di Fulvio Vassallo Paleologo
Il ministro dell’interno, e vicepresidente del Consiglio dei ministri ha dato immediato rilievo, attraverso i suoi consueti canali di comunicazione sui social, alla richiesta di archiviazione del procedimento penale a suo carico, per il caso Diciotti, formulata dal procuratore di Catania, dopo che il Tribunale dei ministri di Palermo si era dichiarato incompetente. Una richiesta di archiviazione che ha fatto molto “rumore”, mentre si apprende solo tra le righe di un articolo di giornale ( ma sarà vero ?) che la procura di Catania avrebbe archiviato le indagini avviate lo scorso anno contro le ONG che salvavano vite sulla rotta del Mediterraneo centrale.
Se le archiviazioni si collegassero al costo delle indagini, come tenta di affermare il ministro dell’interno, sarebbe interessante conoscere quanto sono costate le attività di inchiesta svolte, prima di quelle sul caso Diciotti, nei confronti di quanti salvavano vite in mare, sotto coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana, accusati per mesi, sulle pagine di tutti i giornali, di avere favorito i trafficanti.
La immediata amplificazione mediatica della notizia della richiesta di archiviazione, giunta al ministro in una busta gialla spedita dalla procura di Catania ed aperta in diretta facebook, quindi sull’onda delle dichiarazioni trionfanti di Salvini, ha lasciato credere all’opinione pubblica che si trattasse di una archiviazione definitiva. Mentre invece il Tribunale dei ministri di Catania ha ancora mesi per decidere sulla richiesta formulata dal procuratore capo. Evidentemente per il ministro, nei suoi confronti, il pronunciamento “motivato” del procuratore di Catania equivale ad una sentenza definitiva, che nel nostro ordinamento compete ancora ai tribunali e non alle procure della repubblica. Anche se si tratta di una materia nella quale si registra spesso un appiattimento dei collegi giudicanti sulle richieste della pubblica accusa, talvolta anche nell’assunzione del materiale probatorio e nella valutazione della sua rilevanza.
Non è possibile conoscere per esteso le motivazioni addotte dal procuratore di Catania per la sua richiesta di archiviazione. Come riporta l’AGI, il ritardo nello sbarco, secondo il procuratore di Catania, sarebbe giustificato ” dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per il principio della separazione dei poteri, di chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti ( il 24 agosto si è riunita la commissione europea a Bruxelles), in un caso in cui secondo la Convenzione SAR internazionale sarebbe toccato a Malta indicare il porto sicuro “
Una valutazione completa di questo provvedimento sarà possibile solo quando sarà reso pubblico. Secondo quanto riferito dalle fonti giornalistiche, sembra che la richiesta di archiviazione sia fondata sulla considerazione assorbente che nei giorni del blocco della nave nel porto di Catania, dal 20 al 25 agosto, il divieto di sbarco si collegava ad una controversia internazionale in sede europea, dopo che Malta aveva negato la indicazione di un porto sicuro di sbarco. Una motivazione che si incastra con quanto precedentemente deciso dal Tribunale dei ministri di Palermo, per il periodo anteriore all’ingresso nel porto di Catania, dal 16 al 20 agosto, quando la nave era stata fermata senza provvedimenti formali al largo del porto di Lampedusa. In questo caso sarebbe stato “tutelato l’interesse nazionale”. In realtà la “Diciotti” prese a bordo i migranti, già soccorsi, non certo “al largo della Libia”, da due motovedette della nostra Guardia costiera, e dunque si trattava di persone già presenti in territorio italiano, a bordo di unità che battevano bandiera italiana, che poi ne fecero sbarcare tredici – in gravi condizioni di salute – a Lampedusa. Per gli altri invece, minori compresi, continuava il calvario a bordo della Diciotti.
