di Fulvio Vassallo Paleologo
Aggiornamento del 17 luglio alle ore 12.
Documento da AMNESTY INTERNATIONAL
No all’espulsione dell’eritreo in carcere per tre anni per un errore di persona. Gli sia riconosciuto l’asilo
17 luglio 2019
“Non c’è una sola ragione al mondo per cui al cittadino eritreo Medhanie Tesfamariam Behre, arrestato nel 2016 in Sudan e per tre anni erroneamente ritenuto un importante trafficante di esseri umani, debba essere negato l’asilo politico“, ha dichiarato Amnesty International Italia.
Secondo l’organizzazione per i diritti umani, non solo l’accoglimento della richiesta d’asilo, su cui si pronuncerà venerdì 19 luglio la commissione per l’esame nel Cpr di Caltanissetta, suonerebbe come un risarcimento per tre anni di carcere passati in Italia per un mero errore di persona: un errore portato alla luce grazie soprattutto alle inchieste giornalistiche del quotidiano britannico “Guardian“.
Soprattutto, negare l’asilo a Medhanie Tesfamariam Behrecostituirebbe una grave violazione del diritto internazionale dei rifugiati.
Espellerlo verso il Sudan, dove venne arbitrariamente arrestato nel 2016, lo porrebbe di fronte al rischio di un nuovo arresto, in un contesto nel quale le autorità di transizione che hanno preso il potere dopo la fine del dominio di Omar al-Bashir non danno ancora la minima garanzia di rispetto dei diritti umani.
Se dal Sudan venisse trasferito nel suo paese di origine, l’Eritrea, Medhanie Tesfamariam Behre rischierebbe l’imprigionamento per diserzione (dalla leva obbligatoria) e uscita illegale dal paese e con ogni probabilità una lunga condanna e la tortura. Sorte riservata da anni a chi, in Eritrea, critica il regime, professa una fede non consentita o cerca di fuggire al servizio militare obbligatorio e a tempo indeterminato. Una situazione che la raggiunta pace con l’Etiopia, nel 2018, non ha purtroppo modificato.
[15/7, 14:07] Fulvio Vassallo: Convalidato dal tribunale il trattenimento di Medhanie nel Cpr di Pian del Lago (CL) con il consueto utilizzo di una formula prestampata. Adesso si andra’ in cassazione.
Il tribunale non si e’ neppure pronunciato su parte delle eccezioni proposte dalla difesa. La convalida della misura di trattenimento si e’ risolta in una mera ratifica del provvedimento adottato dalla Questura.
Venerdi si riunira’ la commissione per l’esame della richiesta di asilo nel cpr di Caltanissetta. Un eritreo rischia l’espulsione perche’ si vuole dare copertura ad un errore giudiziario tanto grave come lo scambio di persona.
1.Nel mese di agosto 2016 l’Italia concludeva con il Sudan un Memorandum d’intesa sottoscritto dal dittatore Bashir, indagato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità.

Obiettivo del Protocollo d’intesa era contrastare le partenze dei migranti irregolari, in realtà profughi in fuga, molti provenienti dall’Eritrea, diretti verso l’Europa. Si voleva stabilire una più intensa collaborazione di polizia nella caccia ai trafficanti che dal Sudan, in quel periodo, riuscivano a controllare la rotta libica e facevano arrivare sulle coste europee decine di migliaia di richiedenti asilo.
In quello stesso periodo tra la polizia sudanese ed il ministero dell’interno italiano si stringevano legami sempre più forti, nel più totale silenzio della stampa italiana. Qualche mese dopo, nell’agosto del 2016, la collaborazione con le autorità sudanesi permetteva il rimpatrio forzato collettivo di alcune decine di migranti provenienti dal Sudan, bloccati a Ventimiglia, deportati nell’Hotspot di Taranto, e poi, altri a Torino, infine rimpatriati a Khartoum.
In tempi più recenti si è concordato l’invio di agenti sudanesi in Italia e la maggiore collaborazione dei servizi di informazione dei due paesi. Anche se è a tutti noto il livello di violazioni dei diritti umani che Bashir consente nel suo paese, più recentemente impegnato nell’espulsione di molti eritrei, già legalmente residenti in Sudan con lo status di rifugiato, ed oggi privati della propria condizione legale e riconsegnati al regime eritreo di Afewerky.
L’arresto del presunto Mered a Khartoum, nella primavera del 2016, si colloca proprio nella fase preparatoria degli accordi poi conclusi con il Sudan, nella forma di Memorandum d’intesa, o forse ne costituisce in qualche modo una anticipazione.

Il libro di Lorenzo Tondo,” Il Generale” ricostruisce con grande efficacia una vicenda che ha messo a dura prova gli apparati giudiziari italiani, con una diversità di vedute tra Roma e Palermo, che è emersa già nelle prime fasi delle indagini. Intanto un’innocente, rispetto ai reati contestati inizialmente, è stato soggetto a tre durissimi anni di carcerazione. Si vedrà nel prossimo sviluppo del processo, in sede di appello, al di là delle rilevanti questioni procedurali, quanto effettivamente sia penalmente responsabile chi agiva all’esclusivo scopo di salvare se stesso ed i propri parenti dagli attacchi della dittatura. Occorre infatti ricordare che nel 2016 centinaia di profughi eritrei residenti a Khartoum furono arrestati dalla polizia e consegnati ala polizia eritrea, scomparendo nelle carceri di quel paese, o restando uccisi, una volta eseguita l’espulsione.
I mezzi di informazione di tutto il mondo hanno seguito il processo al falso “Generale” e nelle indagini della procura sono finiti anche alcuni valorosi giornalisti d’inchiesta. In Italía invece si registrato disinteresse per le vicende processuali, a parte brevi parentesi di curiosità morbosa seguita alle notizie sui piu’efferati delitti atttibuiti al ” Genrrsle”.
