di Fulvio Vassallo Paleologo
1. La materia della disciplina intertemporale della protezione umanitaria e della sua “abolizione” che sarebbe stabilita con effetto retroattivo dal decreto legge sicurezza, n.113 del 2018, poi convertito nella legge 132 dello stesso anno, non può prescindere da una qualificazione sostanziale dell’istituto e dal suo fondamento rinvenibile nel dettato costituzionale ( art. 10 comma 3 della Costituzione), secondo cui “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge” .
Il diritto alla protezione umanitaria è stato considerato, da tempo manifestazione del diritto di asilo di cui all’art. 10, terzo comma, Cost. Le situazioni che impediscono – nel Paese di provenienza dello straniero − «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» non sono solo quelle che precludono l’esercizio dei diritti che più direttamente attengono alla democrazia (libertà di espressione, di associazione etc.) ma tutte quelle che incidono sui diritti fondamentali e sulle condizioni minime di una vita sicura e dignitosa.
Secondo l’orientamento consolidato in Cassazione, «il diritto di asilo è […] interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sì che non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale» (Cass. civile, sez. VI, n. 10686/2012, confermata da Cass. civile, sez. VI, n. 16362/2016). Secondo questa lettura della normativa costituzionale, la legge cui rinvia l’art. 10, terzo comma, Cost. ha il compito di precisare le condizioni del rilascio e i requisiti del richiedente, di regolare la procedura del riconoscimento e i casi di cessazione ma non può limitare il diritto di asilo a un gruppo di soggetti (gli aventi diritto allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria), escludendo tutti coloro che si trovano in altri modi privati dei diritti fondamentali nel Paese di provenienza. Per la mancanza di un indirizzo univoco sulla protezione umanitaria nella normativa dell’Unione Europea e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, tenderei ad escludere la possibilità di fondare esclusivamente sulla possibilità ricorrente in alcuni paesi, in conformità al diritto europeo, di un riconoscimento di forme diverse di “protezione umanitaria”.
Appare difficilmente contestabile quanto rileva ancora di recente la Corte di Cassazione, secondo cui “ la qualificazione giuridica di diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale, è stata affermata e mantenuta costante dalle S.U. di questa Corte a partire dall’ordinanza n.19393 del 2009 fino alle più recenti ( ex multis S.U.5059 del 2017; 30658 del 2018; 30105 del 2018; 32045 del 2018; 32177 del 2018). Tale peculiare natura, del tutto coerente con il richiamo al rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali indicati nell’art. 5, c.6, del d.lgs. n. 286 del 1998, ha avuto un notevole rilievo nella ricognizione dei presupposti per l’accertamento del diritto al permesso umanitario, svolta dalla giurisprudenza di legittimità. Si è ritenuto che essi fossero diversi da quelli posti a base delle protezioni maggiori e che la protezione umanitaria avesse carattere residuale (Cass. 4131 del 2011; 15466 del 2014), dal momento che le condizioni di vulnerabilità suscettibili di integrare i “seri motivi umanitari” non possono che essere correlati al quadro costituzionale e convenzionale al quale sono ancorati (Cass. 28990 del 2018).
Quando il presidente Mattarella, il 4 ottobre dello scorso anno, aveva firmato il Decreto Legge “immigrazione e sicurezza” n.113/2018, allegando al provvedimento una lettera in cui si avvertiva «l’obbligo di sottolineare che, in materia», «restano ‘fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo», non si poteva prevedere che il provvedimento sarebbe stato convertito in legge con un testo ancora più restrittivo (inserendo una lista di “paesi terzi sicuri”) e con procedure tali da snaturare il ruolo del Parlamento, previsto nella nostra Costituzione. Il Presidente della Repubblica ricordava in particolare “quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”. Adesso con il riconoscimento del valore retroattivo della norma abrogativa dell’istituto della protezione umanitaria si vorrebbe ampliare al massimo la portata della normativa introdotta dal decreto sicurezza, in deroga al principio di uguaglianza e in contrasto con l’articolo 10 della Costituzione italiana.
2.La protezione umanitaria era prevista nel testo unico 286/98 (art. 5 c. 6) quando, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale, la Commissione territoriale riteneva di chiedere al questore il riconoscimento di una forma di protezione per seri motivi di carattere umanitario.
Prima del decreto legge n. 113/2008, poi convertito nella legge 132/2018, l’art. 5, comma 6, T.U. immigrazione (d.lgs 286/1998) così disponeva:«Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione».
