Attacco alle Nazioni Unite mentre si continua nella politica dell’abbandono in mare.

di Fulvio Vassallo Paleologo

I risultati elettorali danno alla testa, ed avvicinano il rischio di una involuzione autoritaria della democrazia italiana. Mentre aumenta l’arroganza di chi si ritiene ormai padrone del governo e di tutte le istituzioni, nel Mediterraneo centrale si continua a morire. Sono mesi che il governo gialloverde impartisce direttive alla Marina ed alla Guardia costiera per ritardare gli interventi di soccorso a favore dell’intervento delle motovedette libiche che continuano ad essere assistite dalla missione militare italiana denominata Nauras, presente nel porto militare di Tripoli. Si può davvero definire “il cambio di rotta di un paese che perde l’onore”. Tutti conoscono la situazione in Libia, ma si continua a favorire le attività di intercettazione in acque internazionali affidate ai libici e si inasprisce la guerra contro le ONG che continuano ad avere le navi umanitarie sotto sequestro nel porto di Licata.

Si arriva al punto di attaccare anche sul piano personale gli esperti delle Nazioni Unite che hanno criticato le politiche dei “porti chiusi” e dell’abbandono in mare, praticate dal governo italiano a partire dal mese di giugno dello scorso anno. E si pone ancora sul tavolo del ricatto post-elettorale un decreto sicurezza bis che costituisce un gravissimo attacco al diritto al soccorso in mare, rimettendo al ministro dell’interno tutti i poteri di interdizione dell’accesso nelle acque territoriali, equiparando al “trasporto di clandestini”, il trasferimento a terra dei naufraghi soccorsi in alto mare. Come osserva l’Avvenire, “la reazione del capo leghista contiene però una sorta di avvertimento al premier Conte, al quale intima due sole vie d’uscita: respingere come ‘irricevibili’ e senza alcun chiarimento i rilievi di Ginevra; oppure rispondere con alcune controdeduzioni già redatte dal Viminale (e non concordate né con il premier né con la Farnesina), peraltro minacciando di rivedere il sostegno economico italiano all’Onu”.

Le politiche di abbandono in mare, imposte da chi vuole sfruttare ancora la falsa propaganda sui “porti chiusi”, costringe la Marina militare a ritardare i suoi interventi di soccorso in acque internazionali, al punto da dovere fornire giustificazioni per le vite che salva. Dopo anni che le imbarcazioni della Marina militare italiana ( quando si poteva usare la maiuscola) e della Guardia costiera, in piena sinergia con le ONG, avevano soccorso decine di migliaia di persone, sottratte a morte certa ed anche alle intercettazioni della sedicente “guardia costiera libica”, che riportava i naufraghi nelle mani dei torturatori dai quali erano fuggiti.

Gia’ una settimana fa una strage, che forse poteva essre evitata, è costata la vita di altre persone in fuga dalla Libia. Adesso si ripete un intervento di socccorso che appare alla prima evidenza tardivo, a ventiquattro ore dalle prime segnalazioni. Si dovrà fare chiarezza con indagini giudiziarie e con inchieste indipendenti a livello internazionale. Vedremo se le minacce del ministro dell’interno riusciranno ad impedire ancora una volta l’accertamento dei fatti e delle conseguenti responsabilità. Il ministro della difesa deve giustificare ore ed ore di ritardi, magari sulla base di qualche documento, piuttosto che continuare a fare da sponda alla propaganda del ministro dell’interno. Alla fine delle indagini si vedrà davvero chi racconta sistematicamente bufale.

Nei prossimi mesi estivi si dovrà garantire il soccorso immediato in acque internazionali, anche da parte delle unità appartenenti alle missioni Frontex ed Eunavformed, come imposto dalle Convenzioni di diritto del mare e dal diritto umanitario ( Convenzione di Ginevra), tenendo conto che il Libia è in corso una sanguinosa guerra civile, e che i migranti abbandonati alla sedicente guardia costiera “libica” rischiano tutti di essere riportati in zone nelle quali la loro vita e la loro incolumita’ sarebbero a rischio. Alla periferia di Tripoli si spara anche sulle ambulanze, ma la situazione di conflitto si aggrava di giorno in giorno in tutte le regioni del paese, ,la Libia non garantisce nessun porto sicuro di sbarco. Non si può criminaizzare chi effettua soccorsi senza attendere l’arrivo delle motovedette libiche, non si può precludere l’ingresso nelle acque territoriali delle imbarcazioni non governative che hanno effettuato soccorsi in acque internazionali, come si vorrebbe fare con l’ultima versione del decreto sicurezza bis, ancora in violazione delle Convenzioni internazionali e dell’art. 10 della Costituzione italiana.