Appare strano, che la motivazione addotta dal procuratore di Catania, ritenuto competente per il periodo dal 20 al 25 agosto, in cui la Diciotti si trovava ormeggiata a Catania, “per uno scalo tecnico”, come aveva detto il ministro delle infrastrutture che aveva autorizzato in questo modo l’ingresso in porto, si fondi su una trattativa politica avviata con l’Unione Europea dopo lo scontro con Malta sulla individuazione del “porto sicuro di sbarco”. La nave Diciotti, trovandosi nel porto di Catania, era di certo ormeggiata in un “porto sicuro di sbarco”, secondo il dettato delle Convenzioni internazionali che, in materia di soccorso in mare, anche in virtù dell’articolo 117 della Costituzione, costituiscono norme direttamente vincoianti nell’ordinamento interno. Non era quindi ipotizzabile, in quel periodo, dal 20 al 25 agosto, preso in esame dal procuratore di Catania, che la Diciotti salpasse da Catania per dirigersi a Malta, ipotesi che peraltro non era stata neppure oggetto di trattativa con le autorità maltesi dopo l’ingresso della nave in un porto italiano. Nè si può peraltro ritenere legittimo che, in una trattativa con l’Unione Europea per la redistribuzione di un gruppo di naufraghi, uno stato adotti un provvedimento informale come il blocco dei migranti in alto mare, e successivamente in un porto, per ottenere una modifica di un Regolamento europeo o scelte diverse da parte della Commissione Europea. Un metodo di governo che ha già portato all’isolamento internazionale dell’Italia. Una serie di atti ” di natura poltica”, privi di formalizzazione ma comunicati attraverso i social, che non sono certo contemplati dai Trattati europei.
La trattativa con le autorità maltesi si era svolta nelle fasi immediatamente successive ai primi interventi di soccorso, operati il 16 agosto da due motovedette veloci della Guardia costiera classe 300 partite da Lampedusa, ben prima che i migranti fossero trasferiti a bordo della nave Diciotti, quando la stessa nave ( ed i due mezzi più piccoli della Guardia costiera) si trovavano nella zona SAR italiana ed in un ambito territoriale, dal punto di vista giudiziario, che risulta pacificamente assegnato per competenza alla procura di Agrigento, e dunque al tribunale dei ministri di Palermo, e non alla Procura ed al Tribunale dei ministri di Catania, come si è successivamente ritenuto.
Le prime osservazioni critiche del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, con riferimento alla possibilità di un trattenimento ingiustificato a bordo della Diciotti, erano anteriori all’ingresso della nave a Catania, come pure le indagini avviate dalla procura di Agrigento. Già nei primi giorni dopo il soccorso operato a sud di Lampedusa, il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma scriveva al comandante della Guardia Costiera, Giovanni Pettorino, e a Gerarda Pantalone, capo Dipartimento Libertà civili del Viminale, chiedendo urgenti informazioni perchè, a suo avviso, i migranti avrebbero potuto trovarsi di fatto in una situazione di privazione della libertà. Una valutazione rafforzata dopo la visita dei rappresentanti dell’Autorità di garanzia a bordo della Diciotti, ormai ormeggiata nel porto di Catania. La posizione del governo italiano era stata di totale chiusura, anche rispetto agli spiragli di trattativa lasciati aperti da Bruxelles, mentre Malta negava qualunque assunzione di responsabilità.
Si deve ricordare al riguardo un comunicato del governo di Malta del 12 settembre scorso, secondo cui ” il governo italiano ha chiaramente la piena responsabilità dello sbarco in conformità ai rispettivi obblighi previsti dal diritto internazionale e dell’UE. Per stabilire le cose in modo corretto, Malta non ha in alcun modo rinnegato gli obblighi previsti dal diritto internazionale. Infatti, in questo caso, contrariamente a quanto affermato dal Primo Ministro italiano, Malta ha offerto la sua assistenza, ed è stata rifiutata. Dato che questo era in alto mare, Malta non poteva intercettare la nave con la forza ma ha continuato comunque a monitorare da vicino la barca che esercita la sua libertà di navigazione adempiendo al suo dovere di diligenza. La nave italiana ha intercettato la barca appena fuori dai suoi mari territoriali esercitando un controllo efficace e giurisdizione e portò i migranti a bordo delle navi della guardia costiera e quindi del territorio italiano”.Le autorità di Malta aggiungevano che ” se il governo italiano sceglie di designare Lampedusa come non sicuro, deve assumersi l’onere di fornire un’alternativa”.
