Italia ed Unione Europea sotto accusa davanti ai tribunali internazionali.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1.Un pesante atto di accusa è stato depositato alla Corte Penale Internazionale da un gruppo di giuristi che hanno documentato le gravi violazioni del diritto internazionale ed europeo commesse dagli stati e dall’agenzia FRONTEX a partire dalla fine imposta all’operazione italiana MARE NOSTRUM nel dicembre del 2014. Ancora oggi un gommone carico di migranti sarebbe naufragato al largo della Libia, ad una cinquantina di miglia a nord di Garabulli. Lo scrive su Twitter la ong Sea Watch rilanciando una foto scattata dall’aereo Colibrì della ong “Pilotes Volontaires” in cui si vede un gommone semisgonfio e diverse persone in mare. Non si conosce ancora il numero delle vittime causato dalla lunga attesa dell’intervento della sedicente guardia costiera “libica”. I superstiti alla fine sono stati riportati a terra e rinchiusi nel centro di detenzione di Zawia. Si puo prevedere la fine terribile che faranno le persone riportate a terra, donne e minori compresi, di nuovo nelle mani dei carcerieri torturatori dai quali erano riusciti a fuggire. Per questi casi di respingimento, perche’ di questo si tratta, per effetto delle attivita’ di supporto alle motovedette libiche garantite da assetti aerei e navali europei, sono pendenti diversi ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

Nel sostegno italiano ed europeo alle milizie libiche e nelle attività di coordinamento, supporto e rifornimento della sedicente Guardia costiera “libica” si sono individuati e documentati veri e propri crimini contro l’umanità, di cui si sarebbero resi responsabili i vertici politici nazionali e i dirigenti delle agenzie europee che si sono occupate di “contrasto dell’immigrazione irregolare”. Punto di svolta dei rapporti tra Italia, Unione Europea e Libia ( meglio sarebbe parlare di governo di Tripoli) il Memorandum d’intesa sottoscritto il 2 febbraio 2017, poi recepito il giorno successivo dalla Riunione informale dei capi di stato o di governo europei riuniti a La Valletta (Malta).

I primi ministri italiani Matteo Renzi, Paolo Gentiloni. Il ministro dell’Interno Marco Minniti. E poi Matteo Salvini. Ma anche il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Sono questi i nomi che compaiono nelle 250 pagine che compongono l’esposto che verrà presentato alla Corte Penale internazionale dell’Aja dall’esperto di internazionale dell’Istituto di studi politici di Parigi, l’israeliano Omer Shatz, e dal giornalista franco-spagnolo Juan Branco, consigliere di WikiLeaks. L’accusa è di crimini contro l’umanità a seguito delle politiche migratorie dell’UE nel Mediterraneo centrale. In particolare — si legge nella denuncia di cui il Corriere ha avuto il testo in anteprima -«esternalizzando le pratiche di respingimento dei migranti in fuga dalla Libia alla Guardia costiera libica, pur conoscendo le conseguenze letali di queste deportazioni diffuse e sistematiche (40 mila respingimenti in 3 anni), gli agenti italiani e dell’UE si sono resi complici degli atroci crimini commessi contro nei campi di detenzione in Libia».

Secondo la denuncia, resa nota dal Corriere della sera, “«Attraverso un complesso mix di atti legislativi, decisioni amministrative e formali accordi, l’UE e i suoi Stati membri hanno fornito alla guardia costiera libica sostegno materiale e strategico, incluso ma non limitato a navi, addestramento e capacità di comando e controllo». Una decisione che avrebbe permesso agli Stati membri di aggirare il diritto marittimo e internazionale.

