di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Le attività di soccorso operate dalle ONG nel Mediterraneo centrale sono da tempo nel mirino delle autorità statali che tendono a considerare il successivo ingresso nelle acque territoriali, e quindi lo sbarco dei naufraghi in porto, come attività illecite corrispondenti al reato di agevolazione previsto dall’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998. Emerge ancora agli atti dei più recenti procedimenti penali a cario dell’ex ministro Salvini come il Viminale ritenga l’ attività di ricerca e soccorso in acque internazionali nel Mediterraneo centrale operata dalle ONG come “volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia”. Una valutazione ancora non suffragata da alcuna condanna della magistratura, ed anzi smentita da numerosi provvedimenti di archiviazione delle indagini avviate nei confronti delle Organizzazioni non governative dopo azioni di soccorso che avevano permesso il salvataggio di migliaia di persone, in assenza di mezzi statali italiani o europei.
Questa connotazione di illiceità si è progressivamente accentuata per effetto degli accordi conclusi nel tempo tra l’Italia e le autorità di governo di Tripoli. Anche se erano noti a tutti i trattamenti inumani o degradanti inflitti ai migranti intercettati in mare e riportati in territorio libico, nel corso degli anni le attività di soccorso in acque internazionali, soprattutto se operate da Organizzazioni non governative, sono state considerate un fattore di attrazione (pull factor) e di moltiplicazione delle partenze, se non una manifesta complicità con le organizzazioni di trafficanti che di fatto offrivano l’unica possibilità di fuga dalla Libia, in assenza di canali legali di ingresso, come quelli che potevano essere consentiti con il rilascio di visti umanitari.
A partire dal Codice di condotta Minniti , dopo la firma del Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli nel febbraio del 2017, si era tentato di limitare le attività delle ONG con prescrizioni amministrative che avrebbero dovuto essere accettate dalle stesse ONG destinatarie come regole di comportamento che riconoscevano un ruolo predominante alla sedicente Guardia costiera libica, prima ancora che fosse inserita ( alla fine di giugno del 2018) nei registri dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare) una zona SAR (ricerca e soccorso) “libica”.

Nello stesso periodo, si realizzavano intese operative tra la Marina militare italiana, Operazione Nauras (nell’ambito dell’Operazione Mare sicuro), e le autorità di Tripoli, che di fatto prevedevano, oltre alla formazione degli equipaggi ed all’assistenza tecnica fornita da navi italiane presenti a rotazione nel porto militare di Abu Sittah ( Tripoli), il coordinamento della maggior parte degli interventi di intercettazione in alto mare, al di fuori delle acque territoriali libiche, operate da unità donate nel tempo dall’Italia, in esecuzione dei Protocolli operativi del 2007 e del Trattato di amicizia italo-libico del 2008.
Risale a questa fase, nel corso del 2017, l’apertura di processi penali contro operatori umanitari delle ONG accusati di “consegne concordate” con i trafficanti, come nel caso del processo “Juventa”, scaturito da attività di indagine sotto copertura avviate su impulso politico da agenti dei servizi infiltati a bordo delle navi delle ONG, che operavano in quel periodo, come le navi della Marina e della Guardia costiera italiana, in prossimità del limite delle acque territoriali libiche.

Questa fase anteriore alla istituzione di una zona SAR “libica”, per effetto di una dichiarazione unilaterale del governo di Tripoli, si chiude con il sequestro della nave Open Arms nel porto di Pozzallo, successivamente dissequestrata dal Tribunale di Ragusa. In quella occasione il provvedimento di convalida del sequestro ( originariamente disposto dalla Procura di Catania) del Giudice delle indagini preliminari di Catania accertava il sostanziale coordinamento italiano delle motovedette libiche che operavano attività di intercettazione nelle acque internazionali a nord delle coste libiche. Malgrado alcune archiviazioni, richieste anche dalla Procura di Catania, dopo anni di indagini, diversi procedimenti penali rimangono ancora aperti, a Ragusa, con la chiusura delle indagini sul caso Open Arms del 2018, a Trapani e ad Agrigento per diversi casi. Nel caso del processo “Juventa” ancora in corso a Trapani, dopo che la nave era stata sequestrata a Lampedusa il 2 agosto 2017, non si è neppure arrivati alla chiusura delle indagini preliminari. La Juventa, che dal 2016 al 2017 aveva soccorso migliaia di naufraghi fino a quando era rimasta a disposizione degli operatori umanitari, rimane a marcire sotto sequestro nel porto di Trapani ( per quanto risulta), ormai avviata a diventare un rottame.
2. Con l’avvento del governo “giallo verde”, con il leghista Salvini al Viminale, nella primavera-estate del 2018 si è registrato un brusco inasprimento della politica di contrasto dell’immigrazione irregolare, con un serie di divieti di ingresso impartiti alle navi delle ONG ( a partire dal caso Aquarius nel giugno del 2018) e quindi anche a navi militari battenti bandiera italiana ( come nel caso Diciotti, nel luglio dello stesso anno, quando fu costretto ad intervenire lo stesso Presidente della Repubblica per sollecitare lo sbarco). I divieti di ingresso nelle acque territoriali scaturivano allora da ordini impartiti in via informale, spesso con tweet o su altri circuiti social ( come Facebook) da un ministro dell’interno che su questa linea politica e comunicativa vedeva crescere in modo esponenziale il consenso elettorale al suo partito. Una vicenda che si è chiusa solo apparentemente con il voto del Senato che ha negato l’autorizzazione a procedere. Il vulnus al principio di gerarchia delle fonti ed alla indipendenza della magistratura che si verificava in quella occasione continua a condizionare gli sviluppi più recenti dei procedimenti penali perti contro l’ex ministro dell’interno per i reati di omissione connessi alla mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro e per il trattenimento ingiustificato dei naufraghi a bordo delle navi soccorritrici, oltre il limite che configurava una indebita privazione della libertà personale ( art. 13 della Costituzione).
Nello stesso periodo nessun serio sforzo veniva compiuto dal governo allora in carica per ottenere una redistribuzione dei migranti in Europa, ed i rappresentanti europei dei partiti della maggioranza si pronunciavano, nella sede del Parlamento europeo, contro una proposta di modifica del Regolamento Dublino III che assegnava ( ed assegna ancora) ai paesi di primo ingresso la resposabilità dell’accoglienza dei migranti giunti in frontiera, inclusi coloro che vi arrivavano dopo operazioni di soccorso in mare.
