di Fulvio Vassallo Paleologo
Intervento al Seminario “Mai più abbandoni in mare:Ponti di lotta e solidarietà”, promosso dalla Campagna LasciateCIEntrare, dalla Rete antirazzista catanese, e dalla Associazione Diritti e Frontiere (ADIF) in occasione delle udienze dei procedimenti penali contro il Senatore Salvini, fissate a Palermo (caso Open Arms) ed a Catania (caso Gregoretti) per sabato 12 dicembre 2020- VIDEO
1. Le politiche di deterrenza basate sui respingimenti collettivi (Italia 2009-2010 a partire dal caso Hirsi) e poi dopo il 2011 (cd. primavere arabe) con gli accordi con i paesi terzi, per esternalizzare i controlli di frontiera e quindi le prassi di allontanamento forzato, basate sul sostegno dell’agenzia europea Frontex, si sono concretizzate negli ultimi anni nell’abbandono in mare e nell’omissione di soccorso sistematica, attuata dagli assetti aerei dell’Unione Europea e dagli agenti statali, italiani e maltesi, per impedire che le persone migranti che riuscivano a fuggire dai paesi della sponda sud del Mediterraneo potessero raggiungere l’Europa. Si è arrivati a sanzionare l’omissione di soccorso quando questo reato era commesso da pescatori, ma sembrano ancora lontane le condanne dei responsabili quando lo stesso reato potrebbe essere accertato nell’intervento di militari o in decisioni di politici.
I diversi procedimenti penali che si sono conclusi con l’assoluzione degli operatori umanitari e dei comandanti delle navi delle ONG non hanno avuto seguito con un accertamento rigoroso delle responsabilità di chi ha diffamato, costruendo teoremi assurdi come la narrazione dei cd. taxi del mare, più di recente con la politica dei “porti chiusi”, come se il soccorso in mare nel rispetto delle Convenzioni internazionali potesse essere dequalificato al rango di una condotta di agevolazione dell’ingresso di “clandestini”, termine che purtroppo viene usato sempre più spesso. Anche se “clandestini” sono gli agenti istituzionali che si nascondono per impedire o ritardare i soccorsi in acque internazionali, mentre i naufraghi, quando riescono ad arrivare o ad essere sbarcati sulle nostre coste, non fanno certo ingresso di nascosto né rimangono a lungo senza essere identificati. Da ultimo le procedure di quarantena obbligatoria hanno consentito un prolungamento dei tempi di trattenimento a bordo delle navi traghetto hotspot senza uno sbarco a terra, ed hanno garantito comunque una identificazione personale di tutti coloro che attraversavano il Mediterraneo ed arrivavano sulle navi di soccorso o con mezzi autonomi. Che non hanno certo contribuito ad aumentare il carico del servizio sanitario nazionale che in tempi di COVID è entrato in crisi per ragioni ben diverse dagli “sbarchi” di qualche migliaia di persone provenienti dalla Libia e dalla Tunisia. Eppure alla vigilia dei processi di Catania e di Palermo contro il senatore Salvini prevale ancora la narrazione dell’uomo che, impedendo persino lo sbarco a terra dei naufraghi soccorsi da una nave militare italiana, avrebbe difeso i confini nazionali e la sicurezza dei cittadini.
Nell’arco degli ultimi tre anni, in particolare, a partire dal Memorandum d’intesa concluso dall’Italia con il governo di “Tipoli il 2 febbraio 2017, e ratificato dal Vertice “informale” europeo di Malta che si svolgeva il giorno successivo,si è verificata una vera e propria inversione del rapporto tra verità e falso, tra Stato di diritto e Stato di polizia, tra principio di legalità e discrezionalità amministrativa, sottratta a qualsiasi controllo. PIù di recente si intravedono i primi segnali di ridimensionamento dell’autonomia della magistratura, che si allinea agli indirizzi dell’esecutivo, nel ridimensionamento delle garanzie giurisdizionali a presidio dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali. Mentre sembra attenuarsi lo scontro tra la politica e la giurisdizione, i grandi mezzi di informazione hanno eclissato la materia dell’immigrazione ( e dell’asilo), dopo avere sbattuto in prima pagina per anni i processi contro chi si ostinava a salvare vite umane in mare. Nebbia sui processi e sui soccorsi che non si fanno. Come si sta verificando in questi giorni con i procedimenti giudiziari che vedono imputato il senatore Salvini per il processo sul caso Gregoretti a Catania e lo stesso ex ministro dell’interno, per il processo Open Arms, che avrebbe dovuto avviarsi il prossimo 12 dicembre, con la prima udienza davanti al Giudice delle indagini preliminari di Palermo. Intanto in mare non sono più presenti navi di soccorso delle ONG e le stragi si ripetono mentre gli stati più direttamente coinvolti, come Malta e la Tunisia ritardano ad inviare, o non inviano affatto mezzi di soccorso. Dopo il caso Gregoretti, lo scorso anno, sono pochissime le occasioni in cui i mezzi della Marina militare italiana o della guardia costiera hanno effettuato soccorsi al di fuori delle acque territoriali italiane (12 miglia dalla costa) e le navi militari italiane che negli anni precedenti avevano salvato decine di migliaia di persone sono rimaste ormeggiate in porto.
