di Fulvio Vassallo Paleologo
1.Avevamo già segnalato la dubbia costituzionalita’ dei principali punti del cd. decreto sicurezza bis che il ministro dell’interno vuole fare approvare dal Consiglio dei ministri con tanta urgenza, prima delle prossime elezioni europee del 26 maggio. Le stesse modifiche normative, contenute negli articoli 2 e 3 della bozza, apparivano in forte contrasto con le Convenzioni internazionali in materia di soccorso in alto mare, che impongono di collegare il diritto marittimo con il diritto umanitario. Dopo la seconda bozza, che non è stata approvata dal Consiglio dei ministri riunito nella tarda serata del 20 maggio, sembra che pur di portare il decreto all’approvazione prima delle elezioni, il ministro dell’interno abbia apportato ulteriori modifiche, eliminando la parte che sanzionava direttamente il soccorso in acque internazionali nei casi di inottemperanza agli ordini di autorità marittime di paesi terzi, come la sedicente Guardia costiera “libica”. La parte che era stata maggiormente oggetto di contestazione da parte delle Nazioni Unite.
Amnesty International ha definito deplorevole la risposta in tono di sfida di Salvini all’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite. Una risposta evasiva come e’ stata evasiva la reazione del governo italiano alle critiche che da mesi altre agenzie delle Nazioni Unite come Unhcr ed Oim rivolgono alla politica dei “porti chiusi”. Prima si sono ordinati respingimenti collettivi, vietati dalle Convenzioni internazionali. Adesso il ministro dell’interno è costretto ad ammettere che la Libia non è “un paese sicuro”. Come ha confermato da ultimo l’OIM. Le balle di Salvini sulla riduzione delle vittime in mare sono smentite dall’OIM e dall’UNHCR. Per questo si vuole adesso ricorrere ad un decreto legge, per dare copertura a prassi ancora prive di basi legali.
Il decreto legge sicurezza bis rimane conunque un grave tentativo di sovvertimento istituzionale, e di probabile scambio elettorale con i Cinquestelle, sfruttando tutte le paure diffuse per anni tra la parte meno informata della popolazione italiana, ed adesso rilanciate, fino all’allarme terrorismo, con l’evidente finalità di stroncare qualunque attività di soccorso umanitario nel Mediterraneo centrale, bloccando per il futuro eventuali indagini avviate dalle procure sui comportamenti omissivi delle autorità italiane nella indicazione di un porto di sbarco sicuro nel quale concludere con la dovuta tempestività le operazioni di ricerca e soccorso svolte in acque internazionali.
Appare sempre più evidente come le nuove previsioni legislative che si vorebbero introdurre, in tempi rapidissimi, quasi come una minaccia fatta valere dal ministro dell’interno in campagna elettorale, prendano spunto dalle ultime tre fallimentari direttive ministeriali emanate dal Viminale in materia di attività conseguenti ad operazioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali. Direttive che sono rimaste di rilievo marginale in assenza di precise basi legali, oltre che per l’evidente contrasto con fonti normative di rango superiore. Il decreto sicurezza bis riaccenderà comunque lo scontro tra ministero dell’interno, ministero della difesa e ministero delle infrastrutture sulla gestione dei porti e degli ingressi dei naufraghi soccorsi in acque internazionali. Ed è sempre più visibile il rischio di un “cortocircuito” tra le misure di sequestro “di iniziativa” demandate direttamente dal ministro dell’interno alla Guardia di finanza e le attività di indagine e di controllo giurisdizionale affidate alla magistratura.
2. La premessa dell’ultima bozza di decreto legge, che richiama gli articoli 77 e 87 della Costituzione, non specifica i motivi di urgenza, facendo ancora riferimento ad espressioni quali “prassi elusive dei dispositivi che governano l’individuazione dei siti di destinazione delle persone soccorse in mare, tenendo conto dei peculiari rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica scaturenti dall’attuale contesto internazionale, al contempo valorizzando le attribuzioni stabilite dall’ordinamento in capo al Ministro dell’interno quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza”. Si tratta di previsioni che vanno oltre il limite della costituzionalità, contraddette dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti e dai dati statistici relativi agli sbarchi in Italia in questi ultimi mesi. Non esiste una emergenza sbarchi. Se di “prassi elusive” si dovesse davvero parlare forse sarebbe meglio che il ministro dell’interno, piuttosto che sottrarsi al giudizio penale, ottenendo un voto favorevole del Parlamento, che gli ha consentito di sfuggire al procedimento penale aperto a suo carico sul caso della nave Diciotti, affronti quello successivo relativo al mancato sbarco a Siracusa dei naufraghi soccorsi alcuni mesi fa dalla nave della ONG Sea Watch. Per non parlare del caso della nave tedesca Alan Kurdi , da poco all’attenzione della procura di Agrigento.
La prima bozza del decreto evidenziava gia’ le vere finalità perseguite dal capo della lega, attualmente ministro dell’interno. Le disposizioni contenute nel decreto sicurezza bis relative al dispiegamento di forze di polizia a Napoli, all’aggravamento di fattispecie penali già esistenti, nel caso di manifestazioni di dissenso, di manifestazione non autorizzate, e di resistenza civile, e da ultimo quelle introdotte contro la violenza negli stadi, nascondono in realtà disposizioni fondamentali del decreto, gli articoli 1, 2 e 3, che sembrano costituire una autentica eversione dei principi costituzionali che affermano il principio di solidarietà (art.2), la difesa del principio di uguaglianza (art.3), il diritto di asilo costituzionale (art.10), le garanzie della libertà personale (art.13), il diritto ad un ricorso effettivo ( art. 24), la presunzione di innocenza (art. 27), la autonomia della magistratura ( art.104). Un accentramento di poteri senza precedenti in capo al ministro dell’interno.