Il governo giallo-verde, soprattutto nelle esternazioni del ministro dell’interno Salvini, all’epoca anche nel ruolo di vicepresidente del Consiglio, insisteva particolarmente nel richiedere ai paesi di bandiera delle navi soccorritrici l’assunzione della responsabilità primaria nella indicazione di un porto sicuro di sbarco. Secondo le Convenzioni internazionali di diritto del mare, invece, nessuno stato, avvertito di un evento di soccorso di persone in situazione di pericolo in alto mare, può rifiutare il coordinamento delle prime fasi delle attività Sar,o attendere l’esito di trattative con altri stati, ad esempio con lo stato di bandiera della nave soccorritrice, Appare dunque fuorviante ritenere che lo stato di “primo contatto” possa essere lo “stato di bandiera” della nave soccorritrice sulla quale sono saliti i naufraghi, e non invece la prima autorità statale
informata dell’evento di soccorso e chiamata a predisporre gli interventi necessari nel tempo più rapido possibile, attivando tutte le forme di coordinamento e di intervento previste dalla Convenzione SAR di Amburgo.

Dopo avere imposto prassi operative in aperto contrasto con le normative internazionali, il governo giallo-verde rafforzava la collaborazione con la sedicente Guardia costiera “libica”, che avvalendosi dell’assistenza degli assetti operativi della missione Nauras presente a Tripoli, come confermato già nel marzo del 2018 in una ordinanza dal Gip del Tribunale di Catania, ha intercettato decine di migliaia di persone, ormai fuori dalle acque territoriali libiche, riconducendole nei centri di detenzione, nei quali sono stati sottoposti ad estorsioni ed a violenze, anche sessuali, che i rapporti delle Nazioni Unite documentano in modo inconfutabile. Violenze che sono ancora aumentate dopo l’intensificarsi del conflitto che divide la Libia, soprattutto a partire dall’attacco sferrato a Tripoli dal generale Haftar nella primavera del 2019.
Il ministero dell’interno Salvini, a partire dalla data del suo insediamento al Viminale, e nel giugno del 2018, dopo un viaggio lampo a Tripoli, al termine del quale affermava di volere “smontare la retorica delle torture”, adottava una serie di Diffide/ Direttive con lo scopo di costringere gli operatori umanitari a bordo delle navi delle ONG a ritirarsi dalle acque del Mediterraneo centrale, o ad obbedire agli ordini di riconsegna impartiti dai comandi delle motovedette libiche. Ordini che, soprattutto quando venivano impartiti nel tempo in cui le navi socorritrici si trovavano ancora nella cd. zona SAR “libica”, risultavano in contrasto con gli obblighi di soccorso in mare affermati dalle Convenzioni internazionali, con il divieto di refoulementi sancito dalla Convenzione di Ginevra ( art. 33) e con il divieto di respingimenti collettivi previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 19) e dal Quarto Protocollo allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo 8 art. 4). Alle navi umanitarie che non avevano ceduto i naufraghi alle motovedette libiche, o non ne avevano atteso l’arrivo sulla scena dei soccorsi, magari mettendo a rischio la vita delle persone, doveva essere negato l’attracco nei porti italiani. Il potere di direttiva era così utilizzato dal ministro dell’interno per impedire l’ingresso nelle acque territoriali, senza una base legale, in diritto interno o nelle fonti sovranazionali, che prevedesse poteri tanto estesi in capo al titolare del Viminale. Nei divieti adottati da Salvini veniva escluso a priori che le imbarcazioni da soccorrere potessero trovarsi in una situazione di distress, come invece si verifica regolarmente, a fronte del loro sovraccarico e della impossibilità di raggiungere autonomamente un qualsiasi porto. Una volta a bordo delle navi soccorritrici, siano state navi militari o navi delle ONG, la condizione di naufrago imponeva lo sbarco in un porto sicuro nei tempi più rapidi, senza che rilevasse la qualifica di “clandestino” o di irregolare, che poteva essere individuata solo al momento della identificazione a terra, nell’ambito del cd. approccio Hotspot, concordato anche a livello europeo, e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 10 ter del Testo unico n.286 del 1998, che richiama espressamemte l’ingresso nel territorio nazionale dei naufraghi soccorsi in mare.

Nel corso delle indagini penali condotte contro gli operatori umanitari, soprattutto grazie ad un grande impegno degli attivisti ed a incisive indagini difensive, emergeva la grande confusione che regnava nella catena di comando che avrebbe dovuto gestire le attività di soccorso in mare, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Veniva intanto confermato il ruolo di coordinamento delle motovedette libiche demandato ad assetti operativi ed a vertici decisionali italiani ( Missione Nauras) ed europei (Frontex) talora in collaborazione tra loro, soprattutto dopo gli avvistamenti aerei dei barconi operati da assetti aerei europei. Un ruolo di coordinamento che da ultimo è stato confermato da una importante richiesta di archiviazione della Procura di Agrigento nel caso della nave umanitaria Mare Joinio di Mediterranea. In quest’ultmo caso i giudici osservano che nessuna Autorità giudiziaria Italiana aveva in realtà negato l’autorizzazione all’ingresso in acque italiane della nave battente bandiera italiana Mare Jonio, in quanto non è previsto da alcuna norma che una nave battente bandiera italiana «debba avere una preventiva autorizzazione per fare ingresso nelle acque territoriali italiane, né è previsto da alcuna norma che l’Autorità giudiziaria Italiana abbia la facoltà di autorizzare un natante a fare ingresso nelle acque territoriali».
