La Costituzione non va in quarantena

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Sembra generalmente condivisa, anche tra la comunità scientifica e i massimi organismi sanitari (OMS), la consapevolezza che la pandemia da COVID-19 possa durare ancora a lungo, in tutti i paesi del mondo, ed avere anche fasi di ritorno, ammesso che si arrivi ad un suo primo superamento. Secondo recenti dichiarazioni del ministro alla salute Speranza, il ritorno alla “normalità” sarà possibile solo quando sarà stato scoperto un vaccino. Dunque la possibilità che la legislazione e la decretazione dell’emergenza si protraggano a lungo è sempre più concreta. Nulla sarà più come prima. Le prospettive di cura e la soluzione del vaccino appaiono ancora assai lontane, e potrebbe sempre verificarsi la mutazione del virus o la irruzione di altre pandemie estese su scala globale. La mobilità umana globale basata sulla libertà di autodeterminazione appare ormai un lontano ricordo, mentre si profilano nuove migrazioni forzate e nuovi sistemi di confinamento, non solo per i migranti, ma anche per le popolazioni autoctone. Come ha affermato Rifkin “la distanza sociale sarà la regola”.

I generici appelli che unendo le forze possa tornare tutto come prima, come se fossimo tutti “sulla stessa barca”, sono immediatamente smentiti dai fatti. Non esiste vera solidarietà a livello globale, dove imperversa ancora una guerra economica, l’Unione Europea sta andando in pezzi per gli egoismi dei singoli stati membri, a livello nazionale le Regioni sembrano spingere in tante direzioni diverse, non manca neppure il protagonismo dei sindaci. La concorrenza tra i diversi territori diventerà più feroce quando ci saranno da redistribuire i costi della crisi economica, già grave per effetto dei fallimenti del neo-liberismo globale, ma resa irreversibile, soprattutto nelle aree economiche più deboli, dalle conseguenze economiche del COVID-19. Come rileva Chomsky, Si sapeva da tempo che era molto probabile che si  verificassero delle pandemie e si era capito molto bene che delle leggere modifiche dell’epidemia di SARS dovute alla pandemia di coronavirus erano probabili. Avrebbero potuto lavorare sui vaccini, sullo sviluppo di una protezione per potenziali pandemie da coronavirus, e con lievi modifiche avremmo potuto avere i vaccini disponibili oggi”. E invece mancano ancora persino i tamponi e le mascherine, mentre si progetta l’avvio della cd. fase due con un attacco senza precedenti alla privacy ed alla libertà di circolazione, se saranno introdotti sistemi di monitoraggio dei movimenti delle persone e dei loro contatti, come la app IMMUNI. Una materia sulla quale il ministro della Salute Speranza sembra già orientato per dare un impulso sollecito, prima ancora che sia stato sentito il Garante per la privacy.

In diversi paesi del mondo si profila un inquietante scontro tra la “salute pubblica”, di cui rimangono depositari i governi con i loro poteri di emergenza e i diritti fondamentali individuali, incluso il diritto individuale alla salute, che nel modello delle grandi Costituzioni dovebbero spettare a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza, dall’età, o dal reddito di cui dispongono. Anche se la crisi sanitaria dovesse essere risolta, o attenuata in un singolo paese, si può prevedere che si moltiplicheranno le frontiere ed i confinamenti. Apparati di sicurezza sempre più invasivi saranno destinati a limitare la mobilità umana, come sta succedendo da tempo in Cina, e come progressivamente si verificherà nel resto del mondo, seppure con modalità diverse, anche al fine di garantire la “salute pubblica” impedendo i cd “casi di infezione di ritorno”.

Le prime soluzioni di “uscita” dalla fase attuale di pandemia che si profilano nei piani dei governi europei comprendono un ritorno forzato al lavoro delle generazioni più giovani, che si ritiene più resistenti al virus (almeno fino al 50-60 anni) ed un confinamento forzato a tempo indeterminato, e comunque in modo ricorrente se l’epidemia dovesse ripresentarsi, di tutti coloro che hanno raggiunto i 65-70 anni di età. Si profilano dunque nuove barriere d’età che potrebbero alimentare isolamento sociale e conflitto tra generazioni. Saranno forse gli studi epidemiologici, a stabilire tra qualche anno quanto siano state efficaci queste misure, parziali e mirate a specifici target, di contenimento della libertà di circolazione. Le gravi limitazioni della libertà di circolazione imposte alle persone appaiono intanto, anche indipendentemente dall’età, in contrasto con il dettato costituzionale e in particolare con il principio di uguaglianza (art. 3) e con le garanzie in materia di diritti alla libertà personale (art.13) ed alla libertà di circolazione (art. 16).

2 .Il 31 gennaio scorso il ​Consiglio dei ministri ha decretato lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, il COVID-19. Da quella data un profluvio di decreti del Presidente del Consiglio (DPCM) ed ordinanze di Presidenti di regione e sindaci, hanno costituito un fitto reticolo normativo, di carattere amministrativo, che ha imposto, alla base di tutto il sistema di contrasto, il cd. distanziamento sociale.

Non si deve tuttavia scambiare lo stato di emergenza che si stabilisce per finalità di protezione civile, con lo stato di emergenza che si risolve nella dichiarazione di stato di guerra in base al’art. 78 della Costituzione. Anche se nel linguaggio corrente è purtroppo diffusa l’espressione “siamo in guerra” contro il COVID-19, a giustificazione delle misure di emergenza adottate dal governo.

Lo “stato di emergenza” è previsto dalla legge 225 del 24 febbraio 1992 in materia di Protezione Civile che prevede che venga emanata la delibera da parte del Governo in casi eccezionali. Secondo questa legge, ” al verificarsi degli eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) come (,calamita’ naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari) il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi. Con le medesime modalità si procede alla eventuale revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti.”

Il D.L. 59/2012   ha introdotto anche un nuovo comma 1-bis dell’articolo 5, apportando un’ulteriore novità al sistema di protezione civile attraverso l’introduzione di una durata massima dello stato di emergenza, pari a novanta giorni, prorogabile o rinnovabile di regola una sola volta – previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri – di ulteriori sessanta giorni. Si prevede anche che ” per l’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza dichiarato a seguito degli eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Le ordinanze sono emanate, acquisita l’intesa delle regioni territorialmente interessate, dal Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza di cui al comma 1. L’attuazione delle ordinanze è curata in ogni caso dal Capo del Dipartimento della protezione civile. Con le ordinanze, nei limiti delle risorse a tali fini disponibili a legislazione vigente, si dispone in ordine all’organizzazione e all’effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall’evento, alla messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati e dei beni culturali gravemente danneggiati o che costituiscono minaccia per la pubblica e privata incolumità, nonché al ripristino delle infrastrutture e delle reti indispensabili per la continuità delle attività economiche e produttive e per la ripresa delle normali condizioni di vita, e comunque agli interventi volti ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose”;

3. Come ricorda Ilenia Massa Pinto, “la Delibera del Consiglio dei Ministri dichiara che è in atto il tipo di evento emergenziale più grave tra quelli previsti dalla normativa sulla protezione civile: la lett. c) si riferisce infatti alle «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24». E l’art. 24 prevede che con la dichiarazione dello stato di emergenza il Consiglio dei ministri autorizzi l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25, che possono essere adottate «in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”. Tra i principi generali dell’ordinamento giuridico si possono richiamare i diritti fondamentali danciti dalla nostra Costituzione, che in una situazione temporanea di emergenza possono essere compressi, ma non possono essere cancellati a tempo indeterminato.

Secondo David Puente, “la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 con la quale viene “dichiarato per sei mesi lo stato di emergenza in conseguenza di un rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” è un provvedimento che non ha forza di legge così come precisato dall’art.3 della legge n.20/1994. Articolo 3 dove si prevede che “nei confronti dei provvedimenti emanati a seguito di deliberazioni del Consiglio dei Ministri e degli atti del Presidente del Consiglio dei Ministri” debba esserci l’obbligo del “controllo preventivo di legittima da parte della Corte dei Conti” in quanto si tratta di provvedimenti ed atti “non aventi forza di legge”!