Tutti complici di abbandono in mare e delle gravissime violazioni dei diritti umani subite dai migranti in Libia. Frontex segnala alle autorità libiche ed italiane soltanto la posizione dei natanti carichi di persone in fuga dalla Libia, ma non interviene più direttamente con assetti navali, Per il governo italiano, come emerge anche dal più recente decreto legge immigrazione, in caso di soccorso in acque internazionali le navi private che battono bandiera straniera possono fare ingresso in un porto italiano solo se si sono preventivamente rivolte agli stati “competenti”, dunque anche alla Libia, se i soccorsi si verificano nella cd. zona SAR ( ricerca e salvataggio) “libica” estesa fino a 70 miglia dalla costa, riconosciuta nel 2018 dall’IMO al governo di Tripoli. Che non riesce però a controllare l’intera striscia di mare che gli è stata assegnata, come è confermato dalla triste vicenda dei 18 uomini di diversa nazionalità ( 8 italiani, sei tunisini, due senegalesi, due indiani) che lavoravano a bordo di un peschereccio mazarese sotto sequestro da oltre tre mesi a Bengasi.
Non si comprende poi chi decida la politica estera italiana in Libia, se il Parlamento o i grandi gruppi economici, a fronte di scelte oscillanti dall’attuale esecutivo di fronte all’ingresso prepotente della Turchia anche sullo scenario militare della Cirenaica e e del suo mare. Purtroppo una larga maggioranza parlamentare, e nel paese, si è riconfermata ancora pochi mesi fa a favore degli accordi tra l’Italia ed il governo di Tripoli, anche se nessuno può ignorare i gravissimi abusi ai quali sono sottoposte le persone intercettate in mare e riportate a terra, con il supporto italiano ed europeo, dalla sedicente Guardia costiera libica. Ma la rimozione collettiva è favorita da una scarsa attenzione che i mezzi di informazione più grandi riservano all’immigrazione, trattata come materia di rilievo penale o mera occasione di sciacallaggio politico.
Le politiche dell’immigrazione nel Mediterraneo registrano intanto le stesse oscillazioni che si riscontrano sui grandi temi della salute e dell’economia oggi in discussione, e costituiscono un rimosso che si tira fuori quando occorre fare propaganda. Qualcuno pensa forse che ricorrendo alla sanzione penale si possano governare quelli che vengono spregevolmente definiti come “flussi migratori dal nordafrica”, quando si tratta di persone, di uomini, donne e bambini che non cercano soltanto una vita migliore ma sono innanzitutto in cerca di salvezza. Sarà ben difficile che i processi penali possano costituire uno strumento per incidere sul numero delle persone che sbarcano o sulla percezione del fenomeno migratorio da parte dell’opinione pubblica.
Al tempo stesso il processo penale rischia di trasformarsi in una occasione di assestamento dei rapporti tra potere esecutivo e magistratura. E il populismo mediatico rischia di condizionarlo. Come si potrebbe verificare a Catania, con la sfilata dei ministri del precedente governo, chiamati in causa da Salvini per affermare la natura collegiale delle scelte “politiche” sul caso Gregoretti. Una indubbia vittoria per la difesa, che ha fornito al leader della Lega una ennesima occasione di propaganda, facendosi passare per vittima di un procedimento penale “ingiusto” inflitto a chi avrebbe difeso “i confini nazionali”, anche a costo di una indebita privazione della libertà dei naufraghi soccorsi in acque internazionali.
Su questo crinale estremamente pericoloso per le sorti della nostra democrazia, la materia dell’immigrazione, caratterizzata dalla periodica reiterazioni di misure emergenziali, sia a livello legislativo che a livello amministrativo, ha anticipato la stagione dell’emergenza ( non solo sanitaria) che viviamo oggi per il diffondersi della pandemia da COVID 19. Per effetto della pandemia, e delle conseguenti scelte adottate dai governi e dalle autorità amministrative, sembra assistere ad una continua erosione dello stato di diritto e delle garanzie democratiche nel nostro paese, incluso il diritto costituzionale alla salute (art. 32) che non si esaurisce con la tutela della cd, “salute pubblica”.
