di Fulvio Vassallo Paleologo
Per anni avevano accusato le navi e gli operatori umanitari delle Organizzazioni non governative di costituire un fattore di attrazione ( pull factor) rispetto alle partenze dei migranti dalle coste libiche. Una accusa fomentata prima da un rapporto di Frontex e poi da alcuni siti delle destre europee, quindi rilanciata dai governi italiani e da una parte della magistratura inquirente. Le archiviazioni che sono seguite , da Palermo a Catania, sono rimaste ai margini della cronaca, la sentenza di condanna della solidarietà in mare è stata diffusa come una metastasi sociale sui grandi media, ed ha portato un consistente vantaggio elettorale agli imprenditori politici della paura. E intanto, malgrado il calo delle partenze dalla Libia, conseguenza del conflitto armato che interessava le principali vie di accesso al Mediterraneo, è aumentato il numero delle vittime, secondo dati UNHCR, una ogni tre persone fatte partire dalla Libia.
I fatti tragici di queste settimane, come l’ultima tragedia a nord di Tripoli, con almeno venti dispersi e due morti accertati, dimostrano la falsità di questo assunto, come le vittime aumentino quando le navi delle ONG sono bloccate in porto. I fatti dimostrano come i migranti siano fatti partire dalla Libia anche se non hanno nessuna possibilità di essere soccorsi da quelli che qualcuno è arrivato a definire come “taxi del mare”. Una espressione spregevole che ha avuto largo ritorno mediatico ed elettorale, riferita ad imbarcazioni che salvavano vite in acque internazionali, nel pieno rispetto delle Convenzioni internazionali e sotto il coordinamento delle autorità italiane, almeno prima che fosse istituita a tavolino, per esigenze politiche di contrasto dell’immigrazione, la famigerata zona SAR “libica”, di una “Libia” che dal 2011 non è mai esistita come unica entità nazionale.

Le diverse guardie costiere delle città libiche, legate a milizie spesso in lotta tra loro, ed ancora prive di un unico coordinamento nazionale, che non sia quello garantito dalla nave della marina militare italiana presente con la missione Nauras a Tripoli, hanno intercettato in alto mare migliaia di persone in fuga dagli orrori dei lager libici. Spesso soggetti vulnerabili come donne e minori soli. Ma non si è evitato uno stillicidio di stragi, l’ultima si è verificata oggi, 14 miglia a nord di Garabouli, vicino Tripoli, dimostrando una evidente incapacità di coordinamento da parte dei libici, quando non arrivano le segnalazioni da parte degli assetti aerei e navali europei, che cercano di fare da “guardia” alla frontiera marittima meridionale dell’Unione Europea, come se fosse possibile edificare un muro sulle acque del Mediterraneo.
Adesso l’Italia rischia di trovarsi coinvolta nel conflitto civile libico. Il comandante della prima linea navale di “Volcano of Rage” Operazione dell’Esercito libico sotto il comando del Consiglio presidenziale Rida Essa ha dichiarato di aver incaricato il personale della marina di sventare qualsiasi attacco delle forze di Khalifa Haftar, oltre a svolgere il proprio lavoro in materia di immigrazione clandestina. Rida Essa ha negato in una conferenza stampa congiunta, sabato, con il portavoce della marina Ayoub Qassim, di aver definito la zona da Sirte a Ras Ajdair una zona di operazioni militari. “Non abbiamo paura di affrontare eventuali assalti delle forze di Haftar dal mare”. Ha aggiunto.”Abbiamo effettuato oltre 70 operazioni di ricerca dalla costa di Sirte a Zuwara, vicino al confine tunisino, intercettando fregate straniere al largo della costa libica e intercettando oltre 1700 immigrati dall’inizio dell’offensiva di Tripoli” ( 4 aprile 2019, nda)
Dopo questo comunicato dei libici la Marina militare italiana, presente nel porto di Tripoli con la missione Nauras, a supporto della sedicente Guardia costiera libica, e’ ufficialmente coinvolta nella guerra civile in Libia dalla parte del governo Serraj. Questo il “grande inganno” che vogliono nascondere agli elettori. Come si rivela un inganno elettorale la criminalizzazione delle ONG, per impedire le attività di soccorso umanitario nel Mediterraneo centrale.
