Visti umanitari per chi è intrappolato in Libia.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1.La situazione in Libia si aggrava sempre più, mentre i comunicati ufficiali che danno una data sempre più lontana per le elezioni che secondo quanto pubblicizzato dopo il fallimentare vertice di Palermo dello scorso anno avrebbero dovuto svolgersi entro la prossima estate. Ma il governo di Tripoli (GNA) vuole che i comandi dell’esercito passino sotto il controllo civile, mentre il generale Haftar non ha nessuna intenzione di cedere al suo avversario Serraj un armata (LNA) che ormai controlla la maggior parte della Libia e minaccia direttamente Tripoli. Continua il supporto italiano al governo di Tripoli. Al sud lo scenario è sempre più fosco, con la chiusura delle frontiere dei paesi confinanti con la Libia ( da ultimo il Chad), una guerriglia a bassa intensità nel Fezzan dove si temono reinsendiamenti di frammenti di gruppi terroristici, ed una tregua armata con il Sudan, che chiude le frontiere con la Libia.

Anche in Niger si rileva la chiusura della frontiera con la Libia. A guadagnarci sono solo i trafficanti collusi con le milizie e le autorità di governo che incassano dall’Unione Europea e dagli stati che si fanno concorrenza tra loro ( come Francia, Italia e Germania) al solo fine di incrementare i rapporti commerciali, spesso di rapina delle risorse, e di spacciare ai loro elettorati strumenti sempre più avanzati di esternalizzazione dei controlli ( blocchi) di frontiera e di contrasto dell’immigrazione.

Aumenta la preoccupazione dei paesi confinanti come la Tunisia, che avvertono, a diferenza degli europei, tutti i rischi di una deflagrazione della questione libica e rifiutano in blocco qualsiasi prospettiva di offrire piattaforme di sbarco per i migranti intercettati in acque internazionali. Anche il confine tra Algeria e Libia risulta chiuso. Ovunque i migranti sono considerati come “illegali” anche quando fuggono da guerre, conflitti generalizzati e situazioni estreme di povertà, e rimangono dunque alla mercè dei trafficanti di esseri umani.

Mentre sino allo scorso anno era relativamente facile e poco costoso per le persone migranti in fuga dai regimi e dalle guerre dell’Africa subsahariana raggungere le coste del Mediterraneo attraverso la Libia, queste rotte sono diventate adesso sempre più difficili, tra la crescente corruzione delle guardie di frontiera e la crudeltà delle milizie che prendono in ostaggio i migranti come merce da scambiare o da vendere al migliore offerente.

Questa situazione, che determina costi umani incalcolabili è la ragione vera del calo delle partenze dalle coste libiche, non certo effetto della politica di deterrenza attuata dal governo italiano con l’abbandono delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali (SAR) dopo la autoproclamazione della cd. zona SAR “libica” da parte del governo Serraj. Non è certo la guerra contro le ONG o la politica dei porti chiusi che hanno ridotto gli arrivi in Italia, che ancora continuano, sia pure in misura ridotta, nel silenzio dei mezzi di informazione e delle autorità governative. Come è calato il silenzio sui soccorsi e sulle stragi sulla rotta del Mediterraneo centrale, che viene citata soltanto per i corsi di formazione che si stanno programmando per gli ufficiali della guardia costiera “libica”, con il supporto europeo, o per snocciolare l’elenco di motovedette che i diversi paesi europei regalano al governo di Tripoli per esternalizzare le prassi di delega dei respingimenti collettivi, che sarebbero altrimenti vietati dalle Convenzioni internazionali. Tutto questo continua a ripetersi nell’indifferenza della prevalente opinione pubblica, con la complicità manifesta di chi continua a propagandare il blocco navale per conquistare altro consenso elettorale. E sembrano intangibili gli accordi bilaterali stipulati con un governo che non controlla neppure l’intero territorio della Tripolitania ed è privo di un sistema centrale di controllo delle frontiere e di tutela giurisdizionale (1).. Eppure l’Italia sta inviando a Tripoli decine di automezzi allo scopo di bloccare i migranti ed impedire che raggiungano le coste del Mediterraneo. Conte, Di Maio e Salvini non possono ignorare che fine faranno i migranti arrestati con i mezzi regalati a Serray. Una collaborazione avviata dai governi precedenti e finanziata per la metà dall’Unione Europea con il Fondo fiduciario per l’Africa (Africa Trust.