2. La questione dei soccorsi nel Mediterraneo centrale, ed il ruolo sempre più contestato delle Organizzazioni non governative, dunque della società civile, che dopo avere affiancato gli Stati nei soccorsi nel Mediterraneo centrale, si ritrovavano di fatto a svolgere un ruolo di supplenza nelle attività SAR ( Search and Rescue) per il progressivo ritiro degli assetti navali di Frontex, della Marina militare e della Guardia costiera, è diventata quindi una questione di rispetto dello stato di diritto.
Chi ha fatto propaganda elettorale attaccando i soccorsi in mare e le ONG persino quando gli organi giurisdizionali affermavano la legittimità del loro comportamento, ha progressivamente eroso, attraverso menzogne sparate come proiettili sui più diffusi mezzi di comunicazione come i social (Twitter, e Facebook soprattutto ) e su giornali compiacenti, quei nessi che nella Costituzione legano il principio di legalità ed il rispetto del diritto internazionale al principio di solidarietà. Si sono spezzati in questo modo legami sociali sui quali era costruita la nostra convivenza, e si sono cerate le premesse di uno scontro interno le cui conseguenze, negative, aggravate oggi dal diffondersi della pandemia da Covid 19, vanno ben oltre la materia dell’immigrazione e non sembrano neppure lontanamente prevedibili. Tra le principali vittime di questo processo degenerativo della nostra democrazia il lento abbattimento del diritto di asilo, la cui previsione costituzionale (art.10) veniva ridimensionata, se non apertamente contraddetta, dalle riforme legislative nazionali, a livello di accesso al territorio e di prassi di riconoscimento dello status . A livello europeo, contribuiva a rompere ogni residuo legame di solidarietà tra gli stati la mancata riforma del Regolamento Dublino, che avrebbe dovuto consentire una distribuzione più equa dei richiedenti asilo nei diversi paesi europei ed il ruolo nefasto di Frontex, da anni, ma sempre più grave oggi in un momento nel quale in Europa diventavano più forti le spinte sovraniste e la politica degli accordi intergovernativi.
Appare impensabile oggi attendersi una diversa politica europea, anche a fronte della Raccomandazione (UE) 2020/1365 della Commissione del 23 Settembre 2020 sulla cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni di ricerca e salvataggio condotte nel Mediterraneo da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso. coeva al cd. Patto sulle migrazioni , tutto incentrato sui rimpatri forzati (return) ma già stoppato dai veti dei paesi sovranisti. Con le nuove normative europee, se mai si arriverà a nuovi Regolamenti, non si andrà oltre la definitiva riduzione delle garanzie procedurali per i richiedenti asilo ed il rafforzamento delle agenzie di sorveglianza, anche elettronica, e poi ci si limiterà come in passato, più con le dichiarazioni che con i mezzi operativi, alla lotta contro la cd. “immigrazione illegale”. Una immigrazione inarrestabile comunque, favorita oltre che dai trafficanti dall’assenza quasi totale di canali legali di ingresso, sia pure per evacuare le persone più a rischio in territori ad elevata conflittualità come la Libia. Dunque le principali responsabilità del naufragio dei diritti umani nel Mediterraneo ricadono, e ricadranno ancora a lungo sugli stati.
3. In Italia, nelle diverse campagne di criminalizzazione dei soccorsi in mare, quindi dei naufraghi, declassati alla categoria di “clandestino” e degli operatori umanitari che li salvavano, i mezzi di informazione hanno avuto un ruolo centrale, addirittura tanto forte da anticipare l’apertura dei procedimenti penali, come nel caso IUVENTA nel 2017, se non a costruire vere e proprie sentenze anticipate di condanna che poi i tribunali non riuscivano ad adottare, come nel caso dell’arresto a Lampedusa della Comandante della nave Sea Watch III Carola Rackete, o nei diversi casi di sequestro della nave della ONG spagnola Open Arms. Per un altro verso, atti di natura meramente regolamentare, come il Codice di condotta e gli accordi di polizia di Minniti del 2017, i divieti di ingresso decisi dal ministro dell’interno Salvini nel 2018, o il decreto interministeriale del 7 aprile 2020 , che vietava l’ingresso nei porti italiani alle ONG straniere che avevano soccorso naufraghi in acque internazionali, anticipavano o inasprivano scelte che poi venivano adottate dal Parlamento, con la conversione dei decreti legge o con la ratifica degli accordi interazionali di cooperazione di polizia con i paesi terzi. Norme votate dalle camere che derogano alle convenzioni internazionali di diritto del mare richiamate solo in parte e quando conveniva, norme interne che dovrebbero cedere rispetto alle norme cogenti internazionali per effetto dell’art. 117 della Costituzione, ma che non vengono spazzate via neppure con il più recente decreto legge immigrazione. Un provvedimento che lo squadrismo ostruzionistico leghista in parlamento sta mettendo pure a rischio di conversione in legge.Anche su questi temi i mezzi di informazione hanno taciuto, o hanno nascosto il mantenimento di una linea di continuità tra i diversi governi che si sono succeduti nel tempo, malgrado la virulenza degli scontri in Parlamento, luogo degradato ormai ad una tribuna elettorale permanente..
