- di Fulvio Vassallo Paleologo

Il primo allarme, raccolto nella sera del 7 novembre scorso, era stato rilanciato da ALARMPHONE, e quindi girato dalla nave Jonio dell’operazione Mediterranea alle Centrali di coordinamento (MRCC) delle guardie costiere di Italia e Malta. In in secondo momento queste autorità di coordinamento avevano rilevato la posizione dell’imbarcazione da soccorrere ed avevano asserito che la stessa si trovava all’interno della zona SAR libica, Una zona SAR autoproclamata dal governo di Tripoli il 28 giugno scorso e riconosciuta dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale) senza alcun rilievo sulla impossibilità, per le autorità tripoline e per la cd. Guardia costiera libica, di garantire una effettiva attività di ricerca e salvataggio in una area che non corrispondeva allo sviluppo costiero del territorio sotto controllo da parte del Governo di riconciliazione nazionale (GNA) con sede a Tripoli.
Eppure ancora nel mese di dicembre del 2017 l’IMO rilevava che le autorità libiche non avevano ancora una effettiva capacità di ricerca e salvataggio in acque internazionali, e il governo di Tripoli ritirava la sua prima dichiarazione sull’esistenza di una zona SAR “libica”. In sei mesi nulla era cambiato nelle dotazioni delle autorità libiche, a parte i corsi di formazione condotti a bordo di navi militari europee, l’arrivo di qualche motovedetta donata dall’Italia e il coordinamento delle attività SAR garantito da unità della Marina militare italiana, presenti nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli, nell’ambito della missione NAURAS. Tutte circostanze accertate dai giudici penali che ad aprile scorso hanno dichiarato comunque la Libia come un “paese terzo non sicuro”, quando si è proceduto, prima al sequestro ( a Catania), e poi al dissequestro (a Ragusa) della nave OPEN ARMS della omonima Organizzazione non govenativa. Ma nel frattempo infuriava la campagna di criminalizzazione del soccorso umanitario e neppure l’archiviazione delle indagini contro due ONG avviate dalla Procura di Palermo, che pure dichiarava la Libia come un “paese terzo non sicuro”, metteva a tacere gli imprenditori dell’odio che su questa campagna avevano imbastito la propria avanzata elettorale.
In piena estate, una prima grave conseguenza della istituzione di una zona SAR attribuita alle competenze delle autorità tripoline e della corrispondente “Guardia costiera” si era verificata nel caso dei respingimenti eseguiti dal rimorchiatore battente bandiera italiana ASSO 28. Che alla fine di luglio riportava nel porto di Tripoli decine di naufraghi soccorsi a 70 miglia dalla costa, dunque in acque internazionali, nei pressi delle piattaforme offshore gestite dall’ENI e dall’ente per il petrolio libico (NOC) nel bacino di Bouri Field, di fronte alla città di Sabratha. Negli ultimi mesi, a partire dal 28 giugno si calcola che oltre 1200 persone abbiano perso la vita sulla rotta del Mediterraneo centrale, è un dato che probabilmente è superato dala realtà di tante altre stragi che sono rimaste nascoste, come stava succedendo anche nel caso del soccorso di Josepha. Un numero di vittime che, in termini percentuali, ormai quasi una persona su sette che tenta la traversata perde la vita, che non ha precedenti negli anni passati. La macchina del fango che lo scorso anno era stata attivata contro le ONG ha continuato a sommergere anche queste vite. Le ONG sono state costrette a ritirare le loro navi, quando non sono incappate, come a Malta, in provvedimenti di sequestro del tutto immotivati.
Il caso della NIVIN appare ancora più grave per le possibili conseguenze sulle persone che si sono asserragliate sulla nave, e rende ancora più evidente le conseguenze della creazione “a tavolino” di una zona SAR libica che non soddisfa esigenze di ricerca e soccorso, privilegiando la salvaguardia della vita umana in mare, ma risponde soltanto alle pommlitiche si chiusura dei porti degli stati europei. Che mirano ad esternalizzare i controlli di frontiera per delegare alle autorità libiche le attività SAR in modo da non dovere più garantire un porto sicuro di sbarco, come sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali. In realtà sia l’Unione Europea che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati hanno finora escluso che la Libia possa essere considerata un “porto sicuro di sbarco”. Per l’UNHCR la Libia, o meglio nessuno dei governi che si dividono il suo territorio, è attualmente in grado di garantire “porti sicuri di sbarco”. Eppure secondo dati dell’UNHCR la sostanziale cessione di sovranità sulle acque internazionali rientranti nella cd. zona SAR libica aveva come conseguenza che “as of 14 November, the Libyan Coast Guard (LCG) has rescued/intercepted 14,595 refugees and migrants (10,184 men, 2,147 women and 1,408 children) at sea.”
