Cadono le accuse contro le ONG, continua la propaganda di governo contro i soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale

di Fulvio Vassallo Paleologo

Il Tribunale del riesame di Catania ha pubblicato le motivazioni della decisione con la quale è stato disposto il dissequestro dei conti correnti intestati al principale imputato nel procedimento penale incardinato sullo sbarco di rifiuti illeciti dalla nave Aquarius al termine di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Il processo comunque posegue, e come in altri casi, continua una intensa attività di indagine, malgrado l’accantonamento delle prime ipotesi accusatorie. Soltanto la Procura di Palermo ha defintivamente archiviato le indagini avviate nel 2017 nei confronti di alcune ONG che sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana svolgevano attività di soccorso in mare sulle rotte del Mediterraneo centrale.

Come avevamo previsto, si è rivelato inconsistente il castello accusatorio montato contro la organizzazione non governativa SOS Mediterraneè che ha costretto al blocco delle attività di soccorso della nave Aquarius, prima attaccata con una iniziativa politica sullo stato di bandiera ( Gibilterra e dopo Panama) e poi oggetto di una indagine, a Catania, addirittura per traffico illecito di rifiuti. Anche se il sequestro disposto dalla Procura di Catania non è stato mai eseguito in Francia, l’attività di soccorso della nave è stata paralizzata, quando sarebbe stata pronta a ripartire da Marsiglia ed a soccorrere altre vite umane in pericolo in alto mare.

Come scritto in un recente comunicato,Medici Senza Frontiere si dice soddisfatta per la decisione del Tribunale del Riesame, che di fatto smonta l’impianto accusatorio proposto dalla Procura di Catania, ritenendo insussistente il reato di traffico illecito di rifiuti sulla nave Aquarius. Ancora una volta, accuse sproporzionate e infondate contro le navi umanitarie si rivelano per quello che sono: ostinati tentativi di fermare l’azione di soccorso in mare a tutti costi. Senza alcuna considerazione per le conseguenze di questa campagna di criminalizzazione sulla vita delle persone, oggi abbandonate a loro stesse in un Mediterraneo svuotato di navi di soccorso, con il rischio di naufragare senza testimoni o di essere riportate forzatamente nel circolo della detenzione in Libia.”

Mentre i media hanno dato grande rilievo alla formulazione delle prime ipotesi accusatorie, viene adesso nascosta la notizia delle motivazioni della decisione di dissequestro dei conti correnti del principale imputato del procedimento, l’agente marittimo che curava lo sbarco dei rifiuti dalla nave Aquarius, motivazioni che dimostrano la totale carenza di fondamento delle attività di indagine condotte con grande clamore mediatico contro Sos Mediterraneè e Medici senza frontiere. I processi contro le ONG comunque continuano, presso diversi tribunali siciliani, a Trapani ( caso Juventa), a Ragusa (caso Open Arms), a Catania ( caso Aquarius).

Rimane ancora aperta la indagine sulla Sea Watch 3, malgrado la Procura di Catania, dopo la chiara posizione della Procura di Siracusa, abbia dovuto escludere quelle ipotesi di reato ( agevolazione di ingresso di clandestini) profilate, ed in qualche modo auspicate, dai primi interventi del ministro dell’interno. La nave rimane ancora ferma in porto a Catania per accertamenti amministrativi. Si rinnova duque una strategia della deterrenza, attraverso misure apparentemente amministrative, se non con lo strumento penale, di sequestro delle navi e di gravi incriminazioni, che rendono praticabile per il ministero dell’interno, attraverso continue minacce di denuncia, la politica della chiusura dei porti, altrimenti del tutto priva di basi legali e di strumenti coercitivi. Ad oggi, come conseguenza preordinata, il Mediterraneo centrale rimane sguarnito, non solo di navi umanitarie, ma anche delle navi delle missioni Sophia di Eunavfor Med e Themis di Frontex. Anche le navi commercuali navigano verso Suez e Gibilterra tenendosi su rotte sempre più lontane dalla costa, oppure collaborano con la guardia costiera “libica”. Si riducono al minimo le possibilità di ricerca e soccorso in acque internazionali. Con un numero di vittime incalcolabile.

Nel silenzio degli stati e dietro la violenta attività di distrazione di massa intentata sui social e nei media vicini al governo, intanto le stragi in mare sulla rotta del Mediterraneo centrale continuano, malgrado le dichiarazioni del ministro dell’interno che si congratula con la guardia costiera “libica” e continua a sostenere che bloccando gli sbarchi cesseranno i naufragi. Le imbarcazioni delle ONG devono restare bloccate nei porti.