In vista della prossima “Conferenza di pace” sulla Libia, annunciata da mesi e soggetta a continui rinvii, il premier Conte annuncia la partecipazione di “milizie e clan“, gli stessi che schiavizzano ed arrestano i migranti in transito dalla Libia. Se la soluzione del conflitto interno va rimessa ai libici senza interventi internazionali, occorrerebbe fare sedere al tavolo tutti i gruppi che sono disponibili a realizzare un barlume di stato di diritto in quel paese, senza legittimare o finanziare forze che basano il loro potere sul controllo militare del territorio, spesso finalizzato ai commerci più turpi, dal contrabbando di petrolio e di armi, al traffico di esseri umani. Occorre soprattutto sanzionare le violazioni dei diritti umani, oggi sempre più diffuse anche ai danni dei libici, e decriminalizzare la condizione dei migranti costretti a rimanere in Libia o riportati a terra dopo essere stati bloccati dalla sedicente Guardia costiera “libica”, che ormai spadroneggia anche in acque internazionali. Grazie agli accordi bilaterali stipulati dall’Italia, con l’avallo dell’Unione Europea.

2. Rimangono sotto stretta censura (militare) i casi di soccorso in acque internazionali (2) che ancora continuano a ripetersi, si lascia ai margini della cronaca la strage programmata che si sta verificando a terra in Libia, ai danni dei migranti, sia di quelli più “fortunati” che sono costretti al lavoro forzato, che di quelli internati nei tanti centri di detenzione, siano essi “governativi” o gestiti dalle milizie. In tutti questi centri di detenzione, senza alcuna possibile distinzione, e anche quando si permettono visite occasionali da parte dell‘UNHCR e dell’OIM, che riescono ad aprire modesti corridoi umanitari ( più spesso verso il Niger) e ad evacuare alcune centinana di persone all’anno, con i rimpatri assistiti verso i paesi di origine, come nel caso della Nigeria. Adesso però tutto questo non basta più e le denunce degli abusi commessi dalle milizie libiche arrivano anche dall’UNHCR.

Per tutti coloro che in acque internazionali vengono intercettati dai libici o che rimangono nei diversi centri di detenzione, malgrado la registrazione dell’UNHCR come “soggetti vulnerabili”, dunque meritevoli di protezione internazionale, non ci sono vie di fuga, se non trovare qualche trafficante e pagare a caro prezzo la liberazione e la possibiltà di fuga attraverso il Mediterraneo. Spesso anzi, sono gli stessi trafficanti che entrano a loro piacimento nei centri di detenzione e scelgono chi portare via, la “merce” umana che gli può rendere più danaro, con il consueto sistema delle estorsioni a mezzo telefono praticate facendo ascoltare ai parenti dei migranti le urla dei loro congiunti sotto tortura. Chi si ribella rischia le torture più terribili. Centinaia di testimonianze e diversi rapporti confermano queste pratiche ormai generalizzate su tutto il territorio libico dalla fine del 2017, ma questa consapevolezza diffusa non impedisce il mantenimento, e addirittura l’inasprimento, degli accordi bilaterali stipulati dall’Italia con il governo di Tripoli, con un atteggiamento pilatesco delle autorità europee. Una scelta politica che presto sarà al vaglio delle Nazioni Unite per la sua contrarietà al diritto internazionale.

Come rileva l’OHCHR, “We are also concerned about the continuing smear campaigns against civil society organisations engaged in search and rescue operations in the Mediterranean Sea, as well as the criminalisation of the work of migrant rights defenders, which have become more widespread in Italy,” UN experts recalled. The Italian Government, among others, has made it nearly impossible for NGO ships to continue rescuing migrants in the Mediterranean Sea, they said. This has led to more migrants drowning or going missing. “Saving lives is not a crime. Protecting human dignity is not a crime. Acts of solidarity and humanity should not be prosecuted”, the experts stressed.