I casi Gregoretti nel luglio del 2019 ed il caso Open Arms nel mese di agosto dello stesso anno, rappresentano da un certo punto di vista l’esito finale di una politica di governo sull’immigrazione interpretata come scelte demandate ad un uomo forte, al ministro dell’interno, con la violazione di norme sancite dalla Costituzione, dalle Convenzioni internazionali e dalle leggi nazionali. Con l’avvento del nuovo governo, dopo un primo periodo di apparente “trattativa” con le ONG, avviata addirittura con un incontro al Viminale, la sostanza della politica di chiusura dei porti non è cambiata. Ai divieti di ingresso “sparati” da Salvini sui social o notificati in acque internazionali dalla Guardia di finanza, ed ai conseguenti sequestri disposti dalla magistratura, si sono sostituiti i provvedimenti di “fermo amministrativo” adottati dalle Capitanerie di Porto, su evidente indirizzo del Ministro delle infrastrutture, come è confermato dalla identità formale dei provvedimenti adottati e dallo stesso personale utilizzato per le ispezioni sulle navi umanitarie. Piuttosto che impugnare questi provvedimenti, non solo davanti ai tribunali amministrativi italiani, e poi davanti agli organi della giustizia internazionale, la maggior parte delle ONG hanno scelto una linea di basso profilo ed hanno preferito, salvo poche eccezioni, trattare con le autorità procedenti per la rimozione delle criticità rilevate, piuttosto che rilevarne l’assoluta infondatezza, come nel caso dei sistemi di fissaggio delle zattere di salvataggio, del numero dei bagni o addirittura del numero (eccessivo !) dei salvagenti a bordo. Una nave che opera soccorsi in acque internazionali non si può considerare ai fini delle dotazioni di sicurezza alla stessa stregua di una nave passeggeri. Chi la ritiene tale, e magari se non le impedisce per settimane l’ingresso nelle acque territoriali, la blocca poi per mesi in porto, come è successo fino a questa estate, non ha una posizione molto diversa di chi parlava di “taxi del mare” e di operatori umanitari “collusi con i trafficanti”. Tesi che nessun giudice è riuscito ancora a dimostrare. In Mediterraneo si perdono vite perché intanto non c’è più nessuno che soccorre i naufraghi. E non si parli di “pull factor”, fattore di attrazione, perché da quando le ONG sono state bloccate in porto con i fermi amministrativi, gli sbarchi cd. autonomi sono aumentati, e di molto.
I mezzi di informazione hanno assecondato questo basso profilo mantenuto sia dal ministero dell’interno guidato dalla Lamorgese, che all’intervento diretto con i divieti di ingresso ha preferito fare ritardare la comunicazione del porto di sbarco sicuro da parte della centrale operativa della guardia costiera (IMRCC), e poi il blocco delle navi per delega, adottato dal ministero delle infrastrutture tramite le Capitanerie di Porto. Sullo sfondo, sempre più sullo sfondo, la conferma degli accordi con il governo Serraj a Tripoli e con la sedicente Guardia costiera “libica”. La stessa Guardia costiera collusa o imemdesimata con i gtrafficanti.
Un numero ancora elevato di vittime per abbandono in mare conferma intanto la mortalità della rotta del Mediterraneo centrale, ancora accresciuta dopo la sciagurata istituzione di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) libica nel mese di giugno del 2018 ( ma le trattative con l’IMO – organismo dell’ONU che si occupa sella sicurezza in mare erano partite già alla fine del 2017. Si tratta di fatti gravi, e di responsabilità personali bene individuabili ma in questa direzione la magistratura non ha saputo o voluto compiere accertamenti.