Il documento chiede un’azione punitiva sulla politica migratoria dell’UE basata dopo il 2014 sulla deterrenza, che presumibilmente “intendeva sacrificare la vita dei migranti in difficolta’ in mare, con l’unico obiettivo di dissuadere gli altri in situazioni simili dalla ricerca di un rifugio sicuro in Europa”. L’accusa e’ che funzionari e politici hanno consapevolmente creato la “via di migrazione piu’ letale del mondo”, con la conseguenza che oltre 12.000 persone hanno perso la vita. L’accusa di “crimini contro l’umanita'” si basa in parte su documenti interni di Frontex, l’organizzazione dell’UE incaricata di proteggere le frontiere esterne dell’Unione, che, dicono gli avvocati, ha avvertito che il passaggio dalla fortunata politica di salvataggio italiana di Mare Nostrum potrebbe portare a un “piu’ alto numero di vittime “. La denuncia sostiene che: “Per arginare i flussi migratori dalla Libia a tutti i costi… e al posto di operazioni di salvataggio e sbarco sicure come prescrive la legge, l’UE sta orchestrando una politica di trasferimento forzato nei campi di concentramento, come le strutture di detenzione (in Libia) dove vengono commessi crimini atroci”. Secondo l’atto di accusa inoltrato al Tribunale penale internazionale, “I funzionari dell’Unione europea e degli Stati membri avevano una conoscenza precoce e piena consapevolezza delle conseguenze letali della loro condotta”.

2. Già nel mese di dicembre del 2017, il Tribunale Permanente dei popoli, organismo della società civile, durante la sessione di Palermo, aveva condannato l’Italia e l’Unione Europea per “diversi livelli di responsabilità: innanzitutto quella dell’Unione europea e/o dello Stato italiano e poi quella di determinati esponenti istituzionali che hanno siglato accordi con fazioni libiche che hanno commesso e continuano a commettere atroci delitti nei confronti dei migranti (nei campi di detenzione e nelle fasi di trasporto in mare).
Tali responsabilità vanno distinte a seconda che riguardino complicità per le torture in Libia e i respingimenti verso la Libia ovvero le migliaia di migranti morti e scomparsi negli ultimi anni nel Mediterraneo!.
Secondo la sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli “Per le prime sono più agevolmente individuabili condotte dello Stato e degli individui di cooperazione consapevole nei crimini commessi in Libia (rappresentate quanto meno dalle forniture di risorse economiche e materiali). Si è così affermato”alla luce dei principi del diritto internazionale consuetudinario, che sussiste una responsabilità dello Stato a titolo di concorso nei crimini commessi dalle forze militari libiche a cui l’Italia presta assistenza finanziaria e strumentale”.

Per lo stesso Tribunale dei popoli, “Molto più complesso e tecnicamente arduo è incasellare nel diritto penale esistente il crimine di “lasciar morire in mare”, in cui la condotta illecita dei vertici istituzionali non consiste nell’avere tenuto delle condotte positive, ma in condotte omissive in presenza di un preciso dovere giuridico, nell’aver omesso di attivarsi in modo adeguato davanti a conseguenze tragiche che erano perfettamente prevedibili ed evitabili. Si tratta di complesse questioni e problemi che eventualmente affronteranno i competenti titolari dell’azione penale, a livello nazionale o internazionale. Per quanto interessa la nostra odierna competenza, in assenza di un univoco consenso sulla definizione di popolo, si rileva che i diritti dei popoli (per come indicati nella Carta di Algeri, che costituisce la base normativa di questo Tribunale) e attraverso tali diritti i popoli stessi, sono identificati essenzialmente dalle violazioni e dalle aggressioni, che derivano non soltanto da azioni ed omissioni imputabili a ben determinati soggetti, ma anche più in generale alla perdita di senso della politica a vantaggio del mercato, alla crescita abnorme delle disuguaglianze, all’esclusiva considerazione dei profitti con abbandono e compressione dei diritti umani, civili e sociali delle persone; dalle guerre e dai massacri subiti nell’incapacità inerte degli organismi internazionali; dalle devastazioni ambientali, di cui subiscono gli effetti soprattutto i popoli più poveri, provocate da uno sviluppo industriale privo di limiti e controlli; dalle atrocità e dalle tragedie, per tornare alla questioni di cui ci stiamo occupando, che si consumano quotidianamente nel Mediterraneo e attorno al Mediterraneo in danno dei migranti costretti a lasciare i loro paesi per guerra, fame e invivibilità ambientale. Si tratta di evidenti violazioni di diritti fondamentali, che non sempre sono qualificabili in una fattispecie di diritto penale né sempre imputabili, come le fattispecie penali richiedono, a soggetti determinati. Si tratta di aggressioni per le quali non è agevole configurare tutti i requisiti garantisti del diritto penale: dal principio della responsabilità personale al principio di determinatezza dei fatti punibili. Esse, per gli effetti devastanti sui diritti fondamentali di un numero indefinito di persone e di intere collettività costituiscono indubitabilmente crimini, che si possono definire “di sistema” perché costituiscono gli esiti violenti di meccanismi prodotti dal dominio del sistema economico e politico. Su questi crimini di sistema si concentra l’attenzione del Tribunale Permanente dei Popoli, che è appunto un tribunale d’opinione, la cui funzione principale è mobilitare l’opinione pubblica contro le violazioni massicce dei diritti dei popoli facendo assumere consapevolezza del loro carattere criminale.