Il permesso di soggiorno umanitario si affiancava così al permesso di soggiorno rilasciato ai titolari dello status di rifugiato e ai titolari dello status di protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria rientravano, e rientrano ancora oggi nella cd.protezione internazionale, oggetto di una serie di Direttive a livello europeo. Nei casi in cui non veniva accolta la domanda di protezione internazionale e si ritenessero sussistenti gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmetteva gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 6, T.U. immigrazione 286/98.
3. Gli art. 5, comma 6, T.U. e art. 32, comma 3, d.lgs 25/2008 sono stati modificati dal dl 113/2018: nell’art. 5, comma 6, è venuta meno la generale previsione del permesso di soggiorno per «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» .
Ridurre i casi di riconoscimento della protezione umanitaria e i tempi di valutazione delle domande di protezione internazionale: erano gli obiettivi prioritari del governo giallo-verde fin dal momento del suo insediamento e poi a partire dalla circolare firmata dal Ministro dell’interno e diramata il 4 luglio dello scorso anno ai prefetti, ai questori, alla commissione nazionale per il diritto di asilo e ai presidenti delle commissioni territoriali.
La circolare conteneva “parametri ai quali va necessariamente ancorata ogni valutazione per il riconoscimento delle diverse forme di protezione, non potendo la stessa essere limitata ad una mera constatazione di criticità benché evidenti e circostanziate”. In senso opposto, va ricordata la reazione prevalente nella giurisprudenza di merito, secondo cui I parametri per il riconoscimento degli status di protezione sono previsti dalla legge e non possono discendere da una circolare del ministro dell’interno. Lo vieta espressamente la “riserva di legge” prevista in materia di condizione giuridica dello straniero dall’art. 10 della Costituzione italiana.
Nella circolare ministeriale del 4 luglio 2018 questi “parametri” venivano peraltro ricavati dall’unico precedente giurisprudenziale che si cita ( la nota sentenza della Cassazione n.4455 del 23 febbraio 2018) in base alla quale i “seri motivi” previsti dalla normativa nazionale per il riconoscimento della protezione umanitaria ( art. 5 comma 6 del Testo Unico n.286 del 1998) sarebbero stati “tipizzati”dalla ratio di tutelare situazioni di vulnerabilità, calate in concreto nella complessiva condizione del richiedente, emergente sia da indici soggettivi che oggettivi”, senza che “nessuna singola circostanza possa di per sé, in via esclusiva, costituire il presupposto per l’attribuzione del beneficio”. Si aggiungeva poi, sempre sulla falsariga di quanto affermato dalla sentenza n. 4455/2018 della Cassazione, secondo cui “l’accertamento della situazione oggettiva del paese di origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce della peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere”. Un criterio già adottato dai giudici di merito, che però fanno costantemente richiamo ai principi costituzionali ed agli obblighi di fonte internazionale evocati dall’art. 5. 6 del T.U. n. 286 del 1998, che la circolare ministeriale del 4 luglio 2018 sembrava invece ignorare.
La questione della disciplina intertemporale della norma abrogativa della protezione umanitaria non sembra tuttavia risolvibile alla stregua della sentenza n. 4455, che pure introduceva un importante, ed a mio avviso condivisibile, aggancio tra l’istituto della protezione umanitaria e la previsione dell’art. 8 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo che prevede una tutela rafforzata dell’unità familiare, comunque soggetta al bilanciamento con altri diritti e potestà dello stato, come conferma la tormentata elaborazione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo sui casi in questa materia. Se facciamo riferimento ai casi che potevano rientrare nella protezione umanitaria, e anche dopo il 5 ottobre del 2018 tali da impedire comunque il rimpatrio delle persone migranti, e dunque il rilascio di un permesso di soggiorno, ci troviamo di fronte a situazioni che incidono direttamente su diritti fondamentali di valenza assoluta, come il diritto alla vita, il diritto a non subire trattamenti disumani o degradanti, il diritto alla salute, diritti per cui non esistono margini di compromesso con il potere dello stato di ammettere o escludere una persona dal proprio territorio.