Il decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020 n. 13, specifica alcune norme di rango costituzionale che possono essere derogate, tra queste, ma l’elenco non è tassativo, la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.) e la libertà di professare la propria fede religiosa (art. 19 Cost, il diritto all’istruzione e alla cultura (artt. 9-33-34 Cost.), la libertà personale (art. 13)[; la libertà d’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 ss. Cost).

L’art. 3 di questo decreto legge elenca le forme attraverso le quali le misure di contenimento introdotte dal decreto possono essere adottate: «uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale».

In casi di estrema necessità ed urgenza, le misure di contenimento potranno essere adottate dal Ministro della salute, dai Presidenti di regione e dai sindaci, ai sensi dell’art. 32 della l. 23 dicembre 1978 n. 833, dell’art. 117 del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e dell’art. 50 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

Per Michele Ainis, giurista costituzionalista e componente dell’Autorità garante della Consorrenza e del Mercato, “è evidente che il ricorso massiccio ai Dpcm come strumento normativo “qualche problema lo crea perché il Dpcm è un atto di normazione secondaria, non è un atto che ha la stessa forza della legge. Ha un collegamento con il decreto, è figlio del decreto del 6 febbraio 2020, pero’ ha una forza normativa debole, troppo debole per incidere su libertà costituzionali come quella di movimento, di riunione, di libertà di culto. Tutte libertà protette dalla riserva di legge della costituzione-

Dopo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato il 4 marzo, Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, ha osservato che “nell’interpretazione della Costituzione non si può giocare con le parole. Una pandemia non è una guerra. Non si può quindi ricorrere all’articolo 78. La Costituzione è chiara. La profilassi internazionale spetta esclusivamente allo Stato ( art. 117, II comma, lettera q)”. Secondo Cassese, “Lo Stato agisce con leggi che possono delegare al governo compiti e definirne i poteri. La Corte costituzionale, con un’abbondante giurisprudenza, ha definito i modi di esercizio del potere di ordinanza “contingibile e urgente”, cioè per eventi non prevedibili e che richiedono interventi immediati. Le definizioni della Corte sono state rispettate a metà. Il primo decreto legge era “fuori legge”. Poi è stato corretto il tiro, con il secondo decreto legge, che smentiva il primo, abrogandolo quasi interamente. Questa non è responsabilità della politica, ma di chi è incaricato degli affari giuridici e legislativi. C’è taluno che ha persino dubitato che abbiano fatto studi di giurisprudenza”.

Cassese, poi spiega che “il primo decreto legge era illegittimo: non fissava un termine; non tipizzava poteri, perché conteneva una elencazione esemplificativa, così consentendo l’adozione di atti innominati; non stabiliva le modalità di esercizio dei poteri. A Palazzo Chigi c’è un professore di diritto: avrebbe dovuto bocciare chi gli portava alla firma un provvedimento di quel tipo. Poi si è rimediato. Ma continua la serie di norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altre norme. Non c’è fretta che spieghi questo pessimo andamento, tutto imputabile agli uffici di Palazzo Chigi incaricati dell’attività normativa”.

4. Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro della salute, Roberto Speranza, ha approvato il 24 marzo un decreto-legge che introduce misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Si tratta del Decreto legge n.19 del 25 marzo 2020, adesso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate dal governo nazionale, secondo quanto previsto dal decreto, “una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus”.

Come riferisce un comunicato della Presidenza del Consiglio, tra le altre misure, si prevede ” la limitazione della circolazione delle persone, il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione per i soggetti in quarantena perché contagiati e la quarantena precauzionale per le persone che hanno avuto contatti stretti con soggetti contagiati; la limitazione, la sospensione o il divieto di svolgere attività ludiche, ricreative, sportive e motorie all’aperto o in luoghi aperti al pubblico, riunioni, assembramenti, congressi, manifestazioni, iniziative o eventi di qualsiasi natura”; la limitazione o la sospensione di ogni attività d’impresa o di attività professionali e di lavoro autonomo che non rientrino nell’elenco delle cd. “attività essenziali”. In realtà le limitazioni della libertà di circolazione sono molto più stringenti e modulabili di quanto contenuto nel comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri. Si prevede infatti

a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora, se non per spostamenti individuali, limitati nel tempo e nello spazio e motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni;

b) chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree gioco, ville e giardini pubblici o altre aree analoghe;

c) divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali;

Si sono qundi alternati in rapida successione decreti legge, leggi di conversione, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), provvedimenti in forma di Ordinanza adottati dai Presidenti di regione, ordinanze dei Sindaci, e vari provvedimenti adottati dal capo della Protezione civile. Chi all’inizio sembrava orientato a consentire una maggiore libertò di circolazione è poi diventato, di fronte all’espandersi dell’epidemia in alcune regione settentrionali, uno strenuo fautore delle misure di chiusura e di blocco delle attività, salvo a ritornare successivamente, sotto la spinta delle organizzazioni degli industriali e dei produttori, favorevole ad un superamento della prima fase dell’emergenza, ancora in corso, come conferma soprattutto l’elevato numero di vittime, e ad un riavvio delle attività economiche. sembra invece meno rilevante il problema della limitazione della libertà di circolazione, fino al limite della limitazione della stessa libertà personale quando si impedisce alle persone di uscire di casa. o si limita tale diritto con modalità che ne svuotano il contenuto, soprattutto quando si restringe ad un unico componente del nucleo familiare.

Il comma I, lettera b), dell’articolo 1 del DPCM 22 Marzo 2020, abolisce la previsione già contenuta nell’articolo 1, comma I, lettera a), del DPCM 8 Marzo, dove si assicurava il rientro nel luogo di domicilio, abitazione o residenza. Secondo quanto previso dal DPCM del 22 marzo, tale rientro risulta consentito unicamente nel caso ove lo spostamento all’esterno risulti connesso ai motivi legittimanti: comprovate esigenze lavorative, esigenze di assoluta urgenza, motivi di salute.

Secondo la circolare del ministero dell’interno del 23 marzo 2020, che disciplina anche il blocco delle attività produttive “non essenziali”, si specifica il divieto per tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati dal comune in cui attualmente si trovano. In base a tale circolare, “Tali spostamenti rimangono consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.La disposizione, anche tenendo conto delle esigenze recentemente emersee che hanno condotto alcuni Presidenti di Regioni ad adottare apposite ordinanze, persegue la finalità di scongiurare spostamenti in ambito nazionale, eventualmente correlati alla sospensione delle attività produttive, che possano favorire la diffusione dell’epidemia.Si colloca in tal senso la soppressione, prevista dalla stessa norma, dell’art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020 che consentiva il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Per effetto di tale soppressione, la citata disposizione–inizialmente prevista per alcuni specifici ambiti territoriali ed estesa all’intero territorio nazionale dall’art.1, comma 1 del d.P.C.M. 9 marzo 2020 -resta peraltro in vigore nella parte in cui raccomanda l’effettuazione di spostamenti all’interno del medesimo comune solo se motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. Tale norma da ultimo citata va pertanto letta in combinato disposto con l’art. 1, comma 1 lett. b) del nuovo d.P.C.M., che si riferisce agli spostamenti fra comuni diversi. Si ritiene peraltro opportuno evidenziare che, proprio in ragione della ratio ad essa sottesa, la previsione introdotta dal nuovo d.P.C.M. appare destinata ad impedire gli spostamenti in comune diverso da quello in cui la persona si trova, laddove non caratterizzati dalle esigenze previste dalla norma stessa.Rimangono consentiti, ai sensi del citato art. 1, lett. a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020, i movimenti effettuati percomprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute, che rivestano carattere di quotidianità o comunque siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere.

Secondo la circolare, a firma del capo di gabinetto del ministro dell’interno Piantedosi, “rientrano, ad esempio, in tale casistica gli spostamenti per esigenze lavorative in mancanza, nel luogo di lavoro, di una dimora alternativa a quella abituale, o gli spostamenti per l’approvvigionamento di generi alimentari nel caso in cui il punto vendita più vicino e/o accessibile alla propria abitazione sia ubicato nel territorio di altro comune”.