Il riconoscimento da parte dell’Italia ( e dell’Unione Europea) di una zona SAR ( ricerca e salvataggio) “libica” che si estende fino a 80 miglia dalla costa rende ancora pià difficile trasferire i migarnti, che vengono soccorsi in alto mare ( spesso da una nave commerciale), verso un porto sicuro in Europa. Le motovedette libiche dopo avere minacciato le navi umanitarie delle ONG adesso impongono alle navi commerciali che intervengono nelle attività SAR di fare rotta verso un loro porto, da dove i migranti vengono trasferiti in poco tempo verso un centro di detenzione. Perchè ormai per i libici, in contrasto con le Convenzioni internazionali che non hanno mai firmato o riconosciuto, sembra non esservi più differenza tra le acque territoriali dove qualsiasi stato può esercitare una piena sovranità, e la zona SAR ( ricerca e salvataggio) in acque internazionali, dove dovrebbe vigere il principio della libera navigazione, e che secondo le Convenzioni internazionali è stabilita all’esclusivo fine di soccorrere le persone, e non certo per “difendere confini” o creare impossibili linee di frontiera “galleggianti” in alto mare. Per tutte queste ragioni si dovrebbe sospendere immediatamente la zona SAR “libica”, dichiarata dal governo di Tripoli ma inventata a tavolino su evidente spinta diplomatica italiana il 28 giugno 2018.

Si dovrebbero invece organizzare missioni europee e internazionali di ricerca e soccorso in acque internazionali sul modello italiano dell’Operazioe Mare Nostrum del 2014, con un coinvolgimento attivo delle ONG, come era avvenuto dal 2016 al giugno del 2017, con il pieno rispetto delle Convenzioni internazionali. Fino a quando la politica non aveva deciso che il soccorso in mare costava troppo in termini di consenso elettorale e che occorreva usare la leva giudiziaria per criminalizzare le attività di soccorso (3). Ed erano partiti indagini e sequestri su impulso del ministero dell’interno, per spazzare via dal Mediterraneo centrale le navi delle ONG che operavano soccorsi umanitari. La svolta politica dello scorso anno aveva accentuato questa spinta politica, con un rapporto sempre più problematico con gli organi giurisdizionali (4). Oggi, dopo gli ultimi casi di “chiusura dei porti” si registra un livello di opacità mai raggiunto prima, allo scopo di nascondere le gravi omissioni dei doveri di ricerca e soccorso commesse dal governo.

3. Non sembra possibile che nel breve periodo queste politiche di morte possano essere battute, e resterebbe comunque un contrasto sempre più evidente tra le attività di contrasto di quella che si definisce come “immigrazione illegale”, ed il riconoscimento dei diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, che spetta a qualsiasi persona, in qualsiasi paese si trovi. Nessun accordo internazionale e nessuna prassi di polizia, sia pure per difendere interessi nazionali o linee di frontiera, può violare il diritto alla vita ed il divieto di trattamenti inumani o degradanti sanciti dalle Convenzioni internazionali e dunque riconosciuti anche dalla Costituzione italiana ( in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 117 della Costituzione). Ma coloro che hanno sottoscritto quegli accordi disumani, o che li hanno inaspriti a livello di prassi, continuano a godere di un largo consenso, e dunque, malgrado evidenti contraddizioni a livello internazionale, non appare facile impedire che le loro politiche omicidiarie proseguano tra l’indifferenza di molti e la complicità di chi specula per guadagnare consenso elettorale. Anche la richiesta di Amnesty International, per ricreare un sistema di ricerca e soccorso condiviso nel Mediterraneo sembra destinata a rimanere senza ascolto (5).