2. La procura di Palermo riteneva di avere tra le mani uno dei capi dell’organizzazione che gestiva il traffico di esseri umani dall’Eritrea, attraverso il Sudan e la Libia verso l’Italia. Fino alla mattina del 12 luglio l’imputato era stato riconosciuto in Tribunale come Mered Yehdego Medhanie, capo dei trafficanti, detto il Generale, poi la svolta, maturata con la sentenza che chiude il processo di primo grado. Ma già subito dopo l’arresto del falso Mered a Khartoum appariva chiaro come i servizi di polizia che avevano operato in Sudan avessero imboccato una pista sbagliata. Secondo quanto riferiva AfricaExpress già tre anni fa ,”un diplomatico occidentale basato a Khartoum parlando con Africa Express ha avanzato un’ipotesi piuttosto sconcertante: che a giocare un brutto scherzo ai servizi segreti italiani siano stati i loro colleghi sudanesi. Insomma li hanno presi in giro facendogli credere che il trafficante vero, già individuato dai nostri servizi, fosse il poveraccio fatto arrestare e estradare”.
Un ordinanza della Corte di Assise di Palermo conferma adesso lo scambio di persona e restituisce all’imputato la sua vera identità. Secondo quanto riferisce la stampa, “fu la National Crime Agency britannica a dare agli italiani l’informazione che il ricercato si trovava a Khartoum, in Sudan. Gli inquirenti sudanesi e inglesi accertarono che aveva in uso più utenze cellulari una delle quali, intercettata dai magistrati palermitani, risulto’ collegata ad alcuni trafficanti di uomini che vivevano in Libia”. Adesso sembra che sull’intera vicenda dell’arresto in Sudan e sul ruolo dei servizi segreti sarà aperta una inchiesta.
Nei confronti dell’imputato, durante il processo, è emerso quanto sia a rischio in Italia la presunzione di innocenza, sancita dall’art. 27 della Costituzione. Anche la sentenza di oggi, in qualche modo, accerta lo scambio di persona, ma sembra rìtenere, leggeremo le motivazioni, che un profugo eritreo a Khartoum nel 2016, che cercava una soluzione per mettere in sicurezza i parenti, e farli arrivare in Europa, non possa non essere responsabile del reato di agevolazione dell’ingresso di “clandestini”.
E’ stato dunque riconosciuto l’errore di persona. «Non è lui il Generale» hanno affermato i giudici della Corte di Assise di Palermo, smentendo l’assunto sul quale la procura aveva imperniato l’intero processo. L’uomo in carcere dal 2016 è dunque Medhanie Tesfamariam Behre, un ex lattaio processato erroneamente. Ci sono volute decine di udienze, e adesso la sentenza della Corte d’assise, per fare giustizia di un arresto arbitrario nel Sudan di Bashir.
3. Si sgonfia una bolla mediatica nella quale qualche giornalista fantasioso si era spinto al punto di parlare di cannibalismo e di traffico di organi. Viene finalmente escluso così che possa trattarsi del “Generale” spacciato ai media come il capo di una delle più spietate organizzazioni di trafficanti che operano tra l’Africa e l’Europa. Come ha riferito il Post, la Televisione pubblica svedese (SVT) addirittura “sarebbe in possesso di un fascicolo che rivela come un’autorità di polizia europea sia a conoscenza del fatto che il vero trafficante è ancora in libertà e di come non riesca a convincere i pubblici ministeri italiani a emettere un nuovo mandato di cattura”.
Ma come è stato possibile che occorressero tre anni per arrivare una sentenza che, comunque prende atto dello scambio di persona, ma condanna comunque l’imputato per avere agevolato il viaggio verso l’Europa di due suoi congiunti ? Secondo alcune fonti giornalistiche,“tre telefonate che lo hanno incastrato”. Telefonate fatte per trovare il modo di fare ripartire un cugino in fuga dall’Eritrea, e quindi dal Sudan verso il riconoscimento della protezione internazionale. Se questo non e’ stato di necessita, quando ricorre? La difesa di Mered ricorrerà in appello per avere piena giustizia sul destino di un uomo che ha patito ingiustamente tre lunghi anni di carcerazione preventiva, in ogni caso non congrua, rispetto al reato per il quale oggi è stato condannato. Adesso si vorrebbe sostenere che, comunque, alla fine del dibattimento in primo grado, una condanna per traffico di persone è arrivata. Come se le prove raccolte contro una persona che non è quella indicata nei capi di imputazione potessero essere utilizzate contro una persona che ha partecipato al processo solo per uno scambio di persona, dunque senza potere esercitare a nome proprio i diritti di difesa.
L’ordinanza della Corte di Assise di Palermo, che soltanto oggi restituisce all’imputato la sua vera identità, non lo reintegra nella posizione processuale che lo stesso avrebbe potuto fare valere se avesse sempre esercitato i diritti di difesa a proprio nome. Un processo contro una persona che non è presente in aula, non si può rivolgere alla fine contro l’imputato presente in aula per anni sotto un nome ed una identità che non gli appartengono.

I giudici di Palermo hanno così “messo una pezza” ad un clamoroso errore giudiziario innescato dalla collaborazione degli inglesi e degli italiani con la polizia di un paese allora guidato di un dittatore come Bashir, già noto come criminale internazionale, oggi destituito. Mentre si stava definendo un accordo di cooperazione di polizia tra Italia e Sudan che ha dato solo frutti avvelenati, come la successiva espulsione di decine di sudanesi nell’estate del 2016, criticata nel Rapporto annuale del garante per i diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale. Adesso occorre ottenere la riparazione del danno e il riconoscimento del diritto di asilo che spetta ad una persona che oltre agli anni di ingiusta carcerazione subiti in Italia, potrebbe essere fatto sparire se le autorità italiane lo espellessero in Sudan o in Eritrea.
4. A poche ore dalla sentenza che ha comunque un contenuto di condanna, seppure per un reato meno grave di quelli contestati dalla procura per tutto il processo, il cittadino eritreo Medhanie Tesfamariam Behre deve essere rimesso in libertà con il suo vero nome, come hanno disposto i giudici.
