Strage di migranti a Tripoli, assolto il soccorso umanitario, dal Viminale ancora minacce contro i giudici.

di Fulvio Vassallo Paleologo

Aggiornato alle ore 19 di mercoledì 3 luglio

1.Il governo italiano si è spaccato da tempo sulla definizione della Libia come paese terzo sicuro, dopo avere rinforzato la collaborazione con la sedicente guardia costiera “libica” nelle attività di intercettazione dei migranti in mare. Persone riportate a terra per essere rigettate nelle mani di milizie colluse con i trafficanti. Mentre il ministro degli esteri Moavero Milanesi confermava che la Libia, nella sua attuale disgregazione territoriale, non poteva garantire “porti sicuri di sbarco”, tutte le scelte politiche e operative imposte dal ministro dell’interno, malgrado qualche contraddizione opportunistica, hanno anteposto al diritto alla vita dei migranti la protezione delle frontiere. Come se non fosse nota da tempo la sorte delle persone, uomini, donne, bambini, internati nei centri di detenzione libici, come se l’UNHCR e L’Alto Commissariato per diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, e quindi la Commissione Europea, non avessero raccomandato di evitare l’abbandono in mare, con i guardiacoste libici, che contribuivano di fatto ad eseguire, per conto dei paesi UE, respingimenti collettivi in acque internazionali.

Il ministro dell’interno si è congratulato in diverse occasioni con i libici per le operazioni di intercettazione in acque internazionali, ed ha basato l’intero impianto dei suoi decreti sicurezza, a dicembre ( L.132/2018) e poi a giugno (D.L. 53/2019) prima per impedire il riconoscimento della protezione umanitaria a chi fuggiva dall’inferno dei centri libici e poi per criminalizzare le organizzazioni non governative. In modo da bloccare, a totale discrezione del ministro, anche con i sequestri e la confisca delle navi, gli interventi di soccorso in alto mare e l’arrivo di potenziali richiedenti asilo.

I rapporti di collaborazione tra la guardia costiera libica e le autorità italiane ed europee stanno assumendo contorni sempre più torbidi. Come riferisce Andrea Palladino, “la notte tra il 26 e il 27 giugno, mentre la Sea Watch entrava nelle acque italiane, un gommone con 97 persone a bordo veniva intercettato da un motovedetta non ancora identificata, a sud di Lampedusa. L’equipaggio in arabo dichiarava ai naufraghi di essere di nazionalità italiana; poco dopo parte una raffica di mitra e con delle aste vengono bucati i tubolari del gommone. Una volta a bordo l’equipaggio, indossata la maschera antigas, spruzza una sostanza. Nel giro di due minuti tutti perdono i sensi; si sveglieranno ore dopo in Libia”.

In Libia, non solo nei centri di detenzione, dopo mesi di denunce sulla condizione di rischio vissuta dai migranti stretti tra due fuochi nel corso di una sanguinosa guerra civile, si continua a morire. Un bombardamento aereo la scorsa notte ha fatto strage in un centro di detenzione alla periferia di Tripoli.( Foto da Sara Creta)

L’attacco al centro di detenzione governativo di Tajoura, alla pariferia di Tripoli. che ha comportato la morte di almeno cento persone, oltre ad un numero ancora più elevato di feriti, sacrifica vite innocenti che avrebbero potuto essere salvate se si fosse anteposto il soccorso in mare alla difesa delle frontiere, se non si fossero ritirate le navi delle missioni Frontex, Eunavfor Med e Mare Sicuro, e se non si fosse interdetta, con la minaccia di sanzioni penali e amministrative, l’attività di ricerca e salvataggio delle Organizzazioni non governative. La criminalizzazione delle ONG dall’Italia arriva ad uccidere in Libia,la maggior parte delle navi umanitarie è stata bloccata, anche se molte indagini sono state archiviate.

Il bombardamento aereo di Tripoli è stato diretto contro un centro nel quale la Guardia costiera libica rigetta i naufraghi intercettati in mare dalle motovedette assistite dalle autorità italiane. Un vero e proprio crimine di guerra, come denuncia Amnesty International. Quali che siano le milizie che hanno bombardato, questo attacco costituisce la pietra tombale sugli accordi tra Italia e Libia (o quello che ne rimane, in assenza di un unica autorità di governo e di una guerra civile in corso). Sarebbe tempo che i partiti che hanno sostenuto quegli accordi, ed oggi criticano il governo, facessero chiarezza al proprio interno e condividessero l’esigenza imprescindibile di sospendere qualunque accordo con il governo di Tripoli, cancellando la finzione della cd. zona SAR libica.. Una zona di ricerca e soccorso che esiste solo grazie al supporto ed al coordinamento della missione italiana Nauras, assistita dalle attività di avvistamento aereo e dai sistemi di controllo satellitare europei (Frontex ed EunavforMed). Una questione che sarà affrontata anche dai Tribunali internazionali. In ogni caso non ci potranno essere soluzioni a livello nazionale. Mentre il governo italiano e la maggioranza confermano ancora il supporto alla Guardia costiera libica, occorre lanciare al più presto una grande missione internazionale di evacuazione dalla Libia, come chiede anche l’UNHCR, ripristinando le operazioni di soccorso umanitario in acque internazionali.