Il 15 aprile 2020, l’UNSMIL ha verificato che 51 migranti e richiedenti asilo, tra cui 8 donne e 3 bambini, sono state oggetto di un respingimento collettivo in Libia su una barca privata maltese dopo essere stati intercettati nella zona SAR maltese. I migranti sono stati inviati al centro di detenzione di Takiq al-Sikka. Durante i sei giorni che hanno tarscorso in mare prima di essere soccorsi, cinque persone erano morte e altre sette sono scomparse e si presume che siano annegate. Nel rapporto dell’ONU si aggiunge che “Siamo anche consapevoli delle affermazioni secondo cui le chiamate di soccorso ai pertinenti centri di coordinamento per il salvataggio marittimo sono rimaste senza risposta o sono state ignorate, il che, se vero, mette seriamente in discussione gli impegni degli Stati interessati a salvare vite umane e rispettare i diritti umani. Nel frattempo, la Guardia costiera libica continua a riportare le navi sulle sue coste e collocare i migranti intercettati in strutture di detenzione arbitrarie dove si trovano ad affrontare condizioni orribili tra cui torture e maltrattamenti, violenza sessuale, mancanza di assistenza sanitaria e altre violazioni dei diritti umani. Queste strutture sovraffollate sono ovviamente ad alto rischio di essere attaccate dal COVID-19”.
Il Rapporto dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite Colville si conclude con la richiesta di una moratoria su tutte le intercettazioni e i respingimenti in Libia. Quindi l’accorato appello :“In conformità con le nostre linee guida recentemente pubblicate su COVID-19 e sui migranti, ribadiamo che gli Stati devono sempre rispettare i loro obblighi ai sensi dei diritti umani riconosciuti dal diritto internazionale e del diritto dei rifugiati”. Secondo Rupert Colville, nonostante il COVID-19, le operazioni SAR (ricerca e salvataggio) dovrebbero essere mantenute e lo sbarco rapido assicurato in un porto sicuro (place of safety), garantendo al contempo la compatibilità con le misure di sanità pubblica. Come si conciliano queste posizioni con il mantenimento di una zona SAR riservata alle autorità di Tripoli, che non controllano per intero neppure il loro territorio nazionale ? Non è ormai assodato che la Libia, nelle sue diverse articolazioni territoriali e politiche, non può garantire alcun luogo di sbarco sicuro (place of safety) ?
Non si comprende a questo punto cosa si attenda, da parte delle Nazioni Unite per sospendere la registrazione della cd. SAR libica effettuata nel giugno del 2018 dall’IMO (Organizzazione internazionale del mare), che pure è un organo delle stesse Nazioni Unite, zona SAR “libica” che da tempo costituisce la base per la collaborazione con la sedicente guardia costiera “libica” sulla quale Malta, Italia ed Unione Europea hanno basato le loro politiche di guerra ai soccorsi umanitari e di esternalizzazione dei respingimenti, delegati alle motovedette donate al governo di Tripoli e coordinate da assetti aerei e navali italiani ed europei. sarebbe anche tempo che qualcuno indaghi sull’utilizzo da parte di Malta di imbarcazioni private camuffate da pescherecci per operazioni di push back verso la Libia.
Il Tribunale permanente dei Popoli, nelle sessioni del 2017 e del 2020 ha contribuito ad individuare responsabilità su fatti di abbandono in mare che se non saranno indagati dalla magistratura nazionale potranno essere portati all’esame dei Tribunali internazionali. Fatti sui quali non cesserà la campagna di controinformazione e di denuncia dei responsabili.
Il Centro svizzero per la difesa dei diritti dei migranti nelle pratiche di controllo delle frontiere dell’UE ha presentato un importante documento per l’imminente rapporto dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani sul tema delle violazioni dei diritti umani delle persone abbandonate in mare nel Mediterraneo o nei deserti africani.
4. Rimane ancora aperto a Trapani il caso IUVENTA, mentre si attende l’esito delle prove testimoniali disposte dal Giudice dell’udienza preliminare di Catania nell’ambito del procedimento Gregoretti, con una sfilata di politici che sembra dare ragione alle tesi della difesa sulla natura collegiale delle scelte di ritardare lo sbarco dei naufraghi dalla nave della Marina militare, malgrado la completezza dell’atto di accusa predisposto dal Tribunale dei ministri di Catania. Si dovrà poi vedere quale sarà il termine concesso dai giudici di Palermo sul caso Open Arms, dopo la richiesta di un rinvio da parte del collegio di difesa del senatore Salvini, impegnato lo stesso 12 dicembre nel processo di Catania.
Nel caso IUVENTA sembra che ancora oggi la giustizia non riesca a fare chiarezza sulle circostanze assai opache che hanno dato avvio all’azione penale con il sequestro della nave il 2 agosto 2017, a Lampedusa. In quel caso l’informazione aveva giocato u ruolo assai singolare, al punto da anticipare addirittura l’apertura del procedimento penale, rendendo nota l’attività di agenti sotto copertura” che lo avrebbero portato a conoscenza dell’allora capo dell’opposizione Salvini. ben prima che la magistratura desse avvio all’azione penale.