Secondo il più recente rapporto delle Nazioni Unite, con specifico riferimento al caso dei migranti intrappolati a bordo della NIVIN nel porto di Misurata, “the humanitarian community reiterates that disembarkation following search and rescue should be to a place of safety, and calls for the peaceful resolution of the situation. Under all circumstances, obligations under International Human Rights Law must be respected to ensure the safety and protection of all rescued people. The humanitarian community continues to advocate for alternatives to detention and transfer from disembarkation points to appropriate reception facilities for assistance, screening and solutions.
Sorprende che a fronte di posizioni tanto nette delle Nazioni Unite, condivise anche dall’Unione Europea, un organismo internazionale come l’IMO, con sede a Londra, direttamente collegato con le stesse Nazioni Unite, consenta il mantenimento di una finzione, la cd. zona SAR libica, che corrisponde alle esigenze politiche di alcuni paesi che vogliono in questo modo limitare il numero delle persone che fanno ingresso nel loro territorio, anche se si tratta di persone che richiedono una qualsiasi forma di protezione, o sono particolarmente vulnerabili per gli abusi subiti nel loro viaggio. Anche Amnesty International richiama i rischi che correrebbero i migranti ancora a bordo della Nivin, qualora fossero costretti allo sbarco a Misurata.
In realtà se rimane da dimostrare in questa ultima occasione che il soccorso sia avvenuto effettivamente nella SAR libica e non nella zona SAR maltese, peraltro controversa anche in rapporto alle autorità italiane, appare confermato da fonti diverse che le autorità italiane e maltesi hanno risposto alle chiamate di soccorso delegando alla centrale di coordinamento congiunto libica (JRCC) le successive attività di ricerca e salvataggio.
Le prime testimonianze dei migranti raccolte a Misurata lasciano trapelare il dettaglio, taciuto dalle autorita’, che il barcone carico di migranti o la stessa nave soccorritrice, sarebbero giunti nella zona Sar maltese,, per essere poi rediretti verso il porto di Misurata. Non e’ difficile intuire da chi sarebbero partiti gli ordini. Con il contorno del consueto contrasto tra italiani e maltesi per la sovrapposizione delle rispettive zone Sar a sud di Lampedusa.
Come ha osservato Human Rights Watch, ancora una volta l’esistenza di una zona SAR libica e le dispute sulla competenza nei soccorsi tra gli stati mettono a rischio vite umane.
Secondo quanto riferisce Francesca Mannocchi, “il viaggio dei migranti è iniziato il 6 novembre, quando 95 persone, tra cui 28 minori, sono partite a bordo di un gommone dalla città costiera di Khoms”. Come denunciato dai naufraghi, sei navi li avevano già avvistati, prima dell’intervento della NIVIN, ed hanno proseguito sulla loro rotta. Quando le autorità libiche hanno fatto intervenire la nave cargo per i soccorsi, il gommone aveva quasi raggiunto la zona SAR maltese, se non si trovava già al suo interno.
Ormai da mesi le autorità oscurano i sistemi di rilevazione satellitare durante le attività di ricerca e salvataggio sulle rotte libiche, come se volessero nascondere le loro responsabilità, ed impedire l’accertamento di violazioni sempre più gravi del diritto internazionale e dei Regolamenti Europei. Le attività di monitoraggio aereo sulla rotta del Mediterraneo centrale sono infatti affidate ad assetti appartenenti alle operazioni Sophia di Eunavfor MED e Themis di Frontex, che dovrebbero operare nell’ambito dei Regolamenti europei n.656 del 2014 e 1624 del 2016, che privilegiano la salvaguardia della vita umana in mare, rispetto all’esigenza di difendere i confini e di contrastare l’immigrazione irregolare via mare.