Nella serata di venerdì 12 luglio la polizia ha prelevato Medhanie Tesfamariam Behre e lo ha condotto con le manette ai polsi in un luogo che immediatamente non è stato comunicato neppure al suo avvocato. Lo stesso Medhanie Tesfamariam Behre aveva presentato in quello stesso giorno, tramite il suo avvocato, una richiesta di protezione internazionale, e dunque l’esecuzione di qualunque misura di espulsione sarebbe in contrasto con l’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.
Si è appreso soltanto con molte ore di ritardo che, dopo l’assoluzione dall’accusa di essere uno dei più pericolosi trafficanti eritrei Medhanie, invece di essere scarcerato, come disposto dalla sentenza, è stato trasferito in manette a Caltanissetta, nel CPR di Pian del Lago.

Su disposizione della questura di Palermo è stato applicato il decreto sicurezza. Considerato che dalle condotte tenute – è scritto nel provvedimento – è possibile desumere la pericolosità sociale del cittadino”. Lunedì il tribunale di Caltanissetta deciderà se convalidare la richiesta di trattenimento al centro di Pian del Lago o se liberare l’eritreo in attesa del provvedimento sulla richiesta di asilo politico a Palermo. Forse Medhanie era “pericoloso” per chi aveva da nascondere un clamoroso errore di persona ed intendeva allontanarlo dall’Italia. Ma la vicenda del processo durato tre anni, al presunto “Generale”, ha superato i confini nazionali e la stampa internazionale continuerà a seguire con interesse ancora maggiore questa vicenda che sta assumendo contorni sempre più preoccupanti.
Occorre garantire che i diritti di difesa di Medhanie Tesfamariam Behre non siano ulteriormente conculcati. Si deve ricordare al riguardo che “l’omissione delle comunicazioni al difensore, tanto da parte dell’ente gestore, quanto da parte delle cancellerie, comprime fino ad annullarlo il diritto di difesa nella sua effettività. E va sottolineato il fatto che la difesa del difensore di ufficio non vale a garantire la non violazione del diritto. La difesa non può ritenersi compiutamente assicurata dall’avvenuta nomina di un difensore di ufficio, atteso che il relativo esercizio tecnico spetta in primis all’avvocato nominato difensore di fiducia (cfr Cas sez. III pen sent n. 11471/2019
La vicenda tutta di Medhanie Tesfamariam Behre, gli arresti a Khartoum, le torture subite durante i primi interrogatori da parte della polizia sudanese, la pubblicità del suo caso, il processo intentato nei suoi confronti ma solo perché ritenuto essere un’altra persona, la lunga carcerazione preventiva, lo rendono oggettivamente un soggetto vulnerabile al quale va riconosciuta la protezione internazionale. Nessuna autorità di polizia italiana ha il potere di eseguire nei suoi confronti una espulsione con accompagnamento coattivo in frontiera.

5. Secondo quanto rilevato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite per l’Eritrea, malgrado l’avvio del processo di pace con l’Etiopia, le violazioni dei diritti umani continuano a caratterizzare il regime di Afewerky che sta portando avanti una intensa attività di politica estera con i paesi confinanti ( Etiopia e Sudan), senza però interrompere le persecuzioni a danno degli oppositori, ed in genere contro tutti coloro che si sono sottratti alla leva obbligatoria. Una politica estera basata sullo sbarramento delle frontiere e sul tentativo di riprendere quelli che sono riusciti a fuggire all’estero. Un ricorso sistematico alla carcerazione a tempo indeterminato ed alla tortura come sistema di governo. L’Eritrea rimane una gabbia impenetrabile per coloro che operano a livello internazionale come difensori dei diritti umani.
Si osserva in particolare come, “durante il periodo in esame, al Relatore speciale non è stato concesso l’accesso all’Eritrea per effettuare visite all’interno del paese. Ha monitorato la situazione dei diritti umani nel paese conducendo missioni sul campo in altri paesi e coinvolgendo una vasta gamma di parti interessate. Mentre il Relatore speciale ha accolto favorevolmente l’opportunità di incontrare la delegazione dell’Eritrea a margine della quarantesima sessione del Consiglio per i diritti umani nel marzo 2019, osserva che il governo rimane contrario a cooperare con il suo mandato su questioni sostanziali e a concederle l’accesso al paese. Da quando la dichiarazione congiunta di pace e amicizia tra Eritrea ed Etiopia è stata firmata nel luglio 2018, i due paesi hanno continuato a compiere progressi verso il raggiungimento di una pace sostenibile. L’Eritrea ha inoltre migliorato le sue relazioni con i paesi limitrofi della regione, impegnandosi a promuovere l’integrazione e i legami economici nell’Africa orientale e dimostrato una maggiore disponibilità a normalizzare le relazioni bilaterali con vari paesi. Nel novembre 2018, il Consiglio di sicurezza ha revocato le sue sanzioni contro l’Eritrea. Lo slancio positivo per la pace e la sicurezza nella regione ha suscitato aspettative in Eritrea e nella comunità internazionale che il governo dell’Eritrea attuerà riforme politiche e istituzionali. Tuttavia, le autorità eritree non hanno ancora avviato un processo di riforme interne e la situazione dei diritti umani rimane invariata. Nella presente relazione, il Relatore speciale individua le aree chiave che rimangono irrisolte e stabilisce parametri di riferimento per conseguire progressi significativi e duraturi nei diritti umani.”
Non si possono eseguire dunque respingimenti ed espulsioni con accompagnamento forzato verso l’Eritrea, e rimane priva di basi legali qualunque misura di trattenimento in un centro di permanenza per i rimpatri ( CPR), come quello di Pian del Lago a Caltanissetta, dove questa notte e’ stato portato dalla polizia il giovane eritreo scarcerato a Palermo dopo essere stato scambiato per tre anni con il trafficante Mered, il Generale. La convalida giurisdizionale del trattenimento e’ stata fissata per lunedi 15 luglio prossimo.
