di Fulvio Vassallo Paleologo
Ultimo aggiornamento alle ore 14 di lunedì 28 gennaio 2019
Sea Watch: Pm Siracusa, Nessun reato da comandante e no sequestro =
(AGI) – Siracusa, 28 gen. – “Non ha commesso alcun reato il
comandante della Sea Watch e non e” stata neppure presa in
considerazione al momento l”ipotesi di un eventuale sequestro
della nave”. Lo dice il procuratore di Siracusa, Fabio Scavone,
in riferimento al caso della Sea Watch che ha aperto un
fascicolo d”indagine senza reati ne” indagati. Per il
magistrato “ha salvatore i migranti e scelto quella che
appariva la rotta piu” sicura in quel momento”. Acquisite dai
suoi uffici le informative della Capitaneria di porto e le
relazioni giunte dal natante della ong tedesca. La procura di
Siracusa, aveva gia” spiegato nei giorni scorsi, che e”
interessata a verificare le condizioni igienico-sanitarie della
nave e le sue dotazioni di sicurezza. La procura ha preso
informazioni anche sulla questione dei minori presenti sulla
nave della Ong tedesca. Se la nave, spiega il procuratore,
decidesse di riprendere la navigazione, occorrera” valutare le
condizioni di idoneita” della nave stessa, “cioe” se ha a sua
disposizione una dotazione di salvamento per tutte le persone a
bordo, altrimenti e” impossibile che possa prendere il mare”.
(AGI)
Caso Sea Watch, “ecco perché non siamo andati in Tunisia” ( da Redattore Sociale)
Secondo i rappresentanti del governo italiano, la nave doveva ripararsi in Tunisia. Ma l’ong tedesca rende note le comunicazioni con il centro di coordinamento olandese e spiega che la Tunisia non ha mai risposto alla richiesta di fornire un porto sicuro. Intanto aperta un’inchiesta
ROMA (Redattore Sociale) – La Sea Watch doveva andare in Tunisia, ma l’imbarcazione dell’ong tedesca con a bordo 47 persone (tra cui 13 minori non accompagnati) avrebbe comunque fatto rotta verso l’Italia, disattendendo le indicazione ricevute. E’ su questo punto che insistono i ministri dell’Interno, Matteo Salvini, e delle Infrastrutture, Danilo Toninelli accusando l’equipaggio della nave. Il procuratore di Siracusa, Fabio Scavone, ha aperto un’inchiesta, l’ipotesi che circola è che nelle prossime ore la nave possa essere sequestrata, tutto l’equipaggio potrebbe dover rispondere dell’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il procuratore ha però precisato che il comandante della nave “non è indagato”. Alle accuse replicano i rappresentanti dell’ong tedesca, mostrando le comunicazione tra il comandante della nave e il centro di coordinamento olandese. E spiegando perché alla fine la nave si sia diretta verso l’Italia.
Intanto la sorveglianza attorno alla nave è stata attribuita alla Guardia di finanza, con una Ordinanza della Capitaneria di porto di Siracusa, datata 27 gennaio, su sollecitazione del Prefetto di Siracusa, che vieta la navigazione attorno alla Sea Watch 3 per un raggio di mezzo miglio (circa 900 metri), impedendo a chiunque di raggiungere la nave. Dunque una conferma della limitazione della libertà personale dei naufraghi bloccati a bordo della nave da oltre 10 giorni, ed una ulteriore lesione delle prerogative dei parlamentari.
1.Come si è verificato in passato, ma con modalità ancora più violente ed in contrasto con le procedure previste dalla legge e dalle Convenzioni internazionali, il blocco prolungato di 47 naufraghi a bordo della nave Sea Watch 3, ancorata davanti al porto di Augusta ( Siracusa), frutto della omessa indicazione di un “porto sicuro di sbarco” (POS) da parte del ministro dell’interno, sta comportando il rilancio delle accuse contro le ONG che si ostinano a salvare vite sulle rotte del Mediterraneo centrale. Le rotte migratorie più pericolose del mondo, sulle quali continuano a verificarsi naufragi, coperti da uno spesso muro di censura e di omertà imposto dai governi, che vengono scoperti solo dopo la denuncia degli operatori umanitari, che per questo motivo vanno allontanati, per non conttrastare le politiche migratorie basate sulla deterrenza e sul ripetersi dei naufragi in mare. Un genocidio nascosto che si consuma nelle acque del Mediterraneo.

Una serie di stragi, con la criminalizzazione di quegli operatori umanitari che si ostinano a continuare a svolgere attività di monitoraggio e soccorso, conseguenze previste e volute anche da chi ha spinto per istituire una zona SAR “libica”, che nessuna autorità “libica” riesce a controllare in modo coordinato. Una responsabilità condivisa da chi ha ordinato il ritiro delle navi delle missioni Frontex ed Eunavfor Med, e da ultimo della Guardia costiera italiana, per dare spazio alle intercettazioni operate dalla sedicente Guardia costiera “libica” su coordinamento (di fatto) delle autorità italiane ed europee. Per il ministro dell’interno chi non obbedisce a quella “Guardia costiera”, riconsegnando o abbandonando i naufraghi, che andrebbero invece sbarcati in un “porto sicuro”, che si può trovare soltanto in uno stato europeo, commetterebbe il reato di agevolazione dell’ingresso di irregolari. Una tesi già smentita in sede giudiziaria, quando i tribunali, pur proseguendo i procedimenti penali, hanno stabilito che la Libia non offre porti sicuri di sbarco.