Dopo essere stati soccorsi/intercettati in acque internazionali dalla NIVIN, che si era posta nel frattempo sotto coordinamento SAR delle autorità libiche, per quanto i migranti manifestassero al comandante della nave le conseguenze alle quali sarebbero stati esposti in caso di ritorno in Libia e la volontà di chiedere protezione in Europa, questa si dirigeva verso il porto di Misurata, dove faceva ingresso nella giornata del 10 novembre scorso. Come riferisce un recentissimo statement dell’UNHCR, “on 10 November, a commercial vessel reached the port of Misrata (187 km east of Tripoli) carrying 95 refugees and migrants who refused to disembark the boat. The individuals on board comprise of Ethiopian, Eritrean, South Sudanese, Pakistani, Bangladeshi and Somali nationals. UNHCR is closely following-up on the situation of the 14 individuals who have already disembarked and ensuring the necessary assistance is provided and screening is conducted for solutions. Since the onset, UNHCR has advocated for a peaceful resolution of the situation and provided food, water and core relief items (CRIs) to alleviate the suffering of individuals onboard the vessel.
Le autorità libiche considerano adesso come “illegali” i migranti a bordo della NIVIN, e si arriva alle minacce proferite dal comandante della guardia costiera di Tripoli Qacem che parla anche di “ammutinamento”. Come sono del resto ritenuti “illegali”, tanto da Serraj che da Haftar, e dalle autorità di Misurata, i migranti in transito in Libia. Quattordici dei più disperati a bordo della NIVIN, tra cui una donna ed un bambino, hanno accettato di sbarcare, sempre su richiesta della Guardia costiera libica, e sono stati portati in un centro di detenzione vicino al porto. Le stesse autorità, con l’aiuto della Mezzaluna rossa, dell’OIM e dell’UNHCR, hanno fornito agli altri naufraghi cibo, acqua, coperte e altri generi di prima necessità, ma la situazione rimane ancora bloccata dopo giorni di negoziati. I migranti chiedono di non essere sbarcati in un paese non sicuro, dove la loro integrità fisica, e la loro vita potrebbero essere a rischio.
“Sono disperati – dice Julien Raickmann, capo missione di MSF – ci sono diverse persone, compresi i minori, torturati dai trafficanti per estorcere denaro. Un paziente in gravi condizioni ha rifiutato di essere portato in una struttura medica in Libia. Ha detto che preferirebbe morire sulla nave mercantile”. “Per i 70 migranti ancora a bordo non ci sono bagni, usano le bottiglie di plastica per urinare. Ai giornalisti è interdetto non solo l’accesso alla nave e al porto ma anche l’accesso alla città di Misurata. Chi prova a superare il check point verso Misurata rischia di essere espulso dal paese. I pochi giornalisti presenti in Libia, compresa Repubblica, sono costantemente monitorati dall’intelligence libica”, ha scritto Francesca Mannocchi.
A raccontare al telefono questa storia alla giornalista è stato Dittur, 19 anni, viene dal Sud Sudan. Il ragazzo ha anche raccontato di essere stato prelevato “dai trafficanti nel centro di detenzione ufficiale di Tariq al Sikka, a Tripoli, gestito dal ministero dell’Interno del governo Serraj. “I trafficanti possono entrare quando vogliono nelle prigioni, entrano a fare accordi con chi vuole partire e entrano per portare via chi può pagare la sua parte, con me hanno fatto così. Due settimane fa”. Come osserva Paolo Salvatore Orru’, “una storia di straordinario dolore e di ordinaria follia”.La situazione a bordo della NIVIN è ormai insopportabile e va scongiurato il rischio di un intervento violento, di polizia o di milizie, che potrebbe avere conseguenze imprevedibili, con un elevato numero di vittime. Non sembra possibile difendere i migranti che richiedono protezione in Europa seguendo il percorso dell’asilo extraterritoriale, per la evidente contrarietà dei paesi europei a riconoscere financo il diritto alla vita di chi viene soccorso in mare. Occorre tuttavia insistere, oltre questa vicenda ancora in corso, nella direzione della richiesta di visti umanitari in favore dei migranti intrappolati nei centri di detenzione in Libia. Una questione che va affrontata a livello di Nazioni Unite, se l’Unione Europea continuerà a dimostrare il suo disinteresse, se non la sua sostanziale avversione.