Come ha denunciato la campagna LasciateCientrare in un caso simile, il giovane eritreo che per tre anni è stato processato a Palermo, restando vittima di uno scambio di persona, ” dovrebbe essere dovunque, tranne che in un CPR: a dimostrazione, ancora una volta, degli abusi perpetrati che stanno raggiungendo livelli impressionanti di repressione arbitraria, soprattutto in seguito al introduzione del Decreto legge Salvini”. Si tratta di situazioni di grave ed arbitraria compressione dei diritti di difesa che vanno denunciati all’Autorità garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale.
La precedente normativa italiana precludeva l’accesso alla procedura a chi era stato condannato per i reati previsti dall’articolo 380, comma 1 e 2 del Codice di Procedura Penale. La suddetta causa ostativa non è più in vigore.
La valutazione sulla inammissibilità alla procedura rispetto ai reati e crimini gravi non può essere effettuata dalla Questura che riceve la domanda ma deve essere effettuata dalla Commissione territoriale competente.
Nel 2017 la Corte di cassazione ha affermato che il provvedimento di espulsione dello straniero, disposto ai sensi del Testo Unico all’art. 15, l’espulsione a titolo di misura di sicurezza in materia di stupefacenti, è ineseguibile qualora sussista serio rischio che il soggetto espulso venga sottoposto nel Paese di origine alla pena di morte, ovvero a trattamenti inumani o degradanti, precisando l’irrilevanza, a tal fine, della valutazione relativa alla gravità del reato ed alla pericolosità sociale”.(così Corte di Cassazione sez. penale, sentenza n. 49242/17 del 26 ottobre 2017)
Secondo il Giudice di pace di Milano,“per procedere all’espulsione di un cittadino straniero è necessaria la verifica della regolarizzabilità dello straniero e dell’inesistenza di un divieto di espulsione previsto dalla normativa (Corte Cost. 369/99 e 226/04). Un divieto di espulsione è quello previsto dall’art. 19 comma 1 del T.U. a mente del quale non può disporsi l’espulsione verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione.. ( Giudice di Pace di Milano, ordinanza del 15 settembre 2017)

6. Si deve comunque prendere atto che le ultime modifiche normative introdotte con il “decreto sicurezza”n. 113/2018, poi convertito a dicembre nella legge n.132/2018, hanno fortemente ridotto le garanzie di difesa a favore dei richiedenti asilo che abbiano riportato condanne penali, con una norma, l’art. 10 della legge n.132 che dovrà essere portata al vaglio della Corte Costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché, su ricorsi individuali, davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E infatti concreto il rischio che per effetto di valutazioni discrezionali dell’autorità amministrativa, o dei suoi vertici politici, persone che hanno subito lievi condanne in Italia possano essere espulse in paesi dove rischiano la vita o possono subire torture o trattamenti disumani o degradanti.
Il nuovo articolo 10 della legge 132 del 2018 (già decreto sicurezza 113/2018) prevede i casi di procedimento immediato innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale apportando modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, dove all’articolo 32, dopo il comma 1, e’ inserito il seguente:
«1-bis. Quando il richiedente e’ sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a), b), e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero e’ stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, il questore, salvo che la domanda sia gia’ stata rigettata dalla Commissione territoriale competente, ne da’ tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente, che provvede nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotta contestuale decisione, valutando l’accoglimento della domanda, la sospensione del procedimento o il rigetto della domanda. Salvo quanto previsto dal comma 3, in caso di rigetto della domanda, il richiedente ha in ogni caso l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso avverso la decisione della Commissione. A tal fine si provvede ai sensi dell’articolo 13, commi 3, 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»;
b) all’articolo 35-bis, comma 5, le parole «ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera b)» sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera b), nonche’ del provvedimento adottato nei confronti del richiedente per il quale ricorrono i casi e le condizioni di cui all’articolo 32, comma 1-bis. Quando, nel corso del procedimento giurisdizionale regolato dal presente articolo, sopravvengono i casi e le condizioni di cui all’articolo 32, comma 1-bis, cessano gli effetti di sospensione del provvedimento impugnato gia’ prodotti a norma del comma 3.».
La Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha sede a Lussemburgo, con una decisione che fa stato anche all’interno dell’ordinamento italiano, e che le autorità di polizia sono tenute a rispettare, premesso che il diritto dell’Unione garantisce una protezione più ampia di quella prevista dalla Convenzione di Ginevra, ha deciso che “il diritto alla protezione non può mai decadere del tutto, anche in presenza di fatti gravi, se il migrante rischia la vita o la persecuzione una volta rimandato nello stato di origine”.
Si tratta di una sentenza importante della Corte di Giustizia UE, da leggere per intero, che ha valore vincolante nell’ordinamento italiano e che si trova in contrasto con le più recenti disposizioni del decreto sicurezza 113/2018, convertito nella legge 132/2018, che permettono l’espulsione del richiedente asilo prima che questi abbia potuto esercitare effettivamente i suoi diritti di difesa, in particolare con riferimento all’applicazione dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e delle altre disposizioni nazionali, europee ed internazionali che costituiscono cause impeditive dell’allontanamento forzato nel paese di origine.
Il principio di gerarchia delle fonti, che colloca al vertice le norme costituzionali, i Regolamenti europei e le sentenze della Corte di Giustizia UE risulta di fondamentale importanza vista la deriva nazional-populista del nostro legislatore. Da opporre contro tutte le prassi espulsive illegittime e le norme aberranti inserite nei decreti sicurezza imposti dalla lega ad un Parlamento che si piega a continue violazioni del dettato costituzionale e delle normative europee ed internazionali.