Le accuse contro le Organizzazioni non governative, e dei loro equipaggi, contro cui sono ancora pendenti procedimenti penali a Trapani, quello più risalente, per il caso della nave Juventa, e quindi a Catania, a Ragusa, Agrigento, contro altre ONG, si sono anche concentrate sulla contestazione che le navi umanitarie avrebbero dovuto sbarcare i naufraghi, soccorsi in acque internazionali, in Tunisia, mentre da anni, ed ancora oggi, questo paese nega un place of safety, quando gli viene richiesto, e non garantisce una procedura effettiva per l’accesso al diritto di asilo.

La Tunisia non garantisce porti sicuri di sbarco, è dimostrato dai fatti. Riceve quindi una ennesima smentita l’accusa del ministro dell’interno italiano, che ancora poche settimane fa pretendeva di indicare alla SEA WATCH 3 un place of safety in un porto tunisino. Ancora oggi davanti a Zarzis una imbarcazione privata che ha soccorso in acque internazionali naufraghi che erano partiti da Zuwara (Libia), si vede negato il diritto di ingresso in porto, dopo che le autorità italiane e maltesi si sono rifutate di adempiere gli obblighi di salvataggio che sarebbero loro imposti dalle Convenzioni internazionali.

Abbiamo dovuto assistere così ad un completo “rovesciamento” del diritto internazionale, ed a un costante travisamento dei fatti imposto dal ministro dell’interno, che ha attaccato a più riprese le ONG. Da ultimo dichiarando che non ci sarebbero state vittime in occasione del soccorso operato pochi giorni fa dalla nave della marina militare Cigala Fulgosi. Mentre oggi i naufraghi, non appena sono stati messi nelle condizioni di comunicare con una autorità civile, i medici dell’ospedale Galliera di Genova, hanno confermato che molti dei loro compagni sono morti mentre attendevano i soccorsi.
Ci hanno raccontato le sofferenze indicibili di due giorni in mare e sembra che ci siano stati dei morti tra i compagni di viaggio“. Lo ha detto Paolo Cremonesi, direttore del pronto soccorso dell’ospedale Galliera, che ha coordinato l’assistenza medica.
Si possono così scoprire le ragioni per le quali i vertici politici e militari italiani hanno voluto ritardare lo sbarco dei naufraghi soccorsi il 30 maggio a nord della costa libica, imponendo un tragitto tanto lungo, fino a Genova, della nave soccorritrice, che era stata costretta ad intervenire già con ritardo, dopo un giorno di attesa imposto dalle direttive del ministero dell’interno, un soccorso che si era “dovuto” fare proprio per effetto delle denunce partite dalle Organizzazioni non governative.
A fronte di queste ultime vittime attendiamo adesso che la magistratura svolga tutti gli accertamenti necessari affinchè queste tragedie non si ripetano ancora nei prossimi mesi estivi. Soprattutto per accertare sino in fondo tutte le responsabilità ed imporre agli stati il rispetto dei doveri di ricerca e soccorso immediato che incombono loro per effetto delle Convenzioni internazionali e delle norme di diritto interno.
Come riferisce il Guardian “L’UE e gli stati membri dovrebbero essere perseguiti per la morte di migliaia di migranti che sono annegati nel Mediterraneo in fuga dalla Libia, secondo una dettagliata relazione legale depositata al Tribunale penale internazionale (CPI).
Il documento di 245 pagine richiede un’azione punitiva sulla politica migratoria dell’UE basata sulla deterrenza a partire dal 2014, che presumibilmente “intendeva sacrificare la vita dei migranti in difficoltà in mare, con l’unico obiettivo di dissuadere gli altri in situazioni simili dalla ricerca di un rifugio sicuro in Europa”.
I due principali autori del rapporto sono Juan Branco, che ha lavorato in passato alla ICC e al ministero degli esteri francese, e Omer Shatz, un avvocato israeliano che insegna all’università Sciences Po di Parigi.
L’accusa di “crimini contro l’umanità” si basa in parte su documenti interni di Frontex, l’organizzazione dell’UE incaricata di proteggere le frontiere esterne dell’UE, che, dicono gli avvocati, ha avvertito che il passaggio dalla fortunata politica di salvataggio italiana di Mare Nostrum potrebbe portare a un ” più alto numero di vittime “. Ma già nel dicembre del 2017 il Tribunale permanente dei Popoli nella sessione di Palermo, sulla base di numerose testimonianze e di una vasta documentazione, aveva condannato l’Italia e l’Unione Europea per crimini di sistema contro l’umanità, stigmatizzando l’attacco contro le ONG, con riferimento alla collaborazione con la Guardia costiera libica, attuata dalle autorità italiane in forza dell’acordo bilaterale con il governo di Tripoli, siglato il 2 febbraio dello stesso anno.
