinamento del Comando centrale della Guardia costiera (IMRCC)  tenuto a coordinare direttamente il soccorso se si verifica un disastro in mare di notevoli proporzioni, oppure quando l’area di responsabilità sia particolarmente ampia, oppure ancora come previsto al punto  C Del paragrafo 234, quando l’intervento avvenga ai limiti esterni della zona di competenza italiana e, in particolare, si prevede lo sconfinamento in acque di competenza di altri paesi.
Al punto F dello stesso paragrafo 234 si prevedono dunque azioni  di soccorso a favore di unità in pericolo in area esterna alla zona di responsabilità SAR Nazionale, qualora il Comando centrale italiano (IMRCC) agisca in qualità di primo centro di coordinamento informato dell’evento, fino a quando il Centro di coordinamento (MRCC) competente o altro MRCC, in grado di poter meglio assistere le imbarcazioni in difficoltà, assuma il coordinamento delle operazioni SAR.
Al paragrafo  230. 6  si stabilisce le ricerche devono essere condotte fino a che vi siano ragionevoli speranze di trovare superstiti, tale decisione compete all’autorità coordinatrice. La cessazione di una fase di emergenza o situazione operativa deve essere formalizzata con apposito messaggio.
Di particolare importanza, è vera novità, del nuovo Piano SAR italiano il paragrafo 240 relativo ad azioni all’esterno dell’area di interesse del IMRCC, secondo cui il Comando centrale del corpo della Guardia costiera italiana mantiene i contatti con i MRCC stranieri chiamati ad operare per la ricerca e soccorso nelle aree di rispettiva competenza.  La previsione sembrerebbe tuttavia limitata ad operare soltanto in caso di soccorso da portare ad unità italiane.  Più avanti si prevede però che il comando della Guardia Costiera italiana (IMRCC) coordina le azioni a favore di mezzi e persone in pericolo in tutti i casi cui agisca in qualità di primo Centro di coordinamento dei soccorsi (MRCC) informato dell’evento, fino a quando il centro di coordinamento competente o altro MRCC possa meglio assistere e assumere il coordinamento delle operazioni Sar.  Si può ancora sostenere che gli accordi operativi scaturiti dal Memorandum d’intesa tra Italia e Libia stipulato nel 2017 dal governo Gentiloni, che riprendono Protocolli operativi del dicembre 2007 anteriori, alla condanna dell’Italia da parte della CEDU sul caso Hirsi, rispettino questi requisiti ? Quali garanzie di salvaguardia dei diritti umani, oltre che del diritto alla vita, offrono le autorità SAR libiche ?

La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974(Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte“…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…” (Capitolo V, Regola 7).

Secondo le linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO),agenzia delle Nazioni unite si prevede che il primo Comando centrale di Guardia costiera (MRCC) che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R.ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016; RisoluzioneMSC 167-78 del 20/5/2004)

Il Piano SAR nazionale 2020 specifica i doveri di cooperazione tra stati titolari di zone SAR confinanti, ai sensi dei paragrafi. 3.1.8 e 4.1.3  dell’Annesso alla Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979 che richiamano i doveri di cooperazione tra stati titolari di zone SAR confinanti. Il Centro di coordinamento che ha avuto notizia dell’evento SAR valuterà richiesta di Cooperazione di altri MRCC circa disponibilità di proprio risorse SAR nell’ambito dell’intera regione di responsabilità nazionale anche a prescindere dall’esistenza di accordi bilaterali o regionali in materia.  Questa previsione appare della massima importanza esce una forte innovazione anche alla luce dei casi di conflitto con le autorità di Malta, che si sono verificati in questi anni e in particolare, dopo il caso dell’ 11 ottobre 2013 quale persero la vita centinaia di migranti e su cui attualmente è aperto un procedimento penale davanti al Tribunale di Roma.

4. Il capitolo 3 del nuovo Piano 2020 disciplina le fasi delle attività SAR con la medesima distinzione già operata dal Piano del 1996, distinguendo  tra una fase di incertezza, una fase di allerta, una fase di pericolo. Anche in questo caso, va ricordato, il Regolamento Frontex 656 del 2014  stabilisce obblighi di intervento, nel caso di situazioni di distress, a carico di tutte le imbarcazioni impegnate in operazioni Frontex, ed è superfluo ricordare che il coinvolgimento di mezzi aerei appartenenti a Frontex, come prima di unità navali europee, estende la valenza di questa previsione normativa avente carattere vincolante per gli Stati, a tutte le operazioni di soccorso svolte da unità collegate ad attività Frontex o che si avvalgono dei loro assetti aerei, nelle acque internazionali  del Mediterraneo centrale.