Più specificamente, il Tribunale Permanente dei Popoli, riunito nella sessione di Palermo dal 18 al 20 dicembre 2017 – considerati i molteplici elementi di prova testimoniale emersi e i documenti acquisiti, valutati gli atti ufficiali italiani e dell’Unione Europea, preso atto delle dichiarazioni rese dai vertici del Governo in replica o risposta ai rilievi formulati in più sedi, anche da parte di esponenti delle Nazioni Unite – valuta che:
– le politiche dell’Unione Europea sulle migrazioni e l’asilo, a partire dalle intese e dagli accordi stipulati tra gli Stati dell’Unione Europea e i Paesi terzi, costituiscono una negazione dei diritti fondamentali delle persone e del popolo migrante, mortificandone la dignità definendoli “clandestini” e “illegali” e ritenendo “illegali” le attività di soccorso e di
assistenza in mare;
– la decisione di arretrare le unità navali di Frontex e di Eunavfor Med ha contribuito all’estensione degli interventi della Guardia costiera libica in acque internazionali, che bloccano i migranti in viaggio verso l’Europa, compromettendone la loro vita e incolumità, li riportano nei centri libici, ove sono fatti oggetto di pratiche di estorsione economica, torture e trattamenti inumani e degradanti;
– le attività svolte in territorio libico e in acque libiche e internazionali dalle forze di polizia e militari libiche, nonché dalle molteplici milizie tribali e dalla c.d. “guardia costiera libica”, a seguito del Memorandum del 2 febbraio 2017 Italia-Libia, configurano – nelle loro oggettive conseguenze di morte, deportazione, sparizione delle persone, imprigionamento arbitrario, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, e in generale persecuzione contro il popolo dei migranti – un crimine contro l’umanità;
– la condotta dell’Italia e dei suoi rappresentanti, come prevista e attuata dal predetto Memorandum, integra concorso nelle azioni delle forze libiche ai danni dei migranti, in mare come sul territorio della Libia;
– a seguito degli accordi con la guardia costiera libica e nell’attività di coordinamento delle varie condotte, gli episodi di aggressione denunciati dalle ONG che svolgevano attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, sono ascrivibili anche alla responsabilità del governo italiano, eventualmente in concorso con le agenzie europee operanti nello stesso contesto;
– l’allontanamento forzato delle navi delle ONG dal Mediterraneo, indotto anche dal “codice di condotta” imposto dal governo italiano, ha indebolito significativamente le azioni di ricerca e soccorso dei migranti in mare e ha contribuito ad aumentare quindi il numero delle vittime.