L’Unione Europea non puà continuare ad assistere inerte alle politiche di abbandono in mare praticate nel Mediterraneo per impedire la fuga di migranti dalla Libia in guerra. Le questioni delle migrazioni e dei diritti umani sistematicamente violati dalle operazioni di respingimento delegato concordate con i paesi terzi, costituirà uno dei primi temi che dovranno essere affrontati dal nuovo Parlamento europeo. Occorre ribadire la inconsistenza e la ingestibilità della zona SAR “libica”. E verificare il pieno rispetto degli obblighi di soccorso stabiliti dai Regolamenti europei n.656 del 2014 e n.1624 del 2016.

Tutti gli stati titolari di zone SAR ( ricerca e soccorso) confinanti con la fantomatica zona Sar “libica”, inventata a tavolino per potere giustificare la esternalizzazione ai libici dei respingimenti collettivi, sono comunque obbligati ad intervenire con la massima tempestività possibile per rispettare gli obblighi di ricerca e soccorso imposti, oltre che dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, dalle Convenzioni di Montego Bay (UNCLOS), di Amburgo (SAR) e dalla Convenzione SOLAS. Oggi, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale quegli obblighi inderogabili vengono ancora disattesi, anche se le autorità maltesi hanno ripreso ad effettuare alcuni soccorsi. Ma troppi attendono ancora l’arrivo delle motovedette libiche, e quando queste ritardano, si muore. In assenza di navi umanitarie, molte navi commerciali avvistano i barconi in procinto di affondare e proseguono per la loro rotta. Gli elicotteri, se si vuole, potrebbero pure servire ad effettuare soccorsi, non solo per avvistamenti o per tracciati da trasferire alle autorità libiche.

Le vittime di queste ultime settimane sono conseguenza di una scelta precisa, condivisa purtroppo da un numero sempre più elevato di italiani, abbagliati dai proclami sulla sicurezza, che sarebbe messa a rischio se si soccorrono in acque internazionali,come previsto dal diritto internazionale, poche decine di persone in procinto di morire. Un comunicato della marina italiana, di venti giorni fa (vedi sotto), spiega bene la dinamica programmata di questi soccorsi. Altre conferme vengono dal comunicato odierno. Anche quando non ci sono vittime i ritardi negli interventi di soccorso sono moralmente inaccettabili e giuridicamente in contrasto con le Convenzioni internazionali.

Sembra che si debba sempre attendere l’intervento di una motovedetta libica, anche in acque internazionali, anche a 80 chilometri dalla costa piu’ vicina. Viene prima l’interese nazionale alla difesa dei confini e la “copertura” della missione militare NAURAS, ancora presente nel porto di Tripoli con la funzione di assistenza alle attività di intercettazione delle motovedette tripoline in alto mare, sotto la guida degli assetti aerei italiani ed europei (EUNAVFOR MED) che per primi avvistano le imbarcazioni cariche di migranti in fuga dalla Libia. Poi, quando proprio si è costretti dalle denunce delle ONG, si interviene per soccorrere vite umane. Adesso nel mirino ci saranno ancora una volta le ONG, che malgrado il blocco delle due ultime navi unanitarie ferme nel porto di Licata ( la Mare Jonio e la Sea Watch 3), continuano a raccogliere dati sugli avvistamenti, anche con l’attività eroica dei piloti volontari che quotidianamente continuano a monitorare il Mediterraneo centrale.

Non ci fanno paura le minacce, di chi governa, lo sappiano. Basta con il travisamento sistematico dei fatti. Le politiche basate sulla deterrenza e sui porti “chiusi” aumentano la percentuale delle vittime, anche se possono ridurre il numero complessivo delle persone da soccorrere. Ma questo avviene soprattutto per gli scontri armati in corso in Libia, e lì il numero delle vittime tra i migranti, alcuni venduti come schiavi o sottoposti al reclutamento forzato, è incalcolabile.