Si potrebbe osservare che le questioni di diritto intertemporale avrebbero potuto trovare qualche chiarimento nelle circolari emanate dal ministero dell’interno, ma cosi’ non e’ stato. Nella giornata internazionale dei diritti dei migranti (18 dicembre 2018) è stata diffusa ai prefetti la Circolare del Ministero dell’interno a firma del prefetto Piantedosi, capo di Gabinetto del Ministro, avente ad oggetto il Decreto legge n.113, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n.132. Quasi contemporaneamente il Ministero dell’interno diffondeva tramite internet un opuscolo informativo sulla nuova normativa, nel tentativo forse di rassicurare gli operatori, e la stessa opinione pubblica, sulle conseguenze della nuova legge sia in termini di risparmio finanziario che sotto il profilo della sicurezza dei cittadini. La circolare, e tantomeno l’opuscolo informativo, non chiarivano alcun dubbio in materia di disciplina intertemporale del decreto sicurezza, dando forse per scontato il generale carattere retroattivo della nuova normativa.
4. Con la Sentenza. n. 4890/2019, depositata il 19 febbraio scorso, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione sembrava risolvere i dubbi in tema di retroattività della nuova disciplina sulla protezione umanitaria. In quella sentenza la Corte rilevava innanzitutto che nel decreto sicurezza, poi convertito nella legge 132/2018,“non vi e’ una espressa disciplina legislativa di carattere intertemporale riguardante i giudizi in corso che seguano ad un accertamento positivo od ad un diniego delle Commissioni territoriali o espressamente rivolta ai procedimenti amministrativi in itinere alla data di entrata in vigore della nuova legge. L’unica regola inequivoca che si può cogliere dall’art. l, comma 9, riguarda il segmento conclusivo dell’accertamento positivo del diritto che, anche ove accertato alla stregua del parametro legislativo applicabile prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, non può che assumere la denominazione ed il contenuto indicati nella norma non essendo più legislativamente previsto il permesso di soggiorno per motivi umanitari”.
La sentenza 4890/2019 ha quindi affermato la non retroattività della norma abolitrice della protezione umanitaria, contenuta nel decreto sicurezza 113/2018, adottando una motivazione sostanziale che si basa sulla natura della situazione soggettiva inerente la protezione umanitaria. Su questo aspetto vanno messi dei punti fermi perché non sembra che le successiva ordinanze della Cassazione che affermano al contrario la natura retroattiva della nuova normativa, richiamino tali aspetti di diritto sostanziale, e meno che mai il fondamento costituzionale della protezione umanitaria, istituto che nel 2018 il legislatore ordinario avrebbe inteso abrogare.
Secondo i giudici della Cassazione, tale peculiarità, unitamente alla qualificazione giuridica del diritto, fornita dalle Sezioni Unite di questa Corte,” ha svolto un’incidenza determinante sull’intervento nomofilattico della giurisprudenza di legittimità in relazione al contenuto e l’azionabilità del diritto d’asilo. (ex multis Cass.10636 del 2012 e 16362 del 2016, il principio è richiamato anche nella recente pronuncia n. 4455 del 2018). Secondo tale costante orientamento, il diritto d’asilo costituzionale è integralmente compiuto attraverso il nostro sistema pluralistico della protezione internazionale, anche perché non limitato alle protezioni maggiori ma esteso alle ragioni di carattere umanitario, aventi carattere residuale e non predeterminato, secondo il paradigma normativo aperto dell’art. 5, c.6, d .lgs. n. 286 del 1998”.
La sentenza n. 4890/2019, depositata il 19 febbraio scorso ha dunque escluso l’applicabilità del decreto “sicurezza” 113/2018 ai procedimenti amministrativi già iniziati davanti alle Commissioni Territoriali o ai giudizi in corso avverso i provvedimenti di accertamento o diniego del diritto, escludendo, in particolare, che si potesse precludere l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria se la Commissione Territoriale non l’avesse già riconosciuto alla data della entrata in vigore del decreto, dunque al 4 ottobre 2018, in adesione peraltro alla prevalente giurisprudenza di merito e sulla base di conclusioni conformi espresse dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Si è fatto in proposito richiamo al contenuto dell’art. 11 delle Preleggi e dal divieto di irretroattività della legge, evidenziando come l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale (riferendosi in particolare al parametro del cd. fatto compiuto), abbiano chiarito che detto principio trova applicazione non solo con riferimento ai cd. diritti quesiti, e quindi alle situazioni integralmente esaurite al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, bensì anche alle «situazioni giuridiche soggettive sottoposte ad un procedimento di accertamento ove la nuova disciplina legislativa modifichi il fatto generatore del diritto o le sue conseguenze giuridiche attuali e future». La Cassazione, nel ricordare come la disciplina di cui all’art. 11 delle Preleggi non goda di copertura costituzionale, richiama tuttavia l’orientamento consolidato della Corte costituzionale in tema di irretroattività della legge e, in particolare, la necessità di salvaguardare gli «interessi costituzionalmente protetti», che possono ben costituire un limite alla retroattività della legge anche per lo stesso legislatore.