Come hanno dimostrato precedenti anche recenti, tra i tanti il caso dell’intervento della Guardia costiera libica contro la nave umanitaria SEA WATCH del 6 novembre 2017, i ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo non hanno consentito alle vittime alcuna tutela effettiva, ed immediata. Chi subisce una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, si ritrova costretto a subire in Libia una situazione di grave precarietà, se non di detenzione, che non consente il conferimento della procura ad un legale, e quella tracciabilità dei ricorrenti richiesta dalla Corte di Strasburgo per non cancellare un ricorso dal ruolo. I tempi del ricorso sul caso Hirsi appaiono purtroppo assai lontani. Nel caso della NIVIN, se non si riuscisse a provare una responsabilità diretta di agenti di paesi aderenti al Consiglio d’Europa, si potrebbero porre anche complesse questioni di giurisdizione che non permetterebbero un immediata risposta alla richiesta di aiuto che ancora in questi giorni viene da persone disperate che si ritrovano su una nave nel porto di Misurata nella condizione di essere rigettati da un momento all’altro nella condizione “infernale” dalla quale erano riusciti ad allontanarsi.
Occorre allora porre due questioni urgenti alle Nazioni Unite ed alle agenzie che più direttamente seguono il caso dove sono presenti, l‘UNHCR e l’OIM in primo piano, per quanto concerne la situazione nel preteso punto di sbarco a Misurata, ed in una prospettiva più ampia, all‘IMO a Londra, che con il suo segretariato vigila sulla ripartizione delle zone SAR ( ripetiamo di ricerca e salvataggio, non di respingimento) tra i diversi stati che si dichiarano responsabili. Stati che in base alle Convenzioni internazionali sarebbero obbligati ad un costante cordinamento per garantire soccorsi immediati e lo sbarco in un place of safety, in un porto sicuro, quale in questo momento non può essere definito il porto di Misurata o altro porto libico.
1) Le persone intrappolate a bordo della NIVIN vanno evacuate al più presto attraverso un corridoio umanitario, trattandosi per la loro provenienza e per le condizioni attuali, di persone altamente vuinerabili, come quelle poche decine di persone che sono state evacate nei giorni scorsi da Tripoli verso Roma, con una cornice di propaganda che le autorità politiche potevano certamente evitare. La loro scelta forzata di non scendere a terra in porto, a Misurata, è dettata dal timore di subire trattamenti disumani e degradanti, non certo dalla volontà di impadronirsi della nave. Se non sarà possibile il loro resettlement in Italia, si dovrà trovare un’altro stato europeo disposto ad accoglierlii.
2) Le Nazioni Unite, al pari dell’Unione Europea, non possono dichiarare che la Libia non garantisce “porti sicuri di sbarco” e continuare però a legittimare, anche attraverso l’IMO, le attività di intercettazione in acque internazionali delegate alle motovedette delle diverse milizie libiche. Non si possono nascondere le reali condizioni di abbandono nella zona SAR libica, istituita dall’IMO il 28 giugno di quest’anno, e le condizioni disumane che i migranti ritrovano quando vengono riportati a terra, anche se nei porti, nei quali rimane ancora possibile accedere, UNHCR ed OIM tentano di fornire i primi aiuti e di individuare i casi più vulnerabili. Ma tutti i migranti fuggiti dalla Libia, che vengono riportati a terra dopo essere stati in tercettati in alto mare, sono soggetti vulnerabili, come dimnostra anche questo ultimo caso della NIVIN. Tutti hanno diritto allo sbarco in un place of safety.
Occorre sospendere immediatamente il riconoscimento di questa zona SAR che di fatto non è garanzia di soccorso e salvaguardia della vita umana in mare, ma solo pretesto per operazioni di respingimento delegate alla sedicente Guardia costiera “libica”, che neppure “libica” riesce ad essere, allo stato della divisione del paese tra diverse autorità politiche e militari. Occorre anche chiarire i limiti dei livelli di assistenza e di coordinamento della stessa Guardia costiera libica da parte di paesi come l’Italia che non solo inviano motovedette da impiegare nelle attività di intercettazione, ma continuano a svolgere un ruolo attivo di coordinamento delle attività operative, anche al di fuori delle operazioni di ricerca e salvataggio (SAR). Sono del resto noti i rilevanti interessi economici italianinei principali porti petroliferi libici e nelle piattaforme offshore situate in acque internazionali. Impianti che in mare sono difesi anche dalle navi della Marina Militare della operazione Mare Sicuro, che sono dispiegate in prossimità degli impianti di estrazione del greggio. E che negli ultimi mesi non si sono fatte certo notare in attività di ricerca e salvataggio di persone in situazione di pericolo, che si è preferito affidare agli interventi delle navi commerciali, dopo l’allontanamento forzato delle ONG.