Occorre anche garantire la possibilità di un ricorso effettivo alla Corte europea dei diritti dell’Uomo al giovane eritreo, che adesso, malgrado abbia presentato istanza di protezione internazionale, si trova in stato di trattenimento da parte della polizia italiana in vista di un suo allontanamento forzato. Se il Tribunale di Caltanisseta convalidera’ il trattenimento amministrativo nel centro di permanenza per i rimpatri di Pian del Lago, si dovra’ presentare un ricorso in via d’urgenza alla Corte di Strasburgo, ai sensi dell’art.39 del regolamento di procedura, perchè non siano violati gli articoli 3, 5 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. I precedenti non mancano.
La richiesta d’asilo blocca sempre l’espulsione per il periodo necessario ad esaminare la domanda. E non può essere un ostacolo il fatto che l’istanza sia stata presentata dopo l’emissione del provvedimento di espulsione: ferma restando la possibilità, se ci sono altri presupposti, di disporre il trattenimento in un Cpr. Purtroppo questi principi non impediscono che le forze di polizia mettano comunque in esecuzione provvedimenti di espulsione potenzialmente lesivi del diritto di non subire trattamenti disumani o degradanti vietati dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo (art.3 della CEDU).
La Corte di cassazione (ordinanza 19819/2018) ha infatti annullato l’ordinanza con la quale il giudice di pace convalidava il provvedimento di rimpatrio del prefetto, così statuendo ” Il ricorso, con cui si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7, è fondato. 3. In base a tale norma, infatti, chi abbia proposto domanda di asilo è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fino alla decisione della commissione territoriale sulla domanda (pur con la salvezza delle ipotesi di cui al comma 2, del citato art. 7 non ravvisate, però, nella specie). Ed, infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenza 30 maggio 2013, C-534/11, Arslan (/giurisprudenza/sentenza/5041)) secondo cui: a) l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con il considerando 9 di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1 dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e ciò durante il periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all’esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione; b) la direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, e la direttiva 2005/85 non ostano a che il cittadino di un paese terzo, che abbia presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85 dopo che sia stato disposto il suo trattenimento ai sensi dell’art. 15 della direttiva 2008/115, continui ad essere trattenuto in base ad una norma del diritto nazionale qualora appaia, in esito ad una valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti, che tale domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della decisione di rimpatrio e che è oggettivamente necessario che il provvedimento di trattenimento sia mantenuto al fine di evitare che l’interessato si sottragga definitivamente al proprio rimpatrio. Il riferimento al “periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità… che si pronuncia su tale domanda”, da una parte, e la possibilità di disporre il trattenimento del richiedente, sottoposto a procedure di rimpatrio ed allontanamento (art. 15 della Direttiva 2008/115), in ipotesi di ritenuta presentazione strumentale da parte sua della domanda di protezione inducono a concludere che il principio, secondo cui il richiedente asilo ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato in pendenza di esame di tale sua domanda, non soffra eccezione allorché la stessa sia stata presentata dopo l’emissione di provvedimento di espulsione, ferma restando la possibilità, in concorso con gli altri presupposti, di disporre il suo trattenimento.
7 Altri arresti arbitrari ed errori giudiziari potrebbero ripetersi, ed altri innocenti potrebbero essere condannati al carcere e a trattamenti inumani o degradanti. Ancora peggio, potrebbero essere rimandati sotto tortura nei paesi di origine. Va bloccata la norma del decreto sicurezza bis (DL. 53/2019) che, allo scopo di facilitare i rimpatri, prevede l’invio in Italia di agenti di polizia “sotto copertura”, provenienti da paesi terzi. Senza alcuna garanzia che questi paesi rispettino i diritti umani.
La legalità si afferma con la legalità, senza espedienti di polizia ed artifici processuali che cancellano lo stato di diritto. Rimane intanto in libertà un pericoloso criminale, che continua a gestire i propri traffici da paesi limitrofi al Sudan ed alla Libia, come l’Uganda. Conferma del fallimento delle politiche migratorie basate sulla repressione, sullo sbarramento delle frontiere e sulle misure penali, che al di fuori dei confini europei hanno ben poche possibilità di avere un impatto effettivo sul contrasto dell’immigrazione irregolare.
Art. 6 Legge 142 2015
Trattenimento
1. Il richiedente non puo’ essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda.
2. Il richiedente e’ trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla base di una valutazione caso per caso, quando:
a) si trova nelle condizioni previste dall’articolo 1, paragrafo F della Convenzione relativa allo status di rifugiato, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata con la legge 24 luglio 1954, n. 722, e modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con la legge 14 febbraio 1970, n. 95;
b) si trova nelle condizioni di cui all’articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e nei casi di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155;
c) costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica. Nella valutazione della pericolosita’ si tiene conto di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti indicati dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti agli stupefacenti, alla liberta’ sessuale, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita’ illecite;
d) sussiste rischio di fuga del richiedente. La valutazione sulla sussistenza del rischio di fuga e’ effettuata, caso per caso, quando il richiedente ha in precedenza fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalita’ al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione ovvero non ha ottemperato ad uno dei provvedimenti di cui all’articolo 13, commi 5, 5.2 e 13, nonche’ all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 3. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, il richiedente che si trova in un centro di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di espulsione ai sensi degli articoli 13 e 14 del medesimo decreto legislativo, rimane nel centro quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda e’ stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione.
4. Lo straniero trattenuto nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, riceve, a cura del gestore, le informazioni sulla possibilita’ di richiedere protezione internazionale. Al richiedente trattenuto nei medesimi centri sono fornite le informazioni di cui all’articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, con la consegna dell’opuscolo informativo previsto dal medesimo articolo 10.
5. Il provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento e’ adottato per iscritto, corredato da motivazione e reca l’indicazione che il richiedente ha facolta’ di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al Tribunale in composizione monocratica competente alla convalida. Il provvedimento e’ comunicato al richiedente nella prima lingua indicata dal richiedente o in una lingua che ragionevolmente si suppone che comprenda ai sensi dell’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni. Si applica, per quanto compatibile, l’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, comprese le misure alternative di cui al comma 1-bis del medesimo articolo 14. Quando il trattenimento e’ gia’ in corso al momento della presentazione della domanda, i termini previsti dall’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si sospendono e il questore trasmette gli atti al tribunale in composizione monocratica per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, per consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda.