Non sono bastati i richiami delle principali agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM,UNICEF) e la richiesta del Procuratore capo della rocura dei minori di Catania, oltre alla disponibilità all’accoglienza offerta da sindaci ed esponenti della Chiesa, per convincere il ministero dell’interno a rispettare quanto previsto dal diritto internazionale, dalle norme europee e dalla legge dello stato, e dare nel tempo più rapido un porto sicuro di sbarco in italia ai naufraghi raccolti in alto mare dalla nave Sea Watch. Si è arrivati al punto di impedire per due giorni a parlamentari della Repubblica l’esercizio di diritti di visita previsti dalla Costituzione, ed adesso proprio a ridosso della decisione del Tribunale dei ministri di Catania, che chiede la messa in stato di accusa del ministro dell’interno per il blocco prolungato dei migranti a bordo della Diciotti, si rilancia la consueta accusa infamante contro gli operatori umanitari, di avere violato, loro, il diritto internazionale del mare, e di avere messo a rischio la vita delle persone che hanno soccorso. Un totale capovolgimento della realtà dei fatti e della valenza delle norme, che riporta la memoria al regime fascista del secolo scorso.
Neppure i provvedimenti di archiviazione di diverse indagini contro le ONG hanno arrestato il fiume di falsità che si rivolge contro chi opera soccorsi in mare, qualunque pretesto è buono per criminalizzare l’intervento umanitario. Il ministro della giustizia Bonafede, come in altre occasioni, non ha tardato ad allinearsi con le posizioni del ministro dell’interno, mentre il ministro competente per le infrastrutture portuali, Toninelli, rilancia sul governo olandese. Intanto i risultati dell’azione del governo giallo-verde, anche da un punto di vista meramente sicuritario sono fallimentari e deludono (per fortuna) le tante promesse elettorali. Non rimane allora che concentrare l’attenzione collettiva verso la chiusura dei porti, contro qualche decina di naufraghi soccorsi dalle ONG in acque internazionali, un bersaglio fin troppo facile.
Come nota De Sena, per quanto possa in astratto succedere che uno stato competente per il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in mare rifiuti di indicare un porto sicuro di sbarco, che non è necessariamente il porto più vicino, «la chiusura dei porti italiani implicherebbe necessariamente una serie di conseguenze sul piano del rispetto di norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati.Vari elementi permettono infatti di considerare che l’Italia eserciterebbe, de jure e de facto, sulle imbarcazioni in parola, poteri idonei ad incidere sul godimento effettivo di diritti elementari da parte di coloro che si trovino a bordo. In altri termini, questi ultimi, pur tenuti fuori dai porti italiani, non mancherebbero di rientrare nella giurisdizione italiana, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato nella giurisprudenza rilevante”.
Secondo l’UNHCR ” In mare non è possibile una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 – T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003; ecc.). Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone. Il rifiuto, aprioristico e indistinto, di far approdare la nave in porto comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU.

Per riscuotere altro consenso elettorale occore aprire altri processi contro le ONG. Non basta dunque che le persone soccorse dalla Sea Watch siano state tenute a bordo della nave della ONG in una condizione di privazione della libertà personale che nessuna ispezione medica può giustificare, in violazione peraltro con la procedura Hotspot prevista dalla legge. Come già messo in evidenza dai giudici che hanno stabilito la messa in stato di accusa del ministro dell’interno per un analogo comportamento adottato nei confronti dei migranti bloccati a bordo della nave Diciotti, lo scorso anno, prima davanti il porto di Lampedusa e poi nel porto di Catania. Piuttosto che rispettare il dettato delle leggi, della Costituzione e delle Convenzioni internazionali, si passa all’attacco di chi ha salvato vite in mare, costretto ad intervenire per la colpevole assenza delle unità navali italiane ed europee che fino al 2016 garantivano la maggior parte delle operazioni SAR ( di ricerca e salvataggio) in acque internazionali. Missioni che sono state sospese o ridimensionate, perchè si riteneva che salvassero troppe persone in mare, e dunque costituissero un fattore di agevolazione dell’immigrazione “clandestina”.
2.Secondo quanto riferiscono giornali che sostengono la tattica di respingimento collettivo e di abbandono in mare adottata dal ministro dell’interno, ” il comandante della nave della Ong rischia l’arresto per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per aver messo a rischio la vita dei migranti a bordo. La ragione? Nel momento in cui le condizioni meteorologiche sono peggiorate ha deciso, in modo illogico e insensato, di virare verso l’Italia, che si trovava a 100 miglia nautiche dal punto in cui si trovava il natante, invece che raggiungere le coste tunisine, a 74 miglia. La conferma alla folle manovra è arrivata dalle autorità olandesi, che avevano indicato a Sea Watch di approdare in Tunisia. Un reato vero e proprio, quello commesso dal comandante della Sea Watch 3: il fascicolo che lo riguarda, si apprende, è già stato inviato alle procure italiane competenti e l’inchiesta potrebbe anche già essere in corso.” Una indicazione che viene contraddetta in un altro articolo pubblicato dallo stesso giornale.
