di Fulvio Vassallo Paleologo
Dopo il ritiro dalla Conferenza di Marrakech e la retromarcia del governo italiano a trazione Salvini sulla firma del Global Compact for Migration, cinque regioni italiane hanno chiesto al governo un ripensamento e dunque la firma del documento. Una richiesta analoga è giunta dalla Conferenza dei Vescovi europei accreditati presso l’Unione Europea che hanno definito il Global Compact come uno “strumento per il bene comune”. Su questo importante documento, privo di effetti vincolanti diretti per gli stati, si è giocata l’ennesima operazione di propaganda da parte di un governo che ha bisogno di riprodurre continuamente situazioni di emergenza, come l’invasione che sarebbe stata favorita dal Global Compact for Migration, o di presentarle come tali all’opinione pubblica. Mentre sta passando all’adozione di provvedimenti legislativi, come la recente legge n.132 del 2018, in materia di immigrazione e sicurezza, gravemente discriminatori e in contrasto con il dettato costituzionale e con il diritto internazionale già riconosciuto dalle Convenzioni diffuse a livello mondiale. Una svolta evidente, dopo anni di falso umanitarismo, dietro il quale si è articolata una politica di collaborazione con paesi che non garantivano alcun rispetto dei diritti fondamentali della persona. Un indurimento delle politiche repressive, con il pieno avallo delle istituzioni europee, che era gia’ evidente nell’Agenda europea sulle migrazioni del 10 maggio 2015 e nei succesivi Compact che ne sono seguiti, incluso quello proposto dal governo Renzi, imperniato sul Processo di Khartoum.
Le politiche di esternalizzazione delle frontiere in corso da tempo, hanno assunto un volto disumano e si sono accanite sui soggetti più deboli, offerti in pasto ad una opinione pubblica sempre più feroce. Ma quale sicurezza potrà mai venire dalla detenzione e dagli abusi che decine di persone che sono rimaste intrappolate in Libia stanno subendo. Quanto vale la loro vita in termini economici ? Si pensa davvero che la retorica dell’invasione possa fare migliorare i conti della finanza pubblica italiana? Quanto benessere e sicurezza riceveranno i cittadini italiani per effetto delle torture e degli abusi inflitti ai migranti, per le tante vite abbandonate in mare ? Per una nave umanitaria che si ritira, come Aquarius, centinaia di persone sono costrette a subire abusi in Libia o ad andare verso morte certa sulle rotte del Mediterraneo centrale. Chi ha giocato con il ricatto sulle bandiere delle navi delle ONG, diffidando gli stati come Panama, che le offrivano, con la minaccia dei ricatti commerciali, oggi è lo stesso governo che si rifiuta di firmare un atto delle Nazioni Unite sul quale fino a due mesi fa aveva espresso la sua approvazione. Una politica estera basata sull’isolazionismo, sull’egoismo nazionale e sui ricatti, dalla quale nessuno uscirà vincente.
La politica di chiusura dei porti, in violazione del diritto internazionale, avviata da Minniti con gli accordi con la Guardia costiera “libica”(sulla base del Migration Compact proposto dal governo Renzi nel 2016) , ha con Salvini la sua prosecuzione nell’aggiramento, da parte del governo italiano, dei limitati riconoscimenti dei diritti fondamentali delle persone migranti, contenuti in un atto come Il Global Compact for Migration che richiama la valenza del diritto internazionale senza però imporre obblighi veri e propri agli stati. Chi si voleva sfilare dalla firma del Global Compact per scopi elettorali ha fatto credere ad una certa parte della popolazione, incapace di distinguere il vero dal falso, che per effetto della firma e della partecipazione alla Conferenza di Marrakesch sarebbero di nuovo aumentati gli “sbarchi”. Averrà proprio il contrario invece, per effetto dell’isolamento internazionale nel quale si sta cacciando l’Italia. E non sarà certo questo governo italiano che imporrà una linea all’Unione Europea, come è dimostrato dalle sconfitte che Salvini continua ad accumulare. Sconfitte nascoste dietro una propaganda martellante, anche attraverso i social, ad ogni occasione che gli si presenta.