2. Le bombe sul centro di detenzione di Tajoura cadono nel momento in cui il Tribunale di Agrigento, con l’ordinanza che nega la convalida degli arresti di Carola Rackete, riafferma il principio di legalità, restituendo dignità al diritto internazionale ed ai diritti umani, nel quadro normativo delineato dalla nostra Carta costituzionale. Le motivazioni addotte dal Giudice per le indagini preliminari di Agrigento chiariscono che il soccorso in acque internazionali va distinto dal trasporto di clandestini, al contrario di quanto sostenuto dal ministro dell’interno. L’ordinanza del Gip di Agrigento afferma anche che il cd. decreto sicurezza bis non è applicabile alle ONG che hanno salvato vite umane in alto mare.

Il giudice, in sostanza, ritiene inapplicabile il decreto sicurezza bis: “Ritiene questo giudice che nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch 3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di ‘porti chiusi’ o il provvedimento del ministro degli Interni di concerto con il ministero della Difesa e delle Infrastrutture che faceva divieto di ingresso, transito e sosta alla nave, nel mare nazionale, trattandosi peraltro solo di divieto sanzionato da sanzione amministrativa”. Il reato di resistenza a pubblico ufficiale deve ritenersi “scriminato per avere agito l’indagata in adempimento di un dovere”. Il dovere di soccorso dei naufraghi” non si esaurisce con la mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione al porto sicuro più vicino”.

Si tratta di una pronuncia importante, che non chiude però la fase di criminalizzazione delle attività umanitarie in favore dei migranti in fuga dalla Libia, perchè nel senso comune degli italiani sembra prevalere il capovolgimento del principio di realtà e la negazione dello stato di diritto. La procura della Repubblica ha poi negato l’autorizzazione richiesta dal prefetto di Agrigento che ha adottato un decreto di espulsione della comandante Carola Rackete, come ordinato dal ministro dell’interno. Davvero una brutta giornata per il titolare del Viminale che ha scaricato la sua rabbia nei suoi interventi alla camera, oltre che sui tradizionali canali social.

Va rilevato come anche il procuratore di Agrigento, nel corso di una audizione in Parlamento, abbia ribadito come la Libia non garantisca porti sicuri di sbarco e come dunque non siano legittimi gli ordini di riconsegna dei naufraghi alla sedicente guardia costiera libica. Lo stesso procuratore ha poi escluso qualsiasi coinvolgimento delle ONG nel traffico di migranti. Il ministro dell’interno rinnova invece i suoi attacchi contro gli operatori umanitari accusati di collusione con i trafficanti. Salvini non può continuare ad aizzare i suoi sostenitori contro gli operatori umanitari ed i cittadini solidali, e non può svolgere le sue funzioni pubbliche diffamando le Organizzazioni non governative che operano soccorsi in mare e salvano vite umane.

La battaglia per riaffermare la legalità costituzionale, per salvaguardare il diritto di asilo, per ribadire il diritto al soccorso in mare ed i conseguenti obblghi degli stati, sarà lunga e difficile. Ed ogni soccorso in mare diventa occasione di speculazione politica anche quando è ormai evidente che non esiste una vera emergenza per quanto concerne gli arrivi dalla Libia. Semmai è la Libia ed altri paesi subsahariani che versano in una condizione di emergenza militare, politica e climatica. In Italia si assiste dunque ad un ribaltamento dei fatti, per ottenere una giustizia sommaria, come è successo con la storia dello speronamento della motovedetta della guardia di finanza, e della “resistenza” che si sarebbe frapposta quando la Sea Watch 3 tentava di raggiungere il porto di Lampedusa per sbarcare naufraghi, non clandestini, come prescritto dal diritto internazionale.