Secondo Libero, “ Le autorità di Amsterdam, stando a fonti governative italiane a stretto contatto con la Commissione Ue, pare che mercoledì – quando le condizioni meteorologiche come ampiamente previsto cominciavano a peggiorare e Sea Watch si trovava tra Lampedusa e la Tunisia – avessero comunicato al comandante dell’ imbarcazione di dirigersi verso il Paese nordafricano e di chiedere a Tunisi il permesso di attraccare.
Così del resto hanno fatto i pescherecci presenti nella medesima area della nave della Ong: le unità da pesca, nelle stesse ore in cui Sea Watch decideva di puntare la Sicilia orientale, per proteggersi hanno fatto rotta verso Zarzis, da cui distavano circa 75 miglia nautiche, e non verso la Sicilia, lontana 100 miglia da Lampedusa. Il centro di coordinamento della Guardia Costiera olandese, contattato ufficialmente da quello italiano, ha riferito di non aver dato alcuna disposizione a Sea Watch. “.
Una ricostruzione farlocca e contraddittoria dunque, smentita dunque in un primo tempo anche dalle autorità olandesi, che successivamente si sono allineate al governo italiano, che sta operando pressioni sul governo olandese per arrivare al sequestro della Sea Watch. Una ricostruzione artefatta, con il solito stile ben riconoscibile, sulla base di relazioni dei servizi. Per affermare la responsabilità del comandante della Sea Watch si arriva a richiamare la diversa rotta di fuga dal maltempo dei pescherecci, che di fronte alla tempesta che stava arrivando, hanno fatto rotta sul porto tunisino perchè battenti bandiera di quel paese o impegnati in attività di pesca previsti da accordi italo-tunisini che consentono anche questa possibilità. Con la piccola differenza che la Sea Watch 3 non aveva a bordo reti e cassette di pesce, ma 47 persone, meglio naufraghi, soccorsi in alto mare,dopo essere fuggiti dall’inferno dei centri di detenzione in Libia, ai quali spettava, in base al diritto internazionale del mare, lo sbarco in un porto sicuro, in un place of safety, quale la Tunisia, come la Libia, seppure per ragioni diverse, non è ancora in grado di offrire.
Secondo un rapporto dell’UNHCR del 2018, in Tunisia, nell’anno precedente, “In the absence of a national asylum system, UNHCR conducts registration and refugee status determination in Tunisia to ensure that persons of concern are registered with UNHCR and issued with relevant documents, such as UNHCR certificates, to prevent them against arbitrary arrest, detention or expulsion.” Una situazione che oggi appare ancora peggiorata, a fronte di una crisi economica devastante che sta spingendo anche molti tunisini a lasciare il loro paese.
Per quanto riguarda l’accusa rivolta al comandante della nave che, dopo avere soccorso i naufraghi in acque internazionali, non avrebbe fatto rotta su un porto tunisino, può infatti documentarsi in base ai rapporti della Guardia costiera italiana e delle Nazioni Unite che, salvo per i cittadini tunisini, la Tunisia non può essere considerata come un “porto sicuro di sbarco”. Risulta inoltre confermato da documenti ufficiali della Guardia costiera italiana che in diverse occasioni il governo tunisino ha negato lo sbarco sul proprio territorio di migranti soccorsi in acque internazionali, nella zona SAR che adesso si è attribuita al governo di Tripoli. Non si comprende dunque su quali basi il governo olandese potrebbe incriminare il comandante della Sea-Watch, o chiederne l’incriminazione alle autorità italiane.
Secondo un rapporto della Guardia Costiera italiana dello scorso anno, «in alcune occasioni particolarmente complesse, caratterizzate cioè da elevato numero di migranti,dalla scarsità di vettori idonei a trasferire i migranti verso i P.O.S., da avverse condizioni meteorologiche, è stata richiesta la collaborazione e cooperazione ai Maritime Rescue Coordination Centre viciniori (Malta e Tunisi) che tuttavia non hanno accolto la richiesta di sbarcare i migranti soccorsi presso i propri porti. In particolare:
- MRCC Tunisi ha declinato la richiesta di accogliere i migranti in quanto gli stessi non erano di nazionalità tunisina né erano partiti dalle coste tunisine e l’assetto intervenuto nelle operazioni SAR non batteva bandiera tunisina; in aggiunta, ha dichiarato di non essere in grado di accogliere l’ingente numero di migranti (578 in totale) a causa dello scarso preavviso ed in considerazione della mancanza di strutture e risorse logistiche per l’accoglienza.
- MRCC Malta, invece, ha declinato la medesima richiesta per non aver coordinato le operazioni SAR essendo le stesse avvenute al di fuori della propria Search and Rescue Region.