Come al solito, in materia tanto rilevanti dal punto di vista costituzionale, si continua a utilizzare l’ordinanza o la circolare per definire la portata applicativa della norma, in realtà per fornirne la esatta valenza, con un trasferimento totale di competenze alla polizia nella qualificazione dei comportamenti penalmente rilevanti.

Sul ricorso ai Dpcm, il costituzionalista Cesare Mirabelli, presidente della Corte Costituzionale , rileva :”l’esigenza forte è di esercitare il potere di controllo e di indirizzo del Parlamento, e che le Camere non immaginino di non riunirsi: non esiste una quarantena delle istituzioni”. Anzi, è proprio il Parlamento che deve esercitare con più forza e attenzione il suo ruolo di controllo: “Il ruolo di controllo del Parlamento – ma anche del Presidente della Repubblica – in un momento come questo deve essere ancor più forte”. ​Insomma,   non preoccupa tanto il fatto che ci siano delle limitazioni alla libertà di circolazione per esigenze di sicurezza o sanitarie, casi previsti dalla Costituzione, quanto che il ricorso a queste limitazioni possano diventare un’abitudine. “La nostra Carta prevede anche che” queste limitazioni siano previste “per legge e per un tempo determinato”, sottolinea Mirabelli. Inoltre, aggiunge, “occorre valutare se questi provvedimenti sono adeguati, se è legittima la fonte, Decreto del Presidente del Consiglio o legge che comunque lo autorizzi, e bisogna che si tratti di provvedimenti che prevedano tempi determinati di applicazione”.

5. Nel tentativo di semplificare la normativa emergenziale e cercare di dare una base costituzionale ai precedenti provvedimenti normativi, Il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020, disciplina le procedure per l’adozione delle misure di contenimento, prevedendo che siano introdotte con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute o dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino una o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale. È anche previsto che, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro della salute possa introdurre le misure di contenimento con proprie ordinanze. Inoltre, per specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, i Presidenti delle regioni possono emanare ordinanze contenenti ulteriori restrizioni, esclusivamente negli ambiti di propria competenza. Viene cancellato il limite di sette giorni di efficacia e scompare la necessità che il governo nazionale approvi entro 24 ore dall’entrata in vigore le ordinanze che i singoli governatori ritengano di adottare su una parte o sull’intero territorio regionale. Secondo l’art. 3 del decreto legge n.19 del 25 marzo 2019 (Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale)” 1. Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2,esclusivamente nell’ambito delle attivita’ di loro competenza e senza incisione delle attivita’ produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”. 2. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, ne’ eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1.

Il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell’interno, assicura l’esecuzione delle misure avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali. Al personale delle Forze armate impiegato, previo provvedimento del Prefetto competente, per assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza.

Il Decreto legge n.19 del 25 marzo 2020 ha costituito un cedimento rispetto alle richieste dei Presidenti di alcune regioni, soprattutto delle regioni settentrionali, che invocavano poteri più ampi nell’adozione delle misure di contenimento per contrastare la diffusione del COVID-19. Il diverso andamento della pandemia su scala regionale giustifica senz’altro misure differenziate di limitazione della libertà di circolazione, e in presenza di un sistema sanitario che offre un numero limitato di posti in terapia intensiva ( a confronto con altri paesi europei) il contenimento della pandemia si è tradotto prevalentemente nel contenimento della libertà di circolazione dei cittadini. Lo stato, che non riesce a garantire una risposta immediata alla domanda di salute dele persone, imponendo quelle che sono state definite “scelte tragiche”, sta spostando sui singoli e sui loro comportamenti la responsabilità di una crisi che è frutto dell’abbattimento dei servizi di sanità pubblica a vantaggio delle strutture private. Che nessuno osa requisire o utilizzare con accesso aperto a tutti, a fini di salute pubblica. Gli stessi Presidenti di regione che hanno condiviso politiche di tagli alla sanità ed all’istruzione pubblica, adesso dovrebbero garantire soluzioni concrete alla mancanza di adeguate strutture sanitarie, in un sistema che presentava già forti squilibri territoriali, al punto che molti pazienti delle regioni meridionali, per le malattie più gravi, erano costretti a recarsi nelle strutture specializzate del nord-italia. Si corre adesso il rischio che quelle frontiere che volevano ergere ai confini del paese, di fronte ai migranti in cerca di protezione, si ricostruiscano tra le diverse regioni, chiamate a sopportare costi sanitari sempre più elevati. Nei provvedimenti che dovrebbero caratterizzare la cd.fase 2 si incentivano le misure di rientro nelle attività produttiva, aprendo alle correlate mobilità vincolate dei lavoratori, che altrimenti potrebbero rischiare la perdita del posto di lavoro, ma si insiste ed anzi si rafforza la prospettiva di limitare la libertà di circolazione non connessa all’assolvimento di esigenze lavorative.

6. Il Tar della Campania ha dato ragione al Presidente della Regione De Luca confermando il divieto di praticare sport all’aperto da lui stabilito con un’ordinanza emessa nell’ambito delle misure per il contenimento del contagio da coronavirus. Il Tribunale amministrativo regionale, infatti, con il decreto cautelare monocratico depositato il 18 marzo, ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’ordinanza del presidente della Regione del 13 marzo e del successivo chiarimento del 14 marzo, che non consentono, tra l’altro, l’attività sportiva all’aperto ritenendola non compatibile con esigenze sanitarie, perché visto “il rischio di contagio, ormai gravissimo sull’intero territorio regionale” e “il fatto che dati che pervengono all’Unità di crisi istituita con Decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania, n. 45 del 6.3.2020 … dimostrano che, nonostante le misure in precedenza adottate, i numeri di contagio sono in continua e forte crescita nella regione” va data “prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica”.

La decisione del Tribunale amministrativo della Campania in merito ad un’ordinanza del Presidente della Regione De Luca non lascia adito alla speranza di un effettivo controllo giurisdizionale sulle attività della pubblica amministrazione in materia di contenimento della mobilità, come metodo di contrasto della diffusione del COVID-19. Subito dopo l’approvazione del Decreto legge n.19 del 25 marzo 2020, il Presidente De Luca ha immediatamente dimostrato una totale autonomia rispetto alle scelte del governo, estendendo le sue scelte restrittive in materia di libertà di circolazione sino al 14 aprile 2020.

Il Tribunale amministrativo della Sicilia ha recentemente respinto un ricorso con il quale si chiedeva la sospensione e poi l’annullamento delle ordinanze 14 del 3 aprile la 15 del 8 aprile emesse dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci con riferimento alla mobilità tra regioni diverse. Secondo ill presidente del Tar di Palermo Calogero Ferlisi, ” gli aspetti di massima prudenza sanitaria e prevenzione epidemiologica che sono sottesi alle ordinanze impugnate (entro cui si inscrivono i divieti e i limiti di libera circolazione cui fa riferimento parte ricorrente), – si legge nel decreto del presidente – appaiono prevalenti rispetto agli interessi ed alla posizione giuridica della parte, essendo, i predetti aspetti, correlati sia alla ormai conclamata e progressiva situazione di emergenza epidemiologica, sia all’insularità del territorio regionale e quindi alla praticabilità di un effettivo e capillare controllo dei movimenti da e per la Sicilia» Il profluvio delle ordinanze dei presidenti di regione è ormai inarrestabile, e rende sempre più discrezionale l’applicazione delle norme vigenti da parte degli agenti di pubblica sicurezza addetti ai controlli.

7. Con il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 10 aprile 2020 sono state adottate ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale. (20A02179) (GU Serie Generale n.97 del 11-04-2020)

Il DPCM, nel confermare l’attuale regime di sospensione delle attività commerciali al dettaglio, ad esclusione delle attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità, inserisce, nel novero delle attività consentite, il commercio di carta, cartone e articoli di cartoleria, il commercio al dettaglio di libri, nonché il commercio al dettaglio di vestiti per bambini e neonati. Il provvedimento ribadisce l’obbligo di assicurare, oltre alla distanza interpersonale di un metro, che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito di sostare all’interno dei locali più del tempo necessario all’acquisto di beni.