La Corte Penale internazionale impiegherà molti anni per arrivare ad una sentenza, ed il Tribunale Permanente dei Popoli è soltanto un Tribunale di opinione, privo dei poteri di indagine e soprattutto di sanzione che invece spettano ai giudici nazionali ed internazionali ( Corte di Giustizia dell’Unione Europea e Corte europea dei diritti dell’Uomo). Se da questi organismi non potranno arrivare decisioni tali da impedire agli stati europei, ed alle agenzie come Frontex, di continuare nelle loro politiche di morte, occorre valorizzare la imponente documentazione che è stata raccolta dagli avvocati internazionalisti che hanno presentato un ricorso alla Corte dell’Aja, e le testimonianze acquisite un anno prima dal Tribunale permanente dei popoli nella sessione di Palermo. Si tratta di una documentazione, e di testimonianze, che possono avere uno specifico rilievo penale, anche alla luce del diritto interno, e dunque di materiali che potrebbero rientrare in indagini condotte da una magistratura italiana che voglia ripristinare il principio di legalità e lo stato di diritto, rilevanti anche nelle relazioni internazionali. Sempre che l’azione del governo non finisca per ridurre in polvere il principio costituzionale della indipendenza della magistratura.

Una esigenza tanto più avvertita quanto più continuano ad aumentare le vittime in Libia e sulla rotta del Mediterraneo centrale, la più pericolosa del mondo, malgrado il temporaneo calo degli arrivi, dovuto soprattutto alla guerra civile divampata in territorio libico e alla rarefazione dei mezzi di soccorso in acque internazionali, imposta dai vertici delle operazioni europee e dai ministri dell’interno degli stati più esposti. Da ultimo le prime testimonianze raccolte domenica 2 giugno allo sbarco in porto a Genova, sulle vittime che si erano registrate a bordo del gommone poi soccorso dalla nave militare italiana Cigala Fulgosi, impongono l’apertura di una indagine penale. Un caso nel quale le vittime non si potranno nascondere a lungo.

3. Contro gli operatori umanitari ed i potenziali testimoni si è combattuta ( e si combatte ancora) una guerra senza quartiere. Sono anni che i ministri dell’interno ed i vertici di Frontex vanno all’attacco delle Organizzazioni non governative che antepongono la salvaguardia della vita umana in mare alla difesa dei confini esterni dell’Unione Europea e al contrasto di quella che le autorità di governo definiscono soltanto come “immigrazione illegale”. Tutti possono ricordare in quale clima l’Italia fu costretta a chiudere l’operazione Mare Nostrum nel 2014, e quante accuse furono rivolte ai vertici militari italiani, “colpevoli” di avere salvato troppe vite umane in mare e di avere “contribuito” ad un aumento degli arrivi in Europa di migranti in fuga dalla Libia, quasi tutti migranti in transito, generalmente esposti ad abusi di ogni genere e, nel caso delle donne, a stupri sistematici. Nessun intervento di ricerca e soccorso può ridurre drasticamente il numero delle vittime quando si consente che in un territorio, come la Libia nord-occidentale, le milizie colluse con i trafficanti riescono a fare partire dallo stesso tratto di costa tanti gommoni contemporaneamente. Ma la presenza delle navi di soccorso europee, siano esse civili o militari, nelle acque internazionali, a ridosso delle acque territoriali libiche, può incidere sensibilmente sul numero delle vittime, morti e dispersi, che si è costretti a registrare ormai con cadenza quasi giornaliera, nell’indifferenza dei media e dell’opinione pubblica europea.

Si è parlato per anni di ONG “colluse con i trafficanti” e di “taxi del mare”, ma non si è mai ammesso quale fosse il disastro esistente in Libia e quanto questo paese, ormai diviso in diverse entità territoriali, non potesse garantire alcun “luogo sicuro di sbarco”. Se oggi in Libia la situazione è quella di uno scontro militare interno, con oltre 100.000 persone che hanno dovuto abbandonare le loro case, ed i migranti sotto tiro incrociato, si dovrebbero ricercare bene le responsabilità europee, anche per evitare ulteriori scelte disastrose sul piano politico-militare e devastanti sotto il profilo umanitario. Ma a Bruxelles ( ed a Varsavia, sede di Frontex) si lavora soltanto per ridurre le partenze dalla Libia, con un sostanziale esautoramento degli organi rappresentativi come il Parlamento europeo, aumentando i canali di finanziamento (ed i mezzi di intervento) delle autorità di un paese che non rispetta neppure la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e nel quale si verifica anche la vendita di schiavi. Nelle capitali europee prevalgono le preoccupazioni elettorali, e si cerca di coprire qualsiasi notizia che arrivi dalla Libia e possa smentire i messaggi rassicuranti lanciati dai partiti di governo. Le attività di Frontex diventano nel frattempo sempre più opache, ed a partire dalla sua trasformazione in Guardia di frontiera e costiera europea, avvenuta con il Regolamento UE n.1624 del 2016, le sue funzioni di intelligence sfuggono ad un effettivo controllo democratico da parte del Parlamento europeo. Riangono ancora segreti gli accordi tra Frontex ed i governi europei, eppure qualcuno dovrà rispondere dell’adempimento degli obblighi di salvataggio derivanti dal diritto internazionale.

