Di Fulvio Vassallo Paleologo
Era nelle intenzioni delle autorità di governo italiane, dopo avere “eliminato” la scomoda presenza delle navi umanitarie in acque internazionali, rendere operativi gli accordi ed i Menorandum d’intesa (MoU) già esistenti tra Roma, La Valletta e Tripoli per eseguire respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali, aggirando il divieto stabilito dalle stesse Convenzioni, ribadito dalla CEDU nel 2012 nel caso Hirsi Jamaa contro Italia. A questo scopo è stata istituita il 28 giugno 2018 una zona SAR libica, riconosciuta dall’IMO ( Organizzazione marittima internazionale) di Londra, si sono donate numerose motovedette alla sedicente Guardia costiera “libica”, completando i corsi di formazione di centinaia di guardiacoste libici, anche in Italia, e da ultimo intensificando i rapporti di cooperazione operativa con le motovedette di Tripoli e di Khoms. Motovedette guidate sui punti di intercettazione dei migranti in fuga dalla Libia, da un sistema satellitare ed aereo europeo, con una gestione delle singole operazioni di avvistamento delegato di volta in volta alle autorità italiane, maltesi o di Eunavfor Med. Snodi essenziali di questo coordinamento operativo la nave Capri della marina militare italiana dislocata nel porto militare di Tripoli ( Abu Sittah), la marina maltese ed i mezzi aerei maltesi e dell’operazione europea Eunavfor Med.

Tra le attività di supporto della missione Nauras a Tripoli, rientrava, già prima del 28 giugno 2018, anche “l’importante compito di aiutare i libici a interfacciarsi con la Centrale operativa della Guardia costiera a Roma che coordina le operazioni di ricerca soccorso nel Mediterraneo centrale”. Questo coordinamento italiano delle attività di intercettazione in mare, affidate gia’ nella prima parte del 2018 alla cd. Guardia costiera “libica“ e ribadito anche dal ministro Toninelli, risultava da una specifica documentazione acquista agli atti del processo di convalida innescato dal sequestro della nave Open Arms nel porto di Catania.
Come emerge da una successiva documentazione, questo coordinamento è proseguito anche dopo la creazione di una zona SAR “libica”, comunicata all’IMO a Londra dal governo Serraj nel mese di giugno del 2018. Un recente articolo del giornale Avvenire conferma ancora in questi giorni le attività di coordinamento svolte a Tripoli dalla missione italiana Nauras .
I “risultati” non si sono fatti attendere, con l’ennesima speculazione politica del ministro dell’interno italiano, che si compiace per ogni migrante che viene rigettato nei lager libici, anche in queste ultime settimane in cui è evidente in tutto il mondo la gravità e la disumanità degli abusi ai quali sono sottoposti TUTTI i migranti intrappolati nei centri di detenzione in Libia, siano “governativi”, o gestiti direttamente dalle reti di trafficanti collusi con le milizie che controllano il territorio.
Adesso il ministero dell’interno vorrebbe estendere il suo potere di controllo anche allo Stato maggiore della difesa, come ha già fatto con la Guardia costiera. Con una “attenzione” particolare nei confronti delle ultime navi delle Ong ancora presenti nel Mediterraneo centrale in funzione di monitoraggio, nel pieno rispetto del diritto internaziinale. Una svolta che implica un grave strappo costituzionale, non solo funzionale alla realizzazione di altre operazioni di respingimento. La gestione degli “allarmi” nel Mediterraneo centrale non può rimanere nelle Direttive del Viminale. Rimane poi da verificare quanto si riesca davvero a combattere le organizzazioni che in Libia prosperano sul traffico di migranti.
La ricomparsa di qualche noto boss dei traffici di Zawia, che si è schierato con il governo di Tripoli, sta corrispondendo contemporaneamente ad una intensificazione delle partenze dale coste della Tripolitania, bloccate da settimane nella prima fase dell’attacco di Haftar a Tripoli.