È stata inviata ai prefetti una circolare, firmata dal Capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, che fornisce indicazioni in merito all’applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 aprile 2020 che ha disposto l’applicazione su tutto il territorio nazionale, a far data dal 14 aprile e fino al 3 maggio 2020, di misure urgenti di contenimento del contagio, sia di carattere generale sia finalizzate allo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali.Per quanto riguarda gli esercizi commerciali la cui attività non è sospesa, il provvedimento ribadisce l’obbligo di assicurare, oltre alla distanza interpersonale di un metro, che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito disostare all’interno dei locali più del tempo necessario all’acquisto di beni, raccomandando, comunque, l’adozione di specifici dispositivi di sicurezza.

8. Continuano a stratificarsi nel frattempo i provvedimenti dei Presidenti di Regione e dei sindaci. Da ultimo il Presidente della Regione Sicilia Musumeci ha adottato l’Ordinanza n. 17 del 18 aprile 2020 con la quale si dispone che e’ consentita, in quanto riconducibile a “situazione di necessita’” finalizzata a sopperire alle esigenze alimentari e ai lavori di manutenzione per la prevenzione degli incendi, l’attivita’ non imprenditoriale necessaria per la conduzione di terreni agricoli e per la cura degli animali. L’uscita nell’ambito del medesimo Comune o verso un Comune diverso da quello in cui attualmente si trova l’interessato, e’ consentita una sola volta al giorno e a un solo componente del nucleo familiare, ovvero a un soggetto delegato. E’, altresi’, autorizzata l’attivita’ di manutenzione di aree verdi e naturali, pubbliche e private. Le attivita’ sono consentite solo nei giorni feriali. Saranno consentite le attività, così come previsto dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri. E’ possibile correre, camminare e fare qualsiasi tipo di attività motoria purchè in prossimità della propria abitazione e si mantengano le distanze di sicurezza e in ogni caso si evitino assembramenti. E’ possibile correre o camminare da soli, o in compagnia di altri conviventi dello stesso nucleo familiare. L’uscita con i bambini non rimane più limitata dunque alla circostanza che gli stessi accompagnino il genitore durante una delle attività consentite. Appare evidente come tale previsioni configurava rischi ancora maggiore di quelli che si potrebbero concretizzare se i bambini vengono accompagnati fuori di casa soltanto per una normale passeggiata. Rimangono tuttavia pesanti limitazioni. iSecondo Musumeci ,“si può fare jogging vicino casa, ritornano le consegne a domicilio dei generi alimentari la domenica e nei festivi, si potrà curare l’orto, i titolari degli stabilimenti balneari possono cominciare a preparare la stagione estiva sistemando le cabine e pulendo gli arenili”. In realtà tutte le attività consentite sono soggette ad un elevato potere discrezionale delle forze di polizia e dei militari incaricati della sorveglianza, e le attività economiche saranno sottoposte ad un controllo sempre più pregnante da parte della Guardia di finanza e del Prefetto

9. Si può dubitare che l’auspicato calo della pandemia possa legarsi a misure di pubblica sicurezza incentrate soprattutto sul (bio)contenimento dei movimenti dei cittadini, mentre non si riesce a sanificare il sistema sanitario nazionale, garantendo il diritto alla salute di pazienti ed operatori nelle strutture sanitarie e nelle residenze per anziani, e non si tenta neppure una vasta rilevazione dei campioni delle persone asintomatiche che in altri paesi europei, ed in alcune zone delle nostre regioni, hanno consentito un più efficace contrasto del virus. Allo stesso tempo non si adottano precauzioni minimali per coloro, e sono tanti, che comunque sono costretti a spostarsi per lavoro, mentre l’elenco delle cd. attività essenziali sembra espandersi a dismisura dopo le pressioni esercitate dalle associazioni degli industriali. Da una parte si obbligano migliaia di lavoratori ad uscire di casa e ad andare a lavorare in luoghi che non consentono sufficente sicurezza sul lavoro. Da un’altra parte si prolungano a tempo indeterminato misure fortemente limitative della libertà di circolazione, e si cancella la libertà di associazione. Non saranno certo i controlli con gli elicotteri ed i droni, o le intercettazioni degli spostamenti attarverso le celle telefoniche che risolveranno il problema della tenuta delle misure di “contenimento”. Mentre si alimentano colposamente focolai di contagio nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri, da ultimo persino con la creazione di Hotspot galleggianti. Intanto si conferma la lunga durata della pandemia e la possibilità di ulteriori fasi di ritorno, mentre le misure di distanziamento sociale che erano state proposte come temporanee, sembrano destinate a protrarsi a tempo indeterminato.

Non si può escludere a questo punto che qualcuno, dopo avere limitato la libertà di circolazione, pensi a limitare il diritto di comunicazione tramite la rete. Qualunque opinione critica in tempi di “guerra” deve essere silenziata, di fatto la libertà di riunone prevista dalla Costituzione è stata cancellata, mentre avrbebbe potuto garantirsi comunque con il rispetto delle distanze di sicurezza e con l’uso dele mascherine, ed i prossimi sviluppi della pandemia, soprattutto quando la crisi economica alimenterà le manifestazioni di protesta, potrebbero comportare l’adozione di misure di controllo sociale senza precedenti.

10. Il diritto fondamentale alla libertà della persona riconosciuto dall’art. 13 della Costituzione comprende la libertà fisica di movimento, in altre parole, il diritto di visitare o soggiornare in un luogo o spazio che è effettivamente accessibile (effettivamente o legalmente). La libertà fisica di circolazione protetta dalla Costituzione ( art. 16) deve avere un significato che va oltre la “libertà di movimento fisica” all’interno di una abitazione, anche per salvaguardare il fondamentale diritto alla salute garantito dall’art. 32 della stessa Costituzione.

Il divieto di lasciare il proprio appartamento senza potere raggiungere una abitazione secondaria, sia pure a scopo di ordinaria manutenzione, ad esempio un semplice controllo degli impianti, costituisce un impatto significativo sulla libera circolazione delle persone. Non è solo una lunga visita con amici o familiari o una vacanza, ma anche una esigenza meramente conservativa di un proprio bene, che dovrebbe consentire l’esercizio della libertà di circolazione. Rimangono peraltro tutte le imposte dovute allo stato ed agli enti locali, legate non solo alla proprietà del bene, ma anche al suo concreto utilizzo, come le tasse per lo smaltimento dei rifiuti. Le limitazioni alla libertà di circolazione possono dunque risultare lesive di diritti riconosciuti dalla Costituzione, come la libertà personale, la libertà di circolazione ed il diritto alla salute. Ma anche dei diriti connessi all’esercizio del diritto di proprietà e del diritto di svolgere attività economiche. Su quest’ultimo punto sarà impugnabile ogni arbitraria esclusione dall’elenco delle attività “definite essenziali” dalle autorità amministrative.

Le misure previste dai decreti del Presidente del Consiglio e dai Presidenti di Regione si stanno traducendo anche in una grave limitazione del diritto di accesso ai luoghi di lavoro ed ai presidi sanitari, soprattutto perchè nella loro concreta attuazione rimangono rimesse alla discrezionalità più ampia dell’autorità amministrativa, che determina le attività ritenute “essenziali”, e le modalità di esercizio della libertà di circolazione, senza organi giurisdizionali di controllo che ne possano sanzionare gli abusi. Alla fine, dopo una miriade di decreti ed ordinanze, la normativa che viene applicata effettivamente sui territori dipende dalle determinazioni dei Presidenti di regione, addirittura dei Sindaci, e dalle indicazioni impartite dal Viminale agli organi periferici di polizia, tramite i prefetti ed i questori. Quando in alcune ordinanze di Presidenti di regione, come nel caso della ordinanza n.15 adottata dal Presidente della regione Sicilia in data 8 aprile ultimo scorso, si giunge a prevedere che “le uscite per gli acquisti essenziali, ad eccezione di quelle per i farmaci, sono limitate ad una sola volta al giorno e ad un solo componente del nucleo familiare”, appare evidente che si arriva a limitare non solo la libertà di circolazione, garantita dall’art. 16 della Costituzione, ma la libertà personale di tutti gli altri componenti del nucleo familiare, garantita dall’art. 13 della Costituzione.