4. Per salvare le vite dei migranti intrappolati in Libia e di quanti vi sono riportati indietro dalla sedicente Guardia costiera “libica”, alla mercè di milizie ormai fuori controllo, non ci si può limitare ad una iniziativa politica a livello nazionale. Le organizzazioni non governative ed i cittadini solidali non si tireranno certo indietro nel rispetto più assoluto dell’obbligo di soccorso in mare, e tutte le inadempienze degli stati verranno monitorate e denunciate. Occorre anche rilanciare una comunicazione che smentisca i tanti falsi che vengono spacciati in materia di “sbarchi”. Ma intanto i migranti continueranno a subire abusi quotidiani in Libia, i porti in Italia resteranno “chiusi” per l’azione sinergica del governo e di alcune procure, le motovedette della Guiardia costiera ed i mezzi della marina saranno ritirati dalle attività SAR, o tenuti all’ormeggio in porto, come si sta verificando a Catania ed a Lampedusa, come del resto avviene da tempo con le unità delle missioni Frontex ed Eunavfor Med. Una rottura eclatante con una tradizione di soccorso che negli anni aveva fatto onore all’Italia e salvato centinaia di migliaia di persone. Adesso siamo arrivati al punto che, al termine dell’ennesima disputa con le autorità maltesi, per non completare tempestivamente una operazione di soccorso una unità italiana inserita nel dispositivo Frontex dichiara “avaria”, una palese conseguenza delle scelte politiche del ministro dell’interno. Come se nel Mediterraneo centrale non esistesse un intero dispositivo aero-navale italiano capace di intervenire con la massima rapidità, quando si vuole davvero rispettare il diritto internazionale del mare. Non si comprende neppure quale sia l’attuale portata operativa della missione Sophia di Eunavfor Mar, sulla quale l’Italia, con la sua politica dei partì chiusi, rischia l’isolamento internazionale.

Conferma questo disimpegno deciso dal governo, il disarmo parziale delle motovedette della guardia costiera in porto a Lampedusa, che da quattro sono scese a due, e non intervengono più come facevano in passato, con grande efficacia, in acque internazionali. Alla fine intervengono più spesso le autorità maltesi, come è successo ancora ieri, ma questo non può essere addotto come un successo da nessuno, perchè, come si è verificato in passato, i ritardi negli interventi e l’omissione di soccorso programmata con il ritiro delle navi della Marina e della Guardia costiera, oltre che con il blocco imposto alle ONG, possono costare ancora centinaia di vite umane che vanno direttamente a carico della responsabilità di chi esibisce i dati della “tolleranza zero” contro gli sbarchi.

Gli accordi bilaterali in forma semplificata, magari semplici Memorandum d’intesa, non possono compromettere la salvaguardia della vita umana, in mare, ma anche a terra (6). A fronte di queste condotte omissive nelle attività di soccorso e della situazione di abusi generalizzati inflitti ai migranti bloccati in Libia, occorre promuovere al più presto una vasta mobilitazione internazionale per promuovere una evacuazione su larga scala dei migranti intrappolati in quel paese, per consentire loro di raggiungere paesi terzi sicuri, e di accedere quando ne abbiano titolo alla protezione internazionale, in Europa o in altre parti del mondo quando ci siano stati che offrano la loro disponibilità. Per i rapporti intercorsi fin qui con gli stati africani, ed anche per il proprio trascorso coloniale, che adesso rivive con una accesa concorrenza per accaparrarsi le materie prime, gli stati europei non si possono sottrarre alle loro responsabilità, non fosse altro che per ragioni di continuità storica e di prossimtà geografica. Questo impegno richiede una revisione straordinaria del Regolamento Dublino 3 per la redistribuzione dei richiedenti asilo su scala europea, un Regolamento che le destre populiste e nazionaliste hanno voluto bloccare quando era ancora possibile una riforma. Oggi, mentre incombono le elezioni europee, ed anche sul diritto di asilo si sta facendo propagarnda elettorale, occore trovare misure urgenti di solidarietà che sottraggano alla negoziazione tra stati giocata tutta sulla pelle delle persone, i criteri di riparto e quindi la condivisione degli oneri di accoglienza. Ma a differenza di quanto sembra progettare la Commissione Europea, dovranno essere stabiliti criteri di riparto che non replichino la distinzione tra “migranti economici” e “richiedenti asilo”, per ricacciare nella clandestinità persone che comunque sarà ben difficile rimpatriare, senza ledere i loro diritti fondamentali. Occorre sempre tenere conto del periodo trascorso i Libia e degli abusi e delle violenze generalizzate che hanno subito tutti i migranti che sono giunti in Europa transitando da quel paese, da anni in mano a miliziani e trafficanti, che riescono persino a scambiarsi i ruoli. Adesso che stanno arrivando mezzi e finanziamenti dall’Unione Europea e dall’Italia.