La relazione depositata adesso alla Corte Penale internazionale afferma che: “Per arginare i flussi migratori dalla Libia a tutti i costi … e al posto di operazioni di salvataggio e sbarco sicure come prescrive la legge, l’UE sta orchestrando una politica di trasferimento forzato nei campi di concentramento, come le strutture di detenzione [in Libia] dove vengono commessi crimini atroci “. Sarebbe davvero tempo che la magistratura italiana tenga conto della documentazone raccolta in queste occasioni, anche al fine di svolgere una autonoma attività di indagine, con i poteri assai più ampi dell’autorità giudiziaria nazionale, al fine di impedire che gli abusi segnalati da anni possano proseguire nella impunità più totale dei responsabili.
CORRIERE DELLA SERA
Dalla Francia nuovo esposto all’Aja contro l’Italia. «I politici responsabili di crimini contro l‘umanità.
La denuncia di un esperto di diritto internazionale e di un giornalista. «I Paesi Ue tentano di aggirare il diritto affidando i respingimenti ai libici». Un testimone: «Così la guardia costiera libica è collusa coi trafficanti»
di Marta Serafin
I primi ministri italiani Matteo Renzi, Paolo Gentiloni. Il ministro dell’Interno Marco Minniti. E poi Matteo Salvini. Ma anche il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Sono questi i nomi che compaiono nelle 250 pagine che compongono l’esposto che verrà presentato alla Corte Penale internazionale dell’Aja dall’esperto di internazionale dell’Istituto di studi politici di Parigi, l’israeliano Omer Shatz, e dal giornalista franco-spagnolo Juan Branco, consigliere di WikiLeaks. L’accusa è di crimini contro l’umanità a seguito delle politiche migratorie dell’UE nel Mediterraneo centrale. In particolare — si legge nella denuncia di cui il Corriere ha avuto il testo in anteprima -«esternalizzando le pratiche di respingimento dei migranti in fuga dalla Libia alla Guardia costiera libica, pur conoscendo le conseguenze letali di queste deportazioni diffuse e sistematiche (40 mila respingimenti in 3 anni), gli agenti italiani e dell’UE si sono resi complici degli atroci crimini commessi contro nei campi di detenzione in Libia»
Il periodo preso in esame è dal 2014 ad oggi mentre le accuse riguardano, le morti in mare, i respingimenti e «crimini di deportazione, omicidio, carcere, riduzione in schiavitù, tortura, stupro, persecuzione e altri atti disumani». Secondo l’analisi, dopo la caduta di Gheddafi nel 2011 l’Unione europea ha cambiato linea politica lasciando i migranti in difficoltà in mare, «al fine di dissuadere altri in simili situazione dalla ricerca di un rifugio sicuro in Europa». Questa scelta ha trasformato «il Mediterraneo centrale nella rotta migratoria più letale del mondo, dove tra il 1 ° gennaio 2014 e la fine di luglio 2017, sono morte oltre 14.500 persone».