La decisione del procuratore di Catania e gli elementi di fatto sui quali si è basata, andranno valutati alla stregua di quanto riconosciuto dallo stesso governo italiano. Dai fatti ricostruiti in Parlamento, le responsabilità di coordinamento dei soccorsi, assunte fin dal principio dell’operazione SAR dalle autorità italiane, dopo l’abbandono dei soccorsi da parte dei libici, per motivi tecnici, appare incontestabile. Secondo quanto riferito dal presidente del Consiglio dei ministri Conte, in una audizione al Senato del 12 settembre scorso “ Il 14 agosto 2018, alle ore 11,13, un velivolo di EUNAVFOR Med dell’operazione Sophia informava la competente autorità per il coordinamento delle operazioni di soccorso search and rescue (SAR) libica e l’Italian maritime rescue coordination center (IMRCC) presso la Guardia costiera italiana della presenza di un barcone con circa 120 persone in navigazione con rotta Nord, a circa 40 miglia dalle coste libiche, all’interno dell’area SAR libica.
Le autorità di Tripoli assumevano il coordinamento del caso, disponendo l’uscita di una propria motovedetta, che successivamente rientrava in porto a causa di un problema tecnico. Il barcone in questione continuava la navigazione in direzione nord e nella mattina del 15 agosto, esattamente alle ore 8,53, l’autorità maltese, precedentemente compulsata da quella libica con apposito messaggio, assumeva la responsabilità del caso a seguito della localizzazione, effettuata da proprie unità aereonavali, in acque SAR maltesi, in una posizione distante circa 50 miglia a sud di Malta e circa 100 miglia da Lampedusa.
Durante la stessa mattinata del 15 agosto, alle ore 10,06, un aereo, sempre di EUNAVFOR Med, operazione Sophia, avvistava il barcone e nelle sue vicinanze due unità militari con numeri identificativi maltesi P52 e P61, nonché un battello ausiliario di una delle navi maltesi affiancato al barcone. La posizione da ultimo rilevata evidenziava un deciso cambiamento di rotta rispetto a quella precedentemente tenuta dal barcone verso l’isola di Lampedusa. In questo frangente, le navi militari maltesi procedevano a rifornire i migranti di viveri, acqua e giubbotti di salvataggio, come comunicato dalle autorità SAR di Malta. Alle ore 19,20 del 15 agosto anche un velivolo della Guardia costiera italiana avvistava il barcone con i migranti nell’area di responsabilità maltese che dirigeva verso Lampedusa, a circa 5 miglia dal predetto barcone. Il velivolo avvistava il pattugliatore maltese P52, che procedeva con le stesse rotta e velocità dell’imbarcazione dei migranti. Veniva altresì rilevato a una distanza di 5 miglia, ma in direzione nord rispetto al barcone, anche il secondo pattugliatore maltese P61, che risultava essere fermo.
Accertato che le imbarcazioni maltesi sostanzialmente indicavano la rotta ai migranti scortandoli lungo la stessa, si concretizzava la possibilità che, in mancanza di un intervento di soccorso maltese, il barcone potesse raggiungere l’area di competenza SAR italiana alle primissime ore del giorno 16. Da un’analisi della situazione meteorologica e dall’esperienza maturata negli anni circa le possibilità di protrarre la navigazione con quella tipologia di imbarcazione (vale a dire stato di vetustà del mezzo, livello di galleggiabilità a bordo libero e numero di persone a bordo), constatata l’inerzia delle autorità SAR maltesi, il nostro Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto valutava come probabile la necessità di un intervento di soccorso per trasferire su altra unità tutti gli occupanti o, quanto meno, una parte di essi, per alleggerire il barcone una volta che fosse entrato nell’area di responsabilità nazionale.