Secondo la sentenza n.4890 della Cassazione dunque : <<La normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall’art. 5, c. 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione. Tuttavia in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura “casi speciali” e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, c.9, di detto decreto legge>>. E infatti: “(…) la legge nuova può essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore” (S.U. n. 2926 del 1967; 2433 del 2000; 14073 del 2002; Cass.16620 del 2013).
Come è stato rilevato, “Il principio esposto è una diretta conseguenza del parametro del cd. “fatto compiuto”, elaborato dalla dottrina costituzionalistica al fine dì evitare effetti pregiudizievoli sulla tutela di diritti, dettati dall’insorgenza di un nuova norma che ne limiti o comprima la titolarità, il contenuto e l’esercizio, in virtù di un paradigma diverso rispetto a quello applicabile al momento in cui se ne è chiesto l’accertamento, così da creare disparità ingiustificate ed irragionevoli di trattamento dovute esclusivamente ad un fattore, del tutto estrinseco ed accidentale quale la durata del procedimento di accertamento”.
Sotto questo profilo, che appare del tutto condivisibile, secondo la sentenza 4890 della Cassazione,“la nuova legge, ove non si applicasse il principio sopra illustrato “finirebbe per sconvolgere le situazioni giuridiche sorte durante il periodo di vigenza della vecchia legge, solo perché non esaurite al momento dell’entrata in vigore della nuova (in quanto svolgentesi nell’ambito di un durata ancora in corso) e perché tuttora oggetto di accertamento giudiziale”(S.U. n. 5939 del 1991; 4327 del 1998; Cass. 2433 del 2000; 16395 del 2007; 3845 del 2017).
5. Con tre “ordinanze interlocutorie” (relatore Lamorgese) depositate il 3 maggio scorso, sulla disciplina intertemporale del decreto sicurezza, i giudici della prima sezione civile della Corte di cassazione hanno trasmesso gli atti al primo presidente Giovanni Mammone per “l’eventuale assegnazione” alle Sezioni unite della Corte. Nelle ordinanze si sostiene che le nuove norme “in materia di permessi umanitari contenute nel decreto Sicurezza entrato in vigore lo scorso 5 ottobre devono essere applicate a tutti i giudizi in corso”. Un’indicazione questa che, in modo plateale,va contro quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza 4890 depositata appena qualche mese prima. Appaiono di conseguenza ancora evidenti i possibili profili di disparità di trattamento per casi simili, a seconda del momento della presentazione della domanda, o della decisione della Commissione, o ancora del giudice, con un possibile vulnus dell’art. 3 della Costituzione.
Le tre ordinanze “interlocutorie” si caratterizzano per la confutazione punto per punto delle motivazioni addotte dalla precedente sentenza 4890, senza che però emerga in modo chiaro le ragioni per cui si conclude che il diritto alla protezione umanitaria possa essere espunto dal novero dei diritti fondamentali coperti dalla garanzia costituzionale costituita dall’art. 10 comma 3 della Costituzione. Manca soprattutto una qualsiasi confutazione della consolidata giurisprudenza della Cassazione, ripresa invece con ampio dettaglio dalla sentenza 4890, che aveva ricompreso nel novero delle previsioni legislative discendenti dalla norma costituzionale anche l’art. 5 comma 6 del Testo Unico 286 del 1998.
Appare particolarmente dubbio poi, determinare il rapporto tra riconoscimento del diritto e il cd. “fatto generatore”, comparando sullo stesso piano diritti patrimoniali, come il diritto ad una prestazione sociale, il diritto di usucapione o il regime delle distanze tra abitazioni, con un diritto fondamentale della persona, come il diritto alla protezione, in tutte le sue forme, che si riferisce a diritti fondamentali della persona, ed al suo diritto alla vita ed all’integrità fisica.