Ci riferiamo alle norme che permetterebbero ai prefetti, e dunque al ministero dell’interno, di sanzionare con una multa chiunque presti attività di soccorso in mare senza sottostare agli indirizzi politici ( e giudiziari) del governo, minacciando comunque il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane, attraverso l’argomento surrettizio tratto da una interpretazione unilaterale del divieto di passaggio (non) inoffensivo previsto dall’art. 19 comma 2 della Convenzione di Montego Bay. Una risposta evidente al caso Sea Watch, un ennesimo tentativo di dare supporto normativo a future attività di indagine a carico di operatori umanitari “colpevoli” di avere soccorso naufraghi in acque internazionali.
3. Come riferisce l’ANSA nella serata del 21 maggio, in vista di un possibile compromesso tra i partiti di governo sembra che “sia pronta una terza bozza del decreto sicurezza“. Restano le multe alle navi che non rispettano le normative, ma sparisce il riferimento agli interventi di soccorso ai migranti dalla nuova bozza del decreto sicurezza bis licenziata oggi dal Viminale. Nella versione di ieri si prevedevano sanzioni (da 10mila a 50mila euro) per le navi che soccorrevano migranti violando le norme e le istruzioni “delle autorità responsabili dell’area in cui ha luogo l’operazione di soccorso”. Ora le sanzioni, di uguale importo, sono limitate a chi viola il divieto di ingresso nelle acque italiane. Di fatto rimane una sanzione che va contro il divieto di respingimento affermato dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che si devono riconoscere anche da parte del legislatore e del governo italiano, in forza del richiamo alle Convenzioni internazionali contenuto nell’art.117 della Costituzione.
Rimane confermata una “stretta sulle competenze del Ministero delle Infrastrutture”: “Si interviene in materia di Codice della Navigazione, in particolare su “Divieto di transito e di sosta” di navi mercantili nel mare territoriale, limitando le competenze del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti alle sole finalità di sicurezza della navigazione e di protezione dell’ambiente marino. Viene attribuita al Ministro dell’Interno la competenza a limitare o vietare il transito e/o la sosta nel mare territoriale qualora sussistano ragioni di ordine e sicurezza pubblica”. Una scelta che non puo’ diventare prerogativa esclusiva del Viminale, dopo mesi di reiterati rifiuti nell’indicazione di un porto di sbarco sicuro. Gli obblighi di informazione in capo al ministro dell’interno, tenuto a portare a conoscenza del ministro dei trasporti e del ministro della difesa, appaiono meri adempimenti formali, che non modificano di un millimetro la portata dell’accentramento di tutti i poteri di gestione delle frontere marittime in capo al ministro dell’interno.
Se questa formulazione sarà mantenuta anche nella vesrione definitiva del decreto, non sembra ammissibile che si crei sotto questo profilo, decisivo per la conclusione dell’operazione di salvataggio, una differenziazione tra attività di soccorso operate dalle ONG ed attività di soccorso portate a compimento da unità pubbliche, quando è in gioco lo stesso fondamentale diritto alla vita. Nelle Convenzioni internazionali, che spesso si richiamano a sproposito, non vi sono norme che legittimano questo tipo di discriminazione, dovendosi in ogni caso perseguire con priorità assoluta la finalità di salvaguardare la vita umana in mare, ed il correlato obbligo di non refoulement affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Lo impone il diritto internazionale, non e’ solo il giudizio degli esperti delle Nazioni Unite…
Quanto ancora previsto in ordine alla sanzione amministrativa che si vorrebbe introdurre, con una modifica dell’art. 12 del T.U. 286/98, norma che tratta specificamente “disposizioni contro le immigrazioni clandestine”, confonde la condizione di naufrago con quella di “clandestino” e non specifica i comportamenti specifici sanzionabili, rimettendoli di fatto alla discrezionalità più assoluta dell’autorità amministrativa o dello stesso vertice dell’amministrazione, il ministro dell’interno. Senza dare alcun rilievo al dovuto rispetto, in ogni azione di soccorso, oltre alla normativa del diritto internazionale marittimo, anche di quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra e da tutte le Convenzioni internazionali e dai Regolamenti o Direttive europee che accordano protezione ai richiedenti asilo e comunque a tutti coloro che vengono soccorsi in mare, senza che questi assumano la qualificazione di “trasportati”, dovendosi piuttosto riconoscere loro la qualifica di “naufraghi” e dunque la piena legittimità del loro ingresso nello stato appunto per ragioni di soccorso. Come è esplicitamente previsto dall’art. 10 comma 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, che ne consente in determinate circostanze il respingimento, anche differito, ove non presentino una richiesta di protezione,e non siano minori, ma solo dopo che abbiano fatto ingresso nel territorio dello stato “per necessità di pubblico soccorso”.
4. Anche nelle più recenti formulazioni del decreto legge si mantiene in capo al ministro dell’interno il potere di sanzionare attività di ricerca e salvataggio che sono dovute e meritevoli in base al diritto internazionale del mare ed al diritto umanitario. Sarebbero stati modificati, in particolare, i primi due articoli del decreto. Il ‘nuovo’ articolo 1 (“misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione”) stabilisce che “il ministro dell’Interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti”, della Convenzione di Montego Bay.
Come riferisce l’Huffington Post, scompare il riferimento espresso al Codice della navigazione e le sanzioni passano dall’articolo 1 all’articolo 2 del decreto legge sicurezza bis : sempre “salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo, il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale”: viene tagliato il riferimento al comandante “che nel corso della navigazione procede anche in acque internazionali ad azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto di migranti (anche mediante il recupero delle persone ovvero il traino del mezzo)” e che ”è tenuto ad operare nel rispetto della normativa internazionale e delle istruzioni operative emanate dalle autorità responsabili dell’area in cui ha luogo l’operazione di soccorso”. Anche nella versione riveduta e corretta, resta per il comandante, l’armatore e il proprietario della nave che viola l’eventuale divieto “la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10 mila e euro 50 mila”; inoltre, “si applica la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare”. Evidente il peso delle critiche delle Nazioni Unite.