Il danno economico prodotto alle ONG direttamente coinvolte, ed a tutte le Organizzazioni che operano soccorsi umanitari in generale, è enorme, un danno che probabilmente non si potrà mai risarcire per intero, pari al vantaggio politico lucrato da chi ha speculato su queste vicende, e continua ancora in questi giorni a vantare come un “successo” la “fine della rotta libica”. E dietro le quinte continua la collaborazione tra libici ed italiani per bloccare le imbarcazioni cariche di migranti in acque internazionali prima che possano essere soccorse.

Una chiusura dei porti che non si è mai concretizzata in un provvedimento amministrativo fondato su basi legali, ma che è sempre stata frutto di una gestione del ministero dell’interno basata sul rifiuto nella indicazione dovuta di un “porto di sbarco sicuro” (POS), sul trattenimento arbitrario dei naufraghi a bordo delle navi di soccorso, come nel caso Diciotti, nella minaccia di un intervento della magistratura in caso di sbarco, con una parificazione inaccettabile dei naufraghi o dei richiedenti asilo alla figura del “clandestino” e da ultimo persino del “sospetto terrorista” ( come si legge nelle difese prodotte in sede parlamentare dal ministro dell’interno sul caso Diciotti).

Dalle difese degli esponenti di governo sul caso Diciotti emerge una gestione del ministero dell’interno che ha mortificato le attitudini istituzionali di soccorso del Corpo della guardia costiera, esautorato dalla guardia di finanza, con ulteriori pressioni sui comandanti di porto e sulle capitanerie perchè si prestassero alla politica dei porti chiusi, anche attraverso misure informali di fermo delle navi, tramite accertamenti tecnici che se fossero applicate a tutte le navi in transito nei porti italiani ne determinerebbero il blocco. Misure che neppure sono sfociate in provvedimenti amministrativi impugnabili davanti ad una qualsiasi giurisdizione, ma che hanno costituito l’ultimo espediente per impedire alle ONG la prosecuzione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Magari con assunzione postuma di responsabilità da parte di un intero governo. Con un costo ancora elevato in termini di vite umane, anche se le statistiche ministeriali nascondono le vittime in Libia o le tanti stragi nascoste quando gli interventi sono stati gestiti dai libici. Non manca neppure l’intento speculativo...la frontiera sta diventando “un buon affare” anche in termini economici, non solo per gli imprenditori della paura.

Chi oggi utilizza la riduzione degli arrivi dalla Libia nella campagna elettorale permanente che affligge da troppo tempo il nostro paese, con modalità che configurano una emergenza democratica ben più allarmante degli sbarchi di migranti soccorsi in alto mare, si ritrova smentito dai fatti ed in un crescente isolamento internazionale. Solo chi è caduto nella trappola della guerra dei poveri, e sono tanti purtroppo, può ritenere che gli immensi problemi sociali che dovrà affrontare il nostro paese, non solo in materia di sicurezza, ma anche nel mantenimento del welfare e nelle prospettive occupazionali, siano risolvibili con la diminuzione dell’arrivo di qualche decina di migliaia di persone dal continente africano. Infatti di queste entità si tratta, perchè il calo più consistente degli arrivi si era già verificato con il governo Gentiloni dopo gli accordi con il governo di Tripoli, e non certo con la “Libia”intesa come stato unitario, del 2 febbraio 2017.

Già nel mese di marzo del 2018 il calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente era dell’80 per cento. Sono i dati verificabili nel sito del ministero dell’interno che lo confermano. E la guerra contro le ONG era già cominciata nel mese di ottobre del 2016, prima con una relazione, poi smentita, di Frontex, e quindi con una bassa operazione mediatica promossa dalle destre europee e rimbalzata da professionisti della disinnformazione nel nostro paese. Adesso quella guerra si consuma non solo contro le ONG ma anche attraverso il blocco degli sbarchi delle persone soccorse da unità della Guardia costiera, che vengono tenute in porto e costrette all’inoperatività.