Oggi alla Camera Nicola Fratoianni, di Liberi e Uguali, ha pesantemente attaccato Salvini sulla Sea Watch durante un’interrogazione parlamentare: “Perché, nonostante fosse stato da ore annunciato e raggiunto un accordo internazionale per accogliere i profughi della Sea Watch (51 comuni della Germania avevano dato la loro disponibilità, così come la diocesi di Torino) e la Libia non è un porto sicuro, lei ministro non ha autorizzato lo sbarco? Chi ha ordinato a quella motovedetta della Guardia di Finanza di porsi tra la banchina e la Sea Watch, mettendo a rischio la sicurezza della motovedetta?” ha chiesto il deputato ex Sinistra Italiana.”. Le parole del Ministro sono state accolte da risate e applausi, poi Salvini ha continuato: “Per la mattina successiva era già stato autorizzato lo sbarco, quindi è inammissibile l’atto criminale di chi sulla pelle dei finanzieri ha compiuto solo una sporca battaglia politica. Nè più né meno. Io rappresento l’autorità nazionale, piaccia o non piaccia. Finché sono ministro, entra chi ha il diritto di entrare. Quegli immigrati sarebbero sbarcati pacificamente la mattina dopo, se di notte non fosse stato commesso un atto di guerra, che spero come tale venga condannato”. 
Fratoianni, furibondo, ha replicato: “Se avesse autorizzato lo sbarco e fosse stato comunicato, la comandante non avrebbe ritenuto necessario entrare in porto. Nè lei né altre autorità ha annunciato che lo sbarco era stato autorizzato. La sentenza del gip di Agrigento segna una sconfitta per il suo cinismo, non c’è stata violazione perché la guardia di finanza non è una nave da guerra dentro le nostre acque territoriali”.

L’ordinanza del giudice di Agrigento rende giustizia all’operato della comandante della Sea Watch 3 e cancella, sulla base delle prove raccolte, le accuse lanciate dal ministro dell’interno e solo in parte recepite dal procuratore della Repubblica di Agrigento.

L’episodio del presunto speronamento della motovedetta della guardia di finanza nel porto di Lampedusa  viene ricondotto ai suoi termini reali.:“All’1 :40 circa, l’unità della Gdf V808 si dirigeva verso la banchina commerciale, cosi frapponendosi fra la detta banchina e la motonave, nel tentativo di impedire l’attracco della Sea Watch 3, che alle ore 01:45, durante le manovre di ormeggio presso la suddetta banchina, urtava l’unità della GDF V808 che, però, riusciva a sfilarsi e ad ormeggiare poco distante dalla nave”. Il Gip aggiunge che “le unità navali della Guardia di finanza sono considerate navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare”, al contrario nel caso della Sea Watch “la nave della Gdf indicata nell’atto di incolpazione operava nelle acque territoriali, all’interno del Porto di Lampedusa”. Quanto al reato di resistenza semplice pure contestato, questo viene assorbito dal riconoscimento di una specifica causa di giustificazione dettata dall’art.51 del codice penale in quanto la comandante Carola avrebbe sempre agito adempiendo i doveri di soccorso e di sbarco in un porto sicuro imposti dal diritto internazionale, come richiamato dagli articoli 10 e 117 della Costituzione.

Non fa dunque scandalo la mancata convalida dell’arresto del comandante della Sea Watch 3, quanto la reazione violenta del ministro dell’interno che è arrivato a parlare di un tentativo di omicidio di cinque finanzieri che sarebbe stato realizzato durante la manovra di avvicinamento della nave alla banchina di Lampedusa. Per non parlare della serie di insulti lanciati ad una donna, la comandante della Sea Watch 3 ,che si è limitata a compiere quanto prescritto dalle Convenzioni internazionali e da un minimo senso di umanità. Sono poi seguiti gli attacchi personali ad una giudice che ha avuto il solo torto di applicare la legge in conformità alla Costituzione ed alle Convenzioni internazionali. Una attività intimidatoria che è partita dal titolare del Viminale,e che poi è dilagata nel paese e sui social, sulla quale il Presidente della Repubblica non può continuare a tacere.

3. La campagna d’odio contro le ONG ha messo a rischio la sicurezza personale di chi è rimasto per giorni esposto alla gogna mediatica sulla base di accuse inventate per legittimare le scelte del ministro dell’interno. Che mente ancora oggi in parlamento, affermando che lo sbarco era stato autorizzato per l’indomani, già nella stessa sera dell’ingresso della Sea Watch 3 a Lampedusa, mentre nessuna notizia di tal genere era stata mai comunicata o resa altrimenti pubblica.