Secondo la stessa Procura, “l’ordine di alt disposto dal Comandante della Stazione Navale di Palermo, dunque, non è arrivato sulla base di un provvedimento emesso da un’autorità giudiziaria, in quanto «mai poteva legittimamente essere dato», spiegano i pm. Secondo cui, «dagli elementi probatori acquisiti nel procedimento sembra che Nave Capri, e quindi la Marina Militare Italiana, svolga di fatto le funzioni di centro decisionale della cosiddetta Guardia Costiera libica, siano cioè il reale centro operativo di comando». Nonostante, dunque, nave Capri sia una unità della Marina Militare Italiana dislocata nel porto di Tripoli nell’ambito della “Operazione Mare sicuro”, ufficialmente per il «supporto logistico e addestramento a favore della Marina e della Guardia Costiera Libica», in realtà,secondo la Procura, avrebbe svolto un ruolo di «centro operativo di comando». Ed il ministro dell’interno Salvini non esitava a ringraziare la sedicente guardia costiera “libica” dopo le operazioni di intercettazione di naufraghi in acque internazionali che si concludevano con il sostanziale “respingimento congiunto” dei naufraghi riportati in Libia.

3. Nell’estate del 2019 veniva emanato il cd. “decreto sicurezza bis” (Decreto legge n. 53 del 14 giugno del 2019) poi convertito in legge (Legge n. 77 dell’8 agosto 2019), nel qualel’articolo 1, recante misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione, inseriva nell’articolo 11 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il nuovo comma 1-ter, con il quale si attribuiva al Ministro dell’interno, nella sua qualità – riconosciutagli dall’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121 – di Autorità nazionale di pubblica sicurezza, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento al comma 1-bis del medesimo articolo 11, nonché nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, con l’eccezione del naviglio militare (nel quale rientrano anche le navi militari e le navi da guerra, a mente degli articoli 239 e seguenti del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66) e delle navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica, ovvero quando, in una specifica ottica di prevenzione, ritenga necessario impedire il cosiddetto «passaggio pregiudizievole» o «non inoffensivo» di una specifica nave in relazione alla quale si possano concretizzare – limitatamente alle violazioni delle leggi in materia di immigrazione – le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 2 dicembre 1984, n. 689. Il provvedimento di divieto “e’ adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri.».
Se è vero che, in base alla Convenzione UNCLOS, lo stato può impedire l’ingresso nei propri porti ad una nave sospettata di trasportare migranti irregolari, ( art. 19, comma 2) i naufraghi non possono essere respinti sommariamente ad una frontiera marittima, comunque configurabile al limite delle acque territoriali (12 miglia dalla costa), o essere qualificati generalmente come “irregolari”, prima del loro sbarco a terra. Lo impedisce il diritto internazionale umanitario, e segnatamente la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Come vanno considerate di rango superiore rispetto alla legislazione ordinaria tutte le norme interne ed internazionali a protezione del “superiore interesse del minore” , richiamato dalla Convenzione ONU del 1989 a protezione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che tra l’altro vietano il respingimento in frontiera dei minori stranieri non accompagnati, come peraltro ribadito anche dall’art. 19 del Testo Unico in materia di immigrazione, n.286/1998. Non si può peraltro ritenere che la dilazione della indicazione di un porto di sbarco sicuro si possa giustificare con le trattative in corso con altri paesi al fine di accelerare la redistribuzione dei naufraghi al di fuori dell’Italia, al punto che fino alla autorizzazione allo sbarco i naufraghi possano essere considerati come veri e propri “clandestini”. Con il conseguente rischio di una grave responsabilità penale benchè i comandanti delle navi procedessero, in condizioni di stato di necessità e nell’adempimento dei doveri imposti dalle Convenzioni internazionali, a fare ingresso nel mare territoriale italiano.
Secondo quanto riportato nella relazione alla legge “la modifica apportata, in altri termini, esplicita, con specifico riferimento ai profili che più attengono al fenomeno migratorio via mare, competenze e prerogative che la vigente normativa già attribuisce al Ministro dell’interno in via generale, il cui efficace esercizio appare particolarmente importante in un periodo storico contrassegnato da persistenti e ricorrenti minacce, anche di tipo terroristico internazionale, che il Ministro dell’interno ha il dovere istituzionale di prevenire e contrastare con tutti gli strumenti che l’ordinamento pone a sua disposizione. Si prevede, poi, che i provvedimenti limitativi o impeditivi eventualmente assunti siano adottati di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, e che ne sia data informazione al Presidente del Consiglio dei ministri.
L’intervento normativo si rende necessario, indifferibile e urgente in considerazione dell’evidenza che gli scenari geopolitici internazionali possono rischiare di riaccendere l’ipotesi di nuove ondate di migrazione. È questa un’eventualità che comunque non può essere sottovalutata anche in considerazione dell’approssimarsi della stagione estiva che, da sempre, fa registrare il picco massimo di partenze di imbarcazioni cariche di migranti (in cui, peraltro, con maggiore facilità, possono celarsi anche cellule terroristiche). “. Una argomentazione che ritornerà poi nelle difese del ministro dell’interno pro-tempore Salvini quando sarà chiamato in causa dalla magistratura penale per giustificare i divieti di ingresso nelle acque territoriali e la mancata indicazione di un porto sicuro di sbarco, richiesto dalle Convenzioni internazionali per la conclusione delle operazioni di soccorso in mare, una volta che le imbarcazioni soccorritrice si fossero trovate sotto la giurisdizione italiana.
Come ha osservato il Garante Nazionale per le persone private della libertà personale, Mauro Palma, nel suo parere sul Decreto legge n.53 del 2019, “lo Stato costiero può eccezionalmente sospendere temporaneamente, senza discriminazioni di diritto o di fatto tra navi straniere, il diritto di passaggio inoffensivo in zone specifiche di mare, quando ciò sia indispensabile per la propria sicurezza. Tuttavia, una lettura della norma che consideri la fattispecie del salvataggio in mare (che continua fino allo sbarco in un luogo sicuro – place of safety) come una violazione delle norme in materia di immigrazione dello stato costiero e, di conseguenza, come una ipotesi di passaggio non inoffensivo appare non in linea con gli obblighi internazionali di soccorso previsti in vario modo da norme contenute nelle più importanti convenzioni sul diritto del mare (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, Convenzione SOLAS del 1974 e Convenzione SAR del 1979) e dagli artt. 485 e 489 del Codice della Navigazione italiano.