Rimane pero’ la previsione che assegna al solo ministro dell’interno il potere di vietare l’ingresso nelle acque territoriali, con un riferimento allart. 19 comma 2 lettera g della Convenzione UNCLOS di Montego Bay che non appare ammissibile se si richiamano i principi costituzionali e le previsioni contenute nelle Convenzioni internazionali che stabiliscono a carico degli stati comunque a conoscenza di un evento SAR ( ricerca e salvataggio) precisi obblighi di ricerca e salvataggio in acque internazionali, anche quando i paesi che sarebbero responsabili perche’ titolari di una cd. Zona SAR non rispondono o non garantiscono un porto sicuro di sbarco.
Secondo l’ultima formulazione del decreto dicurezza bis, l’articolo 1 del decreto (Misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione) viene cosi’ riformulato:
1. All’articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:
“1-ter. Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Dei provvedimenti adottati sono informati il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro della difesa”.
In base alla nuova versione della “terza” bozza del decreto sicurezza, all’articolo 2 (Inottemperanza a limitazioni o divieti in materia di ordine, sicurezza pubblica e immigrazione) si prevede che:
1. All’articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 6 è inserito il seguente:
“6-bis. Salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi dell’articolo 11, comma 1-ter. In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, notificato al comandante e, ove possibile, all’armatore e al proprietario della nave, si applica a ciascuno di essi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10,000 a euro 50,000. Si applica altresì la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare. All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.”.
La nuova formulazione del decreto contiene ancora un parziale richiamo ad una singola norma di una Convenzione internazionale ( art. 19 comma 2 della Convenzione UNCLOS) che non può essere utilizzata in modo isolato, al limite della strumentalizzazione, perché verrebbe a stravolgere il fondamentale principio (art. 98 UNCLOS) che obbliga gli stati a prestare attività di assistenza e di coordinamento a qualsiasi imbarcazione in mare che abbia operato attività di ricerca e salvataggio, a prescindere dal tipo di imbarcazione, dalla bandiera che batte, dallo stato giuridico dei naufraghi e dalla natura civile o militare dei mezzi navali che hanno partecipato alle operazione di soccorso.
In base all’art. 19 comma 2 della Convenzione Unclos ” il passaggio di una nave nelle acque territoriali di uno Stato è permesso “fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. La disposizione contenuta nella bozza di decreto sicurezza bis avrebbe natura “meramente esemplificativa”, ma la lettera g) del comma 2 precisa che tra le attività che potrebbero portare a considerare il passaggio non inoffensivo c’è anche “il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero”.
Per gli estensori della bozza del decreto legge e per il ministro dell’interno che se ne dichiara autore, evidentemente, lo sbarco in un “porto sicuro” dei naufraghi soccorsi in acque internazionali, come sarebbe imposto nei tempi più solleciti dal diritto, oltre che da un minimo senso di umanità, diventa un atto illecito, riconducubile alla fattispecie penale dell’agevolazione preordinata dell’ingresso di immigrati irregolari. Un totale capovolgimento del rapporto tra realtà ed assetto normativo, che può consentire certo un qualche guadagno elettorale, ma che pone l’operato del governo italiano al di fuori dei limiti imposti dal diritto internazionale e dal diritto umanitario, oltre che in evidente contrasto con i principi di solidarietà affermati dagli articoli 2, 3 e 10 della Costituzione italiana. Quasi un capovolgimento della presunzione di innocenza, come se tutte le attività di soccorso operate dalle ONG in acque internazionali potessero ritenersi automaticamente illecite, e finalizzate alla commissione del reato di agevolazione dell’ingresso di “clandestini”.
5. Il ricorso al divieto di ingresso nelle acque territoriali, affermato solo nei confronti delle navi uanitarie appartenenti alle ONG, in base al richiamo surrettizio all’art. 19 della Convenzione UNCLOS permette la legittimazione di misure di respingimento collettivo che sono vietate dalle Convenzioni internazionali, ed appare potenzialmente lesivo della effettivo riconoscimento del diritto di asilo, garantito dall’art. 10 della Costituzione in misura più ampia di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalle Direttive in materia di protezione internazionale adottate dall’Unione Euroea. In questo senso il decreto legge sicurezza bis continua a mantenere, anche nella sua ultima versione, gravi profili di incostituzionalità, laddove si prevede che il ministero dell’interno possa impedire e sanzionare l’ingresso nelle acque territoriali, e dunque in un porto sicuro in Italia, di imbarcazioni private che abbiano svolto operazioni SAR ( di ricerca e salvataggio) in acque internazionali. Qualora il decreto venga approvato dal Consiglio dei ministri rimangono questioni di costituzionalità che il Presidente della Repubblica non potra’ ignorare. Si assiste soprattutto ad un ennesimo tentativo di svuotamento della portata effettiva degli articoli 10 e 117 della Costituzione. Si vorrebbe assimilare il soccorso in mare al trasporto di “clandestini”.
Secondo l’UNHCR ” In mare non è possibile una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 – T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003; ecc.). Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone. Il rifiuto, aprioristico e indistinto, di un governo, peggio di un singolo mnistro, di far approdare la nave in porto comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU. L’invito a rivolgere la prua verso un’altro stato (ad esempio Malta o la Tunisia) rivolto ad una nave che ha effettuato un soccorso e che si trova all’interno della zona contigua alle acque territoriali di un paese, per quanto osservato in precedenza, viola il diritto internazionale. Si deve qindi consentire lo sbarco a terra, ferma restando, ove ne ricorrano i presupposti, la potestà sovrana dello stato di eseguire, nel rispetto delle Convenzioni internazionali misure di respingimento e di espulsione. Non lo impongono le ONG, ma le norme che anche il ministro dell’interno deve rispettare.