Di grande rilievo quanto previsto al punto 370 del nuovo Piano SAR italiano riguardo le procedure da adottare nella frase di distress. Si specifica che in ogni situazione operativa il luogo sicuro di sbarco dei naufraghi vada determinato in virtù della normativa vigente. In proposito si fa esplicito riferimento, oltre alla Convenzione SOLAS( Reg 33), al capitolo quinto della Convenzione Sar di Amburgo e ai punti 3.19 e 4.85 del Risoluzione Imo ( Organizzazione internazionale del mare) 167/78, oltre che all’articolo 10 ter del decreto legislativo 286/98 già richiamato in precedenza. Una cornice normativa ben delineata e vincolante che negli ultimi tre anni è stata spesso ignorata dai ministri dell’interno che, con diversi gradi di responsabilità, avvalendosi soprattutto dei poteri conferiti dal Decreto sicurezza bis del 2019, ma già in precedenza, con misure interdittive ad navem, hanno vietato o ritardato lo sbarco dei naufraghi nei porti italiani.

Il nuovo Piano SAR italiano 2020 prevede poi modalità organizzative specifiche per gli eventi di soccorso che riguardino grandi numeri di persone in difficoltà tale che la capacità normalmente disponibile per la  singola autorità SAR locale  sia  inadeguata. In questo caso il coordinamento è a livello della Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC). Si specifica anche l’importanza di un corretto ed univoco flusso di informazioni anche verso i mass media in questo caso le informazioni necessarie devono essere prontamente disponibili e liberamente scambiate tra gli attori istituzionali e quindi non ci dovrebbero essere ritardi ingiustificati nel fornire informazioni ai media.

5. Nel quarto capitolo del Piano SAR 2020 si disciplina il Coordinamento delle operazioni di soccorso e si prevede che la figura di Coordinatore sul posto o di superficie possa essere assunta anche da comandanti di unità mercantili straniere mercantili Ivi compresi quelli da pesca, da diporto o ad uso governativo straniero. Sono comunque fatte salve eventuali situazioni contingenti che a discrezione dell’autorità coordinatrice inducano a preferire un diverso ordine di priorità nella nomina del coordinamento di superficie.
La designazione del coordinatore SAR sul posto (on scene coordinator– OSC)  deve essere formalizzata con apposito messaggio, ferma restando l’immediata comunicazione via radio o con altri mezzi idonei a comunicare con il coordinatore SAR sul posto, ivi compresa la possibilità di avvalersi di unità in zona o di altri MRCC.  Si ha in questo caso la conferma che il nuovo Piano SAR 2020 tiene maggiormente in conto quel dovere di cooperazione tra  MRCC ( Centrali di coordinamento e soccorso) responsabili di aree limitrofe, già previsto dalla  Convenzione Sar del 1979, ma che in passato non è stato certo un profilo operativo .particolarmente curato dalle autorità marittime competenti per i salvataggi nel Mediterraneo centrale.

Il quinto capitolo del Piano tratta dei compiti degli altri organi o di altre autorità operanti in attività di ricerca e salvataggio in mare e in particolare al. punto 530 prevede il concorso nelle operazioni SAR di unità aeronavali straniere. A questo riguardo si prevede il caso di collaborazione di assetto aeronavale non militare appartenente ad amministrazione di uno Stato straniero che dovrà essere formalizzata per iscritto dal Comando centrale italiano (IMRCC)  tramite il corrispondente Comando centrale (MRCC) dello stato di bandiera. Si ripresenta in questo modo quanto già era prefigurato in embrione nel Codice di condotta Minniti del 2017, ed in futuro è prevedibile che le residue attività di ricerca e soccorso delle ONG, ammesso che siano ancora lasciate libere di operare, superata la fase dei sequestri e dei fermi amministrativi, siano sempre più embedded e strettamente controllate dai comandi di coordinamento della Guardia costiera italiana. E dunque dal ministero dell’interno che su questa materia ha spesso invaso le competenze di altri ministeri. Con il rischio che il loro impiego sia declinato anche sulla base dei rapporti di collaborazione che le autorità italiane, e i centri decisionali di Frontex, continuano ad intrattenere con le autorità libiche e con la sedicente Guardia costiera “libica”. Una collaborazione che non si può fare rientrare nell’ambito della cooperazione tra stati responsabili di aree SAR confinanti, per le continue violazioni dei diritti umani subite dai migranti in Libia, ampiamente documentate, oltre che dalle agenzie delle Nazioni Unite, dai giudici italiani che hanno condannato i torturatori libici individuati dopo lo sbarco in Italia.