L’Unione Europea, al di là della campagna elettorale permanente tutta rivolta a negare il diritto alla vita dei migranti intrappolati in Libia, dovrà rivolgere all’IMO una richiesta forte di sospendere il riconoscimento di una zona SAR libica, fino a quando in Libia non si saranno stabilite autorità centrali, e la Libia non avrà aderito, ed applicato effettivamente, la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Prima di allora, qualunque coinvolgimento di assetti navali o aerei europei in attività di intercettazione in acque internazionali, poi affidate alla sedicente Guardia costiera “libica”,potrebbe configurare oggettivamente una grave violazione dei divieti di respingimento sanciti dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, che vietano le espulsioni ed i respingimenti collettivi.
Le organizzazioni non governative, ma anche le associazioni di armatori, devono essere ascoltate dal Segretariato dell’IMO, finora chiuso a qualunque sollecitazione, che deve sospendere il riconoscimento di una zona SAR “libica”, fino a quando non esista davvero uno stato libico unitario capace di organizzare coordinamento e mezzi di salvataggio. Va risolta una stuazione di incertezza sulle competenze di soccorso e nella individuazione di un porto sicuro di sbarco che mette a rischio vite umane. Questi problemi non si risolvono con accordi bilaterali e rientrano anche nell’area di competenza dell’IMOn e delle Nazioni Unite.
“With the adoption of the International Convention on Maritime Search and Rescue (“SAR Convention”) in 1979, IMO has made great strides in the implementation of that Convention and the development of the global SAR plan, designating SAR regions of responsibility to individual IMO Member States aiming at covering the entire globe. In addition, since 2000, IMO has made continuous efforts to strengthen the global network of search and rescue services and regions established under the SAR Convention, including the establishment of a framework of regional Maritime Rescue Co-ordination Centres and Maritime Rescue Sub-Centres in Africa for carrying out search and rescue operations following accidents at sea”.
Questione che non si può lasciare alle trattative tra stati, o tra questi e ONG o singoli armatori, ogni volta che si verifichi un un incidente, come è successo negli ultimi mesi. Basti pensare ai diversi casi di boicottaggio dei soccorsi operati dalla nave Aquarius, fino alle pressioni italiane su Gibilterrra e Panama per il ritiro della bandiera, ed al blocco dei porti per giorni rispetto ad interventi di soccorso operati da navi commerciali come la Alexander Maersk.
Occorre ricostruire quella collaborazione virtuosa tra navi umanitarie delle Organizzazioni non governative ed unità della Guardia costiera italiana che ha permesso negli ultimi anni di salvare decine di migliaia di vite. Occorre fare finalmente chiarezza sui ricorrenti tentativi di criminalizzazione dell’intervento umanitario, che ancora non sono riusciti a produrre un solo risultato certo in sede processuale.
Gli organismi europei, e soprattutto l’agenzia FRONTEX, oggi definita Guardia di frontiera ecostiera europea, dovranno rispettare rigidamente gli obblighi di salvataggio, sanciti soprattutto dal Regolamento n.656 del 2014, e tutti i suoi assetti, comresi quelli impegnati nell’operazione Sophia di Eunavfor Med, dovranno anteporre la salvaguardia della vita umana in mare, alla finalità del contrasto dell’immigrazione irregolare. Operando diversamente gli agenti responsabili potrebbero esser chiamati a rispondere del loro operato davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quale che sia l’esito delle prossime elezioni europee. Il rispetto dello stato di diritto, dei principi costituzionali, delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti, come delle Direttive europee, non si può condizionare in base all’andamento dei risultati elettorali. Come dovrebbe essere garantito, anche, a livello nazionale, per l’amministrazione della giustizia. Anche nell’accertamento delle responsabilità degli stati nell’omissione o nel ritardo riscontrabile nelle operazioni di ricerca e salvataggio.
Infine, con la consapevolezza che si tratta di attendere, ma che alla fine si potranno accertare responsabilità internazionali che altrimenti godrebbero della più totale impunità, occorre attivare un circuito permanente di denuncia di quanto sta avvenendo nel Mediterraneo centrale, rivolto allaCorte Penale internazionale,che già si sta occupando della sedicente “Guardia costiera libica”, in casi nei quali i governi nazionali si dimostrano complici o indifferenti. Se qualcuno ha smarrito il valore della vita umana, o pensa di poterlo strumentalizzare a fini politici, è bene che si riesca, anche se in tempi più lunghi, ad accertare fatti e responsabilità.