Il richiamo al dato costituzionale che, all’art.10 comma 3, assegna al legislatore il potere di definire le concrete modalità di esercizio del diritto di asilo costituzionale, non può essere orientato alla giustificazione di una “ ampia discrezionalità” in vista di un “bilanciamento tra controllo dei flussi migratori e diritti delle persone di derivazione anche internazionale”. Interpretazione questa che costituisce la vera chiave di lettura delle tre ordinanze di rimessione al primo presidente della Corte di cassazione per un possibile rinvio alle Sezioni Unite. Come se l’intervento della giurisdizione attuato con la sentenza 4890 della stessa Corte di cassazione si traducesse in modo arbitrario sull’esercizio della funzione legislativa. Una valutazione in linea con “l’aria del tempo”, che ricorre anche in altre occasioni in cui la magistratura ha esaminato aspetti diversi del decreto sicurezza, come il dititto dei richiedenti asilo alla iscrizione anagrafica. Risulta quindi assai preoccupante la valutazione che adotta la prima sezione della Corte nella “ordinanza interlocutoria” n.11750 e nelle seguenti, con riferimento alla precedente sentenza 4890, che avrebbe operato “un intervento ortopedico sul testo della normativa che incide sul delicato aspetto della vigente normativa riservata al legislatore”.
Ritenere poi che il procedimento per il riconoscimento della protezione per motivi umanitari, e dopo il 5 ottobre per “casi speciali”, sia una “fattispecie complessa a formazione progressiva”, per tagliare netto qualunque problema interpretativo che possa ostacolare una efficacia retroattiva della nuova normativa, significa distaccarsi da un consolidato orientamento della Cassazione, senza fornire una vera base argomentativa. I richiami ai limiti del riconoscimento della protezione umanitaria in ambito europeo, o al precedente costituito dalla sentenza n.4455 della stessa Corte di Cassazione, che pure si riferiva ad una casistica parziale, eludono il problema del fondamento costituzionale della protezione umanitaria, almeno fino al 4 ottobre 2018, ed in generale, anche dopo quella data, del riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, anche con riferimento ai divieti di rimpatrio ribaditi dall’art. 19 del T.U. 286 del 1998, come novellato dal “decreto sicurezza n.113/2018 ( adesso legge 132/2018), in base aòl vasto ventaglio di copertura offerto dall’art. 10 comma 3 della Costituzione.
Si tratta comunque di materia in costante divenire. La stessa sentenza della Cassazione n.4455/2018 che ridefiniva le possibilità di riconoscimento della protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale e sembrava rendere più ardua la prova del diritto alla protezione, con riferimento alla situazione nel paese di origine, appare oggi ridimensionata dalla successiva ordinanza n.11312/2019 della stessa Corte (sesta sezione civile), secondo cui, prima di respingere la richiesta di protezione il giudice deve verificare se realmente il rimpatrio mette a rischio la sua vita. E lo stesso principio dovrebbe valere anche per la prova di possibili lesioni degli altri diritti fondamentali comunque riferibili alla persona in quanto tale. Non può dunque ritenersi motivata una decisione negativa dei giudici di merito, che sia adottata sulla base di generiche “fonti internazionali” che attesterebbero l’assenza di conflitti nei paesi di provenienza dei migranti che chiedono di rimanere in Italia facendo valere motivi umanitari. Si deve comunque osservare, e la prassi sembra orientarsi in questo senso che, al di là dell’ampliamento dell’onere probatorio in capo al giudice, questa sentenza reintroduce criteri importanti per il riconoscimento, anche della protezione sussidiaria, a casi che in precedenza ottenevano il riconoscimento della protezione umanitaria. Come si potrebbe vetificare sempre piu’ spesso in futuro, se le Sezioni Unite dovessero condividere le perplessita’ sollevate dalle tre ordinanze “interlocutorie” di rimessione.
Si potrebbero moltiplicare anche i casi di ricorso alla Corte Costituzionale. Infatti, la disparità di trattamento, e dunque la violazione dell’art.3 della Costituzione, anche con riferimento all’art. 10 comma terzo della stessa Costituzione, che secondo le ultime ordinanze della Cassazione sarebbe esclusa in caso di interpretazione retroattiva della norma abrogativa della protezione umanitaria, potrebbe ripresentarsi proprio sulla base della lettura che ne fa adesso la prima sezione della Corte, quando sovrappone al problema della retroattività la questione della immediata vigenza della legge ( decreto sicurezza 113 e poi legge 132 del 2018) pubblicata nella Gazzetta ufficiale, al di là dell’esame approfondito delle situazioni soggettive costituzionalmente rilevanti che una applicazione retroattiva delle nuove disposizioni potrebbe compromettere.