5. Occorre dunque promuovere una campagna a livello europeo per rendere praticabile al più presto, per coloro che sono intrappolati in Libia, l’accesso a luoghi protetti nei quali sia possibile il rilascio di visti umanitari UE e il trasferimento verso altri paesi, non escluso il paese di origine (rimpatrio volontario) quando sia effettivamente richiesto e non sia piuttosto frutto di una imposizione. Non le piattaforme di sbarco nei paesi nordafricani, a lungo vagheggiate dall’Unione europea, ma anche in quegli stessi territori piattaforme di sicurezza e di imbarco verso paesi sicuri, nei quali fossero rispettate le norme internazionali sulla protezione dei diritti fondamentali della persona a partire dal diritto alla protezione internazionale. Una nuova proposta che deve passare a livello europeo.

La normativa dell’Unione europea prevede questa possibilità, che una sentenza “politica” della Corte di Giustizia UE di Lussemburgo del 2016 sembra restringere, ma che oggi costituisce forse l’unico mezzo per aprire canali legali di resettlement dalla Libia verso paesi sicuri dove le persone non rischino di subire quotiianamente trattamenti disumani o degradanti (7) . La sentenza della Corte di Giustizia elude in realtà la questione, che potrebbe essere riproposta ancora una volta, oltre che sul piano nazionale, anche davanti ai giudici europei.

Come ricordava nel suo parere dissenziente l’avvocato generale presso la Corte, Mengozzi, quel visto di ingresso per motivi umanitari poteva essere rilasciato dai paesi che accettavano di prendere in carico i migranti per sottrarli agli abusi, in qualsiasi paese, come in Libia. La possibilità di un ingresso a tempo determinato, di breve durata, non contraddice la possibilità che le persone, una volta giunte sul territorio nazionale, presentino una domanda di protezione internazionale. Del resto, ritenere che la breve durata del visto Shengen escluda la possibilità di presentare una richiesta di asilo contraddice la prassì ancora molto limitata nei numeri, ma già consolidata come fondamento normativo, dei cd. corridoi umanitari, ai quali diversi governi stanno dando applicazione, sulla base dell’accertamento di particolari condizioni di vulnerabilità documentate dall’UNHCR. Sono le stesse agenzie umanitarie delle Nazioni Unite che riconoscono come oggi non si riesca a garantire sicurezza neppure ai 50.000 (circa) richiedenti asilo registrati dall’UNHCR, figuriamoci per tutti gli altri che, come i nigeriani, vengono ritenuti semplicemente “migranti illegali”. Una distinzione, come quella tra migranti “economici” e richiedenti asilo, che risulta inapplicabile in un paese nel quale la legalità non è garantita neppure ai suoi stessi cittadini, come è confermato dal perenne conflitto tra le diverse milizie.

Occorre adesso ampliare in modo consistente il numero delle persone migranti che possano essere trasferite (resettlement) dalla Libia in Europa e verso altri paesi che si rendano disponibili su base volontaria, attraverso canali legali di ingresso. Una prospettiva che diventa inderogabile ed indifferibile a fronte degli abusi e delle violenze sempre più crudeli che subiscono quanti sono internati nei centri di detenzione in Libia. Una prospettiva opposta, certo, rispetto a quella praticata dall’attuale governo italiano, in parte anticipata dal precedente governo Gentiloni, che si limitava ad usare le gravi violazioni subite dai migranti trattenuti nei centri di detenzione libici o intercettati dalla sedicente Guardia costiera “libica” in acque internazionali, come uno strumento di deterrenza rispetto ai fattori di spinta che sarebbero stati costituiti dalla presenza delle navi delle ONG in acque internazionali. Un assunto che la giurisdizione penale italiana non è riuscita a tradurre in un concreto accertamento della responsabilità penale (8). Se nella politica nazionale ed europea si vuole dare davvero un segnale di discontinuità, è su questo terreno che ci si dovrà confrontare.

