Responsabilità italiane ed europee nelle politiche di deterrenza attraverso l’abbandono in mare.

di Fulvio Vassallo Paleologo

Junker e Salvini litigano sui finanziamenti europei ricevuti dall’Italia per collaborare con la Guardia Costiera Libica. In realtà sono entrambi complici nelle politiche di abbandono in mare programmato che vengono attuate a partire dalla istituzione di una zona SAR “libica” il 28 giugno dello scorso anno. Al di là delle più recenti affermazioni di Junker e della portavoce della Commissione UE Bertaud, entrambi consentono operazioni di intercettazione in acque internazionali da parte della Giardia costiera “libica”, finanziata attraverso l’Italia con fondi europei dopo avere ritirato assetti navali, come quelli della missione EUNAVFOR MED o della nostra Guardia costiera, che in passato, in coordinamento con le imbarcazioni umanitarie delle ONG, garantivano un più efficace sistema di soccorso nel Mediterraneo centrale.

La Libia non è un paese che garantisce porti sicuri di sbarco, come invece ritiene il ministro dell’interno e vicepresidente del Consiglio nel governo italiano. E in piena corrispondenza con le posizioni di Salvini la Guardia costiera di Tripoli minaccia le ONG che entrassero nelle sue acque territoriali, in missioni di salvataggio, come peraltro consentirebbe il diritto internazionale. Ma l’avvertimento è rivolto chiaramente a tute le navi private che operano nella più vasta zona SAR che la Libia si è attribuita, considerandola come mare teritoriale. I libici stanno dimostrando, ancora una volta, di confondere le acque territoriali ( 12 miglia dalla costa) con la zona SAR molto più estesa, fini a 70-80 miglia dalla costa, che le è stata impropriamente riconosciuta dal governo italiano, dopo l’inserimento nel sistema di registrazione dell’IMO (Organizzazione marittima internazionale, facente capo alle Nazioni Unite).

Ancora nella giornata del primo aprile, un allarme lanciato dalla organizzazione Alarm Phone sulla presenza di un gommone in difficoltà al largo di Zuwara, al limite delle acque internazionali, con decine di persone a bordo, tra cui donne e bambini, è rimasto inascoltato. Un gommone con 50 persone a bordo dal quale era partita una chiamata di soccorso non è stato più avvistato.

Secondo un comunicato di martedi 2 aprile della Guardia costiera italiana, ripreso da Radio Radicale, la centrale operativa di Roma (MRCC) avrebbe trasmesso il primo allarme alle autorità libiche che non avrebbero risposto. Gli italiani affermano espressamente di avere allertato i libici (secondo quanto riferito da Radio Radicale). Questo il passaggio centrale del COMUNICATO STAMPA DELL’MRCC: “essendo la posizione segnalata all’interno dell’area sar di responsabilità libica, la Guardia Costiera italiana ha immediatamente inoltrato le informazioni ricevute alla Guardia Costiera libica”.

La Guardia costiera libica ha invece negato di avere ricevuto qualsiasi comunicato dalla Guardia costiera italiana. Da Tripoli, il 2 apr alle ore19:10 (Agenzia Nova), il portavoce della Marina militare libica, Ayoub Qasem, ha dichiarato che “la controparte italiana non ci ha comunicato la posizione dell’imbarcazione andata dispersa davanti alle coste di Zuara”, nell’ovest della Libia, con a bordo almeno 45 migranti. I libici dunque ammettono che una imbarcazione sarebbe andata dispersa davanti alle coste di Zuwara, senza precisare se si trovava all’interno delle loro acque teritoriali.