Gli atti amministrativi non possono limitare il diritto fondamentale alla libertà personale prevista dall’art. 13 della Costituzione, ma possono interferire solo con la libertà di circolazione garantita con limiti precisi dall’art. 16 della stessa Costituzione. Tutte le misure in questione avrebbero dovuto essere adottate nelle forme e secondo i presupposti previsti dalla legge nazionale. In particolare le restrizioni all’uscita dalle proprie abitazioni dovrebbero risultare proporzionate e non discriminatorie, in particolare se consistono in misure denominate “divieto di contatto” come le previsioni che limitano persino la possibilità di parlare a distanza tra le persone che si incontrano casualmente in un luogo pubblico, come la strada. Misure che nell’applicazione delle forze di polizia preposte ai controlli hanno dato luogo a numerosi accertamenti sommari di violazioni che saranno impugnabili prima davanti ai tribunali amministrativi e poi davanti alla Corte Costituzionale.

Si deve infine aggiungere che eventuali sanzioni penali inflitte in base ai decreti del Presidente del consiglio dei ministri, o peggio, secondo i decreti dei Presidenti di regione, potrebbero essere illegittime perché, se anche la norma penale è stabilita dalla legge, il fatto che ad essa si ricollega, ossia il comportamento vietato, è qualificato da una norma di carattere amministrativo e non legislativo. Se si ricorda che il decreto del Presidente del Consiglio, o l’ordinanza del Presidente della Regione hanno natura di atto amministrativo e risultano privi di forza di legge, questi atti possono costituire una violazione dell’articolo 16 della Costituzione, se dispongono limitazioni alla libertà di circolazione dei cittadini che comportino sanzioni di natura penalistica.

Il diritto alla vita, ed il diritto alla salute, sancito dall’art.32 della Costituzione sono certamente prevalenti rispetto alla libertà di circolazione garantita dall’art. 16 e della libertà di riunione garantita dall’art. 17 della stessa Costituzione. Se si mette in discussione però l’art. 13 della Costituzione, dovrò operarsi un corretto bilanciamento con il diritto alla salute affermato dall’art. 32una valutazione ponderatacda adottare nel rispetto del principio di legalità e della riserva di giurisdizione. Per ogni limitazione di una garanzia costituzionale deve essere attivato un meccanismo di controllo ed un limite temporale. Una soppressione sostanziale di queste libertà, a tempo indeterminato, adesso fino al 31 luglio per efetto del decreto legge 24 marzo 2020,, sia pure con proroghe mensili, ma in prospettiva anche oltre, rischia di travolgere il delicato equilibrio dei poteri (legislativo, giudiziario, esecutivo) tracciato dai Costituenti nel 1948.

Cone ha osservato Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto Costituzionale, i provvedimenti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri, come quelli dei Presidenti di regione, ” si collocano in una zona grigia tra atto politico ed atto amministrativo con una incidenza fortemente restrittiva dei diritti fondamentali”. Per Lucarelli “c ‘è un limite all’approccio sostanzialistico del diritto, e soprattutto del rispetto dello Stato di diritto.

”Secondo Maria Giuliana Civinini e Giuliano Scarselli in Questione Giustizia, “l’assenza di riferimento costituzionali e ordinari per far fronte ad una pandemia da virus non significa allora libertà piena per il Governo di adottare ogni misura. A questo riguardo, ciò è escluso dallo stesso codice della protezione civile, che, come detto, all’art. 25 espressamente prevede che ogni provvedimento debba essere adottato “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea”. Dunque, seppur la nostra Costituzione non contenga una disciplina specifica dello “Stato di emergenza”, non di meno la legislazione di emergenza deve rispettare la nostra Costituzione nonché i principi dell’Unione europea per quello che dalla nostra Costituzione e dai principi dell’Unione europea emerge”.

Se l’art. 16 della Costituzione prevede che la libertà di circolazione possa subire delle limitazioni “per motivi di sanità o di sicurezza”, queste limitazioni non possono tradursi nel divieto generalizzato di ogni tipo di attività fisica e di accedere comunque ad un determinato luogo pubblico o privato nel quale sia possibile rispettare le misure di sicurezza previste dalla nornativa generale.

L’art. 17 Cost., prevede limiti alle riunioni in luogo pubblico, ma non fa alcun riferimento alle riunioni in luogo privato, nè prevede limiti alla possibilità di incontrarsi sulla strada con altre persone, diritti che non possono essere del tutto cancellati, anche se si può stabilire che vadano esercitati nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza consistenti nell’uso della mascherina e nel mantenimento di una minima distanza interpersonale.

Si corre il rischio che il mantenimento a tempo indeterminato delle limitazioni della libertà di circolazione, con il divieto ad uscire di casa, magari per fasce di età, ma anche nel caso di persone sane ed asintomatiche, possa tradursi in una sostanziale limitazione della libertà personale, e dunque non possa essere adottato in violazione dei principi affermati dall’art. 13 della Costituzione. La norma costituzionale fa del resto riferimento non solo ai casi di detenzione o di arresto, ma anche a “qualsiasi altra restrizione della libertà personale”.

Si può dunque concludere che nè “il Governo né il Parlamento possono disporre restrizioni generalizzate della libertà personale, poiché trattasi di un diritto inalienabile (art. 2 Cost.), che nessun’altra ragione può impedire, e che, se del caso, può essere contratto solo in ipotesi eccezionali previste dalla legge con riferimento a singoli comportamenti, e a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria”. Si deve allora escludere che siano conformi alla Costituzione decreti legge, provvedimenti del governo, ed ancor più ordinanze di presidenti di regione o di singoli sindaci che incidano sulla libertà personale arrivando ad imporre divieti di uscire di casa senza rispettare il principio di congrua motivazione, il divieto di discriminazione (anche per età) e le procedure fissate dalla Costituzione per l’adozione di tali misure. Non saranno certo le ordinanze di protezione civile o i decreti interministeriali che potranno mettere in quarantena la Costituzione.


AGGIORNAMENTO IMPORTANTE

ll reato di “passeggiata” non esiste: i pm di Genova archiviano le denunce

«Le persone che, fermate per controllo, offrano giustificazioni non veritiere non possono essere denunciate per l’art. 483»

“Troppe denunce” per la violazione delle disposizione sul decreto Coronavirus. L’allarme viene direttamente dalla Procura di Genova, “sommersa” in questi giorni dalle notizie di reato per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità e falsa attestazione da parte delle Forze di polizia in relazione all’emergenza in corso.Il problema è nato dalla qualificazione giuridica delle condotte da sanzionare, e quindi dei reati che verrebbero violati, inseriti nei moduli prestampati diffusi dal Ministero dell’interno per giustificare gli spostamenti all’esterno della propria abitazione. L’autocertificazione in questione, peraltro, è stata recentemente aggiornata da parte del capo della polizia con la previsione anche dell’indicazione di “non essere positivo” o in “quarantena”.L’attenzione dei magistrati si è concentrata sull’articolo 495 cp, «falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», reato punito con la reclusione non inferiore a due anni.Martedi scorso è stata diffusa una circolare alle Forze di polizia firmata da Paolo D’Ovidio, procuratore aggiunto della Procura ligure. Per il magistrato, «il delitto dell’art. 495 viene integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi ad oggetto l’identità lo stato od altre qualità della persona». Nulla a che vedere, dunque, sulla veridicità o meno di quanto indicato nel modulo a proposito dei motivi dello spostamento dal proprio domicilio.


Anziano multato per aver comprato un barattolo di vernice


AGGIORNAMENTO IMPORTANTE DI LUNEDI’ 27 APRILE

Lettera aperta al presidente del consiglio, sottoscritta da docenti, avvocati, magistrati.