Prevale nel tempo, e solo su questo gli stati europei raggiungono una parvenza di accordo, l’opinione che solo un contrasto più forte dell’immigrazione “illegale”, delegato di fatto a quelle che oggi si possono definire milizie libiche, possa ridurre il numero delle vittime in mare, senza l’apertura di canali umanitari o di vie legali di ingresso in Europa. E si ritiene che si possano delegare a questi corpi militari informali, già responsabili di innumerevoli abusi, compiti sempre maggiori di arresto a terra e di blocco nelle acque territoriali, ma anche in quelle internazionali, dopo avere inventato dal nulla una zona SAR libica, allontanando le navi europee, prima autorizzate ad intervenire in operazioni di ricerca e salvataggio (SAR). Una linea portata avanti anche dal governo Gentiloni e da Minniti al ministero dell’interno. La forte riduzione degli arrivi in Italia risale alla seconda metà del 2017, e non a quest’ultimo anno, come l’attuale ministro dell’interno vorrebbe fare credere.

E’ dimostrato su base documentale che a partire dal 2015 , dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, quando l’Operazione Triton di Frontex venne limitata alle 35 miglia a sud di Malta e Lampedusa, il numero delle vittime aumentò in modo esponenziale, anche perché, in assenza di altri mezzi di soccorso, le autorità italiane, di fatto responsabili anche delle zone SAR ( Search and Rescue) maltese e libica, venivano costrette a chiamare in soccorso navi commerciali, come petroliere e portacontainer del tutto prive dei mezzi (persino dei salvagente o dei gommoni) per operare in sicurezza attività di salvataggio. Immagini agghiaccianti, presto rimosse dalla memoria collettiva, confermano il ribaltamento di gommoni proprio quando la salvezza sembrava ormai raggiunta, sottobordo alle grandi navi commerciali, nella ressa per conquistare un gradino delle esili scalette gettate lungo le fiancate per fare arrampicare i naufraghi. Per i più deboli il destino era segnato.E infatti la strage più terribile che mai si ricordi in Mediterraneo, il 18 aprile del 2015, fu dovuta alla collisione tra una nave commerciale ed un barcone carico di migranti proprio mette erano in corso attività di soccorso, a ridosso della nave soccorritrice. I tracciati pubblicati nello studio DEATH BY RESCUE di Charles Heller e di Lorenzo Pezzani, lo dimostrano in modo inconfutabile.

Dopo quella strage, che rendeva evidente come i mezzi di Frontex non fossero in grado di garantire l’adempimento degli obblighi di salvataggio pure imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. Un regolamento di fondamentale importanza, adottato dopo una controversia tra il Parlamento ed il Consiglio sulle funzioni delle missioni FRONTEX, risolta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con una decisione del Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015. Per due mesi, tra maggio e giugno del 2015, gli assetti di intervento dell’operazione Frontex-Triton furono estesi fino a 135 miglia a sud di Malta e Lampedusa, dunque fino a circa 40-50 miglia dalla costa libica, da dove provenivano più frequentemente le chiamate di soccorso.

Per quei due soli mesi le stragi nel Mediterraneo centrale improvvisamente cessarono, anche se si trattava di mesi estivi nei quali il numero delle partenze era sempre più elevato. Poi, a cominciare dal mese di agosto nello stesso anno, la maggior parte delle navi fino allora impegnate da Frontex nel Mediterraneo centrale veniva ritirata.