6. Il sesto capitolo del Piano SAR italiano 2020 riguarda le comunicazioni, le frequenze di soccorso e la messaggistica, stabilendo che l’autorità coordinatrice del Soccorso (RCC) e’ responsabile della scelta e della designazione delle frequenze da utilizzare per le comunicazioni inerenti l’operazione stessa.  si richiamano qui i segnali che precedono i messaggi di soccorso urgenza e sicurezza myday,  pan pa,n e securitè. Si distinguono così diversi tipi di  richiesta di soccorso.  La classificazione delle chiamate di soccorso comporta una valutazione degli eventi che può assumere, come si è già verificato nella prassi, carattere fortemente discrezionale, magari per ragioni legate all’attuazione degli accordi di collaborazione tra i diversi Stati. Si è così verificato che l’avvistamento o la segnalazione di imbarcazioni stracariche di persone prive di giubbotti salvagenti ed in navigazione a tale distanza dalla costa da escludere la possibilità di soccorsi immediati sia stata classificata come un mero” evento migratorio” e non come una situazione di distress che in base alle Convenzioni internazionali dovrebbe dichiararsi immediatamente quando le persone si trovino a bordo di barconi sovraccarichi e senza dotazioni di sicurezza. Ed è soltanto nelle situazioni di distress che scatta l’obbligo delle autorità statali di operare soccorsi anche al di fuori della zona SAR di propria competenza. La “mancata emissione di warning ai mercantili in transito, da parte delle autorità SAR italiane”, quando queste abbiano appreso di una specifica situazione di distress anche al di fuori della propria zona SAR potrebbe comunque configurare una precisa responsabilità penale a carico delle stesse autorità.

Il Piano SAR nazionale 2020 specifica al riguardo che ogni organo di una amministrazione partecipante ad un’operazione di ricerca e soccorso deve adoperarsi affinché l’autorità coordinatrice pervengano con qualsiasi mezzo tutte le informazioni che consentono di condurre in maniera proficua e massimamente efficace il proprio compito di coordinamento.
Si chiarisce che le comunicazioni di soccorso richiedono la massima integrità e protezione da possibili interferenze dannose che mettono a rischio il funzionamento di servizi di sicurezza o degradano ostruiscono o interrompono qualsiasi comunicazione radio è dannosa. Si ribadisce che tutto Il personale impegnato in attività SAR deve assolutamente evitare di causare interferenze dannose. Tutte le  comunicazioni relative ad operazioni SAR devono essere concise precise, pertinenti, propriamente indirizzate. Aspetto, quest’ultimo, che negli ultimi anni non sembra che sia stato particolarmente curato. Non sono mancate comunicazioni indirizzate alla sedicente Guardia costiera libica e recapitate al Comando centrale della Guardia costiera italiana o fax dei libici scritti dagli italiani.

Il settimo capitolo del nuovo Piano SAR nazionale 2020 riguarda i rapporti con gli organi di informazione, Sì ribadiscono al riguardo i medesimi doveri previsti già nel precedente Piano del 1996. In particolare si aggiunge l’obbligo di salvaguardare le norme sulla privacy soprattutto laddove si sia in presenza di minori. Secondo il nuovo Piano SAR 2020 occorre inoltre prestare la massima attenzione ai casi in cui la diffusione di notizie relative alle operazioni di soccorso o all’incidente possa portare all’identificazione di persone ferite o decedute , senza che siano stati previamente informati i relativi familiari.

Nell’ottavo capito del Piano SAR 2020 si prevedono infine le esercitazioni per l’attuazione delle procedure di soccorso, per garantire tempestività degli interventi e un buon andamento delle comunicazioni.

Tra gli allegati del Piano si riporta anche la Direttiva numero 1636 2 maggio 2006 della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione Civile secondo cui a latere dell’intervento delle operazioni di ricerca e salvataggio condotte in mare è necessario provvedere a terra l’organizzazione del Soccorso sanitario e l’assistenza alla popolazione interessata dall’evento con esplicito riferimento al Soccorso sanitario., all’eventuale impiego di mezzi mobili di soccorso sanitario, al trasporto il ricovero dei feriti, alle misure i igienico-sanitarie,all’assistenza psicologica, demandate alle ASP. Si prevedono quindi l’individuazione dell’area destinata alla prima accoglienza, con interdizione e controllo degli accessi affidata alle forze di polizia e altre attività di ordine pubblico. Si tratta di una materia che rientra anche nelle responsabilità di coordinamento del ministero dell’interno, e per esso delle Prefetture.

7. L’entrata in vigore del nuovo Piano nazionale SAR 2020 è stata caratterizzata da una ripresa delle attività di ricerca e salvataggio da parte di unità appartenenti alla Guardia costiera ed alla Guardia di finanza anche al di fuori delle acque territoriali italiane, in particolare a sud di Lampedusa, dopo segnalazioni di eventi SAR provenienti da velivoli appartenenti ad Organizzazioni non governative o dai canali informativi dell’organizzazione AlarmPhone.