Lettera aperta al Presidente del Consiglio
Caro Presidente, Collega,
siamo un gruppo di professionisti del diritto, “quelle sagge restrizioni che rendono liberi”. Non può sfuggirci che le restrizioni delle libertà fondamentali messe in campo dal Governo centrale e da enti locali per fronteggiare l’emergenza Covid-19 generano gravi dubbi di costituzionalità e rappresentano un pericoloso precedente per lo Stato di diritto. Non è qui in discussione se tali provvedimenti fossero materialmente giustificati -e siano stati sopportati- dalla necessità di ridurre la curva dei contagi. Ciò che qui preme rilevare, come sarà illustrato in questa lettera, è che:
-primo, se non sappiamo quando si potrà tornare alla “normalità” delle nostre vite (ammesso che ne esista una), è fondamentale -ed è possibile- ritornare al più presto a una normalità costituzionale;
-secondo, se i provvedimenti gravemente restrittivi della libertà personale (e altri diritti costituzionali) sono stati accettati di buon grado – insieme con la compressione delle attività economiche e del reddito – essenzialmente dalla totalità della popolazione italiana, lo è stato in virtù di un ‘patto sociale’, che a fronte del vincolo di solidarietà e della sostanziale delega ai cittadini di buona parte della tutela della salute pubblica comportava che lo Stato “facesse in pieno la sua parte” nell’organizzare, allocare e dispiegare efficacemente le risorse necessarie (test, dispositivi di protezione, accesso alle terapie, attrezzature mediche, etc.). È evidente che questo non è pienamente avvenuto né prima né durante la Fase 1, ed è dunque fondamentale che avvenga in pieno nella Fase 2 e in quelle che seguiranno;
-terzo, vista l’attuazione spesso aggressiva dei provvedimenti restrittivi delle libertà costituzionali e l’uso in corso e prospettico di meccanismi di sorveglianza, è altrettanto fondamentale che questi siano attuati nel fermo rispetto dei diritti della persona e del principio di proporzionalità;
-quarto, è inaccettabile che la giurisdizione sia stata di fatto sospesa nella Fase 1, come se non fosse un’attività essenziale al pari almeno delle tabaccherie. Questo non dovrà più avvenire. In questo, come in altri ambiti, si può prendere esempio da altri Paesi di risalente tradizione giuridica; e
-quinto, data l’importanza che in una democrazia liberale rivestono gli organi di informazione e la pubblica opinione, non è tollerabile che la comunicazione di piani, studi e misure di siffatta rilevanza sia rimessa a indiscrezioni o dirette Facebook senza contraddittorio, il dibattito sia riservato a esperti o si svolga al riparo dallo scrutinio pubblico e non sia possibile porre domande pubbliche ai decisori. Lo Stato deve rendere conto (the State must be held accountable) e, soprattutto in questa emergenza, garantire piena trasparenza, anche per costruire o mantenere quella fiducia nello Stato e nel Governo che è presupposto essenziale per l’efficace funzionamento di qualsivoglia misura.
1. Ripristinare le guarentigie costituzionali
È un fatto che le misure (centrali e locali) introdotte per fare fronte all’emergenza Covid-19 ledono fino quasi ad annullare le libertà e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, incluse la libertà di circolazione (Art. 16), la libertà di riunione (Art. 17), il diritto di professare la propria fede religiosa nei luoghi di culto (Art. 19), il diritto allo studio (Artt. 33-34), la libertà di iniziativa economica (Art. 41), financo la libertà di espressione del pensiero (Art.21) e soprattutto la libertà personale (Art. 13) e i diritti inalienabili della persona di cui all’Art. 2 e alla CEDU.
Non si intende qui sottovalutare la gravità della pandemia e l’esigenza di agire con rapidità ed efficacia per contrastarla, e del resto misure di c.d. lockdown sono state introdotte in una pluralità di Paesi. Né tanto meno si ignora che alcune di queste libertà (come quella di circolazione e soggiorno) possono essere limitate (ancorché dalla legge in via generale) “per motivi di sanità o di sicurezza”.
Ma non è vezzo formalista ricordare che non si possono trattare le guarentigie costituzionali come un inutile orpello -anche perché la crisi del coronavirus sarà lunga, a questa potranno seguirne altre, e una volta creato un precedente può nascere la tentazione di non tornare indietro (come già osservava l’Economist qualche settimana fa). È proprio in crisi come questa che vanno salvaguardati i nostri valori fondamentali (come ricordava la Presidente della Commissione Europea il 31 marzo scorso) e le limitazioni che si rendono necessarie devono rispettare i principi di adeguatezza e proporzionalità (come ricordava l’Office of the Commissioner for Human Rights dell’ONU il 6 marzo scorso).
Viene in rilievo, per un verso, la riserva di legge prevista dalla Costituzione per introdurre limitazioni (anzi, per la libertà personale la doppia riserva, di legge e giurisdizione), per altro verso l’assenza di una previsione costituzionale che consenta di limitare il diritto di riunirsi in privato o di impedire l’uscita dal proprio domicilio per ragioni sanitarie, e per altro verso ancora l’effetto combinato di tutte le limitazioni introdotte contestualmente. E viene in rilievo la gerarchia delle fonti del diritto, che non può sovvertirsi nel nostro ordinamento. E invece è stata sovvertita, come si dirà ora.
Il Governo ha dichiarato lo “stato di emergenza”, “in conseguenza del rischio sanitario” connesso con l’insorgenza del coronavirus, con una delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020. La nostra Costituzione non conosce alcuno “stato di emergenza”, prevedendo solo lo “stato di guerra” (che ex Art. 78 Cost. va deliberato dal Parlamento e dichiarato dal Presidente della Repubblica). Infatti la delibera del Consiglio dei Ministri invoca una legge ordinaria, segnatamente gli artt. 7 e 24 del D. Lgs. 2/1/2018 n. 1 (codice della protezione civile). Ma questa legge, per un verso, non contempla il caso di pandemie e, per altro verso, consente di emanare ordinanze di protezione civile in ambiti del tutto diversi da quelli oggetto delle misure qui in discussione (e comunque “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione Europea”) -dunque senza autorizzare chicchessia a comprimere libertà costituzionali che solo la legge (e in casi limitati) può comprimere. Il Governo si è anche appoggiato alla pronuncia dell’OMS per giustificare lo “stato di emergenza”. Sta di fatto che lo stato di emergenza è stato dichiarato unicamente dall’organo esecutivo, senza alcun vaglio parlamentare e in un vuoto costituzionale. Per fare un esempio, la Francia ha dichiarato lo stato di emergenza il 20 marzo scorso con una legge approvata da entrambi i rami del Parlamento. E del resto il 31 gennaio c’era tutto il tempo, prima che si manifestassero tre settimane dopo i primi casi di trasmissione del virus, per fare un passaggio parlamentare anche in Italia. Il Governo si è invece limitato a emanare un comunicato stampa con cui informava di avere deliberato lo stato di emergenza per sei mesi, “come previsto dalla normativa vigente” (quale?), “al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione Civile” (cui certamente non è consentito di incidere sulle libertà costituzionali).
Sarebbe dunque bene, in primo luogo, riformare la Costituzione per prevedere lo “stato di emergenza” da dichiararsi dal Parlamento a maggioranza qualificata fissando i limiti, anche rispetto ai diritti della persona, che la conseguente azione di governo dovrà rispettare -salvi i poteri della Protezione Civile. Tale riforma costituzionale, come ben noto, sarebbe necessaria pure per l’utilizzo massiccio del DPCM, giacché non è previsto in Costituzione che i poteri di cui all’Art.77 siano delegabili al Presidente del Consiglio che resta un primus inter pares.
Dopo le prime ordinanze di protezione civile ai primi di febbraio sul coordinamento degli interventi necessari a fronteggiare l’emergenza, quali il controllo negli aeroporti e il rientro di italiani all’estero, a seguito della scoperta di contagi a Codogno il 23 febbraio il Consiglio dei Ministri approvava un decreto-legge con cui si autorizzavano le “autorità competenti” (quali?) ad adottare “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”, tra cui il divieto di allontanamento o accesso alle aree interessate (c.d. “zone rosse”), la chiusura di scuole e attività commerciali in dette zone, e così via (come è ampiamente noto).
Si noti che il decreto-legge, per un verso, introduceva un divieto di “ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato” (di dubbia costituzionalità) e, per altro verso, non conteneva misure restrittive della libertà personale salvo la quarantena obbligatoria o fiduciaria per chi aveva avuto contatti con contagiati o proveniva da zone a rischio (identico contenuto aveva il DPCM in pari data). Tuttavia il decreto-legge autorizzava le “autorità competenti” ad adottare “ulteriori” (imprecisate) “misure di contenimento e gestione dell’emergenza” -e demandava ad altri soggetti, tra cui i Presidenti delle Regioni, l’adozione delle misure (così tra l’altro, complicando la catena di comando e aprendo la via a una proliferazione di atti privi di forza di legge, talora in contrasto tra loro, limitativi dei diritti costituzionalmente garantiti).
Non a caso prendeva vita una serie di provvedimenti di rango amministrativo che, anche eccedendo l’ambito del decreto-legge, restringevano sempre più la libertà personale (ad esempio, l’ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo che vietava l’accesso alle aree gioco e alle zone verdi e vietava attività all’aperto, l’ordinanza dei Ministri della Salute e dell’Interno del 22 marzo che “bloccava” le persone nella dimora anche temporanea in cui si trovavano) senza alcuna copertura legislativa fino al nuovo decreto-legge del 25 marzo. Quest’ultimo si faceva scudo dell’Articolo 16 della Costituzione (“che consente limitazioni della libertà di circolazione per ragioni sanitarie”) per contemplare anche “limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora”, ovvero limitazioni alla libertà personale, che è ben diversa dalla libertà di circolazione, come già insegnavano i grandi costituzionalisti, da Mortati a Vassalli, sulla scorta del dibattito in Assemblea Costituente. Limitazioni della libertà peraltro eseguite con dispiego di mezzi e risorse -di cui diremo oltre- vistosamente sproporzionate rispetto all’obiettivo (si pensi, tra i tanti, all’inseguimento di un runner con drone e poliziotti o alla signora multata perché sedeva -da sola- su panchina a 200 metri da casa). Eppure l’Articolo 13 Cost. non ammette “forma alcuna di detenzione” né “qualsiasi altra restrizione” della (“inviolabile”) libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
Il Governo ha più volte giustificato le restrizioni alle libertà personali con la necessità di reprimere i comportamenti quali quelli del “weekend del 7 marzo” che vide i Navigli o le piste di sci affollate. Ora, a parte che non è mai stato dimostrato un link epidemiologico tra quei comportamenti e i contagi riscontrati nelle settimane successive (link sempre più tenue, a due mesi di distanza), vi è da chiedersi se non si poteva conseguire un risultato analogo o migliore di quello raggiunto nella curva dei contagi senza ricorrere a un sostanziale annullamento della libertà personale, come è stato fatto in altri Paesi -in primis, la Germania- e di questo diremo oltre.
Ciò che si intende evidenziare non è solo il fastidioso atteggiamento paternalistico e colpevolizzante rispetto a una popolazione che ha mostrato un sostanziale senso di responsabilità ma è il rischio che la restrizione dei diritti della persona possa creare un pericoloso precedente, che un futuro governo -magari di orientamento politico diverso- potrebbe sfruttare, magari in una crisi legata alla sicurezza (si pensi al cyberwarfare o al terrorismo), per incidere pesantemente sulle libertà costituzionali (si pensi alla manifestazione del pensiero, alla libertà di riunione o alla libertà religiosa) senza vaglio parlamentare e senza copertura costituzionale. Si rende dunque necessario tornare alla normalità costituzionale, sin dalla Fase 2 (anche in vista di possibili, future “emergenze”).
2. Lo Stato faccia in pieno la sua parte
Il lockdown -con le correlate restrizioni delle libertà costituzionali- non sopprime di per sé il virus. Il confinamento in casa:
– serve a “guadagnare tempo”: se grazie ad esso la curva dei contagi tende verso lo zero, si allevia la pressione sulle strutture sanitarie e si possono apprestare misure mirate ai nuovi casi (test, terapie sui positivi, tracciamento dei contatti, isolamento) tese a evitare altri lockdown;