Nel mese di settembre 2015 veniva lanciata l’Operazione europea EUNAVFOR MED, poi definita come Operazione Sophia, con il compito principale di distruggere le imbarcazioni , evidentemente dopo averle soccorse, in acque internazionali, (fase uno)ed addirittura con il compito, nei piani originari dei vertici europei, di compiere interventi in acque libiche ( fase due) ed in territorio libico alla caccia dei trafficanti (fase tre). Obiettivi evidentemente mancati per il mancato assenso del Consiglio di sicurezza dell’ONU, e dei diversi governi che nel frattempo si erano divisi la Libia. Al posto dei mezzi di Frontex diversi interventi di salvataggio, sempre su coordinamento della Guardia Costiera italiana, venivano operati da navi militari dell’Operazione Sophia, sebbene i suoi compiti non rientrassero dai doveri di salvataggio affermati per le unità Frontex dal Regolamento Europeo n.656 del 2014, richiamato fino all’ultimo Regolamento 1624 del 2016 istitutivo della Guardia Costiera e di Frontiera europea, di fatto un potenziamento di Frontex di cui mantiene la personalità giuridica.

In quello stesso periodo, corrispondente alla seconda metà del 2016, il ritiro dei mezzi navali e aerei militari dell’Unione Europea corrispondeva all’aumento dell’intervento delle navi civili umanitarie, di SOS Mediterranèe, dell’organizzazione tedesca Sea Watch, di MSF, di MOAS in concorso con la Croce Rossa, poi anche di Save The Children, che sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana, ed in concorso con le navi militari italiane della missione Mare Sicuro, salvavano decine di migliaia di persone, altrimenti condannate a morte certa, anche perché i mezzi sui quali venivano imbarcati i migranti erano del tutto inadeguati ad allontanarsi oltre le 20-30 miglia dalla costa libica.

Le alterne vicende dell’Operazione Sophia di Eunavfor Med sfociavano poi nell’accordo nel mese di agosto del 2016, con la Guardia costiera che faceva riferimento ai governi delle città di Misurata e Tripoli, e quindi partivano i corsi di formazione ai cadetti libici, che corrispondevano immediatamente ad una rinnovata capacità di ripresa e di riconduzione a terra dei migranti imbarcati sui gommoni, con gravissimi abusi inflitti ai migranti così “socco”, dopo lo sbarco in Libia e l’internamento nei centri di detenzione.

Il 4 dicembre 2016 notizie diffamatorie contro le ONG venivano diffuse da una fondazione olandese GEFIRA. Era questo l’attacco più velenoso, diretto proprio contro i comandanti e gli equipaggi delle navi umanitarie che, dopo essere stati esposti al piombo dei libici, venivano direttamente accusati di collusioni con i trafficanti. Il 7 dicembre 2016, questi attacchi contro le ONG “colpevoli” di “collusione” con i trafficanti libici in attività di “contrabbando” di esseri umani, venivano ripresi da ambienti riconducibili alla destra rosso-bruna europea, e con vasti riferimenti ai servizi segreti, per il tipo di informazioni delle quali evidentemente soltanto determinati siti di informazione potevano disporre.

Le navi umanitarie erano intanto oggetto di diversi attacchi armati da parte di unità riconducibili alla sedicente Guardia Costiera libica, come il 6 novembre del 2017, al punto che dovevano arretrare in acque internazionali a distanza sempre più elevata dalle coste, e non mancavano neppure incursioni da parte dei libici durante operazioni di soccorso già intraprese. Conseguenza di questo diverso spiegamento degli assetti navali al limite delle acque territoriali libiche, un ulteriore aumento delle vittime. Anche sulle spiagge libiche vicine ai punti di imbarco si arenavano cadaveri di migranti che avevano fatto naufragio ancora all’interno delle acque territoriali. Era evidente la minima capacità di ricerca e salvataggio della sedicente Guardia costiera libica, dotata di mezzi che non erano adatti ad imbarcare centinaia di migranti, ma apparivano attrezzati per aprire il fuoco ed impedire la prosecuzione della traversata. Come si è verificato nel corso degli anni in diverse circostanze che i media hanno oscurato.