Il Migration Compact “per una migrazione sicura, ordinata e regolare” persegue l’obiettivo di garantire i diritti umani di milioni di persone che oggi sulla Terra sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese di origine. Anche i diritti di coloro che sono intrappolati nei centri di detenzione in Libia o bloccati in mare dalla sedicente guardia costiera “libica”. Si afferma un principio che, alla luce di quanto avviene nel Mediterraneo ribadisce gli obblighi di soccorso afermati dal diritto internazionale, niente di più. Si afferma che nessuno, per il semplice fatto di aver scelto di migrare, perde i suoi diritti fondamentali alla dignità, alla sicurezza, all’integrità fisica, alla protezione internazionale, ad un lavoro equamente retribuito. Forse un richiamo al diritto all’uguaglianza ed al divieto di discriminazioni, che dà fastidio a chi sta costruendo il proprio successo elettorale sulla base di una politica che criminalizza la solidarietà e di prassi apertamente discriminatorie. Contro le quali ricorreremo comunque nei tribunali, anche se l’Italia non invia suoi rappresentanti alla Conferenza di Marrakesch.
“Ci impegniamo a rispondere ai bisogni dei migranti confrontati a situazioni di vulnerabilità derivanti dalle condizioni in cui viaggiano e in cui si trovano nei paesi di origine, di transito e di destinazione, assistendoli e proteggendo i loro diritti umani…”, è scritto a pagina 14 del Global Compact for Migration. Quell’impegno vale già per tutti noi, oggi, anche senza la firma dell’attuale governo italiano. E ancora, a pagina 15: “Ci impegniamo a cooperare per salvare vite e prevenire la morte o il ferimento di migranti attraverso operazioni di ricerca e soccorso congiunte o individuali”. Per fare questo, si legge nel Global Compact, occorre “rivedere l’impatto delle politiche e delle leggi che riguardano l’immigrazione per assicurarsi che queste non aumentino il rischio che i migranti vadano dispersi collaborando con gli altri Stati e con le organizzazioni internazionali”. Sarà questa la nostra pratica di obbedienza civile, contro la disobbedienza istituzionale dei ministri che non rispettano la Costituzione e le Convenzioni internazionali.
E ancora, il Global Compact for Migration chiede di ridurre al minimo le misure di detenzione dei migranti irregolari; come già perscrivono le Direttive europee in materia di rimpatri, e di assicurarsi che tutti i migranti, indipendentemente dal loro status, abbiano accesso ai servizi di base; di favorirne la piena integrazione sociale; di eliminare “qualsiasi forma di discriminazione e combattere qualsiasi espressione di razzismo, intolleranza e xenofobia”. Come è già scritto nelle Direttive e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Previsioni che non possono essere svuotate dal più recente “decreto Salvini”, adesso legge n.132 del 2018. Anche se Salvini ha impedito la firma del Global Compact, saremo accanto ai migranti detenuti nei centri e li aiuteremo a proporre ogni sorta di ricorsi davanti alle giurisdizioni italiane e straniere. Dimostreremo che le leggi appena approvate in materia di sicurezza ed immigrazione sono incostituzionali e violano le Convenzioni internazionali.
Non sono bastate le violazioni reiterate degli obblighi di ricerca e soccorso (Search and Rescue) in mare, con le migliaia di vittime, sempre più spesso vittime di abbandono, e con le stragi che si ripetono nell’indiferenza più totale, mentre gli stati europei si nascondono dietro l’invenzione di una zona SAR “libica”, di una Libia che non esiste. Di una Libia che si cerca di evocare come stato unitario quando si tratta di trovare alleati nella cd. lotta all’immigrazione irregolare, che si trasforma di fatto in patti di abbandono in mare di vite che sono state private delle residue occasioni di salvataggio ancora garantite dalle Organizzazioni non governative, quele che sono state allontanatedal Mediterraneo centrale dopo essere state ritenute, senza alcuna base legale, colluse con i trafficanti, e da ultimo, in assenza di qualsiasi prova, responsabili di scarico di rifiuti tossici.