I governanti della lega si sentono forti del risultato elettorale e sono convinti di potere violare impunemente qualunque Convenzione internazionale, strappando i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale. Ma i cittadini solidali sono ormai tanti, non si potranno arrestare o fermare come hanno fatto con le navi umanitarie, sottoposte a sequestro probatorio. Continueremo a denunciare tutti i casi di omissione di soccorso, che si verificheranno sempre più numerosi nelle prossime settimane. La nostra libertà di espressione e di denuncia non potrà essere sequestrata. Le prove del genocidio nel Mediterraneo saranno sempre più documentate e implacabili. Un giorno qualcuno ne dovrà rispondere ai propri figli, se non alla giustizia.


MINISTERO DELLA DIFESA
MARINA MILITARE
Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione


Comunicato stampa n.48 del 9/5/2019
MARINA MILITARE: IL PATTUGLIATORE CIGALA FULGOSI HA SOCCORSO 36 MIGRANTI A BORDO DI UNA IMBARCAZIONE IN PROCINTO DI AFFONDARE
Nave Cigala Fulgosi, unità combattente della Marina militare italiana, facente parte dell’Operazione Mare Sicuro unitamente ad altre unità aeronavali della Difesa, missione assegnata dal Governo e dal Parlamento e finalizzata a proteggere gli interessi nazionali nel Mediterraneo centrale, sta conducendo attività di presenza, sorveglianza e deterrenza, anche in ragione all’attuale situazione di sicurezza presente in Libia.
Tale unità è posta in particolare a protezione distante di nave Capri, anch’essa facente parte dell’Operazione Mare Sicuro, che si trova ormeggiata in porto a Tripoli per fornire assistenza tecnico-logistica ai mezzi della Marina militare e della Guardia Costiera libica.
L’unità è anche a salvaguardia del personale italiano presente a Tripoli nonché delle piattaforme estrattive dell’ENI presenti al largo delle coste libiche.

Nave Cigala Fulgosi questa mattina mentre conduceva la missione assegnata, a circa 75 chilometri dalla costa libica ha incontrato una piccola imbarcazione, con a bordo 36 persone sprovviste di salvagenti, che imbarcava acqua e che quindi era in procinto di affondare e le persone a bordo erano in imminente pericolo di vita.
In aderenza alle stringenti normative nazionali ed internazionali, nave Cigala Fulgosi è intervenuta salvando i 36 occupanti del natante, di cui 2 donne e 8 bambini per i quali è attualmente in atto la verifica delle condizioni di salute e delle relative identità, in stretto coordinamento con le competenti autorità nazionali.

30/05/2019
​Comunicato stampa nr 51

Questa mattina il Pattugliatore d’altura della Marina Militare Cigala Fulgosi, ha raggiunto un gommone in acque internazionali, a circa 90 miglia a sud di Lampedusa. L’unità della Marina, constatate le condizioni del natante con 100 persone a bordo, di cui solo una decina provvisti di salvagente individuale, motore spento, precarie condizioni di galleggiamento e considerate le condizioni meteorologiche in peggioramento, è intervenuta in soccorso delle persone che erano in imminente pericolo di vita.

A termine del soccorso sono state recuperate le 100 persone, di cui 17 donne e 23 minori, per i quali è attualmente in atto la verifica delle condizioni di salute. Non risulta alcuna persona deceduta a bordo.

Nave Cigala Fulgosi, unità della Marina Militare, è attualmente impegnata nell’Operazione Mare Sicuro, unitamente ad altre unità aeronavali della Difesa, al fine di proteggere gli interessi nazionali nel Mediterraneo centrale, conducendo attività di presenza, sorveglianza e deterrenza, anche in ragione all’attuale situazione di sicurezza presente in Libia.

Tale unità è posta in particolare a protezione distante di nave Capri, anch’essa facente parte dell’Operazione Mare Sicuro, che si trova ormeggiata in porto a Tripoli per fornire assistenza tecnico-logistica ai mezzi della Marina militare e della Guardia Costiera libica.