6. Il trattenimento o la proroga del trattenimento non possono protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 28-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, come introdotto dal presente decreto, salvo che sussistano ulteriori motivi di trattenimento ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Eventuali ritardi nell’espletamento delle procedure amministrative preordinate all’esame della domanda, non imputabili al richiedente, non giustificano la proroga del trattenimento.
7. Il richiedente trattenuto ai sensi dei commi 2 e 3 che presenta ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, e successive modificazioni, rimane nel centro fino all’adozione del provvedimento di cui agli articoli 5 e 19, comma 5, del medesimo decreto legislativo, nonche’ per tutto il tempo in cui e’ autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale proposto.
8. Ai fini di cui al comma 7, il questore chiede la proroga del trattenimento in corso per periodi ulteriori non superiori a sessanta giorni di volta in volta prorogabili da parte del tribunale in composizione monocratica, finche’ permangono le condizioni di cui al comma 7. In ogni caso, la durata massima del trattenimento ai sensi dei commi 5 e 7 non puo’ superare complessivamente dodici mesi.
9. Il trattenimento e’ mantenuto soltanto finche’ sussistono i motivi di cui ai commi 2, 3 e 7. In ogni caso, nei confronti del richiedente trattenuto che chiede di essere rimpatriato nel Paese di origine o provenienza e’ immediatamente adottato o eseguito il provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’articolo 13, commi 4 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. La richiesta di rimpatrio equivale a ritiro della domanda di protezione internazionale.
10. Nel caso in cui il richiedente e’ destinatario di un provvedimento di espulsione da eseguirsi con le modalita’ di cui all’articolo 13, commi 5 e 5.2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il termine per la partenza volontaria fissato ai sensi del medesimo articolo 13, comma 5, e’ sospeso per il tempo occorrente all’esame della domanda. In tal caso il richiedente ha accesso alle misure di accoglienza previste dal presente decreto in presenza dei requisiti di cui all’articolo 14.
Legge 132 2018 , gia’ Decreto sicurezza 113/2018
Art. 10
Procedimento immediato innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale
1. Al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono apportate le seguenti modificazioni:
0a) all’articolo 32, comma 1, dopo la lettera b-bis) e’ aggiunta la seguente:
«b-ter) rigetta la domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi, puo’ legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si puo’ ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca;»;
a) all’articolo 32, dopo il comma 1, e’ inserito il seguente:
«1-bis. Quando il richiedente e’ sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a), b), e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero e’ stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, il questore, salvo che la domanda sia gia’ stata rigettata dalla Commissione territoriale competente, ne da’ tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente, che provvede nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotta contestuale decisione, valutando l’accoglimento della domanda, la sospensione del procedimento o il rigetto della domanda. Salvo quanto previsto dal comma 3, in caso di rigetto della domanda, il richiedente ha in ogni caso l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso avverso la decisione della Commissione. A tal fine si provvede ai sensi dell’articolo 13, commi 3, 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»;
b) all’articolo 35-bis, comma 5, le parole «ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera b)» sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera b), nonche’ del provvedimento adottato nei confronti del richiedente per il quale ricorrono i casi e le condizioni di cui all’articolo 32, comma 1-bis. Quando, nel corso del procedimento giurisdizionale regolato dal presente articolo, sopravvengono i casi e le condizioni di cui all’articolo 32, comma 1-bis, cessano gli effetti di sospensione del provvedimento impugnato gia’ prodotti a norma del comma 3.».
Dal sito Cedu . Come ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’Uomo
Misure provvisorie Ex art.39
Informazioni pratiche. Cosa sono le misure provvisorie ?
Alla ricezione di un ricorso, la Corte può chiedere allo Stato di adottare alcune misure nell’attesa che si possa pronunciare sul caso. Nella maggior parte dei casi, la Corte chiede allo Stato di astenersi dal fare qualcosa, come ad esempio dal trasferire una persona nel suo Paese d’origine laddove ritenga che rischierebbe la morte o la tortura.
Le misure provvisorie vengono accordate dalla Corte unicamente in presenza di condizioni ben precise, laddove rischiano di verificarsi delle gravi violazioni della Convenzione. Gran parte delle domande di misure provvisorie sono rigettate in quanto risultano essere inappropriate.
Come contattare la Corte:
La Corte ha istituito un numero di fax speciale riservato all’invio delle domande di misure provvisorie: +33 (0)3 88 41 39 00
+33 (0)3 90 21 43 50
Si noti che il mancato utilizzo di questo numero potrebbe comportare un ritardo nell’esame della richiesta, in particolar modo durante le ferie. Pertanto, si prega di voler utilizzare il numero sopra indicato per tutta la corrispondenza relativa alle misure provvisorie.
Orario di ricezione di fax e corrispondenza:
• Dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 16.00*
• Di norma, le domande inviate dopo le ore 16.00 non potranno essere prese in considerazione il giorno stesso (giorni festivi).
Le domande dovranno essere formulate nella maniera più completa e concisa possibile. Tuttavia, per i fax superiori a 10 pagine, se ne raccomanda l’invio scaglionato al fine di garantire le migliori condizioni di ricezione e di trattamento.
Specificare in grassetto sulla prima pagina del documento: “Rule 39. Urgent” Persona da contattare (nome e contatti personali):…In caso di espulsione o estradizione:
Allontanamento previsto per il (data, ora e destinazione): …
Fornire una richiesta motivata, precisa e completa.
Le domande di misure provvisorie devono essere sottoposte alla Corte con il consenso del ricorrente ed essere preferibilmente corredate da un formulario di ricorso debitamente
compilato. Se la domanda viene introdotta da un rappresentante, un formulario di procura
dovrà essere compilato e inviato immediatamente o nei giorni successivi.