L’ultima strage davanti alle coste di Sabratha, con 15 persone abbandonate in mare per 11 giorni, senza cibo e senza acqua riporta alla memoria ai corpi delle vittime dell’Olocausto, e anche se gli stati risuciranno a silenziare tutte le denunce e ad allontanare gli operatori umanitari, tempo verrà che anche per queste stragi dell’abbandono si celebreranno processi a carico dei responsabili diretti e dei mandanti politici.
Processi che non si fanno per le stragi in mare e processi di piazza che espongono gli accusati di solidarietà ad una condanna extragiudiziaria. La macchina della propaganda governativa e il populismo giudiziario hanno anticipato condanne delle ONG che sarebbero state “colluse” con i trafficanti solo perchè non avrebbero obbedito ai guardiacoste “libici”, coordinati ed assistiti a vario titolo da autorità italiane, ed avrebbero anteposto la salvaguardia della vita umana alle attività di denuncia degli scafisti, che non competono certo agli operatori umanitarie. Sentenze di condanna che non sono state ancora emesse nei tribunali, e vedremo quando arriveranno, mentre diverse procure hanno archiviato le loro indagini contro le ONG o le stanno lasciando cadere nel dimenticatoio. Ma quegli attacchi e quei procedimenti hanno accreditato l’idea che una circolare ministeriale o un decreto legge, se non un codice di condotta, come quello adottato su diktat di Minniti nel luglio del 2017, potessero valere più di un principio costituzionale o di una norma di diritto internazionale cogente. Come se gli articoli 10 e 117 della Costituzione italiana fossero carta straccia, come se fosse possibile sottrarsi alla giurisdizione della Corte europea di Strasburgo senza uscire dalla Convenzione a salvaguardia dei diritti dell’uomo, ma aggirare la giurisprudenza formatasi a partire dal caso Hirsi nel 2012, delegando ad autorità militari di paesi che non rispettano i diritti delle persone, quelle attività di intercettazione, di push-back e di detenzione arbitraria, che in passato sono costate condanne su condanne a diversi stati europei. La Libia rimane un paese non sicuro per i migranti, un paese diviso in tre, almeno, che non offre porti sicuri di sbarco.
L’effetto elettorale raggiunto dalla propaganda diffusa dal mainstream e attraverso i social, la giustificazione delle violazioni più gravi del diritto internazionale,come il divieto di respingimento, affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, e il divieto della tortura e di altri trattamenti inumani o degradanti, affermato dall’art.3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, anche le reiterate violazioni di norme che costituiscono diritto cogente sul piano interno, hanno spianato la strada al più recente ritiro italiano dalla Conferenza di Marrakech. Il voltafaccia italiano, dopo le dichiarazioni del premier Conte e del ministro degli esteri Mogavero, favorevoli alla firma del documento, apre un nuovo fronte di conflittualità con gli organismi internazionali. A livello europeo ed a livello globale.
Sulla mancata firma del Migration Compact, non solo nel nostro paese, ma in Europa ed a livello di Nazioni Unite, si sta giocando una nuova ricomposizione degli equilibri mondiali, con i paesi nazionalisti, come l’Italia salviniana e l’Ungheria di Orban attratti nell’area dei paesi sovranisti che guardano agli Stati Uniti di Trump o alla Russia di Putin per uscire fuori dal multilateralismo e dal rispetto dello stato di diritto. Non si può darla vinta a chi sostiene che non esiste un “diritto all’immigrazione” e che il Global Compact for Migration, sarebbe ” dettato dai Paesi africani. L’Unione europea è stata troppo debole, i flussi incontrollati sono una minaccia per la sicurezza”. La principale minaccia per la sicurezza e per la pace proviene proprio da queegli esponenti nazionalisti e populisti che negano il ruolo del diritto internazionale ed il valore universale dei diritti umani. Come Salvini in Italia ed Orban in Ungheria.