Dopo che la magistratura ha continuato a smentire le ipotesi accusatorie formulate dalle forze di polizia, su impulso sempre più evidente del ministero dell’interno, ed altre ne verranno, possiamo esserne certi, occorre mobilitarsi per denunciare la truffa mortale di una “zona sar libica”, luogo di intercettazione e di sequestro, piuttosto che si ricerca e soccorso, per fare ritornare ad operare le navi umanitarie in tutto il Mediterraneo centrale, nell’ambito di una missione internazionale con precipua finalità di soccorso. La Guardia costiera “libica” è soltanto una parte della marina libica che sta con uno dei due governi in lotta tra loro, ed ha rapporti poco chiari con le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico, che dopo la riconduzione a terra riescono a riprendersi i migranti intercettati in mare, scgliendo quelli in grado di pagare di più per il loro riscatto. Lo raccontano anche migranti che sono riusciti a farsi regitrare dalle Nazioni Unite in uno dei tanti “centri governativi”. La complicità delle autorità italiane he sbarrano i porti alle imbarcazioni delle ONG ed alle altre navi di soccorso è ormai smascherata.

L’IMO (Organizzazione internazionale del mare) a Londra deve prendere atto che anche per le Nazioni Unite (a cui fa riferimento) la Libia non offre “porti sicuri di sbarco”. Deve essere anche chiarito il riparto di competenze SAR tra Italia e Malta, ancora oggetto di controversie che sono già costate la vita di centinaia di persone. Nessun altro accordo di respingimento delegato alle motovedette libiche potrà essere tollerato.

Di fronte a questa situazione, accertata a livello delle Nazioni Unite, le autorità italiane non possono ritardare od omettere gli interventi di soccorso perchè si dovrebbe dare precedenza alle intercettazioni operate dai libici, o per negoziare una redistribuzione dei naufraghi a livello europeo. Una prassi ricattatoria, sulla pelle delle persone soccorse, condannata anche dal Consiglio di Europa.

Sarà adesso necessario, a fronte dell’isolamento internazionale dell’Italia, e dello scontro con la Francia, che prelude ad una ripresa del conflitto tra le diverse milizie libiche, e dunque ad un ulteriore peggioramento della condizione dei migranti intrappolati in quel paese, creare canali di evacuazione umanitaria delle persone rinchiuse nei centri di detenzione o costrette a nascondersi in condizioni di schiavitù in territorio libico.

Non bastano certo i “corridoi umanitari”, pure utili per qualche centinaio di persone più vulnerabili, ma diventati ormai terreno di propaganda governativa, come si vede ad ogni arrivo dei pochi che, trasferiti direttamente dalla Libia, riescono ad essere evacuati dall’OIM e dall’UNHCR.

Non basta neppure pensare ad una evacuazione verso il Niger di persone che, una volta spostate dalla Libia, in quel paese non avrebbero se non in minima parte la possibilità del riconoscimento dello status di rifugiato e quindi di resettlment in altri paesi, come si è fatto di recente persino in Canada. Come se il Niger fosse un “paese terzo sicuro”, piuttosto che un luogo di scambio tra torbidi interessi. Attraverso questi canali si possono salvare forse duemila o tremila persone all’anno, lo dicono le statistiche dell’UNHCR, e dunque non finirebbero torture e trattamenti disumani o degradanti per altre centinaia di migliaia di persone bloccate in Libia. Una persecuzione ai danni dei migranti che ricorda le pagine più oscure della storia dei campi di concentramento.

E’ bene che i cittadini che si stanno accingendo a votare alle prossime elezioni europee siano resi consapevoli che le politiche basate sulla esternalizzazione dei controlli di polizia in paesi che non rispettano i diritti umani e i respingimenti collettivi, applicati nei confronti di chi dovrebbe essere soccorso e sbarcato nel tempo più rapido in un porto sicuro, non garantiscono nè sicurezza sul territorio, nè migliori prospettive economiche. Per quanto si riesca a criminalizzare il soccorso umanitario, stringendo accordi di cooperazione di polizia con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, altri migranti comnque aggireranno qualunque nuova barriera venga imposto apparentemente dagli stati. Potranno solo aumentare le persone in situazione di irregolarità. Se non si arriva pià dalla Libia, altri migranti continuano ad entrare utilizzando il sistema dei visti o seguendo nuove rotte. E’ sempre stato così, e sarà così anche in futuro. Rimane soltanto la tragedia di chi si trova intrappolato in Libia, una situazione che si può avvicinare ad un lento ma inesorabile genocidio, del quale sono sempre più evidenti attori e responsabilità.