3. In una relazione tenuta nel maggio del 2017 dal Contrammiraglio Nicola Carlone davanti alla Commissione parlamentare sull’attuazione degli accordi di Schengen, si ricorda, in base alle Regulations adottate all’IMO (Organizzazione marittima internazionale facete capo alle Nazioni Unite),” l’obbligo, per lo Stato cui appartiene lo MRCC che per primo abbia ricevuto la notizia dell’evento o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell’evento”. Si aggiunge poi che ” Anche la Tunisia, pur avendo ratificato la Convenzione SAR del 1979, non ha finora dichiarato una propria Area di responsabilità SAR marittima. Ciò a causa di un contenzioso con Malta (analogo a quello tra quest’ultima e l’Italia), la cui area SAR marittima (in quanto fatta coincidere con la FIR20, area di controllo dello spazio aereo) si sovrappone in parte alle acque territoriali tunisine. L’IMRCC, comunque, ha sempre informato anche le Autorità tunisine e più precisamente il Centro operativo della Marina militare tunisina, di tutti gli eventi SAR in cui dette Autorità avrebbero potuto intervenire ed anche assumere il coordinamento delle operazioni, ma le stesse non lo hanno mai fatto. Anche nei casi in cui IMRCC ha chiesto formalmente alle Autorità tunisine di autorizzare quantomeno lo sbarco in un proprio porto per un sopravvenuto stato di necessità non hanno dato il loro consenso.” Sono queste le circostanze di cui i comandanti di navi che transitano nel Mediterraneo centrale devono tenere presenti quando siano coinvolti, o si imbattano, in attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali.
Nel caso dei migranti soccorsi dalla Sea Watch 3 in questa ultima occasione erano proprio le autorità italiane le prime che venivano informate dell’evento di soccorso poi comunicato senza successo alle centrali operative maltesi e libiche. Nella stessa relazione Carlone si legge anche che ” la normativa SAR internazionale (in particolare la Ris. MSC 167(78) del 2004) prevede che tutte le questioni che non riguardino il SAR in senso stretto, quali quelle relative allo status giuridico delle persone soccorse, alla presenza o meno dei prescritti requisiti per il loro ingresso legittimo nel territorio dello Stato costiero interessato o per acquisire il diritto alla protezione internazionale, ecc., devono di norma essere affrontate e risolte solo a seguito dello sbarco nel luogo sicuro di sbarco (POS) e non devono comunque causare indebiti ritardi allo sbarco delle persone soccorse od alla liberazione della nave soccorritrice dall’onere assunto. ” Si aggiunge poii che un “luogo di sbarco sicuro,” in base alle specifiche “linee guida” elaborate dall’IMO “con la più volte menzionata Ris. MSC 167(78) del 2004, dev’essere, tra l’altro, “un luogo dove la vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove è possibile poter far fronte ai loro bisogni fondamentali (es.: cibo, riparo e cure sanitarie)”. Non può, comunque, essere considerato “sicuro” un luogo dove vi sia serio rischio che la singola persona interessata possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzione od a sanzioni o trattamenti inumani o degradanti; o, anche, dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di orientamento politico. Va inoltre tenuto in considerazione che tali disposizioni vanno lette anche in relazione al principio di “non refoulement” (divieto di respingimenti collettivi ed indiscriminati), che impone di esaminare la situazione specifica delle singole persone. Infatti, un luogo “sicuro” per alcuni potrebbe non esserlo per altri “
Nella relazione tenuta dall’ambasciatore tunisino in Italia a Roma, tenuta davanti alla medesima Commissione parlamentare Schengen il 3 dicembre 2017 si legge che “nella rotta tramite la Tunisia per l’Italia non ci sono quasi mai africani o di altri Paesi. Dunque, il problema riguarda i tunisini: quando i migranti clandestini sono identificati come tunisini, li prendiamo. Pochissimi africani partono dalla Tunisia verso l’Italia perché la principale rotta è quella che passa per la Libia e Malta. Non si tratta di un caso umanitario per il quale le autorità tunisine non hanno avuto nessuna reazione. È quasi nullo il numero di migranti che partono dall’Africa subsahariana e passano per la Tunisia…” . In sostanza le autorità tunisine neppure prendono in considerazione la possibilità che persone di nazionalità diversa da quella tunisina, soccorse in acque internazionali, possano essere sbarcate in Tunisia da navi non aventi bandiera di quel paese. La Tunisia, peraltro, non ha ancora dicharato una sua zona SAR, e le sue acque territoriali sono parzialmente sovrapposte con la immensa zona SAR maltese, con i conseguenti conflitti di competenza e con interventi limitati alle acque territoriali ( 12 miglia dalla costa) che nel tempo hanno creato i presupposti per gravi stragi, con la morte di numerosi giovani tunisini. Stragi che hanno avuto ripercussioni dirette sulla politica tunisina con la rimozione del ministro dell’interno, come dopo la strage con 112 vittime verificatasi nel mese di giugno dello scorso anno.

Il caso SAROST 5, nell’estate del 2018, ha avuto uno sviluppo particolare con lo sbarco in Tunisia dei naufraghi salvati in alto mare, solo perchè a bordo della SAROST 5 erano stati imbarcati militari e personale tunisino trasbordati dalla piattaforma petrolifera ( del campo di Bouri Field) a servizio della quale il rimorchiatore era stabilmente impegnato. La società armatrice e la bandiera del rimorchiatore SAROST 5 erano peraltro tunisine. Un caso dunque ben diverso a quello occorso adesso alla Sea Watch 3. Nessun giudice potrà condannare gli operatori umanitari per il fatto di non avere sbarcato in Tunisia i naufraghi soccorsi a 70 miglia dalla costa libica. I rapporti di Amnesty International confermano il rifiuto delle autorità tunisine a fare sbarcare nel proprio territorio persone soccorse in acque internazionali, con la sola eccezione dei cittadini tunisini.