Sempre in modo consapevole, l’Ue avrebbe deciso di espellere le Ong dal Mediterraneo decidendo di collaborare con la guardia costiera libica, «diventato un attore chiave nell’intercettazione e nel respingimento illegale dei migranti». Il meccanismo si aggrava proprio a causa di quest’ultimo provvedimento. «Attraverso un complesso mix di atti legislativi, decisioni amministrative e formali accordi, l’UE e i suoi Stati membri hanno fornito alla guardia costiera libica sostegno materiale e strategico, incluso ma non limitato a navi, addestramento e capacità di comando e controllo». Una decisione che avrebbe permesso agli Stati membri di aggirare il diritto marittimo e internazionale. Se il riferimento è alla creazione di una Sar Zone libica, confermata dall’Imo (organizzazione marittima internazionale) il giugno scorso, a dimostrazione dell’impianto accusatorio, viene allegata la testimonianza di un migrante, proveniente dal Darfur settentrionale che proverebbe la collusione della Guardia costiera libica con i trafficanti. «Eravamo 86 migranti, tutti sudanesi. La barca era troppo pesante. Abdelbasit (uno dei trafficanti, ndr) si è messo alla guida del barcone mentre un piccolo scafo guidato da Fakri (l’altro trafficante, ndr) faceva ricognizione», racconta. Una volta che i trafficanti se vanno, il barcone viene avvicinato da un’altra imbarcazione. «C’erano otto uomini in uniforme, con un mitragliatrice, che hanno speronato la nostra barca», spiega ancora l’uomo. Secondo il testimone, i militari dopo essersi fatti dare il numero di telefono dai migranti avrebbero telefonato uno dei trafficanti, Abdelbasit. «”Are you Ammo?”, hanno detto. Ma poi lui ha spento il telefono». A quel punto il barcone viene riportato indietro verso la Libia. «Sulla via del ritorno, hanno intercettato altre 4 barche. Al mattino presto, quando abbiamo raggiunto Zawiya, ne erano rimaste solo tre. Le altre due barche erano state rilasciate perché avevano raggiunto un accordo con la guardia costiera libica». Una volta riportati a terra, i migranti vengono trasferiti in una prigione. «Le guardie ci hanno detto: “Ognuno di voi deve pagare 2000 dinari, e noi poi vi riporteremo al punto in cui sarete salvati. Paga o se non hai soldi telefona, chiama la tua famiglia in modo che ci mandino dei soldi. Un agente può riscuotere denaro a Tripoli. Chiunque non riesca a pagare, lo trasferiremo nella prigione di Osama (noto anche come Al-Nasr detention center, ndr)”».
Il racconto del migrante prosegue. «Siamo stati detenuti per 15 giorni, io e mia moglie eravamo separati. Non voglio parlare di cosa è successo a lei. Alla fine, mia moglie è riuscita a chiamare i suoi fratelli che hanno mandato i soldi per tirarci fuori. Sono stati giorni molto difficili. Abbiamo bevuto una tazza d’acqua al giorno. Anche il cibo era disgustoso». Dopo 15 giorni «ci hanno rimesso in mare, siamo stati mandati sulla stessa barca di legno, con altri due gommoni. La barca che ci ha scortato era la stessa barca della guardia costiera libica che ci ha intercettato la prima volta. Gli uomini armati che erano sulla barca delle Guardie costiere libiche erano gli stessi uomini armati che erano sulla barca quando siamo stati intercettati la prima volta. Ci hanno scortato per due o tre ore, finché la luce della città non è diventata sbiadita». Superata la piattaforma petrolifera di fronte Sabratha gli uomini se ne vanno. «Le onde erano così alte e la gente ha iniziato a farsi prendere dal panico. Eravamo 87 sulla nostra barca – gli stessi passeggeri che erano con noi quando siamo stati intercettati per la prima volta, tranne quattro persone che non potevano pagare. Al mattino abbiamo scoperto che erano stati sostituiti da cinque libici che erano sulla barca. Poi siamo stati avvistati e salvati da una barca che ci ha portato a Trapani».
L’ufficio della procura dell’Aja dovrà decidere ora se acquisire la denuncia. L’acquisizione della denuncia non garantisce automaticamente l’avvio di un’inchiesta, ma è comunque evidentemente il primo passo che può portare ad essa. A gennaio è stata acquisita le denuncia di razzismo fatta contro il governo italiano dal “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo.
An EU spokesperson stated the union may now not touch upon “non-existing” prison movements however added: “Our precedence has at all times been and can proceed to be protective lives and making sure humane and dignified remedy of everybody all the way through the migratory routes. It’s a role the place no unmarried actor can be sure decisive trade by myself.
“All our motion is according to world and Eu regulation. The Eu Union discussion with Libyan government makes a speciality of the glory for human rights of migrants and refugees, on selling the paintings of UNHCR and IOM at the flooring, and on pushing for the improvement of possible choices to detention, such because the putting in place of protected areas, to finish the systematic and arbitrary detention gadget of migrants and refugees in Libya.
“Seek and Rescue operations within the Mediterranean want to observe world regulation, and duty relies on the place they happen. EU operations can’t input Libya waters, they perform in world waters. SAR operations in Libyan territorial waters are Libyan duty.”
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