Nel mese di marzo del 2017 le carte dell’indagine sulla IUVENTA, condotta da un agente, per quanto risulta, dello SCO e dagli ex poliziotti , reclutati come componenti della security della nave Vos Hestia di Save The Children, venivano “passate” a Matteo Salvini, che ne faceva uso propagandistico, ben prima di essere utilizzate dalla Procura di Trapani che procedeva al sequestro della nave soltanto nel mese di agosto.
Come si evince da un Rapporto di Human Rights Watch del 2017, Il 10 maggio e il 23 maggio di quell’anno, le navi di pattuglia delle forze di guardia costiere libiche in acque internazionali erano intervenute nei soccorsi già in corso da parte di organizzazioni non governative, con comportamenti minacciosi tali da provocare il panico senza fornire giubbotti di salvataggio a persone in cerca di salvataggio da navi non idonee. Il 23 maggio 2017 , gli operatori umanitari assistevano – e filmavano – agenti della guardia costiera libica che sparavano colpi in aria. Venivano quindi raccolte testimonianze corroborate da parte dei sopravvissuti secondo cui gli ufficiali avevano sparato anche colpi in acqua dopo che i migranti erano saltati in mare. In quella data tre navi delle ONG erano coinvolte in una operazione SAR (ricerca e salvataggio) sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana (MRCC) Save the Children’s con la Vos Hestia, l’Aquarius, di Medici senza frontiere; e la Iuventa, di Jugend Rettet. Sotto il coordinamento del Centro ufficiale di coordinamento per il salvataggio marittimo in Italia (IMRCC) di Roma, i soccorritori lavoravano insieme per diverse ore per trasferire i migranti dai gommoni fatiscenti alle loro imbarcazioni. Gia’ nel 2017 dunque, durante le operazioni di soccorso, la Guardia costiera libica circondava i mezzi di soccorso e sparava colpi in mare in prossimità dei gommoni terrorizzando i migranti che si gettavano in acqua. E i trattava di circostanze ben note alla Guardia costiera ed alla Marina italiana che a quel tempo collaboravano stabilmente con le navi delle Organizzazioni non governative.
Sull IUVENTA e su altre navi umanitarie si indagava già dal mese di ottobre del 2016, proprio da quando partivano da alcuni esponenti di Frontex e da associazioni della ultradestra europea, come GEFIRA, pesanti accuse nei confronti delle ONG, ritenute fiancheggiatrici dei trafficanti, per le loro attività di ricerca e soccorso (SAR) in acque internazionali, che avevano consentito di salvare la vita a decine di migliaia di persone, sotto il coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana. Tutte le accuse elevate a partire da quel periodo contro le ONG soo state archiviate o sono oggetto di un procedimento penale in cui gli imputati possono esercitare, spesso con successo, i loro diritti di difesa, Diritti ancora oggi negati ai ragazzi indagati per il caso IUVENTA: Persino nei confronti dell’equipaggio della IUVENTA, già nel 2018, sono state archiviate altre indagini avviate dalla procura di Palermo. La richiesta di archiviazione presentata dalla procura di Palermo anche in relazione alle indagini su Open Arms, smentiva nettamente tutte le accuse circolate in quegli anni, e sottolineava come gli operatori umanitari avessero agito nel rispetto del diritto internazionale.
Se si considera l’andamento del procedimento IUVENTA, ancora bloccato a Trapani, dove la nave, sotto sequestro da oltre tre anni, sta marcendo in porto, e le modalità dei procedimenti penali a carico del senatore Salvini, sorgono non pochi interrogativi sulle reali funzioni del processo penale in questa materia. Saranno solo le decisioni dei giudici, e la loro tempestività, oltre che il loro contenuto, che ci faranno capire quello che rimane dello Stato di diritto nel nostro paese. Ma intanto la riaffermazione quotidiana delle garanzie dettate dalla Costituzione repubblicana sarà un impegno costante per tutti coloro che hanno a cuore la democrazia nel nostro paese.
4 Non sappiamo quale sarà l’esito delle testimonianze che saranno raccolte dal 12 dicembre nel processo Gregoretti a Catania, ed in una prossima udienza dovrò essere sentita anche l’attuale ministro dell’interno Lamorgese, che all’epoca dei fatti non rivestiva alcun incarico nell’esecutivo. Certo rimane il fatto innegabile che il processo Gregoretti, come il processo Diciotti archiviato in precedenza, presenta una peculiarità assoluta rispetto agli altri procedimenti in cui Salvini è stato chiamato in causa per avere vietato l’ingresso di una nave delle ONG nelle acque territoriali. Nave Gregoretti era una nave della Marina militare italiana, e dunque la decisione di non fare sbarcare i naufraghi si rivolgeva verso persone che si trovavano già a tutti gli effetti in territorio italiano, fin dal momento in cui erano salite a bordo. L’evento di soccorso nel quale era stato coinvolta la nave della Marina militare non presenta dunque alcuna analogia con i numerosi casi di soccorso operati dalle ONG, sui quali il Giudice delle indagini preliminari di Catania ha voluto estendere la sua indagine.