Occorre dunque rilanciare la proposta di una evacuazione dalla Libia attraverso una gestione della mobilità affidata alle Nazioni Unite con il rilascio di visti umanitari per l’ingresso legale in diversi paesi del mondo, non solo in Europa, mantenendo il canale del “rimpatrio volontario assistito” soltanto per quelle persone che manifestino liberamente, e non sotto costrizione, questa scelta, sempre che sia un rimpatrio davvero “assistito” e non si traduca in un successivo abbandono nelle mani dei trafficanti. Per impedire la prosecuzione di questi abusi occorre un giornalismo che informi correttamente, ed il lavoro di organi giurisdizionali che applichino le norme cogenti a livello internazionale ed interno, che antepongono a qualunque altra finalità di ordine pubblico o di difesa dei confini la salvaguardia della vita umana.

Il giornalismo indipendente e il principio costituzionale di separazione dei poteri sono oggi sotto attacco. Le campagne mediatiche e politiche contro le ONG sono state terreno di coltura per pratiche autoritarie che adesso, dopo il decreto sicurezza (legge n.132 del 2018) si stanno estendendo a fasce più estese della popolazione. Un paese nel quale vince il razzismo istituzionale e la persona straniera è ridotta alla condizione di “clandestino“, anche prima ancora che possa farvi ingresso dopo essere stata soccorsa in mare, è un paese nel quale lo scontro sociale è destinato a crescere, con il rischio di una involuzione antidemocaratica e di una violenza diffusa che non permetterebbero di affrontare alcuna crisi, economica o politica, e condannerebbero definitivamente l’Italia al rango di una nazione sconfitta dal suo stesso governo ed ai margini del contesto internazionale.


“Ogni tempo ha il suo fascismo.
A questo si arriva in molti modi. Negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola e diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine.”

Primo Levi, 1974

https://www.globalist.it/politics/2019/02/06/l-ammiraglio-de-giorgi-in-libia-condizioni-disumane-non-e-un-porto-sicuro-2037061.html

[10/2, 10:23] Sergio Scandura: Migranti: no traffico rifiuti, Pm ricorre in Cassazione
Contro decisione Tribunale Catania dissequestro beni a indagato
(ANSA) – CATANIA, 9 FEB – La Procura di Catania ha depositato
ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale del
Riesame di annullare il decreto di sequestro, emesso dal Gip, di
200mila euro da due conti correnti intestati a Francesco
Gianino, titolare della ”Mediterranean shipping agency” di
Augusta (Siracusa), indagato nell”ambito dell”inchiesta
Bordeless sulla gestione di rifiuti da navi di Ong. Il ricorso
era stato depositato soltanto dal legale di Gianino, l”avvocato
Dina D”Angelo, ma non da Medici senza frontiere ne” da nave
Aquarius, anche se il reato contestato e” lo stesso. Secondo i
giudici esiste la “ritenuta potenziale infettivita” dei rifiuti
derivanti dalle operazioni di salvataggio (nello specifico
vestiti e biancheria intima ) che dunque avrebbero dovuto essere
riferiti come rifiuti sanitari a rischio infettivo o sanitari
pericolosi”, ma tuttavia e” da ritenere “insussistente il
contestato reato di traffico illecito di rifiuti”. (ANSA).


09-FEB-19 15:16 NNNN
[10/2, 10:24] Sergio Scandura: Migranti: legale Gianino, ricorso Cassazione? Messo in conto
(V. ”Migranti: no traffico rifiuti, Pm ricorre…” delle 15.16)
(ANSA) – CATANIA, 9 FEB – “Il ricorso in Cassazione?
L”avevamo messo in conto. Ma io sono fiduciosa, abbiamo tanti
argomenti dalla nostra parte. A valutazione invertita lo avremmo
presentato noi”. Cosi” l”avvocato Dina D”Angelo sull”iniziativa
della Procura di Catania contro la decisione del Tribunale del
Riesame di annullare il decreto di sequestro, emesso dal Gip, di
200mila euro da due conti correnti intestati al suo assistito,
Francesco Gianino, titolare della ”Mediterranean shipping
agency” di Augusta (Siracusa), indagato nell”ambito
dell”inchiesta Bordeless sulla gestione di rifiuti da navi di
Ong.
“La decisione del Tribunale del riesame di Catania – aggiunge
la penalista – e” per noi un successo, non era affatto scontato.
Il coraggio di contestare la Procura lo abbiamo avuto solo noi,
anche perche” Gianino e” un agente marittimo che vive del suo
lavoro ed aveva avuto sequestrati 200mila euro. La strada
giuridica da percorrere era quella – chiosa l”avvocato Dina
D”Angelo – e se il Tribunale del riesame avesse deciso a favore
della Procura saremmo stati noi a presentare ricorso in
Cassazione”. (ANSA).

TR
09-FEB-19 15:30 NNNN