6. La qualificazione giuridica del diritto alla protezione umanitaria, almeno fino al 4 ottobre 2018, e la natura meramente ricognitiva del giudizio di accertamento cui esso è assoggettato nella fase amministrativa e giudiziale dell’esame dei presupposti, inducono dunque a ritenere che la nuova disciplina legislativa non sia applicabile ai procedimenti in corso. Rimane incontestabile, ed incontestato, il principio affermato da anni dalla prevalente giurisprudenza di merito e consolidato negli orientamenti della Cassazione, secondo cui il diritto soggettivo, anche nel caso della protezione umanitaria, e comunque in tutti i casi riconducibili all’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana, preesiste alla verifica delle condizioni cui la legge lo sottopone, mediante il procedimento amministrativo ed eventualmente giudiziale. Il risultato positivo o negativo dell’accertamento, dipende dal quadro probatorio posto a base della domanda ma non incide sulla natura giuridica della situazione giuridica soggettiva azionata e sulla incontestata natura dichiarativa della verifica amministrativa e giudiziale. Quanto appena affermato non e’ contraddetto dalla circostanza che in alcuni casi specifici l’integrazione sociale possa costituire un elemento sopravvenuto e comunque fondante, seppure non da solo, per il riconoscimento di uno status di protezione, quale che sia la denominazione che gli vuole atribuire il legislatore, ma comunque rientrante nella vasta garanzia costituzionale offerta dall’art.10 comma 3. Si puo’ ritenere che gli orientamenti espressi dalla sentenza n.4890 della Cassazione possano essere seguiti dalla parte piu’ consistente della giurisprudenza di merito, come peraltro si era già verificato in questi ultimi mesi.
Il cittadino straniero che manifesti la volonta’ di chiedere una qualsiasi forma di protezione matura quindi da quel momento il diritto ad un titolo di soggiorno fondato sui motivi desumibili dal quadro degli “obblighi costituzionali ed internazionali” assunti dallo Stato. Il legislatore può anche mutare la portata del riconoscimento dei casi diversi, dall’asilo e dalla protezione sussidiaria, rientranti nell’ampia copertura dell’art. 10 della Costituzione, ma non può modificare con effetto retroattivo gli effetti maturati rispetto ai presupposti della preesistente normativa, nel caso di specie l’art. 5 comma 6 del T.U. 286 del 1998, in assenza di una specifica disposizione intertemporale, che allo stato non appare certo rinvenibile nella formulazione del decreto “sicurezza” 113 del 2018, poi convertito nella legge n.132 dello stesso anno. Una retroattivita’ della norma abrogativa della protezione umanitaria, introdotta con il decreto legge “sicurezza” n.113/2018, potrebbe solo accentuare i rischi gia’ evidenti di una lesione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
In materia, riguardo ai possibili profili di illegittimità costituzionale, si rinvia ai più recenti contributi che hanno evidenziato la possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della nuova normativa, piuttosto che un ricorso diretto alla Corte Costituzionale, che avrebbe tempi di definizione e margini di incertezza anche assai elevati.
Non sembra che le più recenti ordinanze “interlocutorie” della prima sezione della Cassazione, per l’iter argomentativo che adottano, possano ribaltare il diffuso convincimento, assolutamente prevalente tra le corti di merito, secondo cui il procedimento (l’esame della domanda) per il riconoscimento dello status di protezione umanitaria ( che oggi si vorrebbe abrogato con effetto retroattivo), abbia carattere meramente ricognitivo. L’autorità amministrativa o giudiziaria si limita ad “accertare” che quando la persona ha fatto la domanda di protezione aveva diritto al riconoscimento di un determinato status. Questo significa che non avrebbe senso -anzi, sarebbe “irragionevole”- dare una risposte diverse a seconda del tempo in cui è intervenuta la decisione della Commissione territoriale, magari a fronte di domande di protezione presentate negli stessi giorni da persone che si trovano nelle medesime condizioni sostanziali, posizioni che, seppure riconducibili alla protezione umanitaria adesso abrogata, trovano una specifica tutela nell’ampia portata dell’articolo 10 comma 3 della Costituzione.
Non può ritenersi ancora superata, dunque, l’affermazione contenuta nella sentenza 4890/2019 della Cassazione, secondo cui «questa Corte, che ritiene di superare la giurisprudenza di cui a Cass. 18940 del 2006, per la quale il diritto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 degraderebbe a mera posizione processuale o strumentale (propria di chi ha diritto all’esame della sua domanda alla stregua delle vigenti norme sulla protezione), ha già affermato, ed il Collegio qui ribadisce, che il diritto di asilo è oggi (e quindi dopo la menzionata pronunzia) interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 sì che non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale».