Ad oggi non si sa più nulla di quella imbarcazione e non sono state avviate attività di ricerca e salvataggio da parte delle autorità libiche, e neppure da parte di quelle italiane e maltesi che, in base alle convenzioni internazionali, ed a quanto dichiarato dall’IMO, sarebbero responsabili anche loro quando lo stato titolare di una zona Sar non possa fare fronte immediatamente ad una richiesta di soccorso. Come si era verificato negli anni scorsi, fino all’avvento del nuovo governo italiano e della proclamazione della zona SAR “libica”. Adesso le competenze di intervento in acque internazionali sono state trasferite dal Corpo della Guardia costiera alla Guardia di finanza. I mezzi piu’ efficaci per le attivita’ di ricerca e salvataggio (Sar), come le navi Dattilo e Diciotti e le motovedette veloci classe cp 300, rimangono ferme in porto o sono costrette ad operare nelle acque territoriali a poca distanza dalle coste italiane.

Come e’ emerso anche dai processi contro le Ong a Catania,Trapani e Ragusa, non sempre, dopo il primo avvistanento aereo, si dichiara una situazione di “distress”immediato, che imporrebbe subito il lancio di una operazione di soccorso da parte della prima autorita’ maritima che ne abbia conoscenza, ma ci si limita al tracciamento delle imbarcazioni di cui i piloti attestano uno stato di navigabilita’. Con il rischio di un naufragio improvviso senza che possano intervenire mezzi di soccorso. Questa situazione che si protrae da mesi e’ oggi piu’ intollerabile perche’ una volta avvertita la guardia costiera di Tripoli si attende l’arivo delle motovedette partite dai porti libici, quando riescono ad uscire in mare ed a arrivare tempestivamente. Ogni imbarcazione sovraccarica di persone in acque internazionali si trova invece in una situazione di distress che impone il salvataggio immediato da parte della prima autorita’ Sar che riceve la chiamata di soccorso, senza che rilevi lo status giuridico di chi si trova a bordo.

Il diritto alla vita ed il divieto di trattamenti disumani o degradanti, come il principio di non respingmento affermato dalla Convenzione di Ginevra (art.33) ed il correlato divieto di espulsioni collettive ( art. 4 del Quatro Protocollo alegato alla CEDU ed art. 19 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) si impongono su qualsiasi altro interesse “nazionale” connesso alla protezione dei confini nazionali ed europei. Qualsiasi controversia sulla ripartizione degli obblighi di soccorso ( e sbarco) non può ripercuotersi sulla vita e sulla integrità fisica delle persone in pericolo (distress) in alto mare, anche se soltanto per le condizioni dei mezzi su cui sono state costrette ad imbarcarsi. In mare, su barconi che posono affondare da un momento all’altro, non ci sono “clandestini” ma soltanto persone, molte neppure soggette a respingimento, come donne vittime di violenza e minori non accompagnati, che dopo la comunicazione di un evento SAR ( ricerca e salvataggio) alle autorità competenti, acquistano la qualità di naufraghi e vanno soccorsi nel tempo più tapido possibile, per essere sbarcati in un porto sicuro, non necessariamente quello più vicino..

Quanto successo in questi ultimi giorni con ripetuti casi di ritardi nei soccorsi o di mancato intervento, non deriva soltanto dalla politica violenta di “chiusura dei porti” o dal contrasto tra il diritto umanitario ed il Memorandum d’Intesa stipulato tra Italia e Libia il 2 febbraio 2017 Scaturisce anche dal ritiro di tutte le unità navali presenti nel Mediterraneo centrale in passato, nell’ambito delle missioni Sofia EunavforMed eThemis di Frontex. Adesso, dopo il ritiro delle navi europee sono rimasti soltanto diversi aerei ricognitori appatenenti a queste missioni che, dopo avere avistato i gommoni che vengono fatti partire dalla Libia, ne segnalano immediatamente presenza e posizione, con il numero delle persone a bodo, alle autorità (MRCC) italiane e maltesi.

Dopo queste attività di avvistamento si verifica la attribuzione ai libici di una responsabilità esclusiva dei compiti di intervento e salvataggio, in realtà consentendosi vere e proprie intercettazioni, in contrasto con le convenzioni internazionali. I paesi confinanti, in base alla Convenzione di Amburgo del 1979 (SAR) avrebbero invece il dovere di garantire la più immediata salvaguardia della vita umana in mare quando lo stato che sarebbe responsabile non è in grado di farlo con i propri mezzi. Una situazione che si è verificata a più riprese negli ultimi mesi e che in questo ultimo caso risulta ancora più grave e fonte di responsabilità per i governi italiano e maltese.