Se è vero che, in base alla Convenzione UNCLOS lo stato può comunque impedire l’ingresso nei propri porti ad una nave sospettata di trasportare migranti irregolari, è altrettanto da considerare che se uno Stato respinge una imbarcazione carica di naufraghi soccorsi in acque internazionali, senza controllare se a bordo vi siano dei richiedenti asilo o soggetti non respingibili, o altrimenti inespellibili , come donne abusate e/o in stato di gravidanza e minori, e senza esaminare se essi possiedano i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, commette una grave violazione del principio di non respingimento sancito dall’art. 33 par. 1 della Convenzione del 1951 se i territori (Stati terzi o alto mare) verso cui la nave è respinta non offrono garanzie sufficienti per l’incolumità dei migranti o per il riconoscimento dei loro diritti fondamentali. Respingere una nave che ha effettuato un soccorso (SAR) verso l’alto mare, con la certezza che nessuno dei paesi confinanti ( come aree SAR) provvederà al soccorso tempestivo dei naufraghi, corrrisponde ad una grave lesione del diritto internazionale, oltre che ad un atto disumano, che nessuna norma di legge potrà mai ratificare. E se questa norma fosse mai approvata potrebbe essere censurata dalla Corte Costituzionale e dai tribunali internazionali. Per non parlare della possibile configurazione di reati diversi, dall’omissione di soccorso fino alla vasta gamma di reati configurabii nel caso siano presenti tra i naufraghi “respinti” minori non accomapgnati.
L’articolo 10 del Testo Unico sull’immigrazione 256/98 prevede ancora espressamente la possibilità di applicare il respingimento differito (comma 2) alle persone straniere che sono state “temporaneamente ammesse nel territorio per necessità di pubblico soccorso”. Ma anche nei casi di respingimento differito ci sono precisi limiti alla discrezionalità amministrativa, come ricorda la Corte Costituzionale.
Il principio di non refoulement implica ”no rejection at frontiers without access to fair and effective procedures for determining status and protection needs”. In altre parole, è possibile individuare un “contenuto minimo” di natura procedurale del diritto d’asilo, che “prima ancora di imporre in capo agli Stati precisi obblighi materiali di tipo positivo in ordine alla concessione del beneficio, non consente loro comportamenti che possano costituire una limitazione della libertà di accesso alle procedure, a meno di non svuotare di significato la partecipazione alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati”[. Come ha ribadito l’UNHCR nel suo Paper sulle intercettazioni in mare ciò dovrebbe comportare in linea generale che la persona intercettata in prossimità della zona contigua alle acque territoriali abbia accesso alle procedure nello Stato che ha effettuato l’intercettazione, poiché questo di solito consente sia l’accesso alle strutture di accoglienza, sia eque ed efficienti procedure d’asilo, nel rispetto degli standards garantiti dal diritto internazionale.
Una singola previsione derogatoria di un principio generale ( che afferma il diritto alla libera navigazione) all’interno di una Convenzione internazionale ( art. 19 comma 2 della Convenzione UNCLOS) non può essere utilizzata in modo isolato. In base ad un esercizio di discrezionalità politica o amministrativa ( attuata con atti di indirizzo e direttive ministeriali), si verrebbe a stravolgere il fondamentale principio del Diritto internazionale del mare (art. 98 UNCLOS) che obbliga gli stati a prestare immediata attività di assistenza e di coordinamento a qualsiasi imbarcazione in mare che abbia operato attività di ricerca e salvataggio, a prescindere dal tipo di imbarcazione, dalla bandiera che batte, dallo stato giuridico dei naufraghi e dalla natura civile o militare dei mezzi navali che hanno partecipato alle operazione di soccorso. Soprattutto nei casi nei quali le autorità che sarebbero responsabili di una determinata zona SAR non sono nelle condizioni di intervenire, o decidono espressamente di non portare a compimento operazioni di ricerca e salvataggio (come avviene nel caso delle autorità libiche che si rifiutano sistematicamente di prendere in carico eventi SAR dopo che ci sia già stata una nave di una ONG che sia intervenuta dopo avere notiziato tutte le autorità SAR titolari delle zone limitrofe).
Qualora si negasse l’ingresso nelle acque territoriali italiane, ad una nave che ha operato una attività SAR in acque internazionali e chiede lo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro, con una attività di imperio affidata ad un corpo militare dello stato italiano, si realizzerebbe dunque un caso di respingimento collettivo in frontiera. In questo caso verrebbe violato il diritto di chiedere asilo, riconosciuto come diritto fondamentale della persona , dall’art. 10 della Costituzione italiana, dalle Direttive e dai Regolamenti dell’Unione Europea e dalla Convenzione di Ginevra, che vieta espressamente di attribuire rilievo penale all’ingresso di richiedenti asilo nel territorio dello stato ( e lo stesso vale per tutte le persone che non sono comunque soggette ad espulsione o respingimento come vittime di violenza, minori, donne con prole o vittime di abusi). Dunque, dopo le azioni di soccorso in acque internazionali non esistono clandestini da trasportare, ma naufraghi da sbarcare in un porto sicuro.