Il governo tunisino d’altro canto, non riconosce uno status legale di soggiorno neppure a quei pochi richiedenti asilo che in quel paese vengono riconosciuti dall’UNHCR in base alle restrittive regole della Convenzione di Ginevra. Come si è verificato anche nel caso del soccorso operato dalla SAROST 5.
Il caso Sarost non dovra’ essere dunque considerato un precedente. Parola del capo del governo tunisino. Lo stesso premier che dichiarava “ I 40 migranti bloccati da due settimane sulla Sarost 5 al largo di Zarzis potranno finalmente approdare in Tunisia. Ad annunciare la svolta è stato il premier Youssef Chahed, che ha autorizzato lo sbarco per motivi umanitari. Lo stesso premier ha però subito precisato che i migranti non vorranno rimanere nel Paese, avendo manifestato più volte la loro volontà di raggiungere l’Europa. E soprattutto, ha sottolineato Chahed, il caso della Sarost 5 non dovrà rappresentare un precedente”. Quindi porti tunisini sono” chiusi” davvero. Per le Ong e per le navi militari di Eunavfor Med (Sophia). Che Salvini e Di Maio se ne facciano una ragione e smettano di cercare argomenti pretestuosi per arrivare al sequestro di un’altra nave umanitaria.
E’ peraltro noto che le autorità di Tunisi si oppongono allo sbarco nel loro paese di migranti intercettati in mare dopo essere fuggiti dalla Libia, anche se sono sconfinati in acque tunisine. In tre anni di attività delle ONG sulle rotte libiche e tunisine, con oltre centomila persone soccorse in acque internazionali, nessuna nave delle ONG, che operavano sotto il cooordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC), ha mai sbarcato in Tunisia naufraghi soccorsi in acque internazionali. E lo stesso si è verificato con le persone soccorse negli anni da Frontex, inclusa l’ultima missione Themis, e da navi impegnate nell’operazione Sophia di EUNAVFOR MED. Ma adesso il governo italiano vuole disattendere il diritto internazionale ed applicare il diritto penale a scopi di blocco delle attività umanitarie di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. Un tentativo che sarà contrastato davanti ai tribunali internazionali e davanti alla giurisdizione italiana.
Sono dati documentali provenienti dalle Nazioni Unite che smentiscono le ricostruzioni artefatte sulle quali si vorrebbe fondare una responsabilità penale del comandante della Sea Watch. Tutti i paesi nordafricani rifiutano generalmente lo sbarco di persone soccorse in acque internazionali da imbarcazioni battenti bandiera diversa dalla loro.
4. Come ha tenuto a precisare Izabella Cooper, portavoce di Frontex, se esiste una precisa differenza tra “porto sicuro” e “porto più vicino”, rimangono espressamente esclusi i due Paesi extra-Unione Europea interessati dai flussi migratori, la Libia e la Tunisia, per via delle violazioni dei diritti umani e dell’assenza di un sistema di asilo. Tuttavia, non è del tutto escluso che i migranti possano essere portati in Libia e Tunisia, come d’altronde già accade (Passamonti)”. Ma questo non comporta un obbligo, per le navi che effettuano soccorsi in acque internazionali, di sbarcare i naufraghi in Tunisia, senza l’assenso di quel paese, o quando tra i naufraghi ci siano potenziali richiedenti asilo, quale che sia l’indicazione dello stato di bandiera.
Si osserva anche che” L’Italia e l’Unione Europea, infatti, con l’operazione Themis riconoscono implicitamente la competenza della Guardia Costiera libica a coordinare operazioni di salvataggio nella sua autoproclamata area SAR di intervento, mentre la Guardia Costiera tunisina conduce da tempo le stesse attività di ricerca e soccorso di fronte alle sue coste” (Passamonti).
Il passaggio dall’operazione Triton all’operazione Themis di Frontex, avvenuto nel febbraio del 2018, non ha tuttavia ottenuto gli effetti previsti, perchè gli interventi delle navi europee si sono soltanto diradati, ma dopo i soccorsi in acque iternazionali non ci sono stati sbarchi diretti da queste navi in Libia o in Tunisia, perchè tali attività sarebbero comunque state in contrasto con gli obblighi di sbarco in un “porto sicuro”, che non è il porto più vicino, e con il divieto di respingimenti collettivi , affermati in modo vincolante nei Regolamenti europei n. 656 del 2014 e 1624 del 2016. Sono rimasti invece sullo sfondo i rapporti di colalborazione tra i centri di coordinamento nazionali (MRCC) italiano e maltese, il fantomatico centro di coordinamento libico (JRCC) e i vertici delle operazioni Themis e Sophia, che hanno effettuato la maggior parte degli avvistamenti aerei dei barconi da soccorrere, come è emerso in diversi processi che si sono svolti in Sicilia.