Per predisporsi a tale eventualità, dalle ore 20,24 del 15 agosto il Comando attuava le seguenti misure.
Primo. Allertava in via preventiva le altre autorità italiane di riferimento, comunicando le proprie intenzioni e richiedendo altresì, come da prassi, al Dicastero dell’interno, qualora si fosse verificato l’ingresso in area di responsabilità SAR italiana, l’assegnazione del porto di sbarco dei naufraghi (nel gergo “place of safety”), secondo le procedure consolidate e concordate dal 2015 con il Ministero dell’interno, in aderenza anche all’articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Secondo. Sempre il Comando disponeva l’uscita in mare di due motovedette da Lampedusa (CP305 e CP324), finanziate dall’agenzia Frontex, perché partecipanti all’operazione Themis (nota missione sulla vigilanza delle frontiere europee), con l’ordine di rimanere all’interno dell’area SAR italiana, al fine di assicurare il necessario intervento solo allorquando il barcone avesse raggiunto la zona di competenza.
Terzo: stante l’elevato numero dei migranti – in quel momento il numero esatto era ignoto – e la capacità di trasporto delle due motovedette GC classe 300 (massimo 110 persone ciascuna), disponeva l’avvicinamento in zona di nave Diciotti, al momento impegnata in una campagna di controllo attività di pesca a circa 20 miglia nautiche a nord-est di Lampedusa.
Alle ore 00,40 il Comando generale delle Capitanerie adottava un ordine di operazioni diretto alle unità navali della Guardia costiera impegnate, che prevedeva, in primis, di assistere il barcone facendolo proseguire nella navigazione verso Lampedusa ovvero, in caso di criticità, l’adozione tempestiva di azioni tese ad evitare pericoli per i naufraghi, a tutela e a salvaguardia delle vite umane in mare.
Già alle ore 2,49 veniva informato il Rescue Coordination Centre di Malta che il barcone si era fermato, chiedendo di adottare ogni azione finalizzata a prestare soccorso agli occupanti, dato che lo stesso si trovava all’interno dell’area di responsabilità maltese.
Alle ore 3,20 del 16 agosto, giunti a meno di quattro miglia dal limite dell’area di competenza SAR italiana, ancorché in piena zona contigua italiana, i migranti contattavano via telefono il Comando generale delle Capitanerie di porto riferendo che la situazione a bordo si era aggravata a causa del fatto che il barcone si era fermato e cominciava ad imbarcare acqua.
Posto che le comunicazioni pervenute erano idonee a configurare un concreto e imminente pericolo di vita per i migranti, rafforzate dalla previsione del peggioramento delle condizioni meteo marine in zona – attenzione, c’era mare forza 4, con onde di circa 2 metri, confermato dalle unità di Guardia Costiera in area – il Comando generale delle Capitanerie disponeva l’intervento immediato, alle ore 3,21, dei mezzi della Guardia costiera italiana.
L’operazione di soccorso avveniva a circa 18 miglia da Lampedusa, a 70 miglia da Malta e a 97 dal porto de La Valletta. Di ciò veniva data comunicazione all’autorità maltese, che però rispondeva solo una volta intraprese le operazioni di soccorso, dichiarando oltretutto la volontà di non interferire. Tutto ciò nonostante Malta – sottolineo – fosse stata messa a conoscenza, per iscritto, che il barcone era in procinto di affondare con i propri occupanti.
Con lo stesso messaggio si chiedeva il contestuale porto di sbarco dei migranti a Malta. Le unità maltesi, già precedentemente individuate in navigazione nei pressi del barcone, si erano nel frattempo allontanate una volta giunte in prossimità dell’area di responsabilità SAR italiana. Al momento del soccorso le unità più vicine e utilmente impiegabili risultavano, pertanto, le sole motovedette della Guardia costiera italiana.