La partita decisiva si giocherà probabilmente al di fuori delle aule di giustizia, sul piano della comunicazione, ed il senatore Salvini, avvalendosi della schiera di operatori della comunicazione al suo servizio, arruolati nella cd. “bestia” o come battitori liberi, cercherà di passare ancora una volta come una vittima che paga un prezzo personale (il procedimento penale !) per avere difeso i confini nazionali e la sicurezza dei cittadini di fronte al rischio di una invasione di “clandestini”, ormai trasformati in pericolosi untori, se non in terroristi o stupratori. Argomentazioni che negli ultimi mesi sono state rilanciate con un uso massivo dei social, mettendo sullo stesso piano le limitazioni alla libertà di circolazione dei cittadini e dei residenti, imposte dai Decreti del Presidente del consiglio dei ministri (DPCM) per fronteggiare l’emergenza COVID 19, e la cd. “apertura dei porti” a favore dei “clandestini” che sarebbe stata decisa dal nuovo governo, anche se il decreto sicurezza bis del 2019 non è stato abrogato dal nuovo decreto legge immigrazione ed ha subito solo parziali modifiche, peraltro ancora a rischio in sede di conversione del decreto..
Si deve prendere atto che non ci sono stati gli atti di costituzione di parte civile che si potevano attendere da parte di associazioni e delle stesse ONG, con l’eccezione positiva della ONG Open Arms. Ciascun processo e ciascun caso è diverso dall’altro, e non si possono trarre considerazioni generali sul ruolo che (non) ha giocato la società civile nei processi Gregoretti ed Open Arms. Come si dovrà riflettere a lungo sulle prospettive dei soccorsi in mare ai tempi del COVID 19, dopo che il governo italiano ha dimostrato di insistere nella politica dei fermi amministrativi. Perché ormai appare evidente che con la sequenza di “fermi amministrativi” non si tratti di una serie di singoli atti amministrativi adottati da diverse capitanerie di porto, ma di una precisa linea politica concordata evidentemente a livello di governo, ed attuata dalle diramazioni locali del Ministero delle infrastrutture su navi che sono già certificate dai paesi di bandiera che hanno sistemi di controllo anche più rigorosi di quelli in uso nei porti italiani. Sarebbe davvero interessante sottoporre agli stessi controlli le navi traghetto che collegano al continente le isole italiane o i piccoli cargo che fanno la spola tra Malta ed i porti italiani.
Nel diritto internazionale non esiste una categoria o una classificazione uniforme di “navi di soccorso” destinate stabilmente ed esclusivamente ad attività di ricerca e salvataggio, e questa destinazione d’impiego non può essere strumentalizzata dalle autorità di uno stato per limitare l’operatività di mezzi che possono salvare la vita, come hanno fatto in passato, a decine di migliaia di persone. Chiunque voglia cimentarsi ancora nel soccorso in mare di naufraghi nel Mediterraneo centrale dovrà però adottare mezzi adatti a lunghe navigazioni d’altura senza scalo, sistemi di comunicazione in tempo reale per gestire un rapporto costante con l’opinione pubblica e con i finanziatori, e promuovere con immediatezza subito dopo i soccorsi tutte le iniziative legali che sono esperibili in base agli ordinamenti nazionali ed internazionali quando gli stati violano gli obblighi di ricerca e salvataggio imposti dal diritto internazionale e dai codici della navigazione.
Come si riconosce anche da parte della Guardia costiera italiana, in base alle Convnzioni internazionali, ed in particolare secondo la Convenzione di Amburgo del 1979, “lo Stato responsabile di un’area SAR, in caso di emergenza in mare nella propria area di responsabilità, ha l’obbligo di intervenire assumendo, per il tramite del proprio Rescue Coordination Center (RCC), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità SAR, ma anche con unità militari e/o civili, quali ad esempio le unità mercantili presenti in zona, in adempimento agli obblighi giuridici assunti con la ratifica della convenzione internazionale . Nel caso in cui un’Autorità marittima riceva informazioni di un’emergenza in corso in un’area SAR di competenza di un altro Stato, informa immediatamente il Rescue Coordination Center (RCC) territorialmente competente ed estende la notizia dell’emergenza a tutte le unità in transito in quell’area SAR. Una volta che lo Stato competente assume il coordinamento, le altre Autorità Nazionali marittime possono intervenire in supporto all’attività di soccorso, con l’impiego di mezzi o la diffusione o il rilancio di comunicazioni, se espressamente richiesto dall’Autorità coordinatrice. Tuttavia, qualora lo Stato competente per quella area SAR non assuma il coordinamento delle operazioni di soccorso, tali operazioni vengono coordinate dall’Autorità nazionale SAR che, per prima, ne ha avuto notizia ed è in grado di fornire la migliore assistenza possibile.