Sarebbero dunque da indagare, in assenza di provvedimenti formali, le prassi seguite da parte del ministero dell’interno italiano, sia dal punto di vista della sua interferenza nelle attività di ricerca e salvataggio, che dovrebbero essere coordinate dalla Centrale operativa della guardia costiera italiana (IMRCC), che dal punto di vista del coordinamento garantito alle unità libiche, nell’ambito della missione Nauras con sede nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli. Unità libiche che, dopo avere soccorso/intercettato i migranti in acque internazionali, li riportano a terra dove questi finiscono nei centri di detenzione sotto il controllo delle milizie dalle quali erano riusciti a fuggire. Difficile negare che si realizzino respingimenti collettivi delegati alla sedicente guardia costiera libica, aggirando la sentenza di condanna della Corte europea sul caso Hirsi del 2012.

5.Se si legittimano queste prassi di respingimento collettivo di fatto, si nega la qualita’ di soggetto di diritto a persone che non sono “clandestini” ma naufraghi che, come tali, vanno sbarcati prima possibile nel “place of safety” piu’ vicino. Come impongono le Convenzioni internazionali di diritto del mare che il governo sta violando ancora una volta. Altro che obblighi di sbarco in Tunisia… Quando non si hanno più argomenti si scade nella falsificazione dei fatti come avveniva ai tempi del nazi-fascismo. Perchè si tratta di una falsificazione che priva della qualita’ di persona il “clandestino” e giustifica qualunque abuso che si commetta ai suoi danni. Questo trattamento “differenziato” della persona, ridotta a “clandestino”, quando non lo è affatto, lo vieta l’art.2 del Testo Unico sull’immigrazione e l’art. 10 della Costituzione che riconoscono anche agli stranieri irregolari diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Per i migranti ancora presenti sulla Sea Watch, circondati da uno schieramento militare che blocca la possibilità di sbarco, significa che hanno il diritto di essere sbarcati in quanto naufraghi, secondo l’approccio Hotspot previsto a livello europeo e nazionale, di essere ristretti solo nelle forme previste dalla legge e con una convalida di un magistrato, se minori di non essere respinti (art. 19 T.U. immigrazione 286 del 1998). Una nave umanitaria non può esere trasformata in una prigione galleggiante. Se le stesse persone manifestano anche verbalmente la volonta’ di chiedere protezione, godono del diritto ad una procedura equa, di essere accolti in una struttura adeguata, di ricevere tempestivamente tutte le informazioni che li riguardano e di avvalersi di un interprete e di un avvocato.

Il magistrato sul caso Salvini: il consenso popolare non legittima la violazione delle leggi
Globalist – Sabato 26 gennaio 2019
Il Presidente della Corte d’Appello Matteo Frasca parla del caso del giorno: illecito ogni atto contrario ai diritti costituzionalmente garantiti.
Nessuno in un paese democratico e dove vige lo stato di diritto può violare la legge.
Nessuno. Sia un cittadino, un funzionario dello stato, un ministro, il presidente del Consiglio o quello della Repubblica.
Nessuno.
Concetti chiari che, purtroppo, devono essere ripetuti mentre il magma erdoganiano avanza: “Il consenso popolare non è sufficiente a legittimare ogni atto politico di governo che incontra il limite invalicabile del rispetto dei diritti fondamentali, l’accertamento della cui violazione compete esclusivamente alla magistratura”.
Così il Presidente della Corte d’Appello Matteo Frasca durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Palermo.
“Il consenso popolare – dice Frasca -non può rendere lecito un atto contrario ai diritti costituzionalmente garantiti che sono tutelabili anche nei confronti delle contingenti maggioranze politiche e quand’anche la loro violazione fosse conseguenza di un atto politico approvato all’unanimità”.
Comunicato Stampa OIM – UNHCR – UNICEF
Urgente garantire lo sbarco in un porto sicuro ai 47 migranti e rifugiati da 7 giorni a bordo della “SeaWatch3”
Roma 26 gennaio – L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l’UNICEF esprimono grave preoccupazione per la situazione dei 47 migranti e rifugiati soccorsi lo scorso sabato dalla nave “SeaWatch3”, ai quali non è stato ancora garantito un porto di approdo sicuro.
La nave si trova adesso in acque italiane – di fronte alla costa orientale della Sicilia – dove ha potuto cercare riparo dalle difficili condizioni metereologiche che stanno interessando il Mediterraneo in questi giorni.
La situazione a bordo è critica in quanto, non essendoci abbastanza posto all’interno dell’imbarcazione, alcune delle persone sono obbligate a restare all’esterno, sul ponte. Questa situazione non può essere protratta a lungo, soprattutto in un periodo difficile come quello invernale, con basse temperature e mare mosso.
Preoccupa in particolare la situazione dei minori non accompagnati, in tutto 13, che si trovano sulla nave e per i quali è d’obbligo attivare quanto prima misure di protezione e tutela adeguate, in linea con le convenzioni internazionali.
Dall’inizio dell’anno sono morte quasi 200 persone nel Mediterraneo, di cui almeno 130 nelle acque che separano la Libia dall’Europa, e la priorità assoluta resta quella di salvare vite umane e garantire un porto di sbarco sicuro e un’assistenza adeguata a persone che hanno già rischiato la vita a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E’ quindi urgente che ai migranti e rifugiati sulla “SeaWatch3” sia garantito immediatamente lo sbarco nel porto più vicino.