Quando il soccorso sia stato operato per ragioni di urgenza, al prevalente scopo di salvaguardare la vita umana, nell’area di responsabilità corrispondente alla cd. “zona SAR libica”, qualora l’imbarcazione che ha effettuato il soccorso abbia raggiunto la zona contigua alle acque territoriali italiane ( 24 miglia dalla costa) , o vi abbia fatto addirittura ingresso, come si è verificato nei recenti casi della Mare Jonio e della Sea Watch 3, non si può addurre l’argomento tratto dalla nozione astratta di “passaggio ( non) inoffensivo. Che lo stato potrebbe negare, esercitando i suoi poteri di sovranità e di controllo delle frontiere, per giustificare quello che di fatto, in assenza di provvedimenti individuali, assumerebbe tutte le caratteristiche di un respingimento collettivo vietato dalle Convenzioni internazionali.
Anche arrrivando a ritenere ammissibile il diritto dello stato a negare l’accesso nei porti per ragioni di sicurezza nazionale, nell’ambito delle diverse previsioni stabilite dall’art. 19 comma 2 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS), tale diritto può essere concretamente esercitato solo a condizione che siano adottate misure di respingimento individuale nei confronti delle persone che si trovano a bordo delle navi alle quali si inibisce l’ingresso nelle acque territoriali o in porto. Nello stesso senso anche il Regolamento europeo sulle frontiere Schengen vieta i respingimenti collettivi ed esige la registrazione individuale dei respingimenti alle frontiere esterne. Se il legislatore italiano dovesse emanare disposizioni in contrasto con la normativa imposta con effetto cogente dal Regolamento frontiere Schengen, oltre che dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( divieto di respingimenti collettivi), si potrebbe adire la Corte di Giustizia dell’Unione europea per l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.
Risulta evidente come tutti le misure di polizia e le prassi operative di respingimento adottate nei confronti delle persone soccorse in acque internazionali e fermate in prossimità dell’ingresso nelle acque territoriali italiane, o nella zona contigua ( 24 miglia dalla costa) dovrebbero comportare provvedimenti individuali che andrebbero notificati direttamente alle medesime persone a bordo delle navi.
Gli stessi provvedimenti di respingimento, sempre che si ammetta che siano adottabili nei confnronti di persone soccorse in acque internazionali, che dunque avrebbero comunque diritto di ingresso per ragione di soccorso nel territorio dello stato, a mente dell’art. 10 del T.U. n.286/98, non possano applicarsi nei confronti di persone per le quali operino le cause di inespellibilità o di non respingimento stabilite dalle Convenzioni internazionali ( ad esempio l’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati) o dal diritto interno ( ad esempio dall’art. 19 del Testo Unico 286/98 sull’immigrazione, per non parlare dell’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana). Sotto questo punto di vista non assume alcun rilievo la bandiera di nazionalità che batte la nave soccorritrice, e appare privo di qualsiasi base legale il potere che si vorrebbe arrogare il ministero dell’interno, di disporre divieti di ingresso nelle acque territoriali in base all’art. 19 comma 2 della Convenzione UNCLOS.
Di certo appare evidente che, a prescindere dallo stato di bandiera, quando una nave carica di persone soccorse in acque internazionali si trovi al limite o all’interno della cd. “zona contigua” alle acque territoriali, ricade sotto la giurisdizione dello stato, sia per l’adozione delle misure di carattere penale ed amministrativo, sia in modo corrispondente per quanto riguarda gli obblighi di sbarco e di assistenza dei naufraghi, con particolare riferimento ai minori ed ai soggetti più vulnerabili. Obblighi di assistenza che non potranno essere assolti inviando soltanto scorte di vestiario e rifornimenti di viveri o provvedendo alle esigenze sanitarie più urgenti, senza trovare una soluzione di sbarco che non comporti il rinvio dei naufraghi ormai sottoposti alla giurisdizione italiana ed europea verso paesi che non garantiscono porti sicuri di sbarco ed il rispetto effettivo dei diritti fondamentali della persona.
Come ha affermato la Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza Hirsi, «secondo il diritto internazionale in materia di tutela dei rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non sarebbe se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, o a bordo di una nave battente bandiera dello stesso, bensì se essa sia sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso». Per la Corte, dotato di questo contenuto e di questa estensione, il divieto di respingimento costituisce un principio di diritto internazionale consuetudinario che vincola tutti gli Stati, compresi quelli che non sono parti alla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati o a qualsiasi altro trattato di protezione dei rifugiati. È inoltre una norma di jus cogens: non subisce alcuna deroga ed è imperativa, in quanto non può essere oggetto di alcuna riserva» (articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, articolo 42 § 1 della Convenzione sullo status dei rifugiati e articolo VII§1 del Protocollo del 1967).
6. Tra le parti più “nascoste” del decreto sicurezza bis, si assiste infine alla riproposizione del tentativo di bloccare future indagini che potrebbero essere avviate da singole procure, in caso di mancata indicazione di un porto sicuro di sbarco da parte del ministero dell’interno, con uno spregiudicato trasferimento di competenze ad organi giudiziari che appaiono forse, agli estensori della norma, gerarchicamente più controllabili, come le Procure distrettuali. Ma se si pensa alla richiesta di archiviazione delle indagini contro le ONG, lo scorso anno da parte della Procura di Palermo, e quest’anno da parte della Procura di Catania, gli sviluppi giudiziari in materia appaiono del tutto imprevedibili.
L’ articolo 3 della bozza di decreto modifica l’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., “estendendo ai reati associativi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, anche nelle ipotesi non aggravate, sia la competenza delle procure distrettuali sia la disciplina delle intercettazioni preventive. Si consentirebbe così di contrastare “a monte” l’organizzazione dei trasporti di stranieri irregolari“. Come se le atività delle ONG, che evidentemente, da parte del ministro dell’interno, si vogliono contrastare davvero, fossero equiparabili ai “trasporti di stranieri irregolari”.