Il 29 novembre 2016, il rappresentante ONU per la Libia Martin Kobler, definiva la presenza delle navi delle ONG internazionali come un fattore di attrazione ( pull factor), subito spalleggiato dai vertici europei come il Commissario all’immigrazione, il greco Avramopoulos.

Infine partiva l’attacco frontale dei vertici di Frontex, proprio alla vigilia del Consiglio Europeo del 15 dicembre 2016 che avrebbe dovuto ridefinire la politica europea in materia di contrasto dell’immigrazione e distribuire le risorse necessarie, sempre più ingenti per esternalizzare i controlli di frontiera e coinvolgere con i Migration Compact i paesi di origine e di transito.

Mentre la situazione sul terreno il Libia sfuggiva a qualsiasi controllo, e le condizioni di transito e di sofferenza dei migranti peggioravano giorno dopo giorno, proprio alla fine del primo ciclo di formazione della cd. Guardia Costiera libica a bordo delle navi dell’operazione Sophia, alla fine del 2017 sparivano dal Mediterraneo centrale tutte le navi di Frontex, che era arrvata a contare ben undici assetti navali, o si ritiravano a sud di Malta, con interventi SAR sempre più sporadici.

Nell’estate del 2017 con il Codice di condotta imposto dal governo italiano alle ONG che allora operavano soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale si creavano i persupposti per un trasferimento ai libici delle responsabilità primaria degli interventi di soccorso in acque internazionali che le unità di Tripoli e Zawia non erano evidentemente in grado di garantire da sole. Da quella stessa estate partivano le inchieste giudiziarie ed i sequestri contro le ONG, con il sequestro della nave Juventa a Lampedusa e si rendeva sempre più difficile la prosecuzione di atività di ricerca e salvataggio svolte fino ad allora dagli operatori umanitari sotto il coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana.

Dopo il ritiro dì FRONTEX e gli attacchi alle navi umanitarie i soccorsi venivano operati dai mezzi di servizio alle piattaforme petrolifere offshore dell’Eni, o dalle navi militari italiane presenti in quella zona per garantirne la sicurezza. Ad ogni intervento delle navi delle ONG, dopo l’infausta creazione di una zona SAR libica, il 28 giugno 2018, seguivano provvedimenti di sequestro e misure amministrative di vario genere che rendevano a fermare le navi umanitarie per il maggior tempo possibile.

Un anno fa, con il respingimento verso la Spagna della nave umanitaria Aquarius di SOS Mediterraneè, cominciava la guerra del ministro dell’interno contro il salvataggio in mare ed il diritto internazionale. Tutti possono costatare come sia stato utilizzato il consenso elettorale per abbattere lo stato di diritto. Chi lo vota e’ complice ormai consapevole di un gravissimo attacco alla Costituzione ed alle liberta’ garantite dallo stato democratico. Un attacco che si è consolidato nel caso Diciotti.

4. Oggi, dopo i furori di una campagna elettorale senza fine, i media trattano solo marginalmente la notizia delle stragi in mare, dopo che il ministro dell’interno è arrivato a confutare i dati reali, affermando che nel corso del 2019 sarebbero state soltanto due le vittime sulla rotta del Mediterraneo centrale. Si e’ tornati alla situazione precedente alla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Neppure chi muore fa notizia.

Molti soccorsi, abbandonati dagli italiani, vengono effettuati dalle autorità Maltesi. Solo ieri 370 persone soccorse in un solo giorno.

A nulla sono valsi gli appelli ed i richiami dell’UNHCR rivolti alle autorità italiane ed europee per la doverosa interpretazione del diritto umanitario e del diritto internazionale del mare nella verifica del comportamento delle navi umanitarie. Malgrado le accuse contro le ONG non abbiano ancora trovato riscontro, da parte del mnistero dell’interno, e dell’opinione pubblica, sembra già emessa una sentenza di condanna delle attività solidali in alto mare. Che poi si traducono nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali violate dalle autorità statali, che invece contraddicono il diritto alla vita, che spetta a qualunque essere umano ed i principi fondamentali dello stato di diritto affermati nella Costituzione.