Libya warns of consequences as migrants refuse to leave ship
November 17 2018 05:16 PM
The refusal by dozens of migrants to leave a cargo ship off Libya is a ‘dangerous mutiny’ that can encourage more of such behaviour in the future, an official in the strife-torn country’s navy warned on Saturday.
Some 80 migrants are barricading themselves aboard the Panama-flagged vessel now docked in Libya’s western port of Misrata more than a week after the ship picked them up from their sinking boat at the request of the Libyan coastguard.
‘The migrants’ mutiny can prompt commercial ships to shun carrying out rescue operations that they are sometimes requested to do due to being near sinking migrant boats,’ Ayoub Qasim, a spokesman for the Libyan navy, told dpa.
‘This mutiny is very dangerous. It can happen against other ships, the navy personnel or the coastguard,’ he added.
On Wednesday, 14 out of the original 94 migrants left the ship following negotiations and were transferred to an accommodation centre in Misrata.
The remaining migrants insist on travelling to Europe.
Colonel Tawfik Amohammed, a regional Libyan coastguard chief, said on Saturday that negotiations were ongoing to convince the migrants to leave the ship.
A committee of representatives from the Libyan coastguard and security agencies as well as international organizations are engaged in the negotiations.
The official told dpa that he expects the stand-off to end soon, without giving details.
Rights group Amnesty International has said that the migrants are refusing to disembark for fear of detention and torture in Libya.
‘The protest on board the ship … gives a clear indication of the horrifying conditions refugees and migrants face in Libya’s detention centres where they are routinely exposed to torture, rape, beatings, extortion and other abuse,’ Heba Morayef, Amnesty’s Middle East and North Africa director, said in a statement on Friday.
The watchdog reported that a number of those on the ship said they had earlier been subjected to human rights abuses in Libya.
‘It is high time the Libyan authorities put an end to the ruthless policy of unlawfully detaining refugees and migrants,’ Morayef added.
Libya descended into chaos following the 2011 armed revolt that toppled long-time dictator Moamer Gaddafi. The North African country has since emerged as a gateway to Europe for people fleeing war, persecution and poverty in their homelands.
In recent months, the Libyan coastguard has reported intercepting various boats carrying hundreds of migrants headed for Europe via the Mediterranean Sea.
Amnesty International: No force should be used against migrants refusing to disembark in Libya
Amnesty International
Libyan, European and Panamanian authorities must ensure that at least 79 refugees and migrants who are on board a merchant vessel at the port of Misratah are not forced to disembark to be taken to a Libyan detention centre where they could face torture and other abuse, said Amnesty International today.
The refugees and migrants, including a number of children, were found as they attempted to reach Europe by boat across the Mediterranean. Amnesty International understands that Italian and Maltese maritime authorities were involved in the operation, carried out by the merchant ship Nivin. Flying a Panamanian flag, the Nivin picked the group up in the central Mediterranean on 8 November and returned them to Libya, in what appears to be a clear breach of international law, given that Libya cannot be considered a safe place to disembark.
“The protest on board the ship now docked in Misratah, gives a clear indication of the horrifying conditions refugees and migrants face in Libya’s detention centres where they are routinely exposed to torture, rape, beatings, extortion and other abuse,” said Heba Morayef, Middle East and North Africa Director for Amnesty International.
“It is high time the Libyan authorities put an end to the ruthless policy of unlawfully detaining refugees and migrants. No one should be sent back to Libya to be held in inhumane conditions and face torture and other ill-treatment.”
Like most of the refugees and migrants passing through Libya, a number of those on the ship told Amnesty International that they had been subjected to horrific human rights abuses, including extortion, ill-treatment, and forced labour, much in line with what has previously been documented in Libya by the organization. One of those on board told Amnesty International he had already been held in eight different detention centres inside Libya and “would rather die than go back there”.
Fourteen people who agreed to leave the ship yesterday have been taken to a detention centre – among them is a four-month-old baby.
The news comes amid reports that some refugees and migrants held at Libyan detention centres are being driven to take their own lives. A young Eritrean man was reported to have attempted suicide earlier this week. Last month a Somali man at the same detention centre died after setting himself on fire.