Molti hanno utilizzato o recepito la questione della firma del Global Compact for Migration senza neppure conoscere un solo paragrafo di un documento che è frutto di evidenti compromessi e che, accanto a principi positivi, come la necessità di garantire canali legali di ingresso anche ai migranti economici, riproduce la logica degli accordi tra stati per contrastare l’immigrazione irregolare e per lottare contro le organizzazioni criminali, senza tenere conto della situazione di grave violenza che subiscono le persone impegnate, e sempre più spesso intrappolate, sulle grandi rotte migratorie.
Manca una qualsiasi garanzia di evacuazione delle persone intrappolate nelle aree di crisi, come la Libia, e non si dettano regole certe per il soccorso in mare, mentre il recepimento da parte dell’IMO, Organizzazione internazionale delle migrazioni, della zona SAR ( ricerca e salvataggio) “libica”, ma dichiarata in realtà dal debole governo Serraj a Tripoli, potrà continuare a legittimare le operazioni di intercettazione in acque internazionali, senz alcuna garanzie sulla successiva sorte dei naufraghi. Perchè di questi si deve trattare e non di migranti illegali, come vengono considerati dalla sedicente guardia costiera “libica”. E questo si verifica anche se i vertici dell’UNHCR prendono atto che la Libia non garantisce porti sicuri di dbsrco. Una contraddizione tra diverse agenzie ed organismi che fanno capo alle Nazioni Unite, che il Global Compact for Migration non risolve affatto.
Non si può permettere che dopo lo svuotamento del diritto internazionale dei rifugiati e dei soccorsi in mare, adesso prevalga la considerazione che il voto elettorale maggioritario e poi le scelte parlamentari possano travolgere i diritti fondamentali della persona sanciti a livello internazionale, se non dalla Costituzione nazionale, che pure quelle Convenzioni richiama, all’art.117, con un preciso effetto normativo . Quando si attacca il cosiddetto “mondialismo”, che poi altro non è che l’universalismo nel riconoscimento di quei diritti fondamentali, il multilateralismo nelle relazioni tra gli stati, l’autorità delle organizzazioni internazionali, negando nei fatti la prevalenza della composizione pacifica dei conflitti ed insistendo sulla guerra come strumento di spartizione delle risorse, si riproduce, con linguaggi diversi ma con esiti purtroppo noti, e tragici, il nazionalismo che nel secolo scorso ha portato a guerre e lutti senza precedenti. Chi oggi semina vento, domani raccoglierà tempesta. E troverà una resistenza sempre più accanita. A partire dai territori e dalle linee di frontiera.
Per queste ragioni, oggi, la lotta contro quelle forze che hanno disatteso impegni internazionali che potevano garantire il rispetto effettivo dei diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, non solo in mare, si fonde con la difesa attiva dei migranti colpiti dalle misure discriminatorie del recente Decreto mmigrazione e sicurezza n.133 del 2018, adesso convertito, con la firma del presidente della repubblica, nella Legge n.132 del 4 dicembre 2018.
Lottiamo per la sicurezza, per la sicurezza vera, per la sicurezza di tutti, che è garantita dal rispetto dei principi di verità e giustizia sanciti nelle Convenzioni internazionali e richiamati dalle Costituzioni nazionali degli stati democratici. Sono in gioco la pace e la democrazia in Italia ed a livello globale, non si tratta soltanto di rafforzare l’impegno repressivo contro organizzazioni criminali, spesso alleate e corruttrici di quegli stessi governi con i quali si cercano alleanze per bloccare le vie di fuga dei migranti. Si è negata persino la possibilità di mobilità basata sul rilascio di visti umanitari che potrebbero sottarrre migliaia di vittime ai trafficanti che tutti dicono di combatetre, ma che in realtà si rafforzano ad ogni inasprimento delle normative sull’ingresso e sul soggiorno degli “stranieri” in un paese. Adesso è tempo di scelte chiare, quelle che il governo italiano non riesce a fare, al punto che, per nacondere la disumanità delle proprie politiche, è costretto a trincerarsi dietro operazioni propagandistiche, come quelle imbastite attorno alla mancata firma del Global Compact for Migration.