Allegare una copia di tutte le decisioni relative alla domanda, in particolare quelle degli organi giurisdizionali, delle commissioni o delle altre autorità interne.
Allegare una copia di tutti gli altri documenti atti a corroborare le argomentazioni sottoposte all’attenzione della Corte.
Dopo l’introduzione delle domande
Una volta introdotta la domanda di misure provvisorie, il ricorrente o il suo rappresentante sono invitati a seguirne il trattamento. In particolare, è fondamentale informare immediatamente la Corte di una qualsiasi modifica amministrativa dello status del ricorrente (ad esempio, ottenimento di un permesso di soggiorno o rientro nel paese
d’origine). Spetta altresì al rappresentante del ricorrente prendere l’iniziativa d’informare rapidamente la Corte nel caso in cui non dovesse più avere contatti con il suo cliente.
Un’ espulsione come colpo di spugna su un errore giudiziario ?
L’uomo estradato nel 2016 dal Sudan con grande risalto mediatico non era Medhanie Yedhego Mered conosciuto e ricercato come il “generale”, ma Medhanie Tesfamariam Berhe, un profugo eritreo di 32 anni che si trovava a Khartoum per cercare salvezza in Europa per sé e per i propri parenti. Dopo l’arresto eseguito dalla polizia sudanese in collaborazione con agenti inglesi ed italiani, un arresto seguito da percosse durante i primi interrogatori, ed il trasferimento in Italia, è rimasto quasi tre anni in carcere a Palermo. Ma quando i giudici ne hanno disposto la scarcerazione la beffa più atroce. Su disposizione della questura di Palermo è stato applicato il decreto sicurezza (L.132/2018) “considerato che dalle condotte tenute è possibile desumere la pericolosità sociale del cittadino”. Lunedì 15 luglio prossimo il tribunale di Caltanissetta deciderà se convalidare la richiesta di trattenimento al centro di Pian del Lago o se liberare l’eritreo in attesa del provvedimento sulla richiesta di asilo politico già presentata tramite il suo legale a Palermo.
Ci sono volute decine di udienze e adesso la sentenza della Corte d’assise di Palermo, per fare giustizia di un arresto arbitrario nel Sudan di Bashir. L’ordinanza, emessa con la sentenza della Corte di Assise di Palermo, ha confermato lo scambio di persona e ha restituito all’imputato la sua vera identità.Durante il processo, è emerso quanto sia a rischio in Italia la presunzione di innocenza, sancita dall’art. 27 della Costituzione. Anche la sentenza, in qualche modo, accerta lo scambio di persona, ma sembra rìtenere che un profugo eritreo a Khartoum nel 2016, che cercava una soluzione per mettere in sicurezza i parenti, e farli arrivare in Europa, sia comunque responsabile del reato di agevolazione dell’ingresso di “clandestini”.Da questo assunto, che sarà oggetto di appello da parte della difesa, il provvedimento di espulsione e la “pericolosità sociale” desunta dalla questura in assenza di altri elementi. La prefettura e la questura di Palermo sembrano quindi pronte a predisporre misure di allontanamento forzato dal territorio dello stato, per eliminare le tracce di un così grave errore giudiziario.
Qualunque misura di espulsione sarebbe in contrasto con l’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. La vicenda tutta di Medhanie Tesfamariam Behre, gli arresti a Khartoum, le torture subite durante i primi interrogatori da parte della polizia sudanese, la pubblicità del suo caso, il processo intentato nei suoi confronti ma solo perché ritenuto essere un’altra persona, la lunga carcerazione preventiva, lo rendono oggettivamente un soggetto vulnerabile al quale va riconosciuta la protezione internazionale. Nessuna autorità di polizia italiana ha il potere di eseguire nei suoi confronti una espulsione con accompagnamento coattivo in frontiera.
Secondo quanto rilevato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite per l’Eritrea, malgrado l’avvio del processo di pace con l’Etiopia, le violazioni dei diritti umani continuano a caratterizzare il regime di Afewerky. le autorità eritree non hanno ancora avviato un processo di riforme interne e la situazione dei diritti umani rimane invariata. Nella presente relazione, il Relatore speciale individua le aree chiave che rimangono irrisolte e stabilisce parametri di riferimento per conseguire progressi significativi e duraturi nei diritti umani.”
Non si possono eseguire dunque respingimenti ed espulsioni con accompagnamento forzato verso l’Eritrea, e rimane priva di basi legali qualunque misura di trattenimento in un centro di permanenza per i rimpatri ( CPR), come quello di Pian del Lago a Caltanissetta, dove questa notte e’ stato portato dalla polizia il giovane eritreo scarcerato a Palermo dopo essere stato scambiato per tre anni con il trafficante Mered, il Generale.
Le ultime modifiche normative introdotte con il “decreto sicurezza”n. 113/2018, poi convertito a dicembre nella legge n.132/2018, hanno fortemente ridotto le garanzie di difesa a favore dei richiedenti asilo che abbiano riportato gravi condanne penali, con una norma, l’art. 10 della legge n.132 che dovrà essere portata al vaglio della Corte Costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché, su ricorsi individuali, davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E infatti concreto il rischio che per effetto di valutazioni discrezionali dell’autorità amministrativa, o dei suoi vertici politici, persone che hanno subito lievi condanne in Italia possano essere espulse in paesi dove rischiano la vita o possono subire torture o trattamenti disumani o degradanti.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea,con una decisione che fa stato anche all’interno dell’ordinamento italiano, e che le autorità di polizia sono tenute a rispettare, premesso che il diritto dell’Unione garantisce una protezione più ampia di quella prevista dalla Convenzione di Ginevra, ha deciso che “il diritto alla protezione non può mai decadere del tutto, anche in presenza di fatti gravi, se il migrante rischia la vita o la persecuzione una volta rimandato nello stato di origine”. Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ” fintanto che il cittadino di un paese extra-UE o un apolide abbia un fondato timore di essere perseguitato nel suo paese di origine o di residenza, questa persona dev’essere qualificata come rifugiato ai sensi della direttiva e della Convenzione di Ginevra e ciò indipendentemente dal fatto che lo status di rifugiato ai sensi della direttiva le sia stato formalmente riconosciuto.