E’ allo stesso tempo necessario che, fino a quando la Libia non sarà considerata un porto sicuro, tutti gli Stati europei dimostrino finalmente senso di responsabilità e di solidarietà per i migranti e rifugiati che rischiano di morire in mare e che quindi l’attuale approccio “nave per nave” venga superato e sia sostituito da un meccanismo di sbarco sicuro e ordinato nel Mediterraneo Centrale.
Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia – Aderente alla”Association Internationale des Magistrats de la Jeunesse et de la Famille”
Comunicato stampa sui minori presenti a bordo della nave Sea Watch
La nave Sea Watch 3 con bordo 47 persone straniere – soccorse dinanzi alle coste libiche – dopo giorni di viaggio, a causa del maltempo e concreto rischio per l’incolumità dei passeggeri, si trova da qualche giorno al largo di Siracusa
Sulla nave, ora in acque territoriali italiane, tra i soggetti maggiormente vulnerabili, vi sono 8 minori soli e 5 minori accompagnati da adulti di riferimento.
Il rispetto della legge e delle regole vigenti in Italia, in osservanza degli obblighi internazionali, dell’attuazione delle direttive europee in materia di accoglienza, della disciplina specifica per la tutela e protezione delle persone straniere di età minore che si trovano in territorio italiano, in applicazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, prevede:
– il divieto di respingimento,
– il divieto di espulsione,
– il diritto ad essere identificati ed essere informati sui loro diritti
– il diritto alla presunzione della minore età fino all’esito dell’ accertamento
– il diritto all’accoglienza secondo la normativa attuativa delle direttive 2033-2032/ 2013 UE prevista dal dlvo n. 142/2015, da eseguirsi, come specificato anche nelle recente circolare del Ministero dell’Interno del 3-1-2019, nel SIPROIMI (sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati )
– diritto alla nomina del tutore ,
– diritto all’ascolto
– diritto al ricongiungimento familiare
– diritto all’affidamento familiare
– diritto all’inclusione sociale , anche se prossime alla maggiore età, ai sensi dell’art.13 della legge n. 47 del 2017
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L’AIMMF ricorda che per la condizione di vulnerabilità delle persone minorenni straniere l’applicazione della legge deve essere garantita senza ritardo nel momento di arrivo alla frontiera per non prolungarne la sofferenza e il trauma patito.
L’AIMMF chiede la dovuta immediata identificazione dei minori al fine di consentire alla Procura della Repubblica Minorile competente di richiedere al Tribunale per i minorenni i provvedimenti in tutela dei minori che si trovano in questa gravissima condizione .
L’AIMMF precisa che l’intervento urgente di accoglienza e di protezione è questione diversa dall’individuazione del luogo stabile di permanenza dei migranti minorenni e che, a questo proposito, già nel recente passato, sono stati efficaci i progetti di “ricollocamento” presso gli Stati membri dell’UE, che rispondono, peraltro, alla progettualità e al sogno di molti dei minori soli.
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ROMA – “I minorenni presenti a bordo della Sea Watch 3 vanno fatti sbarcare subito”. A ribadirlo è l’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano, che il 25 gennaio aveva scritto al comandante generale della Guardia Costiera e al ministero dell’Interno per chiedere informazioni sui minorenni a bordo. La Garante rammenta che “il rispetto dei diritti sanciti dalla Convenzione di New York del 1989 passa anche attraverso l’attuazione del divieto di respingimento e la garanzia di un’accoglienza adeguata delle persone di minore età”.
Principi questi che trovano fondamento nella Costituzione italiana, nella legge 47 del 2017 in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati e, più in generale, nelle fonti normative internazionali ed europee. Intervenendo sul caso della nave ancora ferma a largo di Siracusa, la garante ricorda che “nei confronti dei ragazzi che arrivano soli nel nostro paese vige la presunzione di minore età, che può essere superata solo in presenza di fondati dubbi e sulla base di una procedura che viene attivata su impulso dell’autorità giudiziaria ed è disciplinata dalla legge. La Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza- sottolinea la garante Albano- è stata ratificata dall’Italia nel 1991 e prevede che gli Stati si impegnino a rispettare i diritti in essa enunciati e a garantirli a ogni minorenne, senza distinzione e a prescindere da origine nazionale, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o altro. In questa vicenda, in particolare, sono in gioco i diritti all’uguaglianza, alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla famiglia, all’educazione e alla salute. Quando parlo di accoglienza adeguata faccio riferimento a identificazione, ascolto, nomina del tutore, eventuale ricongiungimento familiare e inclusione. La particolare condizione di vulnerabilità dei minorenni presenti a bordo della nave che attualmente si trova di fronte alle nostre coste impone dunque all’Italia di mettere in moto, senza ulteriori indugi, le procedure di prima accoglienza, nel rispetto della normativa interna e di quella internazionale”.
Comunicato di Terre des Hommes su Sea Watch 3
Terre des Hommes esprime il suo dissenso e opposizione all’ennesimo atteggiamento delle istituzioni italiane di ingiustificabile indifferenza verso la vita umana che oggi è rappresentata da 47 persone a bordo della Nave Sea Watch 3, cui da giorni, viene impedito forzosamente di accedere a un porto sicuro e a cure e protezione alle quali invece avrebbero diritto.