4. Appare evidente come il testo normativo approvato dal Senato in sede di conversione del decreto legislativo n.53/2019 , gia’ nella previsione dei poteri conferiti al ministro dell’interno non risulti conforme alla ripartizione di competenze stabilita dall’art. 95 della Costituzione, secondo cui “il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri. I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri”. Nella previsione del decreto sicurezza bis n.53/2019 e quindi della legge di conversione, approvata a colpi di fiducia, il ministro dell’interno esercita i suoi poteri di interdizione dell’ingresso nelle acque territoriali di concerto con i ministri delle infrastrutture e della difesa, senza alcun riconoscimento del ruolo del presidente del Consiglio che deve essere soltanto “informato”. Una previsione che risulta ancora piu’ grave se si condidera che la misura interdittiva dell’ingresso nelle acque territoriali implica, come dimostra l’esperienza fin qui maturata, la mancata assegnazione di un porto sicuro di sbarco in vista di una negoziazione con l’Unione Europea o con singoli stati, con un totale scavalcamento delle competenze dello stesso Presidente del Consiglio e del ministro degli esteri. In realtà i divieti di ingresso, e la successiva criminalizzazione delle navi soccorritrici, prima ancora che queste potessero fare ingresso nelle acque territoriali italiane, si ricollegavano alla asserita violazione degli obblighi di obbedienza alle autorità libiche che per il governo italiano sembravano costituire le uniche autorità resposnabili per gli interventi di soccorso nella vastissima area del Mediterraneo centrale riconosciuta come “zona SAR libica”. Le autorità marittime italiane, come la Centrale operativa della guardia costiera di Roma, richiamando la competenza delle “autorità di soccorso libiche” costituivano le condizioni che permettevano poi una incriminazione dei comandanti che si erano rifiutati di attendere l’arrivo delle motovedette libiche, procedendo immediatamente ai soccorsi dei naufraghi in evidente condizione di “distress”. Situazione che, se valutata come tale dal comandante della nave, impone l’obbligo immediato di intervento di soccorso dei naufraghi.

In ogni caso la mancata “collaborazione” con la guardia costiera “libica” non può giustificare alcun provvedimento interdittivo dell’ingresso nelle acque territoriali italiane, spacciato magari come una “chiusura dei porti”. Osservava Andrea Natale, giudice del Tribunale di Torino che “Per «chiudere i porti» serve un provvedimento, non basta un tweet. Sembra un dettaglio, ma i ripetuti casi di “chiusura dei porti” via Twitter – e nel modo più emblematico, il cd. caso Diciotti – mettono in luce quanto sia utile e preziosa questa disposizione: la necessaria esistenza di un provvedimento renderà più trasparente la catena decisionale, più agevolmente individuabili le responsabilità politiche e quelle giuridiche e, sebbene con angusti (e probabilmente non tempestivi) spazi di intervento, renderà quei provvedimenti giustiziabili dalla giurisdizione amministrativa (dovendosi probabilmente escludere che si tratti di “atti politici”, sottratti alla sfera di controllo del giudice amministrativo)”.
5. In base all’art. 2 del “decreto sicurezza bis” si integrava la normativa previgente stabilendo nuove misure sanzionatorie che, per il ooro importo manifestatmente spropositato, suscitavano persino le perplessità del Presidente della Repubblica. Si prevedeva altresì un potere di sequestro e di successiva confisca amministrativa da parte del prefetto “in caso di Inottemperanza a limitazioni o divieti in materia di ordine, sicurezza pubblica e immigrazione”
All’articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 6 venivano inseriti i seguenti: “«6-bis. Salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, il comandante della nave e’ tenuto ad osservare la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi dell’articolo 11, comma 1-ter. In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000. La responsabilita’ solidale di cui all’articolo 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si estende all’armatore della nave. E’ sempre disposta la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione, procedendosi immediatamente a sequestro cautelare. A seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono imputabili all’armatore e al proprietario della nave gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare. All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.”
Nella sua lettera di accompagnamento, dopo la firma del decreto sicurezza bis approvato dal Senato in via definitiva, il Presidente della Repubblica Mattarella afferma: “con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Non appare ragionevole – ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto – fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità. Devo inoltre sottolineare che la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 112 del 2019, ha ribadito la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti”.
Appariva evidente come lo scopo immediato della nuova normativa introdotta con il Decreto legge n.53/2019 fosse il respingimento delle navi umanitarie e l’inasprimento delle sanzioni contro chi si rende “colpevole” di soccorso, per avere operato in modo “autonomo”, senza obbedire, in altri termini, agli obblighi di riconsegna alla guardia costiera libica. Per avere impedito che i naufraghi fossero rigettati nei centri di detenzione dai quali erano fuggiti. Nessun porto libico può essere qualificato quale luogo di sbarco sicuro, non avendo la Libia aderito alla Convenzione relativa allo status dei rifugiati (Ginevra, 28 luglio 1951) ed essendo la situazione in suddetto Stato, oggi frammentato in più entità territoriali con diversi governi, caratterizzata da sistematiche violazioni dei diritti umani, come ribadito nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella pronuncia relativa al caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, e come confermato fino ad oggi da tutti i rapporti delle diverse agenzie e missioni delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM, UNSMIL).
Si è così formalizzato un contorto sistema normativo penale e amministrativo che risulta in violazione al principio di gerarchia delle fonti e che potrà portare ad una duplicazione della pena nei confronti degli stessi soggetti, ponendo anche il problema del coordinamento tra il procedimento amministrativo, demandato al prefetto ed il procedimento penale. Un coordinamento che nel decreto legge n.53/2019 adesso convertito in legge, rimane assolutamente oscuro, oscurità che potrebbe portare anche ad una declaratoria di illegittimità costituzionale, valutando i tempi delle diverse procedure, il sovrapporsi di differenti ipotesi di confisca delle navi, e l’ammontare elevatissimo delle sanzioni pecuniarie imposte dal prefetto, al di fuori di qualunque criterio di adeguatezza e proporzionalità, rispetto ai fatti contestati. Tutto ciò, a carico di persone non ancora condannate in via definitiva. Si sono adotatte così misure fortemente dissuasive delle attività di soccorso in acque internazionali nel Mediterraneo centrale, con conseguenze spesso mortali. Lo ribadisce l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che ha richiamato “il ruolo chiave delle Organizzazioni non governative” , avvertendo i governi europei come la Libia non potesse garantire alcun “porto sicuro di sbarco”.