Questa importante sentenza risulta in contrasto con le più recenti disposizioni del decreto sicurezza 11372918, convertito nella legge 132/2018, che permettono l’espulsione del richiedente asilo prima che questi abbia potuto esercitare effettivamente i suoi diritti di difesa, in particolare con riferimento all’applicazione dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e delle altre disposizioni nazionali, europee ed internazionali che costituiscono cause impeditive dell’allontanamento forzato nel paese di origine. Altri arresti arbitrari ed errori giudiziari potrebbero ripetersi, ed altri innocenti potrebbero essere condannati al carcere e a trattamenti inumani o degradanti. Ancora peggio, potrebbero essere rimandati sotto tortura nei paesi di origine.
I giudici italiani che affronteranno il caso di Medhanie non potranno ignorare la portata vincolante della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In alternativa si dovranno sollevare le questioni di costituzionalità relative a quelle parti del primo decreto sicurezza (Legge n.132/2018) che risultano in contrasto con gli articoli 10, 13, 24,27 e 117 della Costituzione.
Va anche bloccata la norma del decreto sicurezza bis (DL. 53/2019) che, allo scopo di facilitare i rimpatri, prevede l’invio in Italia di agenti di polizia “sotto copertura”, provenienti da paesi terzi. Senza alcuna garanzia che questi paesi rispettino i diritti umani. La legalità si afferma con la legalità, senza espedienti di polizia ed artifici processuali che cancellano lo stato di diritto. Mentre si cerca di espellere un innocente, rimane in libertà un pericoloso criminale, che continua a gestire i propri traffici da paesi limitrofi al Sudan ed alla Libia, come l’Uganda. Conferma del fallimento delle politiche migratorie basate sulla repressione, sullo sbarramento delle frontiere e sulle misure penali, che al di fuori dei confini europei hanno ben poche possibilità di avere un impatto effettivo su quel gigantesco terreno di propaganda che si definisce come contrasto dell’immigrazione irregolare.
Chiediamo l’immediata liberazione di Medhanie Tesfamariam Berhe. Medhanie è INNOCENTE.
ADIF (associazione Diritti e Frontiere); Campagna LasciateCIEntrare, Rete Antirazzista Catanese
Adesioni:
Osservatorio della Solidarietà della Carta di Milano
Forum Antirazzista di Palermo
Borderline Sicilia
Comitato No Muos di Palermo
Progetto Meltingpot Europa
Legal Team Italia
Yairaiha ONLUS
Associazione Bianca Guidetti Serra
Movimento Antipenale
Osservatorio Repressione
Comitato NoMuos/NoSigonella-Catania
Cobas Scuola-Catania
Carovane Migranti
Africa Unita
COSMI (Comitato Solidarietà MIgranti)
CSC Nuvola Rossa
Alterego-Fabbrica dei Diritti
Carovana Abriendo Fronteras
Rete dei Comuni Solidali
MAIPIU’ Lager- No Ai CPR
Africa Express
Adesioni individuali:
Paolo Cuttitta, Nicoletta Campisi, Antonella Bartoli, Alessandra Sciurba. Marica Di Pierro, Alessandra Puccio, Daniele Moretto, Diego Bonsangue, Letizia Gullo, Maria Teresa Sciacca, Antonia Cassara’, Davide Ficarra, Marinella Palmeri, Cristina Siddiolo, Marco Negri, Elena Consiglio, Clelia Bartoli, Lisa Caputo, Gaetano La Rosa, Michele Castiglia, Anna Staropoli, Laura Bondi’, Giuseppe Burgio, Davide Ricco, Mohammed Hossein Firozy Bandpey, Ibrahim Tigany, Bounama Kone, Giana Guaiana, Giulia Crisci, Roberta Lo Bianco,Andrea Ghia, Marta Zardini; Giulietta Savitri Mondini,Maria Ragonese, Fausto Melluso.
Negli ultimi anni i paesi confinanti con l’Eritrea hanno attivamente contribuito a violare i diritti umani delle persone di nazionalita’ eritrea fuggite nei loro territori. Ad esempio, secondo le COI, “nel maggio 2016 il Sudan ha condotto circa 400 Eritrei in patria attraverso il confine nazionale (cfr. cap. 3.4). Successivamente a questo rimpatrio, l’analisi sui paesi SEM ha chiesto per mail ad alcuni interlocutori ad Asmara quale fosse la sorte riservata a queste persone. Gli interlocutori non disponevano di nessuna informazione di prima mano. Davano tuttavia per acquisito che i rimpatriati fossero stati dapprima arrestati e successivamente trattati conformemente al loro statuto sotto il profilo del servizio nazionale. Presumevano pertanto che i disertori fossero stati restituiti alle loro unità e i renitenti alla leva incarcerati o direttamente integrati nel servizio nazionale. Questi testimoni ritenevano invece che i civili e probabilmente anche i minorenni fossero stati rilasciati (173).”
Eritrea has slashed conscription. Will it stem the flow of refugees?
“Eritrea is still a country facing enormous human rights violations. According to the last Freedom House report, the Eritrean government has made no recent effort to address these. The report accuses the regime of continuing to perpetrate crimes against humanity.”
UN Rapporteur: Eritrea Exodus Will Continue in Absence of Reforms
By Lisa Schlein
July 2, 2019 09:50 AM
Da opporre contro tutte le norme aberranti inserite nei decreti sicurezza imposti dalla lega ad un Parlamento che si piega a continue violazioni del dettato costituzionale e delle normative europee ed internazionali.