Prima la vita, prima le persone, della rincorsa alla sicurezza ad ogni costo. Il vero “interesse nazionale” non consiste in una pretesa “difesa dei confini” a scapito dei diritti umani, ma si radica nel rispetto delle Convenzioni internazionali. Come si è visto nei casi che hanno counvolto la nave Diciotti della Guardia costiera italiana, a partire dal luglio del 2018, il preteso “superiore interesse nazionale” non permette la sistematica elusione dei doveri di assistenza, soccorso e sbarco, che non possono essere violati per finalità di propaganda elettorale, in nome del populismo e del sovranismo (9). Perchè la vera sicurezza, e la legittima difesa dei confini in un contesto multilaterale, possono derivare soltanto dal rispetto del diritto internazionale, dalla condivisione e dal rispetto reciproco in quanto esseri umani, non certo dalla chiusura o dalla esternalizzazione delle frontiere, o peggio dall’odio e dalla discriminazione.

NOTE

(1) Cfr. L.TRIA, Gli accordi con la Libia e la lotta ai trafficanti , in Quest. Giust. 2018, consultabile alla pagina http://www.questionegiustizia.it/articolo/gli-accordi-con-la-libia-e-la-lotta-ai-trafficanti_11-06-2018.php

(2) Cfr. F. VASSALLO PALEOLOGO, “Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e nell’ordinamento interno”, in Quest. giust. 2018, consultabile alla pagina http://questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2018-2_20.pdf

(3) Cfr. S. BERNARDI, “I (possibili) profili penalistici delle attività di ricerca e soccorso in mare, in Diritto penale contemporaneo, 2018, consultabile alla pagina https://www.penalecontemporaneo.it/d/6059-i-possibili-profili-penalistici-delle-attivita-di-ricerca-e-soccorso-in-mare

(4) Cfr. S. PERELLI, Il sequestro della nave Open Arms: è reato soccorrere migranti in pericolo di vita?, in Quest. giust., 2018, consultabile alla pagina http://questionegiustizia.it/articolo/il-sequestro-della-nave-open-arms-e-reato-soccorrere-migranti-in-pericolo-di-vita-_31-03-2018.php

(5) Cfr. AMNESTY INTERNATIONAL E HUMAN RIGHTS WATCH, Amnesty International and Human Rights Watch Letter to Minister Carmen Daniela Dan, Action Plan For A Fair And Predictable Rescue System in the Mediterranean Sea, consultabile alla pagina https://www.hrw.org/news/2019/03/06/amnesty-international-and-human-rights-watch-letter-minister-carmen-daniela-dan?fbclid=IwAR38_hHuwQ3MJG-Ym_ogXjsx7p2tDqODAOB2fXkk-6-T0PsY_TKJXenH7ts

(6) Cfr. A. SPAGNOLO, Di intese segrete e alibi parlamentari_ tra la decisione del TAR sull’accordo col Niger e il Global Compact sulle migrazioni , in SIDIBlog, 2018, consultabile alla pagina http://www.sidiblog.org/2018/12/05/di-intese-segrete-e-alibi-parlamentari-tra-la-decisione-del-tar-sullaccordo-col-niger-e-il-global-compact-sulle-migrazioni/

(7) C. FAVILLI, Visti umanitari e protezione internazionale: così vicini così lontani, in Diritti umani e diritto internazionale, 2017, 2, pp 553-561.

(8) F. DE VITTOR, Soccorso in mare e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: sequestro e dissequestro della nave Open Arms, in Diritti umani e diritto internazionale, 2018, 2, pp 443-452

(9) S ZIRULIA, F.CANCELLARO, Caso Diciotti: il Tribunale dei Ministri qualifica le condotte del Ministro Salvini come sequestro di persona aggravato e trasmette al Senato la domanda di autorizzazione a procedere, in Diritto Penale Contemporaneo 2019, consultabile alla pagina https://www.penalecontemporaneo.it/d/6450-caso-diciotti-il-tribunale-dei-ministri-qualifica-le-condotte-del-ministro-salvini-come-sequestro-d

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Carmen Daniela Dan

Minister of Internal Affairs

Presidency of the Council of the European Union

6 March 2019

Dear Minister Dan,

RE: ACTION PLAN FOR A FAIR AND PREDICTABLE RESCUE SYSTEM IN THE MEDITERRANEAN SEA

I am writing to you to share the proposals put forward by Amnesty International and Human Rights Watch to address the policy crisis in the Mediterranean, following the closure of Italian ports to rescue vessels. The document Plan of Action: Twenty steps for a fair and predictable rescue system in the Mediterranean Sea proposes collective and workable solutions to save human lives and set up a fair system to share responsibility for examining and processing claims of people seeking protection disembarked in European ports.