“Nel documento si sottolineava che “il primo RCC (Centrale di coordinamento) contattato, anche se l’emergenza è avvenuta al di fuori della sua SRR (Zona SAR), mantiene la responsabilità dell’evento finché sia accertato che l’RCC competente per quella regione, o altro RCC, abbia dichiarato di assumere il coordinamento e si sia effettivamente attivato in tal senso (p. 20)”. La Centrale operativa della guardia costiera italiana rimane dunque responsabile dell’operazione SAR, e per essa il ministero dell’interno che ne stabilisce le linee di azione, fino a quando non sia accertato che i naufraghi siano stati presi in carico da un paese che garantisca un porto sicuro di sbarco. E dunque “non è giustificabile la prassi degli Stati membri del Consiglio d’Europa consistente nel tentare di dirottare le richieste d’aiuto proveniente dalla SRR libica sul JRCC di quel paese; al contrario, deve ritenersi che il diritto internazionale determini il radicamento ed il mantenimento della responsabilità in capo agli stessi RCC continentali”. Indicazione queste che risultano in netto contrasto con le più recenti Direttive/diffide adottate dal ministro dell’interno italiano nei confronti delle poche ONG ancora operative nel Mediterraneo centrale, malgrado una raffica di denunce e di sequestri.”
In precedenza, la portavoce della Commissione Europea Nathasha Berhaud, ancora prima della denuncia di un gruppo di giuristi al Tribunale penale internazionale, aveva escluso che la Libia, nelle sue diverse articolazioni territoriali, potesse essere considerata come un luogo sicuro di sbarco. Che la Libia non garantisca porti sicuri di sbarco lo afferma anche una recente sentenza del Tribunale di Trapani, che va attentamente considerata per cogliere la illegittimità degli ordini ipartiti dal ministero dell’interno alle ONG, ed i conseguenti divieti di ingresso. Soprattutto dopo l’offensiva del generale Haftar sulla Tripolitania nessun porto della libia puà essere qualificato come “place of safety.
Il soccorso in mare e l’ingresso nelle acque territoriali dei sopravvissuti ad un naufragio non possono essere equiparati ad attività di trasporto di immigrati irregolari. Ma anche ove si procedesse in questa direzione lo stato italiano non potrebbe esimersi dall’assunzione di responsabilità in ordine allo sbarco delle persone soccorse. Il dovere dello stato, e dunque del ministro dell’interno, di indicare un porto sicuro di sbarco non può essere oggetto di una periodica negoziazione politica volta alla redistribuzione dei naufraghi tra diversi paesi quando il conseguente ritardo delle trattative comporta il loro trattenimento a tempo indeterminato sulla nave soccorritrice e di fatto un respingimento collettivo in frontiera con grave pregiudizio dei diritti fondamentali delle persone.
7. A partire dall’entrata in vigore del “decreto sicurezza bis” il Ministro dell’interno faceva ampio uso del potere di vietare l’ingresso nelle acque territriali e quindi nei porti italiani, a navi delle ONG che avevano operato attività SAR ( di ricerca e soccorso) in acque internazionali, in conformità a quanto previsto dalle Convenzioni internazionali, e dal diritto interno, anche per gli espressi richiami operati alle fonti sovranazionali dagli articoli 10 e 117 della Costituzione. Continuava nel frattempo una intensa collaborazione della Marina italiana, con la sedicente guardia costiera “libica”, mentre venivano bloccate le attività di ricerca e soccorso fino allora operate dalle navi della Guardia costiera ( come la Diciotti e la Dattilo) con un accresciuto suolo della guardia di finanza, utilizzata piuttosto che per soccorrere, per notificare ai comamdanti delle ONG i provvedimenti di divieto di ingresso nelle acque territoriali impartiti dal ministro dell’interno. Il “concerto” con gli altri ministri, previsto dal decreto sicurezza bis , si riduceva ad una mera formalità, mentre il Presidente del Consiglio veniva solo “informato” dei divieti. In diverse occasioni lo stesso ministro dell’interno pro tempore Salvini continuava ad affermare che i divieti di ingresso erano imposti al fine di ottenere l’assunzione della responsabilità dei soccorsi da parte dello stato di bandiera della nave, se non la redistribuzione dei migranti, anche se soccorsi da navi italiane come la Mare Ionio di Mediterranea, verso altri paesi europei.
Gli “incidenti”, il più clamoroso a Lampedusa, nel caso della Sea Watch con Carola Rackete al comando, sul quale si è recentemente pronunciata la Corte di cassazione, come le denunce degli operatori umanitari, generalmente i comandanti della nave ed i capomissione, si susseguivano, e si ripetevano i sequestri, disposti dall’autorità giudiziaria ed in breve tempo revocati, o di più lunga durata, disposti dai prefetti in base alla previsione dell’art. 2 del “decreto legge sicurezza bis”.
La Corte di cassazione ha recentemente confermato la decisione assunta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, che escludeva la legittimità dell’arresto della comandante della Sea Watch Carola Rackete. In questo caso non è stato accolto il ricorso presentato dalla Procura di Agrigento.
Nell’ordinanza del GIP di Agrigento del 2 luglio 2019, si afferma che :”«l’art. 11 comma ter del D. Lgs 286-98 (introdotto dal D. L. n. 53/2019): difatti, ai sensi di detta disposizione, il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione delle leggi vigenti nello Stato Costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio. Peraltro, l’eventuale violazione del citato art. 11 comma 1 ter – si ribadisce sanzionata in sola via ammnistrativa – non fa venir meno l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del Dlgs 286/98, avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso, prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi».
8. Mentre numerosi procedimenti aperti contro le ONG si concludevano con richieste di archiviazione, da ultimo nel caso della nave Mare Jonio ad Agrigento, aumentavano le denunce ed i procedimenti penali aperti a carico dell’ex ministro dell’interno Salvini per omessa indicazione di un porto di sbarco sicuro e per la conseguente indebita privazione della libertà personale dei naufraghi intrappolati a bordo delle navi soccorritrici dopo essere stati soccorsi in alto mare.
Mercoledì 12 febbraio il Senato dovrà pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini sul caso del blocco dello sbarco dei naufraghi soccorsi nell’estate del 2019 dalla nave Gregoretti della Marina militare italiana.