“Unable to return home out of fear of persecution, and with very limited chances for resettlement to a third country, for most refugees and asylum seekers in detention centres in Libya their only option is to remain in detention, where they are exposed to grave abuses. “
“Europe can no longer ignore the catastrophic consequences of its policies to curb migration across the Mediterranean. The protest on board this ship should serve as a wake-up call to European governments and the wider international community that Libya is not a safe country for refugees and migrants,” said Heba Morayef.
“Under international law, no one should be sent to a place where their life is at risk. European governments and Panama must work with Libyan authorities to find a solution for the people on board to ensure they do not end up indefinitely detained in Libyan detention centres where torture is rife.
“The international community also has to do more to increase the number of refugees they are willing to resettle, increase access for people seeking asylum and offer alternative routes to safety for thousands of people stranded in Libya with no end in sight to their suffering.”
Amnesty International is also calling on Libyan authorities to expedite the opening of a long-awaited processing centre that will house up to 1,000 refugees and asylum seekers allowing them to relocate out of detention centers.
Earlier this week Amnesty International highlighted how thousands of migrants and refugees in Libya continue to be trapped in appalling conditions in Libyan detention centres with no way out.
Tripoli’s AG orders formation of a committee to negotiate with migrants refusing to disembark in Libya
The Address | Benghazi – Libya
MISURATA – The Commissioner of the Central Sector of the Coast Guard and Port Security, Tawfiq al-Sukair, said in a media statement on Saturday that the Tripoli-based Attorney-General had ordered the formation of a committee to negotiate with migrants whom are still on board of a cargo ship in Misurata.
According to al-Sukair, the committee will seek to persuade the migrants to leave for the city’s immigration center. He added that the Coast Guard is already negotiating with those migrants.
On 10 November, a cargo ship reached the port of Misurata (187 km east of Tripoli), carrying 95 migrants who were intercepted at sea in the attempt to reach Europe. The migrants, subsequently refused to disembark the boat onto Libyan soil. On 14 November, a total of 14 individuals, including a woman and a three-month-old baby, voluntarily disembarked the vessel.
Amnesty International issued a statement on Friday calling on Libyan and European authorities not to force the migrants to disembark in Libya.
Head of Médecins Sans Frontières (Doctors Without Borders) mission in Libya, Julien Raickman, said on Thursday, “it’s a shame that once again the only response given to people in search of safety is prolonged arbitrary detention in the country they desperately attempt to leave.”
Julien Raickman @MSF Head of mission in #Libya: “It’s a shame that once again the only response given to people in search of safety is prolonged arbitrary detention in the country they desperately attempt to leave”.
— MSF Sea (@MSF_Sea) November 15, 2018
Attorney General seeks solution to stranded migrants at Misurata Port
The Head of the Investigations Bureau of the Attorney General’s Office Siddiq Al-Sour, affirmed Sunday that the Public Prosecution is working to address the issue of illegal immigrants, refusing to disembark the ship docked at Misurata Port.
Al-Sour told The Libya Observer that the prosecution is investing all peaceful means to negotiate with the migrants to reach a solution on their situation.
The 80 migrants arrived at the port of Misurata about nine days ago, after being rescued from the middle of the Mediterranean while trying to reach Europe and were returned to Libya via the ship Niven.
GNA’s Interior Ministry holds a meeting with international diplomats to discuss the migrant situation in Misurata
The Address | Benghazi – Libya
TRIPOLI – The Undersecretary for Immigration of the Interior Ministry of the Tripoli-based Government of National Accord, Mohamed Al-Shaibani, held a meeting on Sunday with ambassadors and representatives of the countries whose nationals are present inside a ship in the port of Misurata, refusing to disembark in Libya.
According to a statement by the Tripoli-based Ministry, Al-Shaibani stressed the need to work with the negotiating team as soon as possible, and to involve embassies to solve this humanitarian crisis. Al-Shaibani offered some solutions to the crisis in cooperation with the international organizations concerned with the migration dossier.
Al-Shaibani said that the Ministry is dealing with this crisis “with all human values” and it’s “avoiding violence as a final solution.”
The representatives and ambassadors present at the meeting were Ambassador of Bangladesh and his assistant, Consul General of the Embassy of Sudan, Consul General of the Embassy of Pakistan, and a representative of the Embassy of Somalia.