Il ruolo assegnato alla “Guardia costiera libica”, termine improprio perchè in Libia di guardie costiere ce ne sono diverse, militari e civili, rimane sempre più confuso, soprattutto in questi ultini giorni di guerra. Ma sono anni che sono noti gli elevati livelli di corruzione all’interno delle milizie che di fatto controllano i porti libici, e tutti i traffici che vi passano, intestandosi il ruolo di “Guardia costiera libica.” Ma in Italia è un argomento che non si può toccare.
Rome is also aware of the level of endemic corruption present also within the Libyan Coast Guard. In the framework of Operation Eunavfor Med, sufficient information has been gathered concerning the role of the Coast Guard of Zawiya – a city 50 km west of Tripoli – in migrant smuggling. Abdurahman Milad Aka Al Bija, currently the captain of Zawiya’s Coast Guard, has been controlling the migrant smuggling business from the West of Tripoli to the border with Tunisia since 2015.
Si assiste così ad una recrudescenza delle atività di intercettazione in acque internazionali della sedicente Guardia costiera “libica”, guidata ed assistita da mezzi aerei europei, da ultimo maltesi, che avvistano le imbarcazioni cariche di migranti quando sono ormai prossime ad entrare nelle zone SAR italiane e maltesi, e le segnalano ai libici, che possono così fermarli e riportarli a terra nei centri di detenzione dai quali sono fuggiti. Attorno ai quali si spara e si uccide. Nelle acque più sorvegliate del Mediterraneo gli avvistamenti aerei sono finalizzati non a salvare la vita delle persone, ma a garantire un numero più elevato di intercettazioni in alto mare e conseguente riduzione delle persone, così riportate a terra, in uno stato di schiavitù e di abusi continuati. L’importante, per i governi europei, è soltanto che cessino i soccorsi delle navi umanitarie o che i migranti non siano fatti sbarcare in un porto sicuro in Europa, come dovrebbe avvenire in base al diritto internazionale.
Oggi le ultime due operazioni di respingimento collettivo coordinate tra le autorità maltesi, italiane e tripoline. Proprio in un periodo nel quale sono più intense le esecitazioni congiunte nelle acque del Mediterraneo centrale. Come scrive bene Vittorio Alessandro, “Tornano le notizie, con Mare Ionio nel Canale: migranti riportati verso la guerra, altri ancora in navigazione che cercano un porto sicuro. Sospettavamo che ci fossero, ora lo sappiamo”. Merito anche del lavoro di monitoraggio continuo di Sergio Scandura di Radio Radicale, una radio che per il governo dovrebbe chiudere. Con la libertà di emigrare fa naufragio anche il diritto all’informazione.
L’ultima imbarcazione carica di migranti è stata fermata quando stava per essere soccorsa dalla nave umanitaria Mare Ionio della ONG Mediterranea, quando la salvezza per le persone che in Libia avevano già vissuto mesi di orrore, era ormai vicina.
(ANSA) – ROMA, 2 MAG – “A 65 miglia da Al Khoms la cosiddetta ‘Guardia costiera libica’ ha catturato 80 persone in fuga su un gommone e sta dando la caccia ad altre 100 a bordo di un barcone. Sotto gli occhi e grazie alle indicazioni di un aereo militare di Malta. Corridoi umanitari subito!”. Lo dice Mediterranea saving humans che con la nave Mare Jonio si trova in zona. La Mare Jonio si sta dirigendo verso la seconda imbarcazione pronta a prestare assistenza. “Abbiamo avvertito – spiegano – Mrcc Roma (il Centro di coordinamento marittimo della Guardia costiera, ndr) chiedendo alle Autorità italiane di non rendersi complici di violazioni dei diritti umani…”
La Guardia costiera italiana non ha fatto nulla per evitare che il respingimento collettivo, “delegato” questa volta dai maltesi ai libici si verificasse, benchè fosse stata tempestivamente avvertita, e nonostante siano ormai le Nazioni Unite a dichiarare che la Libia non garatisce alcun porto sicuro di sbarco, malgrado la presenza dell’UNHCR, dell’OIM e di alcune organizzazioni umanitarie, come MSF. Ma sono proprio queste ultime che ricordano come la Libia, soprattutto in queste settimane, non offre alcuna garanzia di sicurezza per i migranti intercettati in acque internazionali e riportati nel centri di detenzione di Khoms, Tripoli e di altre città della Tripolitania.