L’unità è anche a salvaguardia del personale italiano presente a Tripoli nonché delle piattaforme estrattive dell’ENI presenti al largo delle coste libiche.


DA REDATTORE SOCIALE

Migranti, 24 ore alla deriva prima del soccorso. Alarm phone: “Scandalo”
La cronaca in diretta del barcone alla deriva suscita polemiche. La Marina militare che ha effettuato l’intervento conferma in una nota che le 100 persone a bordo erano in “imminente pericolo di vita”. Non confermato invece il decesso di una bambina di 5 anni. Sea Watch: “24 ore di agonia”
30 maggio 2019

ROMA – La cronaca in diretta per 24 ore: un barcone con 100 persone a bordo è in difficoltà, imbarca acqua. Il gommone viene avvistato da Moonbird, l’elicottero di ricognizione per i soccorsi di Sea Watch, alle 8 del mattino. Viene lanciato un Sos ripreso dalla rete Alarm phone e rilanciato sui social e e i principali mezzi di informazione, ma per un giorno nessuno interviene. Poi la notizia terribile: secondo quanto riferito una bambina di 5 anni sarebbe morta a bordo, in attesa dei soccorsi. Solo stamattina arriva l’intervento della nave P490 della Marina Militare, che porta in salvo i 100 migranti ma non conferma la notizia della bimba morta.

In una nota ufficiale la Marina militare conferma però che le persone erano in imminente pericolo di vita. “Questa mattina il Pattugliatore d’altura della Marina Militare Cigala Fulgosi, ha raggiunto un gommone in acque internazionali, a circa 90 miglia a sud di Lampedusa. L’unità della Marina, constatate le condizioni del natante con 100 persone a bordo, di cui solo una decina provvisti di salvagente individuale, motore spento, precarie condizioni di galleggiamento e considerate le condizioni meteorologiche in peggioramento, è intervenuta in soccorso delle persone che erano in imminente pericolo di vita – si legge nella nota -. A termine del soccorso sono state recuperate le 100 persone, di cui 17 donne e 23 minori, per i quali è attualmente in atto la verifica delle condizioni di salute. Non risulta alcuna persona deceduta a bordo”.

La rete Alarm phone replica sottolineando di non aver mai confermato il decesso, ma di aver parlato di una notizia riferita dai migranti a bordo. “Ci sono state molte speculazioni rispetto al nostro tweet – scrivono -. Abbiamo trasmesso quello che i migranti ci hanno detto: che una bambina di 5 anni è morta. Non l’abbiamo mai confermato: speriamo non sia vero. Non è necessario che muoia qualcuno perché sia uno scandalo che 90 persone sono state lasciate a rischio per oltre 23 ore”.

Alarm Phone
@alarm_phone
· 5h
In risposta a @alarm_phone
La nave P490 dell’@ItalianNavy stava monitorando la situazione da ieri mattina e sarebe potuta intervenire un giorno prima. Questa mancata assistenza ha messo a rischio la vita di 90 persone. I sopravvissuti devono essere portati in un #portosicuro in Italia! #portiaperti

Alarm Phone
@alarm_phone
In un tweet abbiamo trasmesso quello che i #migranti ci hanno detto: che una bambina di 5 anni è morta. Non l’abbiamo mai confermato: speriamo non sia vero. Non è necessario che muoia qualcuno perché sia uno scandalo che 90 persone sono state lasciate a rischio per oltre 23 ore.

13:46 – 30 mag 2019

“Mentre la nostra nave si trova sotto sequestro probatorio continuano le nostre missioni aree – sottolinea la portavoce di Sea Watch, Giorgia Linardi -. Ieri è stato avvistato un gommone con 90 persone a bordo, tra cui 15 bambini e 20 donne di cui una incinta. E’ stato riportato da Alrm phone che una bambina avrebbe perso la vita, notizia poi smentita dopo il soccorso da parte della Marina militare. Quello che resta un fatto è che queste persone sono state avvistate alle 8 di mattina di ieri e soccorse alle 7 di questa mattina. 24 ore di agonia in mezzo al mare in cui avrebbero potuto essere soccorso, fin da ieri era stato rilevato nelle vicinanze un assetto della Marina militare italiana, che però ha inviato un elicottero senza intervenire fino a questa mattina”. (ec)

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