The scale of continuing incidents and loss of life in the Mediterranean Sea is unacceptable, and member states should be examining both the extent to which their policies contribute to endangering migrants’ lives and how they can save lives.  Nor is it acceptable to willingly ignore the devastating consequences of enlisting the help of Libyan authorities in preventing arrivals to the EU in order to characterize EU-Libyan cooperation on migration as a success.

Recently, Amnesty International[1] and Human Rights Watch[2] have highlighted yet again how the EU’s approach, far from dismantling the business of human smugglers and traffickers, is contributing to a cycle of violence and abuse, as people intercepted by the Libyan Coast Guard – trained, equipped, funded and assisted by EU member states and institutions – are brought back to abysmal conditions in overcrowded and unsanitary detention centres where they are arbitrarily detained and exposed to torture, including rape and beatings sometimes inflicted to extract a ransom from their families. Despite this, the European Union and its member states have failed to reconsider their continuing assistance to the Libyan Coast Guard. Instead, they continue to commit material support, including vessels, to Libya, despite the lack of progress towards ending arbitrary detention and torture of people returned to Libya. As our recent research demonstrates, efforts by international agencies and even the opening by UNHCR of a Gathering and Departure Facility in Tripoli in December, have not resulted in systemic changes on the underlying level of abuses and violence.

At the same time, EU states have criticised the action of non-governmental rescue organisations, as reflected in the June 2018 European Council Conclusions. Some EU governments launched an unprecedented offensive against NGOs operating search and rescue vessels, thus driving them out of the Central Mediterranean and leaving no genuine ‘rescue’ capacity in place.

For the relatively few people that NGOs, states or commercial vessels have been able to rescue in the past eight months, the EU has offered a dismaying spectacle. The continuous political standoffs between governments forbidding or delaying disembarkation in their countries has left individuals in life-threatening conditions at sea for prolonged periods in a clear dereliction of the legal and moral duty to ensure prompt disembarkation in a place of safety. The fact that some EU governments eventually decided to allow disembarkation or receive those disembarked is certainly a relief. However, standoffs are likely to continue until a predictable and sustainable solution is found that ensures prompt disembarkation of rescued persons, and fair support to countries of first arrival, in compliance with EU asylum standards throughout the reception and relocation process.

At a time of high levels of forced displacement globally, the EU should be open to protect and help those in need and refrain from pursuing approaches that legitimise the views of those who see migrants and refugees arriving to Europe only as a threat. Cracking down on irregular migration, without opening safe and regular routes for refugees and migrants, can only trap people in countries where they are exposed to human rights violations at the hands of unscrupulous authorities which the EU is enlisting as partners as a way of externalizing border controls.[3]

We call on you to act with resolve against port closures and current standoffs which hinder responsibility-sharing arrangements, and to bring the EU’s external approach in line with EU law and obligations under international human rights and refugee law.

We enclose a list of actions which should form part of the effective, sustainable and human rights compliant solution we would like you to discuss and agree to.

Your sincerely,

Covadonga de la Campa

Interim head of European Institutions Office

and Advocacy Director

Amnesty International

Lotte Leicht

Director, EU Advocacy

Human Rights Watch

[1] Amnesty International, Cut adrift in the Mediterranean, January 2019.

[2] Human Rights Watch, No Escape From Hell, January 2019.

[3] See, in this respect, the 2016 EU Global Strategy, Shared Vision, Common Action: A Stronger Europe,  p 27-28: “We must stem irregular flows by making returns more effective as well as by ensuring regular channels for human mobility. This means enhancing and implementing existing legal and circular channels for migration.”