Dopo una manovra tattica cavalcata in Senato dalla Lega per sfruttare in occasioni delle elezioni regionali in Calabria ed in Emilia e Romagna la messa in stato di accusa dell’ex ministro dell’interno, sembra che adesso, alla vigilia del voto in aula si rilanci la tesi della insindacabilità delle scelte “politiche” di Salvini che avrebbe impedito per giorni lo sbarco dei naufraghi a bordo della Gregoretti, già ormeggiata nel porto industriale di Augusta (Siracusa) al dichiarato fine di costringere gli stati europei ad accettare la redistribuzione dei naufraghi.
La “Memoria del Senatore Matteo Salvini per la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari”, costituisce un charo esempio della sovversione della realtà e dello scarso rispetto dello stato di diritto, basato sulla Costituzione, da parte dell’ex ministro dell’interno, che dopo avere sostenuto per mesi di volere “chiudere i porti”, rilancia adesso la sua campagna elettorale permanente prometttedo che, se tornerà al governo, riuscirà adddirittura a “sigillare” i porti, reiterando tutte le condotte che nel tempo gli sono statte contestate da diverse procure. Come se il largo consenso elettorale di cui continua a godere potesse avere il sopravvento sul rispetto delle fonti normative interne e sovranazionali, oltre che dei principi affermati dalla Costituzione italiana.
Prima nel caso Diciotti, adesso sul caso dei migranti arbitrariamente trattenuti per giorni. nel luglio dello scorso anno, a bordo della nave della Guardia Costiera Gregoretti, come e più che in tutti gli altri casi che riguardavano navi di organizzazioni non governatve che avevano effettuato soccorsi di naufraghi nelle acque del Mediterraneo Centrale, da parte del senatore Salvini si è tentato di giustificare, con un supposto interesse pubblico di rango superiore consistente nella sicurezza e nella difesa dei confini nazionali, la ricorrente violazione degli obblighi di soccorso e salvataggio imposti dal Diritto internazionale, fino allo sbarco nel porto sicuro (place of safety). Obblighi ribaditi anche sul piano nazionale dalle norme cogenti dell’ordinamento interno che garantiscono a chiunque, dunque anche ai naufraghi soccorsi in alto mare, l’accesso al territorio per chiedere asilo, la tutela del superiore interesse del minore non accompagnato, i diritti di difesa e il principio di legalità per qualsiasi caso di limitazione della libertà personale e di respingimento alla frontiera. Come ha stabilito la Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n.105 del 2001. In nessun caso dunque l’ingresso della nave straniera che trasporti persone soccorse in mare può concretizzare l’iptesi del reato di agevolazione dell’immigrazione clandestina, e dunque nello stesso caso non ricorre una ipotesi di “passaggio non inoffensivo” previsto dall’art. 19. 2 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS) del 1982, richiamato dal nuovo articolo 11 comma 1 ter ( introdotto dal decreto sicurezza bis) del Testo Unico n. 286 del 1998, che non può essere interpretato disgiuntamente dall’art. 18 della medesima Convenzione ( che individua i casi di passaggio inoffensivo) , all’esclusivo scopo di costituire una base legale per il potere, che si vorrebbe attribuire al ministro dell’interno, di vietare l’ingresso nelle acque territoriali alle navi che hanno soccorso naufraghi.
9. La valutazione della corresponsabilità di altri ministri da parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere non può sovrapporsi alla valutazione dell’autorità giudiziaria, ed alla successiva verifica processuale, restando riservata alla giunta soltanto la mera valutazione di un interesse pubblico, in quanto più precisamente la stessa Giunta può ” negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo” ( art. 9, comma 3, legge Costituzionale 16 gennaio 1989, n.1). Una valutazione che non dipende certo dalla collegialità dell’attività del governo, che comunque può ben radicare, ma solo nella competente sede giurisdizionale, la configurazione di ipotesi di concorso nel reato. Non si può qualificare come “vicenda relativa al recupero in mare dei migranti della nave “Gregoretti” , la distinta fase della trattativa intercorsa tra il governo italiano, autorità di altri stati e la stessa Commissione Europea al fine di ottenere il trasferimento e l’accoglienza dei naufraghi in altri paesi europei, una trattativa che poteva svilupparsi una volta sbarcati a terra in un un porto sicuro italiano.
Il richiamo all’art. 9 della legge Costituzionale 16 gennaio 1989, n.1, attuativo del principio dettato dall’articolo 96 della Costituzione ( che riguarda la responsabilità per i reati comemssi dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni), si rivela niente più che un escamotage per sottrarre l’ex ministro dell’interno al processo, un tentativo riuscito nel caso Diciotti, che adesso dovrà fare comunque i conti con una diversa maggioranza parlamentare e con un caso che non si può affatto sovrapporre ad altri analoghi casi verificatisi in precedenza nel caso di soccorsi operati da navi delle ONG, da navi commerciali, o da assetti navali facenti capo alla Marina militare, alla Guardia costiera ed alla Guardia di finanza.
Il richiamo alle attività della Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea , la disponibilità offerta da cinque stati europei soltanto cinque giorni dopo il soccorso in acque internazionali, e l’esistenza di una richiesta formale in data 26 luglio 2019 da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri perchè alcuni stati europei accogliessero parte ( o tutti come affermava, il senatore Salvini allora ministro dell’interno?) come la successiva riunione di “coordinamento” convocata il 2 agosto 2019 dalla Commissione europea tra gli stati che avevano offerto una qualche disponibilità, non possono costituire criterio per attribuire all’intero governo la responsabilità invece propria dell’allora ministro dell’interno, che impediva lo sbarco in un porto sicuro, in aperta violazione non solo del diritto internazionale ampiamente richiamato dai giudici del Tribunale dei ministri, ma dello stesso diritto interno, sia sotto il profilo del mancato rispetto delle procedure di sbarco imposte dall’art. 10 comma 3 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, e per quanto concerne i minori non accompagnati dalla legge n.47/2017, che delle norme cogenti a tutela della libertà personale, presidiate, in caso di violazione, dalla previsione del reato di sequestro di persona da parte del pubblico ufficiale.