Come riferisce La Stampa ” È quanto è scritto all’articolo 3 del decreto Sicurezza bis: in puro gergo giuridichese, in una selva di articoli e commi, c’è un clamoroso accentramento di competenze in capo a poche procure, quelle distrettuali. Nel caso siciliano, che è la frontiera avanzata lungo le rotte che arrivano dall’Africa, e che inevitabilmente si trova a trattare navi umanitarie e soccorso in mare, le uniche procure che sarebbero incaricate di trattare i reati del favoreggiamento all’immigrazione clandestina resterebbero Palermo e Catania, una competente per la Sicilia occidentale e l’altra per la Sicilia orientale. Per dare un nome ai procuratori interessati, Franco Lo Voi è il procuratore capo di Palermo (ora in corsa per divenire procuratore capo a Roma) e Carmelo Zuccaro a Catania sarebbero i soli a gestire la materia”.
Sembra che sia esclusa la portata retroattiva della norma, ma in vista di un estate nella quale i casi di omessa indicazione del porto di sbarco da parte del ministro dell’interno si ripeteranno con frequenza, si introduce una sorta di copertura legislativa a fronte del rischio di cumulo di azioni penali nei confronti del titolare del Viminale o dei suoi più stretti collaboratori. Una previsione che il Presidente Mattarella dovrebbe tenere presente nella valutazione dei diversi profili di incostituzionalita’ del decreto sicurezza bis, prima della promulgazione e della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
ULTIMA BOZZA MODIFICATA DEL DECRETO LEGGE SICUREZZA BIS
AL 22 MAGGIO
DECRETO-LEGGE RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
VISTI gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
VISTA la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri;
RITENUTA la straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure volte a contrastare prassi elusive della normativa internazionale e delle disposizioni in materia di ordine e sicurezza pubblica, attribuite dall’ordinamento vigente al Ministro dell’interno quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza;
RITENUTE, altresì le particolari e straordinarie necessità ed urgenza di rafforzare il coordinamento investigativo in materia di reati connessi all’immigrazione clandestina, implementando, altresì, gli strumenti di contrasto a tale fenomeno;
CONSIDERATA la straordinaria necessità e urgenza di garantire più efficaci livelli di tutela della sicurezza pubblica, definendo anche interventi per l’eliminazione dell’arretrato relativo all’esecuzione dei provvedimenti di condanna penale divenuti definitivi;
CONSIDERATA, inoltre, la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare le norme a garanzia del regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico;
RAVVISATA la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare i livelli di sicurezza necessari per lo svolgimento delle Universiadi 2019 nonché di integrare la disciplina volta a semplificare gli adempimenti nei casi di soggiorni di breve durata, la cui straordinaria urgenza è connessa all’imminente svolgimento delle Universiadi 2019;
RAVVISATA, altresì, la straordinaria necessità ed urgenza di potenziare l’efficacia delle disposizioni in tema di rimpatri;
CONSIDERATA, infine, la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare gli strumenti di contrasto dei fenomeni di violenza in occasione delle manifestazioni sportive, nel più ampio quadro delle attività di prevenzione dei rischi per l’ordine e l’incolumità pubblica;
VISTA la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del ………………….;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti
EMANA
il seguente decreto-legge:
CAPO I DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI CONTRASTO ALL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE E DI ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA
Art. 1
(Misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione)
1. All’articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:
“1-ter. Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Dei provvedimenti adottati sono informati il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro della difesa”.
Art. 2
(Inottemperanza a limitazioni o divieti in materia di ordine, sicurezza pubblica e immigrazione)
1. All’articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 6 è inserito il seguente:
“6-bis. Salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi dell’articolo 11, comma 1-ter. In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, notificato al comandante e, ove possibile, all’armatore e al proprietario della nave, si applica a ciascuno di essi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10,000 a euro 50,000. Si applica altresì la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare. All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.”.
Art. 3
(Modifica all’articolo 51 del codice di procedura penale)
1. All’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole: “articolo 12, commi” è inserita la seguente: “ 1,”.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica solo ai procedimenti ivi considerati, iniziatisuccessivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 4
(Potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura)
1. Al fine di implementare l’utilizzo dello strumento investigativo delle operazioni sotto copertura di cui all’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per la copertura degli oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi per il loro impiego sul territorio nazionale, nello stato di previsione del Ministero dell’interno è stanziata la somma di 500.000 euro per l’anno 2019, 1.000.000 di euro per l’anno 2020 e 1.500.000 euro per l’anno 2021, mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle entrate di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a), della legge 23 febbraio 1999, n. 44, affluite all’entrata del bilancio dello Stato, che restano acquisite all’erario.
Art. 5
(Modifiche al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773)
1. Al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.
773, all’articolo 109, al comma 3, dopo le parole “successive all’arrivo,” sono inserite le seguenti “e con immediatezza nel caso di soggiorni non superiori alle ventiquattr’ore,”.
Art. 6
(Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152)
1. Alla legge 22 maggio 1975, n. 152, sono apportate le seguenti modifiche: a) all’articolo 5:
1) al secondo comma, la parola “Il” è sostituita dalle seguenti: “Nei casi di cui al primo periodo del comma precedente, il”;
2) dopo il secondo comma è inserito il seguente: “Qualora il fatto è commesso in occasione delle manifestazioni previste dal primo comma, il contravventore è punito con l’arresto da due a tre anni e con l’ammenda da 2.000 a 6.000 euro.”;
b) dopo l’articolo 5 è aggiunto il seguente:
“Articolo 5-bis. Fuori dai casi di cui agli articoli 336, 337 e 338 del Codice penale, chiunque nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, ostacola il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o coloro che richiesti gli prestano assistenza, utilizzando scudi o altri oggetti o materiali, anche imbrattanti o inquinanti, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Salvo che il fatto non costituisca più grave reato e fuori dai casi di cui agli articoli 6bis e 6-ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, chiunque, nel corso delle manifestazioni di cui al comma 1, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”.