On 10 November, a cargo ship reached the port of Misurata (187 km east of Tripoli), carrying 95 migrants who were intercepted at sea in the attempt to reach Europe. The migrants, subsequently refused to disembark the boat onto Libyan soil. On 14 November, a total of 14 individuals, including a woman and a three-month-old baby, voluntarily disembarked the vessel.
Amnesty International issued a statement on Friday calling on Libyan and European authorities not to force the migrants to disembark in Libya.
GNA: If migrants in Misurata ship refuse to negotiate, we’ll consider them infiltrators
The Address | Benghazi – Libya
TRIPOLI – The Undersecretary for Immigration of the Interior Ministry of the Tripoli-based Government of National Accord, Mohamed Al-Shaibani, held a meeting on Sunday with Deputy Special Representative of the UN mission in Libya, Maria Ribeiro.
The meeting was also attended by the Director of the General Directorate of Coast Security, Colonel Al-Bashir Al-Nour, and a number of delegates from international organizations.
According to a statement by the Tripoli-based Ministry, Al-Shaibani discussed the crisis of illegal immigrants aboard a ship in the port of Misurata and ways to find radical solutions and an urgent process “because this crisis is taking too much time and effort for it to end.”
“The Undersecretary also stressed the need to cooperate with all the international organizations involved in the migration dossier in negotiating with these migrants. The Undersecretary put forward some solutions, including the voluntary repatriation of all those who wish to return to their country or to deport them to any third country wishing to host them.” the statement said
“If these immigrants refuse to negotiate, we will resort to applying the laws and regulations in force within the Libyan state and consider them infiltrators so that this crisis won’t become a card for migrants to achieve their illegal demands.” the statement concludes
A PARODY between diplomats and asylum-seekers in Libya
Today, diplomats from Somalia, Eritrea, Bangladesh, Sudan in Libya went to Misrata to encourage their fellow citizens to disembark, assuring that they will protect them. The people on board NIVIN since more than a week reaffirmed that they prefer to die than go back to Libya.
Later, the diplomats offered them to go back to Eritrea, Darfur, and Somalia. “You will be safe there”.
_______?!
79 people are still on board. 28 are minors.
UNHCR LIBYA does not consider that Libya meets the criteria for being designated as a place of safety for disembarkation following rescue at sea.
http://www.refworld.org/pdfid/5b8d02314.pdf
E le trattative proseguono, o almeno, nessuno ha ancora tentato soluzioni di forza.
Martedi’ 20 novembre, ore 10,40
Da Francesca Mannocchi a Misurata
I still don’t have access to my twitter account.
Guys on board the Nivin just wrote me Libyan Coast Guard arrived with guns at the port.
Trying to check.
HANNO SGOMBERATO LA NIVIN CON LE ARMI. 10 FERITI NEGLI OSPEDALI DI MISURATA, GLI ALTRI, COMPRESI NUMEROSI MINORI, RINCHIUSI NEI CENTRI DI DETENZIONE, ALLONTANATE LE ONG E LE ORGANIZZAZIONI DELLE NAZIONI UNITE.
RICEVO DA FRANCESCA MANNOCCHI.
This is the last message from Nivin, 11.41 this morning.
The coastguard and security forces have forced more than 70 migrants on the Nivin cargo ship off after 12 days.
Libyan coastguard shot rubber bullets around ten people were injured, now at the hospital. The others back in the detention center, minors too.
Humanitarian orgs weren’t allowed access to the area.
Several migrants injured aboard a ship in Misurata as Coast Guard shot rubber bullets
15,30
The Address | Benghazi – Libya
MISURATA – The Address has learnt that several migrants, whom are refusing to leave a ship in Misurata, were injured as Libyan Coast Guard shot rubber bullets against them.
A local source and several social media accounts reported that Libyan Coast Guard shot rubber bullets at the migrants inside the ship and consequently around ten people were injured. The source told The Address that the injured migrants are now at the hospital of Misurata.
Non-governmental organizations weren’t allowed access to the area following the incident. The other migrants, whom include minors, were reportedly taken to the Kararim detention center as security forces left the port.
On November 10th, a cargo ship reached the port of Misurata, carrying 95 migrants who were intercepted at sea in the attempt to reach Europe. The migrants subsequently refused to disembark the boat onto Libyan soil.
Four days later, a total of 14 individuals, including a woman and a three-month-old baby, voluntarily disembarked the vessel. However, the remaining 81 migrants refused to leave.