– e, a ben vedere, rappresenta (di fatto) una colossale delega alla popolazione (di buona parte) della tutela della salute pubblica.
In buona sostanza, le restrizioni alle libertà e ai diritti costituzionali sono complementari all’opera sanitaria delle autorità nella fase acuta della crisi. Si può dire che sono state accettate dai cittadini (e da chi cittadino non è), che hanno di buon grado effettivamente rinunciato alla libertà personale, in virtù di una sorta di ‘patto sociale’ che comportava, a fronte di tale sacrificio e rinunzia, che le autorità facessero in pieno la loro parte nell’organizzazione, allocazione ed efficace utilizzo delle risorse necessarie a individuare, isolare e curare subito (per quanto possibile) i contagiati, limitare i nuovi contagi e i decessi, proteggere il personale sanitario e il resto della popolazione, rafforzare i presidi territoriali e le strutture ospedaliere.
È evidente che questo non è avvenuto (quanto meno non in maniera soddisfacente) nella Fase 1. I dispositivi di protezione individuale (a partire dalle ‘mascherine’) non sono stati prodotti e distribuiti in quantità sufficiente, si sono presto resi introvabili e non sono stati assicurati neanche al personale sanitario. I c.d. tamponi sono stati effettuati in maniera eccessivamente selettiva e tardivamente: abbondano i casi in cui il tampone è stato negato in presenza di sintomi conclamati a persone che venivano prese in carico dalla sanità pubblica solo in caso di crisi respiratoria (perciò tardi). La gestione delle RSA, ovvero delle persone più vulnerabili, è stata catastrofica. La necessaria separazione delle strutture di soccorso e ricovero dedicate ai pazienti Covid-19 (o sospetti tali) e quelle riservate agli altri non è stata realizzata ovunque. Ci si è concentrati sull’aumento dei posti di terapia intensiva, rispetto a cui si è conseguito un risultato importante, ma a scapito degli altri. Il numero dei decessi è cinque volte superiore a quello della Germania (che ha una popolazione ben maggiore).
Non si vuole qui sminuire la complessità della crisi pandemica e ignorare le difficoltà di gestire una fase convulsa. Possono avere concorso altri fattori, vi sono altri Paesi (come la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti) che hanno reagito altrettanto o più tardivamente, ma resta il fatto che, nelle sei settimane trascorse dalle notizie certe sul nuovo coronavirus in Asia e i primi casi di community transmission in Italia, non ci si è preparati a sufficienza, né sono state poste in essere tutte le azioni necessarie nei due mesi di diffusione del virus in Italia.
Il punto fondamentale, in un’ottica costruttiva, è che quanto non è stato fatto sinora si faccia nelle prossime fasi. La questione centrale è quella dei ‘tamponi’, come raccomandato dall’OMS, suggerito dai migliori esempi nazionali e da ultimo evidenziato da Angela Merkel: “testing, testing, testing is the way forward”. Nella c.d. Fase 2 è necessario assicurare che i ‘tamponi’ siano effettuati su larga scala, al primo sintomo e a tutti i contatti dei sintomatici -e che sia esteso il numero dei laboratori che possano ‘processarli’. Così come va assicurato che i dispositivi di protezione individuale siano disponibili a tutto il personale sanitario (compresi i medici di base) e al resto della popolazione. Non risulta che la questione sia centrale nel discorso pubblico e nelle comunicazioni governative. Non è dato -ad oggi- sapere quali siano i piani ‘granulari’ del Governo, per intenderci, su tamponi (qual è la capacità?), laboratori, test sierologici e mascherine.
I piani sembrano invece concentrati ancora una volta sulle misure di distanziamento sociale, affidate essenzialmente a cittadini e imprese. Ma il distanziamento sociale, da solo, non basta a scongiurare un’altra impennata dei contagi né, di conseguenza, un altro confinamento con le correlate compressioni di diritti costituzionali, attività economiche e culturali, crescita educativa, salute fisica e mentale. È necessario che lo Stato faccia in pieno la sua parte.
3. Sorvegliare la sorveglianza
L’esecuzione (e di fatto l’interpretazione) delle misure restrittive è stata affidata, in sostanza, alle forze dell’ordine, che hanno svolto il compito con modalità particolarmente aggressive (anche quando non si ravvisava alcuna offesa al bene giuridico tutelato), in un vuoto giurisdizionale.
Non sono stati rari i fermi di cittadini che si recavano all’edicola (attività pur dichiarata essenziale dalle norme restrittive), le multe a chi si recava in ospedale a riprendere la moglie infermiera o passeggiava non distante dal proprio domicilio, e generalmente i casi di ‘interpretazione estensiva’ delle restrizioni della (inalienabile!) libertà personale da parte di coloro cui è stata deputata la ‘sorveglianza’ (anche nei confronti dei sani e di attività che non presentavano alcun rischio di contagio di terzi). Il tutto condito con stigma sociale e con un linguaggio che capovolge l’ordine normativo: si parla di “consentire” libertà che sono costituzionalmente garantite. Non solo: sanzioni per centinaia di Euro, palesemente irrituali, sproporzionate e punitive, vanno a colpire una popolazione già pesantemente afflitta da una perdita di reddito senza precedenti, e che dovrebbe spenderne altre per impugnarle con uno spazio di difesa ridotto.
Come si è già autorevolmente osservato, con il sistema della c.d. autocertificazione si è di fatto richiesto al cittadino di esercitare il proprio diritto di difesa al momento della contestazione, in sostanziale violazione dell’Art. 24 Cost. e delle garanzie procedimentali di legge.
E si è assistito a scene, come la multa di 533 Euro a un rider in bicicletta che lavorava o all’interruzione di una Messa da parte di un poliziotto, francamente intollerabili ma prevedibili quando si affida a forze dell’ordine l’interpretazione e l’esecuzione di norme vaghe e mal redatte.
Da ultimo si vedono elicotteri e droni sorvolare e soffermarsi su giardini privati e cortili condominiali, senza che ne sia chiara la ragione né l’utilizzazione dei dati così conseguiti. Non solo: è allo studio l’utilizzo su larga scala di una app che, ai fini di tracciamento dei contatti e contenimento della diffusione del virus, potrebbe avere accesso a dati personali e/o sensibili, per quanto si sostenga che dovrebbero essere raccolti in forma anonimizzata.