Non è ammissibile che persone vulnerabili per definizione, quali i minori non accompagnati, che hanno vissuto sulla propria pelle le più indicibili torture e violenze, attendano di conoscere quale sarà il proprio destino, mentre si consuma un inaccettabile rimbalzo di competenze tra Paesi.
Questa strategia non sembra del resto avere nessun impatto in termini di revisione di trattati europei e /o di costruzione di una solidarietà tra Paesi che l’Italia spera invece di ottenere, per non essere lasciata sola nella gestione dei flussi migratori.
“Ci appelliamo ancora una volta all’ umanità e all’alto spessore morale del Presidente della Repubblica perché possa accogliere questa richiesta, ormai indifferibile nonché eticamente a nostro avviso ineccepibile”, dichiara Donatella Vergari, Presidente di Terre des Hommes.
Un ministro dell’interno che delinque è un oltraggio per il proprio Paese. Un segno di vergogna che ci accompagna ovunque andiamo. Un ministro dell’interno che oltre a delinquere irride la giustizia del proprio Paese, dichiara di infischiarsene dei giudici e promette di reiterare il reato, è qualcosa di peggio. È una sfida vivente alla nostra democrazia e alla Costituzione che la garantisce. Una sfida che deve essere accettata e vinta, pena la caduta irrimediabile in un limbo della civiltà senza uscita.
Forse Matteo Salvini fa il gradasso perché sa che la sua banda lo tutelerà in Parlamento, che con la complicità della sua maggioranza di governo si salverà dal giudizio del Tribunale dei ministri. Possibile. Anzi probabile. Ma sappia che prima o poi ci sarà una Norimberga. Che quei crimini contro l’umanità, consumati o minacciati, non resteranno ingiudicati e impuniti, quando l’umanità ritornerà in sé, e il consenso degli accecati non basterà più a far da scudo agli specialisti del disumano.
Non sono solo i 177 della Diciotti, sequestrati come fossero un carico di bestiame e segregati contro la loro volontà e contro ogni principio politico e morale; e nemmeno i 47 della Sea Watch messi a rischio della vita per un basso calcolo politico e elettorale. Nel conto ci sono anche i 100 ricacciati indietro dal «moderato» Conte, il devoto di padre Pio che ha fatto il miserabile miracolo di spedire nelle piccole Auschwitz libiche chi dichiarava di preferire morire che ritornare in quell’inferno, e che pure pretende di aver compiuto un atto di beneficenza.
Né possono chiamarsi fuori i galoppini 5 Stelle, quelli che gridavano «Onestà Onestà» e ora nicchiano e tacciono sull’immunità parlamentare per quello che ha stracciato il diritto positivo e quello naturale, violando Costituzione e convenzioni internazionali. Per tutto questo i colpevoli dovranno pagare il proprio prezzo alla giustizia, perché non c’è ragione politica o Ragion di Stato che tengano: l’argomento di chi sostiene che tutto ciò rientrava nel campo della discrezionalità di governo è ridicola, come se si vivesse ancora nell’epoca dell’assolutismo, quando il sovrano era legibus solutus e non si fosse ancora affermato lo Stato di diritto, dove un reato – tanto più se penalmente grave come il sequestro di persona o la messa a rischio della vita di decine di innocenti – resta un reato, anche se commesso dal titolare del potere.
Il cerchio perverso dell’abuso di potere va spezzato. Perché se l’ostentazione plateale della brutalità non viene sanzionata, diventa virale. Contagiosa come una febbre maligna. Quanto accadde all’origine del fascismo insegna. Se restasse impunita otterrebbe una legittimazione che apre al consenso.
Per questo si impone, oggi, una mobilitazione eccezionale, all’altezza della gravità dei tempi. L’appello «Non siamo pesci» affinché venga immediatamente istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi in mare è un primo passo importante. Un’occasione – un dovere – per tutti di schierarsi. E oltre l’appello la presa di parola, in ogni ambito della società si operi, dai media alle professioni, dall’università ai tribunali, dall’associazionismo alle realtà territoriali e di lavoro.
Migranti:giurista,parlamentari su SeaWatch non violano normeDe Sena, nessun concorso in un reato per altro non provato
(ANSA)
– ROMA, 27 GEN – “Non c”e” nessun concorso da parte dei parlamentari e
degli esponenti politici saliti sulla Sea Watch in un eventuale reato,
per altro non provato. Se il ministro Salvini ha elementi che indicano
che la ong ha violato le norme sul contrasto all”immigrazione
clandestina, li denunci alla procura di Siracusa. Ma se anche
emergessero rilievi in tal
senso, non c”e” alcun concorso da parte
dei parlamentari, che sono saliti sulla nave solo per verificare le
condizioni dei migranti”. E” quanto osserva il professor Pasquale De
Sena, docente di Diritto Internazionale alla Cattolica di Milano,
interpellato sulle parole del ministro dell”Interno che ha detto che i
parlamentari non hanno rispettato le leggi italiane e
favoriscono l”immigrazione clandestina. (ANSA).
27-GEN-19 13:09