Il Consiglio europeo del 29 marzo scorso ha deciso di prorogare fino al 30 settembre 2019 il mandato di EUNAVFOR MED operazione SOPHIA. Secondo quanto si apprende da un comunicato ufficiale,” Il comandante dell’operazione ha ricevuto istruzioni di sospendere temporaneamente, per motivi operativi, lo spiegamento delle forze navali dell’operazione per la durata di tale proroga. Gli Stati membri dell’UE continueranno a lavorare, nelle sedi appropriate, a una soluzione al problema degli sbarchi nell’ambito del seguito da dare alle conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2018. L’operazione continuerà ad attuare opportunamente il suo mandato, aumentando la sorveglianza con mezzi aerei e rafforzando il sostegno alla guardia costiera e alla marina libiche nei compiti di contrasto in mare attraverso un monitoraggio potenziato, anche a terra, e continuando la formazione”.

Sono ormai migliaia le persone intercettate in acque internazionali dalla sedicente gaurdia costera libica e riportate nei centri di detenzion e a terra. Secondo MSF ” Tra le 5.849 persone detenute arbitrariamente, ci sono bambini, minori non accompagnati e donne, alcune delle quali costrette a partorire nei centri e restare lì dentro con i neonati.

Ancora oggi tragica la situazione delle persone internate nel campo di Zintan. Gli stati sembrano sordi alla richiesta dell’UNHCR che sollecita da mesi una evacuazione dalla Libia, a parte l’apertura di pochi corridoi umanitari, che si traduce però nella salvezza di qualche centinaio di persone. Rispetto a decine di migliaia che rimangono intrappolate nei campi di detenzione o nelle “connecting house” in Libia. Operazioni meritorie, che però non possono essere strumentalizzate per confondere l’opinione pubblica e lanciare un messaggio rassicurante. Basterebbe chiedere a chi arriva cosa e chi si è lasciato alle spalle per cogliere la dimensione reale della tragica condizione dei migranti intrappolati in Libia.

Occorrono indagini internazionali. Chi coordina devvero le diverse guardie costiere delle città libiche ? Che fine hanno fatto le navi militari che Frontex aveva schierato nell’operazione Triton nel Mediterraneo centrale ? Quali assetti operativi aerei sono ancora impegnati nell’operazione Sophia di Eunavfor Med e quali rapporti di comunicazione intrattengono con la sedicente guardia costiera libica ? Quale ruolo svolge ancora, in piena guerra civile, la missione militare NAURAS presente nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli con una nave della Marina italiana ?

Andiamo a vedere i bilanci periodici di attività pubblicati dalla stessa Agenzia Frontex , negli ultimi anni diventati introvabili? Come sono stati impiegati i fondi aumentati dopo le stragi del 2015 ? Come si stanno dispiegando i mezzi della nuova Guardia Costiera e Polizia di frontiera europea prevista dal nuovo Regolamento 1624 del 2016, che alcuni definiscono già come una Frontex Plus, di cui mantiene la personalità giuridica? Chi risponderà davvero per i casi sempre più frequenti di omissione di soccorso ?

Invitiamo i parlamentari nazionali ed europei ad avviare attività ispettive per verificare il rispetto dei diritti umani e del principio di non respingimento nel Mediterraneo centrale, e quindi per accertare come vengono spese le ingenti risorse stanziate per queste operazioni e soprattutto se siano rispettate le regole internazionali ed europee che impongono il salvataggio delle vite umane in mare e l’assoluto rispetto del divieto di respingimenti collettivi. Siamo accanto a tutti i magistrati che continuano a fare il loro dovere e non si piegano alle minacce del Viminale. La società civile e le organizzazioni non governative, per quanto oggetto di pesanti attacchi, proseguiranno nel loro lavoro quotidiano di denuncia. anche con riferimento ai casi di segnalazione di imbarcazioni in difficoltà in alto mare, non soccorse con la dovuta tempestività. Nessuno potrà dire: io non sapevo