È di fondamentale importanza che, nella Fase 2 e in quelle successive, nella misura in cui sia strettamente necessario limitare i diritti costituzionali, si garantisca la certezza del diritto senza affidarne l’interpretazione, in modo peraltro frammentato, a soggetti attuatori o deputati alla sorveglianza, apprestando strumenti di controllo anche giurisdizionale delle loro attività. E che, tanto queste limitazioni quanto i nuovi meccanismi (anche tecnologici) di sorveglianza, siano attuati nel fermo rispetto dei diritti della persona e del principio di proporzionalità.
4. La Giustizia è un’attività essenziale
Non è dato comprendere perché sia stata “consentita” l’attività di esercizi commerciali (come le tabaccherie) con misure di distanziamento tra le persone, e non sia stato fatto altrettanto per le aule di giustizia, oppure perché si sia organizzata la didattica a distanza e non lo si sia fatto -a parte alcune eccezioni legate all’indifferibilità- per le udienze civili (come in Inghilterra, o -ma solo da ultimo- per la giustizia amministrativa). In Germania e in Olanda, ad esempio, non vi è stata una sospensione generalizzata di tutte le udienze e dei termini processuali. Allo stato, in Italia, le udienze e i termini processuali sono generalmente rinviati all’11 maggio 2020.
In altre parole, la Giustizia non è stata considerata un’attività essenziale. Ci auspichiamo che questo non avvenga più nelle prossime fasi, anche ove dovesse ritenersi necessario disporre un nuovo lockdown. Non si tratta soltanto di una questione simbolica o di principio. Non c’è Stato senza giurisdizione.
Di contro, sarebbe ancor più grave che le restrizioni adottate per l’emergenza sanitaria avessero un effetto nefasto sullo svolgimento delle attività processuali con inescusabile compressione del contraddittorio e del diritto alla difesa di cui all’articolo 24 della Costituzione.
Lo svolgimento improvvisato e disorganizzato di udienze, specie in materia penale, che si è avuto in queste settimane, con mezzi telematici di fortuna, contribuisce infatti a dimidiare l’attività giurisdizionale, privandola dei suoi contenuti minimi, e ad affossare il valore costituzionale del giusto processo (art.111) già messo a dura prova da altri provvedimenti di questo Governo.
5. Trasparenza e contradditorio vanno garantiti
Anche sul piano comunicativo l’azione di governo lascia ampi margini di miglioramento. Si è autorevolmente detto che, nella gestione delle pandemie, è cruciale che il governo stabilisca e mantenga la fiducia dei propri cittadini, anche attraverso la piena trasparenza delle proprie azioni.
Questa deve declinarsi in una comunicazione assidua e completa dell’andamento epidemiologico, delle proiezioni e degli studi utilizzati, della metodologia dei test (tamponi) effettuati, delle ragioni e dell’eziologia dei decessi, dei piani anche in via di formazione relativi ai test, alle altre misure di diagnosi, protezione e contenimento, delle previsioni e così via. Soprattutto, la comunicazione deve provenire direttamente dal governo, e consentire un’interlocuzione che si presti a soddisfare ogni pertinente domanda di informazione.
E invece la comunicazione in Italia è stata essenzialmente affidata a una conferenza stampa della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore di Sanità, in cui alcuni dati sono stati costantemente forniti senza ulteriori spiegazioni (si pensi ad esempio al numero dei decessi o quello dei tamponi) e le risposte alle domande dei giornalisti sono spesso state evasive o ripetitive. Non vi è stata una regolare conferenza stampa del Presidente del Consiglio e del Ministro della Sanità, al contrario di altri Paesi. La comunicazione (peraltro, essenzialmente delle misure restrittive) è stata affidata a dirette televisive o via Facebook, spesso a tarda notte, senza contraddittorio e senza alcuna possibilità di approfondire le questioni trattate o affrontare le questioni omesse. Su questo sfondo sono proliferate le esternazioni di vari esperti, spesso in disaccordo tra loro (peraltro in relazione a un virus di cui si sa ben poco), e le indiscrezioni sul lavoro di varie commissioni e task force esonerate dallo scrutinio pubblico. Paradossalmente, è lo stesso diritto costituzionale alla salute a essere messo a repentaglio se si abdica alla delicata opera di bilanciamento politico e si delegano le scelte a tecnocrati non politicamente responsabili e sempre a rischio di conflitto di interesse.
In una democrazia liberale gli organi di informazione e la pubblica opinione rivestono un ruolo primario. Non è tollerabile che la comunicazione di piani, studi e misure che rivestono la rilevanza qui discussa sia rimessa a indiscrezioni o dirette Facebook senza contraddittorio, il dibattito si svolga in circoli riservati, assai poco aperti a opinioni critiche, e non sia possibile porre domande pubbliche ai decisori. Lo Stato deve rendere conto (the State must be held accountable). É auspicabile che nelle prossime fasi muti la linea comunicativa sin qui adottata.
Caro Presidente, nulla di quanto detto fin qui va letto come mancanza di rispetto. Abbiamo tuttavia voluto aggiungere la nostra voce a quella di molti altri, dai genitori preoccupati per la chiusura ad libitum delle scuole, agli operatori che si occupano di disabili, ai numerosi gruppi anche organizzati di cittadini preoccupati per la sospensione del Referendum Costituzionale e per la compressione degli spazi costituzionali di partecipazione politica, che non hanno trovato finora alcun ascolto. Sappiamo che Lei, da fine giurista, è attento al delicato bilanciamento degli interessi in gioco, compresi i valori costituzionali conquistati a caro prezzo. Nell’ora più buia, ci paiono necessari dialogo e umiltà.
Avv. Fabrizio Arossa
Dr.ssa Claudia Benanti
Avv. Maurizio Bonatesta
Avv. Antonella Borgna
Prof. Avv. Aldo Berlinguer
Prof. Avv. Lucilla Gatt
Avv. Dario Gramaglia
Prof. Elisabetta Grande
Avv. Giulia Facchini
Avv. Vincenzo Lapiccirella
Prof. Avv. Ugo Mattei
Prof. Avv. Pier Giuseppe Monateri
Avv. Lorenza Morello
Prof. Avv. Massimo Paradiso
Avv. Giacomo Satta
Dr. Stefano Scovazzo (Pres. Trib. Minorenni, Torino)
Prof. Avv. Giovanni Maria Uda