Come giuristi e operatori dell’informazione possiamo solo ripetere che non ci limiteremo ad attendere il pronunciamento dei giudici su casi che appartengono ormai ad una fase storica definitivamente archiviata, sia per l’irrompere della pandemia da Covid 19 in tutti i paesi del mondo, che per la situazione profondamente mutata nel Mediterraneo, dopo l’avanzata della marina turca in Libia ed il sostanziale fallimento delle attività di law enforcement affidate nel Mediterraneo centrale alla missione europea Irini di EUNAVFOR MED. Occorre rendere consapevole l’opinione pubblica, oltre che delle stragi per abbandono in mare, della situazione ancora confusa in Libia, di scontro strisciante, sul territorio ed in mare, tra l’esercito di Haftar (LNA) e le milizie ancora alleate al generale e le forze fedeli a Serraj ( GNA) , con il contorno di sequestri di pescherecci che ha coinvolto anche la marineria “multietnica” di Mazara del Vallo. Una realtà che molti nascondono e troppi ,ancora, sottovalutano, dando esclusiva priorità ai rapporti commerciali a scapito del rispetto dei diritti umani. Come sembra stia diventando la regola nei rapporti internazionali, ancor di più in questa fase pandemica.
Non si può accettare in definitiva la tesi che la natura “politica” delle scelte di singoli membri dell’esecutivo, come i ministri dell’interno, cancellino il diritto internazionale del mare ed i diritti umani dei migranti eliminando quindi ogni profilo di responsabilità. Responsabilità che, anche se non fossero ritenute rilevanti nei giudizi di taglio penalistico a livello nazionale, possono tuttavia incardinare valutazioni di condanna davanti alle giurisdizioni internazionali, o nell’ambito dei lavori di un tribunale di opinione espressione della società civile come il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP).
I seminatori di odio hanno utilizzato la materia dei soccorsi in mare per fare crescere il loro consenso elettorale. Adesso, di fronte al disastro sociale che hanno prodotto, ed alle centinaia di vittime nel Mediterraneo che sono conseguenza delle loro politiche di governo o dei loro ricatti su governi deboli e divisi al loro interno, non rimane altra via che la denuncia puntuale non solo degli atti di abbandono in mare, ma anche di tutte le pratiche di esclusione sociale che, in tempi di pandemia, dai migranti si vanno estendendo alle fasce più deboli della popolazione. Solo a partire da una nuova forma di aggregazione di consenso dal basso verso i valori della solidarietà e dell’uguaglianza tra gli uomini, si potrà battere il discorso d’odio e la disinformazione a sfondo razzista e dare nuovo impulso alle attività di ricerca e soccorso in mare. Attività che dovranno comunque essere svolte principalmente dagli stati, con un ruolo complementare e non sostitutivo delle organizzazioni non governative. Almeno fino a quando la politica internazionale non sarà in grado di garantire canali legali di ingresso e ridurre, se non eliminare, le ragioni che spingono un numero crescente di uomini, donne e bambini a lasciare il loro paese.
VENERDÌ 11 DICEMBRE 2020 09.15.31
Migranti:Salvini, domani a Catania, a Palermo un’altra volta(ANSA) –
MILANO, 11 DIC – “Oggi e’ un venerdi’ particolare. Alle 5 ho l’aereo per Catania, ne approfittero’ per incontrare stasera gli amministratori locali della Lega in Sicilia. Domani mattina alle 9 e mezza saro’ all’Aula Bunker di Catania. Questo mi fa strano perche’ io le Aule Bunker le ho sempre viste in televisione per i processi di mafia”. Lo ha detto il leader della Lega Matteo Salvini a Telelombardia, in merito al caso Gregoretti. Quanto alla richiesta di rinvio dell’udienza preliminare per la vicenda Open Arms, Salvini ha spiegato: “Parlavo con il mio avvocato, e’ difficile essere in contemporanea sia a Catania che a Palermo. Non so come funzioni, pero’, se saremo alle 9.30 a Catania non potro’ essere a Palermo. Andro’ un’altra volta a Palermo, per rispondere sempre alla stessa accusa di sequestro di persona aggravato e continuato”. (ANSA). YYI-RT 11-DIC-20 09:14 NNNN