Art. 7
(Modifiche al codice penale)
1. Al regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 (Codice penale) sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 131-bis dopo il comma 2 è inserito il seguente:
“2-bis. L’offesa non può essere, altresì, ritenuta di particolare tenuità, nei casi di cui agli articoli 336 e 337, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni”;
b) all’articolo 339, al primo comma, dopo le parole “è commessa” sono aggiunte le seguenti:
“nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero”;
c) all’articolo 341 bis, al primo comma, dopo le parole “fino a tre anni” sono inserite le seguenti: “e sei mesi”;
d) all’articolo 419, al comma secondo, dopo le parole “è commesso” sono aggiunte le seguenti: “nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero”
e) all’articolo 635 sono apportate le seguenti modifiche:
1) al primo comma le parole “di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o” sono soppresse;
2) dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da uno a cinque anni.”;
3) al quarto comma le parole “al primo e al secondo comma” sono sostituite dalle seguenti: “, di cui ai commi precedenti”.
CAPO II DISPOSIZIONI URGENTI PER IL POTENZIAMENTO DELL’EFFICACIA
DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA A SUPPORTO DELLE POLITICHE DI SICUREZZA
ART. 8
(Misure straordinarie per l’eliminazione dell’arretrato relativo all’esecuzione delle sentenze penali di condanna definitive)
1. Al fine di dare attuazione ad un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretratorelativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze penali di condanna, nonché di assicurare la piena efficacia dell’attività di prevenzione e repressione dei reati, il Ministero della giustizia è autorizzato ad assumere, per il biennio 2019-2020, con contratto di lavoro a tempo determinato di durata annuale, anche in sovrannumero rispetto all’attuale dotazione organica e alle assunzioni già programmate, in aggiunta alle facoltà assunzionali ordinarie e straordinarie previste a legislazione vigente, un contingente massimo di 800 unità di personale amministrativo non dirigenziale di Area I e II, per le suddette comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale. L’assunzione di personale di cui al periodo precedente è autorizzata, anche in deroga all’articolo 30 del decreto legislativo 30 giugno 2001, n. 165 ed ai sensi dell’articolo 36, comma 2, del medesimo decreto legislativo, con le modalità semplificate di cui all’articolo 14, comma 10-ter, del decretolegge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, nonché mediante l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento secondo le procedure previste dall’articolo 35, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché mediante lo scorrimento delle graduatorie vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. L’amministrazione giudiziaria può indicare l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo in favore dei soggetti che hanno maturato i titoli di preferenza di cui all’articolo 50, commi 1-quater e 1quinquies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
2. Agli oneri derivanti dall’attuazione del disposizioni del comma 2, quantificati in euro 5.206.059 per l’anno 2019 e in euro 20.474.741 per l’anno 2020, si provvede a valere sulle risorse iscritte, rispettivamente per l’anno 2019 e per l’anno 2020, sul Fondo per il federalismo amministrativo di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, dello stato di previsione del Ministero dell’interno.
ART. 9
(Proroga di termini in materia di dati personali)
1. All’articolo 49 del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, al comma 2, le parole “decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto” sono sostituite dalle seguenti: “a decorrere dal 1 gennaio 2020”.
ART.10
(Misure urgenti per il presidio del territorio in occasione dell’Universiade Napoli 2019)
1. Al fine di corrispondere alle esigenze di sicurezza connesse allo svolgimento dell’UniversiadeNapoli 2019, il contingente di personale delle Forze armate di cui all’articolo 1, comma 688, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, limitatamente ai servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, è incrementato, a partire dal 20 giugno 2019 e fino al 14 luglio 2019, di ulteriori 500 unità. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 7- bis , commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. L’impiego del predetto contingente è consentito nei limiti della spesa autorizzata ai sensi del comma 2.
2. Ai fini dell’attuazione del comma 1 è autorizzata la spesa di 1.214.141 euro per il personale di cuial comma 74 dell’articolo 24 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. Ai relativi oneri si provvede a valere sulle risorse iscritte per l’anno 2019 sul Fondo per il federalismo amministrativo di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, dello stato di previsione del Ministero dell’Interno.
Art. 11
(Disposizioni sui soggiorni di breve durata)
1. All’articolo 1, comma 1, della legge 28 maggio 2007, n. 68, le parole “visite, affari, turismo e studio” sono sostituite dalle seguenti: “missione, gara sportiva, visita, affari, turismo e studio”.
Art. 12
(Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio)
1. E’ istituito, nello stato di previsione del Ministero degli affari esteri e della cooperazioneinternazionale, un fondo destinato a finanziare interventi di cooperazione mediante sostegno al bilancio generale o settoriale ovvero intese bilaterali, comunque denominate, con finalità premiali per la particolare collaborazione nel settore della riammissione di soggetti irregolari presenti sul territorio nazionale e provenienti da Stati non appartenenti all’Unione Europea.