Non si sono ripetuti i conflitti con le autorità maltesi, frequenti negli anni precedenti, quando le unità italiane o mezzi privati stranieri, commerciali o appartenenti alle ONG, intervenivano nella zona SAR maltese sovrapposta in parte a quella italiana. ma negli ultimi mesi, per quanto i soccorsi siano aumentati, si è rimasti su numeri molto bassi di eventi SAR e numerose imbarcazioni, malgrado il tempo invernale, sono arrivate in autonomia fino a Lampedusa. Rimane da vedere se, come prevedibile, in primavera si verificherà un ulteriore aumento delle partenze dalla Libia e dalla Tunisia come si comporteranno le Autorità marittime italiane e maltesi. Il nuovo Piano SAR italiano 2020 dovrebbe comunque evitare il ripetersi di conflitti che si erano verificati frequentemente tra il 2018 ed il 2019, e richiamare ad un maggiore rispetto delle Convenzioni internazionali di cui costituisce applicazione.

Negli stessi giorni di febbraio tuttavia, come negli ultimi mesi del resto, sono continuate le attività di intercettazione nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale da parte della sedicente Guardia costiera libica, che opera con l’assistenza della missione italiana Nauras dell’Operazione Mare Sicuro della Marina militare italiana presente a Tripoli, e con il monitoraggio aereo di assetti aerei dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne Frontex. Si deve riconoscere che l’Unione Europea e l’Italia, pur consapevoli della sorte che tocca ai naufraghi riportati in Libia abbiano abbandonato alla sedicente Guardia costiera “libica”. meglio alle tante Guardie costiere delle milizie che controllano le città di una Libia, ancora divisa dal conflitto civile, una parte consistente delle acque internazionali del Mediterraneo centrale, corrispondenti a quella che è stata definita come zona SAR libica. Una zona di ricerca e salvataggio in cui i soccorsi si trasformano in intercettazioni agevolate dagli assetti europei, con la conseguenza che le persone in fuga dalla Libia vengono riportate negli stessi terribili centri di detenzione dai quali erano fuggite. Non viene ancora garantita l’effettiva l’applicazione in mare del divieto di respingimento collettivo e generalizzato(c.d.principio di “non refoulement” sancito da varie norme internazionali ed europee in particolare)di persone che potrebbero avere titolo allo status di rifugiati (Convenzione di Ginevra del 1951. La limpida sentenza di condanna dell’Italia sul caso Hirsi, per i respingimenti collettivi effettuati nel 2009 dalla Guardia di finanza con riconsegna dei naufraghi alla polizia libica a Tripoli, viene di fatto aggirata ancora oggi dalla esternalizzazione delle attività di intercettazione in acque internazionali affidate alle motovedette libiche donate dall’Italia, con personale addestrato anche in Italia e con il supporto di unità militari navali ed aeree dell’agenzia Frontex e della missione Nauras presente nel porto di Tripoli. Occorre porre termine al più presto alla finzione di una zona di ricerca e salvataggio “libica” registrata dall’IOM (Organizzazione internazionale del mare collegata alle Nazioni Unite). Una foglia di fico dietro cui si nasconde la collaborazione con le autorità di un paese diviso non ancora in grado di garantire veri soccorsi in mare con effettiva salvaguardia del diritto alla vita e, a terra, quei diritti fondamentali che dovrebbero spettare ad ogni essere umano.

I flussi informativi sui soccorsi in acque internazionali sono rimasti opachi come in passato, ed anche la indicazione dei porti sicuri di sbarco in Italia, seppure avvenuta con maggiore tempestività rispetto al periodo dei divieti di ingresso impartiti dal ministro dell’interno Salvini, è rimasta avvolta in una coltre di silenzio, probabilmente al fine di non suscitare reazioni politiche, in un momento di svolta nella vita politica del paese. Da questo punto di vista non sembra che si sia data ancora attuazione alla parte del Piano nazionale SAR relativa ai doveri di informazione a carico delle autorità responsabili degli interventi di ricerca e salvataggio.

I tempi cambiano e la propaganda dei partiti sovranisti diventa oggi più sottile e concentrata, più che sui salvataggi in mare, sulle conseguenze economiche degli arrivi di migranti in tempi di pandemia globale. Tuttavia, come ribadisce anche il nuovo Piano SAR nazionale 2020, una corretta e tempestiva informazione sulle attività di ricerca e salvataggio sarebbe doverosa anche al fine di fare comprendere ad un numero più ampio di persone la valenza effettiva del dovere di salvaguardia del diritto alla vita.