Concluse le operazioni, al fine di verificare l’eventuale presenza di altre persone a bordo, l’equipaggio della motovedetta CP-324 effettuava una ricognizione del barcone, constatando un elevato livello di acqua nel locale motore. Attesa la pericolosità e le critiche condizioni di stabilità del mezzo, i militari lasciavano immediatamente l’imbarcazione, dopo aver accertato che non vi erano altre persone a bordo. A causa dell’elevato numero di persone soccorse, che a fine operazione risulteranno essere 190, per il peggioramento delle condizioni meteorologiche e l’impossibilità di utilizzare l’hotspot di Lampedusa, i naufraghi venivano suddivisi tra le due motovedette intervenute e successivamente trasferiti sulla nave Diciotti, nel frattempo avvicinatasi in zona, sulla quale erano imbarcati un team sanitario e mediatori culturali in grado di fornire assistenza.
Nelle ore seguenti, sulla base del triage sanitario effettuato a bordo dal personale medico imbarcato, veniva effettuata l’evacuazione medica a favore di 13 migranti su Lampedusa: sette infermi e sei accompagnatori. Alle prime luci del giorno 16, il Comando generale delle Capitanerie disponeva un sorvolo di un velivolo della Guardia costiera, già impegnato in attività di sorveglianza marittima, per una ricognizione della zona, rilevando l’assenza del barcone, ma riscontrando chiare tracce di un affondamento, quali iridescenze da idrocarburi, diversi giubbotti di salvataggio sparsi in acqua ed elementi strutturali di un’imbarcazione riconducibile al barcone in parola. Questi ultimi elementi ci inducono a concludere che, senza l’intervento concreto e diretto della nostra Guardia costiera, molte di queste persone sarebbero senz’altro morte.
Nel frattempo, la nave Diciotti con i rimanenti 177 migranti a bordo, nelle more dell’individuazione del place of safety, rimaneva nelle vicinanze di Lampedusa sino al 19 agosto. In attesa della definizione con le autorità maltesi delle operazioni di sbarco, che ad avviso delle autorità italiane permaneva in capo alla responsabilità di quel Paese, la nave Diciotti effettuava nella tarda sera del 20 agosto scalo tecnico nel porto di Catania, su indicazione dei vertici del Dicastero delle infrastrutture e dei trasporti, in attesa dell’eventuale indicazione del place of safety da parte anche del Ministero dell’interno. Il giorno 22 agosto, non appena avuto cognizione della loro presenza a bordo, con l’unità in porto a Catania, il Dicastero dell’interno autorizzava un primo sbarco dei 27 minori non accompagnati nei centri di accoglienza dedicati della provincia di Catania, anche in conseguenza delle interlocuzioni con il procuratore della Repubblica dei minorenni di Catania.
La ricostruzione dei fatti riferiti in Senato dal primo ministro Conte appare poco considerata dai giudici, soprattutto il dato che la Guardia costiera italiana era intervenuta a 17 miglia da Lampedusa – come ha ammesso lo stesso Presidente del Consiglio – e a 90 miglia da La Valletta. In realtà le motovedette italiane avevano seguito per ore il barcone carico di migranti, come avevano fatto in precedenza le unità militari maltesi, fornendo acqua e giubbetti salvagente, e poi erano intervenute soltanto quando dal barcone era partita una richiesta di soccorso perchè stava imbarcando acqua. Un dato è certo, il salvataggio effettuato dalle motovedette italiane fatte partire da Lampedusa era avvenuto alle ore 3,40 del 16 agosto, a 17 miglia circa da Lampedusa, in un punto che rientrava sicuramente nella “zona contigua” alle acque territoriali italiane, dunque non appartenente alla “zona SAR maltese”, come impropriamente sostenuto dal governo italiano.