Nessuno sembra frenare la violenza verbale e le pesanti calunnie che caratterizzano gli interventi degli esponenti della lega. L’atteggiamento irridente del massimo esponente del Viminale alimenta una ventata di odio in rete che non ha precedenti. Al punto da coinvolgere i magistrati che hanno trattato il caso, il CSM ha aperto una pratica a tutela del GIP di Agrigento, offesa insieme alla comandante della Sea Watch 3. L’uso di twitter da parte del ministro dell’interno, che si avvale di uno staff comunicativo ben remunerato, supera ormai il limite del vilipendio della magistratura.

L’Associazione nazionale magistrati ha protestato con un documento durissimo per “il clima di odio e di avversione”alimentato da Salvini anche in questa ultima occasione. Hanno espresso solidarieta’ ai magistrati sotto attacco l’Anpi e numerose associazioni.

Adesso la magistratura dovrà indagare chi ha pesantemente offeso e minacciato Carola al momento del suo arresto a Lampedusa, dove la lega ha vinto le elezioni europee. Non sono mancati casi di vandalismo nei confronti di cttadini tedeschi in vacanza in Italia. Ma nel mirino ci sono tutti i cittadini solidali che si oppongono alla politica dei muri voluta dal ministro dell’interno.

Al di là delle singole decisioni dei giudici, si deve difendere lo stato di diritto dagli attacchi intimidatori di Salvini che minaccia di riformare la magistratura per garantirsi giudici che non contrastino le scelte politiche dell’esecutivo. E gia’ nell’immediato il ministro dell’interno lancia un appello alla magistratura perche’ si arrivi alla riforma della decisione della giudice delle indagini preliminari di Agrigento. Come se il titolare del Viminale fosse diventato anche titolare dell’azione penale in tutti i gradi di giudizio e in tutte le sedi giurusdizionali.

L’atteggiamento del ministro dell’interno alla Camera che si rivolge verso le forze di opposizione, con toni irrisori che offendono la dignità del Parlamento, rende bene la concezione che nutre della democrazia. La lega è riuscita persino a bloccare una audizione della Sea Watch 3, già programmata alla Camera, sull’esame del decreto legge sicurezza”bis”. Dopo questo veto le altre organizzazioni non governative hanno tenuto una conferenza stampa per denunciare gli abusi del ministro dell’interno nella gestione dello sbarco dei migranti soccorsi dalla comandante Carola e dal suo equipaggio, e la incostituzionalità di molte norme dell’ennesimo provvedimento sulla sicurezza (D.L. 53/2019) voluto da Salvini alla chiusura dell’ultima campagna elettorale.

Questo attacco alla democrazia passa attraverso la conversione, entro il prossimo 13 agosto, del decreto legge sicurezza”bis”, con il quale si vuole rimettere al ministero dell’interno, attraverso i prefetti e la guardia di finanza, il potere di creare gli elementi costitutivi delle fattispecie penali relative al soccorso in mare, in modo da vincolare poi i giudici a condannare coloro che si oppongono agli ordini di riconsegna dei naufraghi ai libici e di blocco dei porti italiani. La riforma della magistratura che viene oggi brandita come una minaccia, dopo l’ordinanza del giudice di Agrigento, nelle anticipazioni che sono state già fatte, mina in modo irreversibile il principio di separazione dei poteri e di indipendenza della magistratura, colpendo dunque le basi dello stato democratico in Italia.

Occorre una grande mobilitazione per bloccare il decreto legge 53/2019 che cancella il diritto/dovere al soccorso in mare, rimettendolo al potere discrezionale del Viminale, come vengono rimessi alla stessa discrezionalità del ministero diritti fondamentali sanciti per tutti, cittadini e stranieri, dalla Costituzione italiana. Attraverso il grimaldello delle campagne securitarie contro i migranti e le ONG, come con il decreto sicurezza”bis”, si sta producendo una involuzione autoritaria dello stato, con il concentramento di poteri enormi in capo al ministro dell’interno ed ai prefetti. Una scelta che la Corte Costituzionale ha già cercato di contrastare sul primo decreto sicurezza ( legge 132/2018).

Non c’è alcun allarme per l’arrivo dei migranti, dobbiamo temere invece per i diritti di libertà di tutti e per il futuro della democrazia italiana, sotto attacco, non solo da parte del governo gialloverde, ma anche a livello internazionale, dagli Stati Uniti di Trump e Bannon, sempre in giro in Europa, e dalla Russia di Putin. Una sfida per la democrazia che coinvolge oltre al nostro paese l’intera Unione Europea e qui, proprio sulle politiche migratorie, si giocheranno partite decisive, a partire dalla riforma del sistema Dublino. Una sfida quotidiana che coinvolge tutti, chi non si impegna oggi in prima persona rischia di perdere le libertà garantite dallo stato democratico e dunque la speranza di futuro anche per i propri figli.