Secondo MSF, pure presente in Libia, “L’unica via di fuga è il Mediterraneo. In tutta questa situazione, una delle poche disperate opzioni, per libici e non, di fuggire dai combattimenti resta il Mediterraneo. MSF non è in grado di verificare se le partenze in mare siano aumentate dall’inizio dei combattimenti. Ma sappiamo che cercare sicurezza è una reazione concreta e umana a situazioni di estremo pericolo come questo conflitto. In assenza di qualsiasi meccanismo di ricerca e soccorso dedicato nel Mediterraneo centrale, la vita delle persone è a rischio tanto in mare quanto a Tripoli. Per MSF, la capacità di ricerca e soccorso in mare deve essere urgentemente implementata, e tutte le persone soccorse devono essere portate in un porto sicuro, come previsto dal diritto internazionale”.
Come avevamo rilevato un mese fa “il vero obiettivo a cui punta il ministero dell’Interno italiano è un accordo con Malta per i respingimenti: l’idea sarebbe quella di bloccare le navi, compresi i mercantili, dopo il salvataggio e riportare le persone in Libia. In considerazione della diminuzione delle navi da soccorso delle ong e della nuova missione Sophia (solamente con mezzi aerei), le navi mercantili potrebbero infatti essere chiamate sempre più spesso a intervenire in caso di navi in situazione di distress. Fonti del Viminale confermano che si siano stati nei giorni scorsi contatti con il governo maltese per creare un “asse anti-clandestini” e “aprire una fase di collaborazione tra i due paesi”. “Si pensa a operare dei respingimenti collettivi in collaborazione con la Guardia costiera libica – spiega -. Malta ha già un accordo con la Libia di questo genere, che per ora non viene attivato, ed è stato firmato ai tempi di Gheddafi. Il rischio è che si voglia fare un accordo più ampio tra Italia e Malta per bloccare i migranti”-
Qualunque stato europeo non può comunque sottrarsi ad un preciso impegno di salvaguardare la vita umana in mare, con assoluta prevalenza sulle operazioni di contrasto dell’immigrazione irregolare, principio affermato nei Regolamenti europei n.656 del 2014 e n.1624 del 2016, relativi a Frontex ed alla nuova Guardia di frontiera e costiera europea.
Sara’ ben difficile arrivare a condanne da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ormai paralizzata dalle pressioni degli stati e dall’aggravamento delle formalita’ procedurali . Anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, soprattutto con riferimento all’accordo UE-Turchia, sono arrivate risposte insufficienti. E non si vede come sarà possibile fare arrivare ricorsi ai tribunali internazionali e garantire sicurezza ai ricorrenti, nelle attuali condizioni di violenza generalizzata che si riscontrano in Libia. Piuttosto che punti di sbarco nelle citta’ costiere della Ttipolitania, andrebbero creati a livello europeo punti di imbarco dai quali fare partire in sicurezza via mare verso paesi sicuri i migranti intrappolati nei centri di detenzione in Libia.
Occorre certezza sulle zone SAR (Search and Rescue) in Mediterraneo. Le Nazioni Unite non possono tollerare che una loro agenzia dichiari la Libia come un paese privo di porti sicuri di sbarco e poi un’altra agenzia come l’IMO continui a riconoscere una zona SAR “libica” che permette lo sbarco di persone che, anche se vengono consegnate al Dipartimento della poizia “libica” contro l’immigrazione (DCIM), sono immediatamente esposte ad abusi di ogni genere.
Quanto sucesso ieri a Sabratha proprio al rappresentante delle Nazioni Unite Ghassam Salame dovrebbe fare davvero riflettere… La Libia non è un paese sicuro neppure per le più alte personalità internazionali.