A fronte della della dichiarazione resa dal responsabile affari legali dell’IMO ad un giornalista della trasmissione Report, circa la inesistenza di una zona Sar effettivamente coordinata dalle autorità libiche, occorre denunciare la grave corresponsabilità dell’IMO che dichiara di ben conoscere la mancanza attuale di una effettiva capacità di coordinamento SAR da parte delle autorità di Tripoli. Ma nulla fa, come sarebbe nei suoi poteri, per ordinare agli stati di garantire l’adempimento degli obblighi di soccorso, pena la sospensione del riconoscimento della relativa zona SAR. Un sostegno indiretto a favore delle politiche di deterrenza basate sull’abbandono in mare, sulla cancellazione delle stragi, sull’omissione di soccorso. Anche i funzionari dell’IMO sono tenuti al rispetto del diritto umanitario ed alla considerazione dei diritti fondamentali delle persone. Sono sempre più evidenti le carenze del sistema di soccorso in quella zona SAR che si vorrebbe attribuire alle autorità di Tripoli. Non si comprende perchè, come avvenuto dopo una prima autodichiarazione di una zona SAR libica nel dicembre del 2017, l’IMO non intervenga per sospendere la operatività di questa zona, nella quale perdono la vita ancora quest’anno centinaia di persone.

Vanno poi denunciate le gravi responsabilità dell’Unione Europea e del governo italiano che hanno finanziato la guardia costiera libica con il cd, Africa Trust Fund e con progetti europei come SEA HORSE, nei quali sono stati inserite possibilità di controllare e condividere i sistemi di comunicazione delle rilevazioni satellitari loro trasmesse dalle agenzie europee alle quali i governi nazionali hanno affidato compiti di sorveglianza di frontiera. Per questo sono state ritirate le navi della operazione Sophia di EUNAVFORMED, che potevano anche svolgere attività di ricerca e salvataggio, ma non gli assetti aerei della stessa operazione, ancora attivi negli avvistamenti dei barconi in navigazione verso nord. Poi, si pensa che ad intervenire possano bastare i guardiacoste di Tripoli. Una vergogna che segna il peggiore finale di questa fase politica dell’Unione Europea. Ed in futuro potrebbe andare ancora peggio.

I corsi di formazione fin qui tenuti alla Guardia Costiera Libica non hanno prodotto alcun miglioramento nelle modalità di intervento SAR nè sulla loro tempestività, che semmai è aumentata per effetto delle motovedette donate dall’Italia e per la manutenzione ed il coordinamento operati dalla missione italiana NAURAS, presente nel porto militare di Tripoli, missione che adesso è stata chiusa. Episodi recenti verificatisi davanti al porto di Misurata, con gravi violnze sui naufraghi (evacuazione violenta della NIVIN) e di Tripoli, dove gli equipaggi delle motovedette libiche hanno infierito sui migranti prima che questi fossero ricondotti a terra, nei centri di detenzione, e poi la susscessiva “sparizione” di parte di loro, anche se si trovavano in cd. centri governativi, dimostra chiaramente cosa attende chi viene intercettato in acque internazionali.

Avere affidato anche alle navi commerciali nel mar libico operazioni di intercettazione/soccorso in alto mare, sotto il “coordinamento” dalla guardia costiera libica, più spesso indirizzate da mezzi aerei europei supportati dalle autorità italiane e maltesi, aggrava le responsabilità derivanti dal mancato intervento diretto degli stati europei e dall’assenza di un coordinamento tra i responsabili delle aree SAR, effettivamente finalizzato alla salvaguardia della vita umana in mare. Rischi sempre più gravi attendono le persone che vengono avvistate in alto mare e rimangono per ore in attesa di socorso, mentre tante navi commerciali sfilano vicino senza fermarsi, e proseguono per la loro rotta.