2. La dotazione iniziale del fondo di cui al comma 1 è pari a euro 2 milioni per l’anno 2019, cui siprovvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019 – 2021, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. La dotazione potrà essere incrementata da una quota annua non superiore a euro 50 milioni a valere sulle risorse di cui all’articolo 1, comma 767, secondo periodo, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, individuata annualmente con il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ivi previsto, sentito il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
CAPO III DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI CONTRASTO ALLA VIOLENZA IN OCCASIONE DI MANIFESTAZIONI SPORTIVE
ART.13
(Misure per il contrasto di fenomeni di violenza connessi a manifestazioni sportive)
1. Alla legge 13 dicembre 1989, n. 401, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 6:
1) il comma 1 è sostituito dal seguente:
”1. Il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime, nei confronti di:
a) coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su
persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza;
b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino avere tenuto, anche all’estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui alla lettera a);
c) coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti per alcuno dei reati di cui all’articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, agli articoli 6-bis, commi 1 e 2, e 6-ter della presente legge, per il reato di cui all’articolo 2bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, o per alcuno dei delitti contro l’ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro secondo, titoli V e VI, capo I, del codice penale o per il delitto di cui all’articolo 588 dello stesso codice, ovvero per alcuno dei delitti di cui all’articolo 380, comma 2, lettere f) e h), del codice di procedura penale, anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive;
d) ai soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, anche se la condotta non è stata posta in essere in occasione o a causa di manifestazioni sportive.”;
2) dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:
”1-ter. Il divieto di cui al comma 1 può essere disposto anche per le manifestazioni sportive che si svolgono all’estero, specificamente indicate. Il divieto di accesso alle manifestazioni sportive che si svolgono in Italia può essere disposto anche dalle competenti autorità degli altri Stati membri dell’Unione europea, con i provvedimenti previsti dai rispettivi ordinamenti. Per fatti commessi all’estero, accertati dall’autorità straniera competente o dagli organi delle Forze di polizia italiane che assicurano, sulla base di rapporti di cooperazione, il supporto alle predette autorità nel luogo di svolgimento della manifestazione, il divieto è disposto dal questore della provincia del luogo di residenza ovvero del luogo di dimora abituale del destinatario della misura.”;
3) al comma 5, terzo periodo, le parole: “inferiore a cinque anni e superiore a otto anni” sono sostituite dalle seguenti: “inferiore a sei anni e superiore a dieci anni” e, al quinto periodo, le parole: “otto anni” sono sostituite dalle seguenti: “dieci anni”;
4) al comma 7, le parole “da due a otto anni” sono sostituite dalle seguenti: “da due a dieci anni”;
5) al comma 8-bis dopo le parole “se il soggetto” e prima delle parole “ha dato prova” sono aggiunte le seguenti: “ha adottato condotte di ravvedimento operoso, quali la riparazione integrale del danno eventualmente prodotto, mediante il risarcimento anche in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile, nonché la concreta collaborazione con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria per l’individuazione degli altri autori o
partecipanti ai fatti per i quali è stato adottato il divieto di cui al comma 1 e”; 6) dopo il comma 8-bis è aggiunto il seguente:
”8-ter. Con il divieto di cui al comma 1 il questore può imporre ai soggetti che risultano definitivamente condannati per delitti non colposi anche i divieti di cui all’articolo 3, comma 4, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, avverso i quali può essere proposta opposizione ai sensi del comma 6 del medesimo articolo 3. Nel caso di violazione dei divieti di cui al periodo precedente, si applicano le disposizioni dell’articolo 76, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011.”;
b) all’articolo 6-quater è aggiunto, in fine, il seguente comma:
”1-ter. Le disposizioni del comma 1, primo e secondo periodo, si applicano altresì a chiunque commette uno dei fatti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale nei confronti degli arbitri e degli altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive.”;
c) all’articolo 6-quinquies è aggiunto, in fine, il seguente comma:
”1-bis. Le disposizioni del comma 1 si applicano altresì a chiunque commette uno dei fatti previsti dall’articolo 583-quater del codice penale nei confronti degli arbitri e degli altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive.”.
2. All’articolo 8 del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
”1. È vietato alle società sportive corrispondere, in qualsiasi forma, diretta o indiretta, sovvenzioni, contributi e facilitazioni di qualsiasi natura, compresa l’erogazione di biglietti e abbonamenti o di titoli di viaggio a prezzo agevolato o gratuito:
a) ai destinatari dei provvedimenti previsti dall’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione ai sensi dell’articolo 6, comma 8-bis, della medesima legge n. 401 del 1989;
b) ai destinatari dei provvedimenti previsti dall’articolo 6 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione ai sensi dell’articolo 70 del medesimo codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011;
c) ai soggetti che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero per reati in materia di contraffazione di prodotti o di vendita abusiva degli stessi.”;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
“1-bis. Alle società sportive è vietato altresì stipulare con soggetti destinatari dei provvedimenti di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione, contratti aventi ad oggetto la concessione dei diritti previsti dall’articolo 20, commi 1 e 2, del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. È parimenti vietato alle società sportive corrispondere contributi, sovvenzioni e facilitazioni di qualsiasi genere ad associazioni di sostenitori, comunque denominate, salvo quanto previsto dal comma 4.”;
c) al comma 3, le parole: “di cui al comma 1” sono sostituite dalle seguenti: “di cui ai commi 1 e 1-bis”.
Art. 14.
(Ampliamento delle ipotesi di fermo di indiziato di delitto)
1. All’articolo 77, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo le parole: “di cui all’articolo 4” sono inserite le seguenti: “e di coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.
Art. 15.
(Disposizioni in materia di arresto in flagranza differita)
1. All’articolo 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 6-ter, le parole: “fino al 30 giugno 2020” sono soppresse; b) al comma 6-quater, il secondo periodo è soppresso.
Art. 16.
(Modifiche al codice penale)
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 61, dopo il numero 11-sexies) è aggiunto il seguente:
”11-septies) l’avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni.”;
b) all’articolo 131-bis, secondo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive.”.
Art. 17
(Modifiche all’articolo 1-sexies del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2003, n. 88)
1. All’articolo 1-sexies del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: “nei luoghi in cui si svolge la manifestazione sportiva o in quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alla manifestazione medesima,” sono sostituite dalle seguenti: “alle manifestazioni sportive”;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
”1-bis. Le disposizioni del comma 1, primo e secondo periodo, si applicano anche ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.”.
ART. 18
(Entrata in vigore)
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
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