Come osserva la Cassazione nella sentenza 4890/2019, “Il cittadino straniero (sulla base del complessivo paradigma legislativo anteriore all’entrata in vigore del d .l. n. 113 del 2018) ha il diritto ad un titolo di soggiorno fondato su “seri motivi umanitari” desumibili dal quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato, che sorge contestualmente al verificarsi delle condizioni di vulnerabilità, delle quali ha richiesto l’accertamento con la domanda. La domanda, di conseguenza, cristallizza il paradigma legale sulla base del quale, per la richiamata qualificazione giuridica del diritto azionato e per la natura ricognitiva dell’accertamento statuale, deve essere scrutinato”.
Se si dovesse assistere allo “svuotamento” dell’istituto della protezione umanitaria, magari attraverso un preteso carattere retroattivo della norma abrogativa, si potrebbe ben ricorrere, come si faceva in passato, all’applicazione diretta del dettato costituzionale, fin qui richiamato espressamente dall’art. 5. 6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998.
Come si è opportunamente osservato (Tria),tale richiamo appare di ampia applicazione ben al di là dei divieti di respingimento ed espulsione previsti oggi dall’art. 19 del vigente testo Unico. Si rileva infatti che “in base al consolidato orientamento della Corte di Cassazione − affermatosi a partire da Cass., 26 giugno 2012, n. 10686 − si è esclusa la sopravvivenza di margini residuali di diretta applicazione della suddetta norma costituzionale sul presupposto che il diritto di asilo si deve considerare interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario. È, pertanto, evidente che se, in ipotesi, tale assetto normativo venisse modificato in senso restrittivo – ad esempio con riguardo alla protezione umanitaria – si riespanderebbe l’ambito di diretta applicabilità della indicata disposizione costituzionale” (Tria).
Malgrado il tentativo di “riequilibrio” e di fissazione di “parametri più rigidi” per il riconoscimento dei residui casi di protezione umanitaria, operato con le più recenti ordinanze della Cassazione, con il rinvio della questione della disciplina intertemporale del decreto sicurezza ( adesso convertito nella legge 132 del 2018) al giudizio delle Sezioni Unite, si può prevedere una ulteriore crescita del contenzioso. Una mole enorme di ricorsi che potrà raggiungere anche la stessa Corte di cassazione, con una possibile proliferazione delle richieste di accesso diretto al riconoscimento della protezione umanitaria nei casi ancora coperti dall’ampia formulazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana.
Se qualcuno riteneva, dopo queste ultime più restrittive ordinanze della Cassazione, che si potessero produrre effetti deflattivi sui ricorsi, si potrebbe verificare esattamente l’opposto. Con conseguenze assai gravi, oltre che per il funzionamento della giustizia, per il prolungamento di una situazione di incertezza sullo status giuridico di persone già particolarmente esposte al rischio di essere espulse da un sistema di accoglienza in via di smantellamento. Con una ulteriore marginalizzazione che ne potrebbe pregiudicare definitivamente il futuro, compromettendo anche la coesione sociale e la sicurezza dei cittadini, che appare sempre meno come un dato separabile dal riconoscimento dei diritti fondamentali, a partire proprio dal diritto alla protezione, in tutte le sue possibili accezioni, delle persone migranti.
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Decreto sicurezza, Vassallo Paleologo: “Costruire un fronte di opposizione sociale”
Il docente di diritto d’asilo dell’università di Palermo si confronta con gli studenti dell’istituto Gonzaga nell’ambito degli incontri sulla “staffetta antirazzismo”. “I cittadini e le associazioni hanno un ruolo essenziale per sostenere i migranti che sono espulsi dai centri o quelli a cui si nega il diritto all’iscrizione anagrafica”
07 maggio 2019 – 14:53 – Redattore Sociale
PALERMO – Continuare a costruire un fronte di opposizione sociale forte attraverso tutti gli strumenti democratici a disposizione, per contrastare l’applicazione del decreto sicurezza e immigrazione che, in molte sue parti, viola alcuni articoli della nostra Carta Costituzionale. A dirlo è Fulvio Vassallo Paleologo, docente di diritto d’asilo e status costituzionale dello straniero all’Università di Palermo, intervenuto questa mattina al convegno “Annegati in sicurezza” organizzato, in collaborazione con il centro studi Paolo Giaccone, dall’istituto Gonzaga di Palermo. Il confronto con gli studenti, voluto dal direttore padre Vitangelo Denora s.j. e guidato da padre Eraldo Cacchione s.j. si inserisce nell’ambito degli incontri sulla “staffetta antirazzismo” a cui hanno aderito parecchie scuole della provincia.