I soccorsi operati da grossi mezzi commerciali sono molto più a rischio dei soccorsi operati dalle imbarcazioni più piccole delle ONG che hanno dotazioni e uomini ben allenati nelle attività di Search and Rescue. Imbarcazioni che sono nelle condizioni ottimali di prestare soccorso ad imbarcazioni con il bordo molto basso sull’acqua. Mentre quando sono chiamate ad intervenire le navi commerciali le persone, soprattutto quelle più vulnerabili, non ricevono immediatamente i giubbetti salvagente e non possono affrontare facilmente il trasbordo su navi le cui murate possono essere anche alte diversi metri.

e si, si negano i naufragi e si scambiano come soccorsi le attività di intercettazione. Su queste stragi nascoste, per accertare responsabilità, per impedire che si ripetano, si deve promuovere una Commissione internazionale di inchiesta, magari sotto l’egida delle Nazioni Unite. Va immediatamente sospeso il riconoscimento e l’inserimento nei data base dell’IMO di una zona SAR “libica”. In Libia non esiste neppure un vero Coordinamento centrale dei soccorsi. Nella sede indicata nei database dell’IMO, il vecchio aeroporto di Tripoli bombardato in più occasioni ci sono solo acerie,

Occorre una grande missione internazionale di soccorso nel Mediterraneo centrale, si deve favorire l’evacuazione della Libia attraverso la concessione di visti umanitari anche nei/dai paesi confinanti. Se non ci sarà il consenso unanime di tutti i paesi UE, come appare plausibile dopo le prossime elezioni europee, si dovrà costruire una coalizione di stati volenterosi, e di comunità locali solidali, che garantiscano il pieno rispetto dei diritti umani delle persone migranti intrappolate in Libia o intercettate in acque internazionali. Soprattutto, occorre affermare il principio di realtà ed il rispetto del diritto internazionale, contro la negazione dei naufragi e la propaganda elettorale sulla pelle delle vittime delle politiche di deterrenza.


COMUNICATO STAMPA
Barbara Spinelli: Contraddizioni della Commissione sulle guardie costiere libiche

Bruxelles, 2 aprile 2019
Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nella riunione della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) del Parlamento europeo nel corso del dialogo strutturato con Dimitris Avramopoulos, Commissario responsabile per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza.

«Ringrazio il Commissario Avramopoulos per questo nostro ultimo incontro in Commissione Libe. Per me, è l’occasione per esprimere dubbi che in questi anni non sono mai stati fugati, sulla coerenza e la sincerità della Commissione in materia di migrazione. Oggi faccio in particolare riferimento alla lettera di cui si è già parlato stamattina in questa sede, inviata dalla responsabile della Direzione migrazione e politica interna della Commissione, Signora Paraskevi Michou, a Fabrice Leggeri, direttore dell’Agenzia europea della Guardia costiera e di frontiera. Lettera in cui si legittimano il funzionamento della zona SAR (search and rescue) libica, l’”ottima performance” delle guardie costiere libiche, i salvataggi fatti da queste ultime, l’uso “appropriato” del personale libico, l’aumento della sua “capacità e professionalità”. In contemporanea con questa lettera, la portavoce della Commissione Natasha Bertaud ha dichiarato tuttavia che la Libia non può esser considerato un «paese sicuro» per gli sbarchi di migranti. Tra questa lettera e la dichiarazione di Natasha Bertaud c’è una contraddizione evidente.

Capisco che non è la stessa cosa parlare di paese sicuro e di zona SAR, ma il fatto è che il governo italiano (il ministero dell’Interno) ha aggiornato la sua nuova direttiva sui porti chiusi basandosi precisamente su questa lettera della signora Paraskevi Michou, incorporandola nel testo della direttiva e citandola come conferma che rimpatriare i migranti salvati in Libia è legittimo e opportuno.