10. Appare evidente, oltre che rispettoso del dato normativo, come la trattativa con gli altri stati europei, e con la stessa Commissione Europea, potesse esere condotta con i medesimi risultati, se i naufraghi fossero stati sbarcati a terra, nel porto sicuro più vicino, in conformità delle Convenzioni internazionali e nel rispetto delle procedure dettate dall’art. 10 ter, del Testo Unico n.286/1998 (cd. approccio Hotspot), procedure peraltro consolidate negli anni passati e concordate, a partire dal 2016, con le autorità europee. Come si può agevolmente desumere dagli stessi rapporti di attività del Corpo della Guardia costiera italiana, che la memoria difensiva del senatore Salvini sembra ignorare del tutto. Come sembranodel tutto ignorati, nella memoria difensiva presentata dal senatore Salvini alla giunta per le autorizzazioni a procedere, circostanza assai grave trattandosi di soccorsi operati da navi militari che battevano bandiera italiana, il manuale operativo IAMSAR, e le Linee guida sulle operazioni di soccorso in mare dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ed i migranti che da anni costituiscono, o dovrebbero costituire le modalità di intervento nei casi SAR, soprattutto da parte dei mzzi appartenenti ai corpi militari dello stato.
La chiara formulazione dell’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998 come successivamente emendato non consente di distinguere diverse regole di sbarco a seconda della bandiera che batte la nave soccorritrice. infatti, secondo questa norma, ” lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito”.
Quale che sia la decisione che sarà assunta dal Senato, che terrà conto dei mutevoli equilibri politici che caratterizzano oggi le attività parlamentari, non sembra possibile ignorare le profonde differenze che intercorrono tra il caso Diciotti, verificatosi nel mese di luglio del 2018, ed il caso Gregoretti, verificatosi nel mese di luglio del 2019. La nave Gregoretti aveva preso a bordo i 50 migranti che erano stati soccorsi da un peschereccio, dedito ad attività di pesca, l’ “Accursio Giarratano” e altri 91 erano salvati invece da un pattugliatore della Guardia di finanza. Entrambi gli interventi erano avvenuti in acque Sar (Ricerca e soccorso) maltesi. In quella occasione le afermazioni di Salvini erano inequivocabili. «Ho dato disposizione – avvertiva nella mattinata del 26 luglio 2019 il ministro dell’Interno – che non venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in tutta Europa di tutti i 140 migranti a bordo»
Un comunicato della Guardia costiera italiana, reso noto il 28 luglio, apre finalmente uno spiraglio di luce, dopo un lungo periodo di silenzi stampa, sugli sviluppi della guerra contro i soccorsi in mare ingaggiata dal titolare pro-tempore del Vimimale nel corso del 2019, fino alla nomina del governo atualmente in carica, per dimostrare al suo elettorato l’efficacia dell’azione di contrasto contro l’immigrazione “illegale”. Una guerra a colpi di direttive ministeriali e decreti legge, che, dopo essere stata diretta contro le navi umanitarie delle ONG, coinvolge adesso unità navali appartenenti a corpi dello stato.
A questo punto, spiega la nota stampa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, le motovedette intervenute hanno “trasbordato i rimanenti 135 migranti su Nave Gregoretti della Guardia Costiera dotata di un team medico del Cisom in grado di assistere adeguatamente i naufraghi in attesa di indicazioni relative al successivo trasferimento verso un place of safety”. …” Il primo porto che la CP920 ha raggiunto, Catania, è stato deciso “in previsione del peggioramento delle condizioni meteo la nave ha poi assunto rotta verso la Sicilia Orientale”. A Catania, spiegano dal Comando, la Gregoretti stata rifornita di viveri e medicinali. Ma pare che il porto di Catania non fosse abbastanza al riparo dalle avverse condizioni meteo marine – stando al comunicato stampa – per fermarvi ben ormeggiata la Gregoretti. Una spiegazione che non convince affatto, anche alla luce dei bollettini meteo di quelle ore.
Secondo lo stesso comunicato della Guardia costiera italiana, “nella serata di ieri, (27 luglio 2019, n.d.a.) allo scopo di consentire riparo dal peggioramento delle condimeteo in zona – spiega il comunicato della Guardia Costiera – è stato disposto a Nave Gregoretti, su concorde parere del Ministro Toninelli e previa informazione al Viminale, di dirigere verso il porto di Augusta dove l’unità è giunta intorno alle ore 03:00 di questa mattina”
La disponibilità, resa nota dal governo tedesco già venerdì 26 luglio 2019, non ha certo interferito con le decisioni dell’ex ministro Salvini, mosso esclusivamente da una finalità propagandistica, che ha mantenuto indebitamente per altri tre giorni i naufraghi a bordo della Gregoretti, minori compresi, cedendo sullo sbarco dei minori solo di fronte al rischio sempre più concreto, dopo 4 giorni (96 ore) di indebito trattenimento, di altre denunce penali per la violazione della legge n.47 del 2017 e dell’art.13 della Costituzione italiana che impone la convalida giurisdizionale di tutte le misure che, a qualsiasi titolo, siano limitative della liberta’ personale.
Come è stato rilevato da giornalisti, politici e giuristi di diversa estrazione, le giustificazioni fornite dal Senatore Matteo Salvini a fondamento delle sue decisioni di non autorizzare lo sbarco dalla Gregoretti, nel porto sicuro più vicino, dei naufraghi, soccorsi in diverse occasioni da una pluralità di mezzi operanti in attività SAR ( Search and rescue) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale, non reggono nè dal punto di vista del rispetto delle fonti normative, nè in considerazione del ricorrente tentativo di scaricare la propria responsabilità ministeriale sul governo nel suo complesso.
11. Le Convenzione internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 Cost., non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica, assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna.
Come puntualmente osservato dai giudici del Tribunale dei ministri di Catania, nel caso della richiesta di autorizzazione a procedere avanzata al Senato sul caso Diciotti, occorre comunque distinguere tra «atto politico», insindacabile tout court dal giudice penale, e «atto amministrativo adottato sulla scorta di valutazioni politiche», che non si sottrae al vaglio di legalità del giudice penale. In ogni caso, «il dogma dell’intangibilità dell’atto politico è oggi presidiato da precisi contrappesi, caratterizzati dal “principio supremo di legalità”, dalla Carta costituzionale e dal rispetto dei diritti inviolabili in essa indicati, tra i quali spicca in primo luogo il diritto alla libertà personale. Segnatamente, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, i cui artt. 24 e 113 sanciscono l’indefettibilità ed effettività della tutela giurisdizionale, non è giuridicamente tollerabile l’esistenza di una particolare categoria di atti dell’esecutivo in relazione ai quali il sindacato giurisdizionale a tutela dei diritti individuali possa essere limitato o addirittura escluso» (p. 44).