“Il titolo dell’incontro è già una sapiente provocazione che vuole essere spunto di un confronto approfondito su un tema che ha implicazioni vitali per la nostra società civile – spiegano gli organizzatori – . L’interrogativo di fondo, a cui hanno lavorato per mesi i ragazzi, è se il decreto sia da considerarsi costituzionale o incostituzionale”.
“Il nostro ordinamento giuridico deve principalmente attenersi sia al dettato costituzionale che a quello internazionale come la convenzione di Ginevra. Quando il presidente Mattarella ha firmato il decreto sicurezza aveva raccomandato alla Camere proprio di tenere conto dei nostri principi costituzionali e delle convenzioni internazionali – afferma Fulvio Vassallo Paleologo -. In molte sue parti, di fatto, il decreto sicurezza è incostituzionale perché viola parecchi articoli della nostra Costituzione (art.3; art.10; art.13; art.24; art.27; art.32). La dichiarazione di incostituzionalità di una legge è però un iter lungo la cui questione deve sempre essere rilevata da un giudice all’interno di un processo civile o penale”.
Nonostante ciò, secondo il docente ci sono altre misure che possono essere portate avanti. “A salvaguardia dei diritti umani di tutte le persone, deve infatti continuare a crescere il fronte civile di opposizione sociale al contenuto di questa legge – sottolinea il docente -. Questo lo si può fare avvalendosi di tutti gli strumenti democratici. Lo smantellamento del sistema di accoglienza e il diniego della protezione umanitaria stanno facendo aumentare tanto la condizione di forte irregolarità di molte persone immigrate, costrette a vivere da invisibili e senza lavori regolari. A tutela allora di queste persone stanno anche crescendo i ricorsi giurisdizionali. I cittadini e le associazioni hanno quindi un ruolo essenziale per sostenere i migranti che sono espulsi dai centri o quelli a cui si nega il diritto all’iscrizione anagrafica. La società civile può, quindi, reagire in questo caso e fare le sue pressioni alle amministrazioni locali – come nel caso positivo di Palermo ma anche di Bologna – per riconoscere i diritti che potrebbero essere negati con un’applicazione restrittiva delle norme contenute nel decreto”.
“Ci sono, infatti, molte disposizioni del decreto sicurezza ma anche del testo unico sull’immigrazione, per come oggi in maniera molto restrittiva viene applicato da molte questure, che oltre ad essere astrattamente censurabili a livello di costituzionalità, in particolare per quanto riguarda l’abolizione della protezione umanitaria, possono essere comunque oggetto di ricorso davanti ad un giudice ordinario – prosegue Fulvio Vassallo Paleologo -. L’ultima decisione della Corte di Cassazione che, con un’ordinanza, ha rinviato alle sezioni unite una questione che era già stata chiusa dalla prima sezione con una sentenza dello scorso febbraio – nella quale si diceva che la norma non ha effetto retroattivo privando di diritti chi aveva fatto richiesta di asilo e di protezione prima del 5 dicembre del 2018 – desta molta preoccupazione. Attribuire, infatti, efficacia retroattiva alla normativa che abolisce la protezione umanitaria, fa moltiplicare i casi di discriminazione e quindi di rottura del principio di eguaglianza. C’è da auspicare comunque che, le sezioni unite della Corte di Cassazione si conformino alla prevalente giurisprudenza passata della Corte che ha riconosciuto, invece, la protezione umanitaria come un istituto che è una diretta applicazione della nostra Costituzione (art.10) e quindi non può essere modificato o abrogato dal legislatore ordinario”.
“Nonostante tutto, c’è la necessità di fare crescere significative mobilitazioni sociali fatte da cittadini solidali e amministrazioni locali sensibili al tema – incalza ancora il giurista -. Pertanto, la società civile, riunita in rete in associazioni umanitarie e organizzazioni di sostegno legale gratuito per i diritti umani, si deve spendere sempre di più in misure di ascolto, di accoglienza e di avvicinamento ai migranti che non possono rimanere abbandonati per la strada. Questo insistere poi del Ministero dell’Interno contro decisioni della giurisprudenza alimenta un contenzioso del quale in questo momento non ci sarebbe bisogno che ha dei costi per la collettività molto elevati oltre che delle ricadute gravi sulle persone che ne sono purtroppo vittime”. (Serena Termini )
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