«L’atto del Ministro Sen. Matteo Salvini costituisce un atto amministrativo che, perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intrinseca illegittimità dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale (…). Va dunque sgomberato il campo da un possibile equivoco e ribadito come questo Tribunale intenda censurare non già un atto politico dell’Esecutivo, bensì lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà ammnistrativa di cui era titolare il Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, che costituisce articolazione del Ministero dell’interno presieduto dal Sen. Matteo Salvini» (p. 47).
12. Le prime pronunce interinali dei tribunali amministrativi che hanno sospeso l’efficacia dei divieti di ingresso nelle acque territoriali adottati dal ministro dell’interno sembrano ripristinare lo stato di diritto ed una interpretazione della normativa vigente orientata in senso conforme alla Costituzione. Nello stesso senso si può ricordare la recente richiesta di archiviazione emessa dalla Procura di Agrigento sul caso Mare Jonio, verificatosi nel mese di marzo del 2019.
Quanto rilevato sinora potrà risultare utile per comprendere le ragioi di una valutazione politica che potrebbe ancora una volta sovrapporsi ad un procedimento penale anche nel caso di un blocco imposto dal Viminale allo sbarco dei naufraghi soccorsi non da una nave militare italiana, ma da una nave umanitaria della ONG spagnola Proactiva Open Arms. In quel caso i ministri Trenta e Toninelli si rifiutarono di cofirmare il decreto che vietava alla Open Arms di entrare in acque italiane, decreto che successivamente veniva sospeso dal Tribunale Amministrativo del Lazio, senza che lo stesso Salvini modificasse le proprie determinazioni.
Come riporta l’ANSA,” la Giunta delle immunità del Senato si deve esprimere sul caso Open arms entro il 3 marzo. Lo ha deciso l’ufficio di presidenza della Giunta definendo il calendario dei lavori. Dopo la prima riunione convocata per giovedì 6 febbraio, la Giunta potrebbe sentire in audizione Matteo Salvini. Ma lo potrà fare solo entro il 17 febbraio che è anche il termine entro il quale il senatore dovrà far arrivare una relazione, se lo riterrà necessario. Il 18 febbraio, alle 13, ci sarà la proposta del relatore, mentre il 19 febbraio comincerà la discussione che proseguirà fino al 20″. Sembra che anche in questo caso possano emergere gravi responsabilità in capo all’ex titolare del Viminale, ma dal fronte dei partiti che ne sostengono le scelte è già partito l’ennesimo fuoco di sbarramento che potrebbe tradursi in un ennesimo stop imposto dal Prlamento ai procedimenti penali incardinati dalla magistratura a seguito della mancata indicazione di un place of safety e della omessa autorizzazione allo sbarco.
Come riferisce il quotidiano NEXT, ” In 110 pagine di motivazioni inviate venerdì al Senato, le tre magistrate Caterina Greco, Lucia Fontana e Maria Cirrincione (collegio diverso da quello che nel 2018 s’era occupato del caso Diciotti) spiegano i motivi per cui il leader leghista, negli ultimi giorni in cui è rimasto ministro dell’Interno, alla fine del primo governo Conte, ha commesso i reati contestati”. Sempre secondo la stessa fonte, “ Il 14 agosto il Tar del Lazio aveva annullato l’interdizione del ministro, e dunque l’accesso alle acque territoriali della nave con i profughi fu del tutto lecito. A quel punto la concessione del Pos sarebbe stata ancor più un atto dovuto, ma il leader leghista ha continuato a negarlo. Con una decisione che, secondo i giudici e la Procura, non fu un atto politico insindacabile dalla magistratura ordinaria, bensì un atto amministrativo dettato da motivazioni politiche, in quanto tale non sottratto al codice penale (come ritenne pure il tribunale dei ministri di Catania per la Diciotti e la Gregoretti)”.
Si osserva con rapida ma efficace sintesi come Salvini abbia “scientemente” “ignorato l’emergenza sanitaria mettendo veti alle autorità locali”. Si ricorda anche come lo stesso ministro dell’interno non avesse fatto sbarcare a terra i minori a bordo “nonostante un provvedimento del Tribunale dei minori”. Per lo stesso Tribunale dei ministri di Palermo il senatore Salvini avrebbe anche “ignorato il Tar del Lazio con interpretazioni giuridiche” non valide.
Appare evidente, oltre che rispettoso del dato normativo, come la trattativa con gli altri stati europei potesse esere condotta con i medesimi risultati, se i naufraghi fossero stati sbarcati a terra, nel porto sicuro più vicino, in conformità delle Convenzioni internazionali e nel rispetto delle procedure dettate dall’art. 10 ter, del Testo Unico n.286/1998 (cd. approccio Hotspot), procedure peraltro consolidate negli anni passati e concordate, a partire dal 2016, con le autorità europee. Come si può agevolmente desumere dagli stessi rapporti di attività del Corpo della Guardia costiera italiana. che la difesa del senatore Salvini sembra ignorare del tutto. Come sembrano del tutto ignorati, il manuale operativo IAMSAR, e le Linee guida sulle operazioni di soccorso in mare dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ed i migranti.
I prossimi passaggi parlamentari delle richieste di autorizzazione a procedere formulate da diversi Tribunali dei ministri nei confronti del senatore Salvini saranno probabilmente occasione di propaganda che non consentirà alcun ulteriore accertamento dei fatti, oltre a quanto già douumentato dalla magistratura. Dagli esiti delle votazioni in Parlamento dipenderà però non soltanto la sorte processuale di un rappresentante politico, ma la possibilità di continuare a credere nello stato di diritto e di distinguere ancora tra atti a contenuto politico ed atti che incidono su diritti fondamentali e sulla vita di esseri umani, che dovrebbero restare soggetti ad un rigoroso controllo giurisdizionale. Senza alcuna impunità, in base al principio di uguaglianza affermato dall’art.3 della Costituzione italiana.