La zona contigua è la zona adiacente il mare territoriale, nella quale lo Stato costiero esercita poteri di controllo anche sulle navi straniere, al fine di prevenire o reprimere infrazioni alla sua legislazione nazionale commesse nel proprio territorio o mare territoriale. L’estensione della zona contigua è stata dichiarata dall’Italia ed è stabilita in 12 miglia nautiche, misurate a partire dal limite esterno del mare territoriale (cioè fino a 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale). Nella zona contigua alle acque territoriali italiane è dunque pacifica la doverosità dell’intervento di soccorso da parte delle autorità italiane, marina militare, guardia di fnanza o guardia costiera. Se uno stato controlla una zona di mare, come la cd. zona contigua, per finalità di contrasto dell’immigrazione irregolare, non avrebbe senso ritenere competente un altro stato per le azioni di ricerca e salvataggio (SAR).
In base al decreto ministeriale del 14 luglio 2003, In G.U. n. 220 del 22 settembre 2003, emanato in attuazione della legge Bossi-Fini (n.189 del 2002), le attività di soccorso nella “zona contigua”, nella quale opera anche la guardia di finanza, sono coordinate dal Corpo delle Capitanerie di Porto (Guardia costiera), che va inquadrato nel ministero delle infrastrutture. La centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) si rivolge al ministero dell’interno solo per la indicazione di un POS ( porto sicuro di sbarco). Come si dirà meglio più avanti, la zona SAR maltese e quella italiana risultano parzialmente sovrapposte, fino a “coprire” parte della “zona contigua” a sud di Lampedusa. In ogni caso però, come le autorità maltesi, anche le autorità italiane, nella propria zona contigua, fino a 24 miglia dalla costa, sono tenute ad una continua attività di sorveglianza coordinata a lungo raggio a mezzo velivoli di pattugliamento marittimo della Marina Militare e di aeromobili della Guardia di Finanza e del Corpo delle Capitanerie di Porto. Quando durante questa attività venga dichiarato un evento SAR, per una situazione di pericolo imminente (distress) accertata o riferita in una chiamata di soccorso, in base alle convenzioni internazionali, e potremmo aggiungere il nostro codice della navigazione, scatta l’obbligo immediato di ricerca e salvataggio per la salvaguardia della vita umana in mare. Non si puà dunque ritenere che l’intervento di soccorso affidato alle due motovedette uscite nelle prime ore del 16 agosto dal porto di Lampedusa, sfociato, cinque ore dopo, nel trasbordo dei naufraghi sulla nave Diciotti, fosse avvenuto in acque di competenza SAR maltese, o che in quello stesso punto, una volta verificata la situazione di distress ( grave pericolo per la vita delle persone), dovessero intervenire le unità maltesi, che distavano ormai decine e decine di miglia.
Una serie di dati di fatto, desumibili solo parzialmente dalle relazioni di servizio delle autorità che sono intervenute, che sembrerebbero trascurati, per quanto è possibile desumere dalle prime notizie di stampa, anche dal procuratore di Catania, che ha fondato la richiesta di archiviazione sulla “natura politica” dell’attività decisionale posta in essere dal ministro dell’interno. Come se l’intervento di soccorso si fosse operato in una zona SAR maltese e la trattativa con le autorità maltesi ed europee fosse intercorsa soltanto durante il periodo di permanenza della nave nel porto di Catania. Il ministro dell’interno, invece, nei primi giorni dopo il soccorso, mentre era in corso la “trattativa” con Malta, minacciava addirittura di respingere i migranti in Libia. Come vietato da tutte le Convenzioni internazionali, a partire dalla Convenzione di Ginevra.
La parziale sovrapposizione delle zone SAR non può creare alibi per nessuno, quando sono in gioco vite umane in mare. Qualunque comportamento omissivo delle autorità maltesi, pure ipotizzabile, sulla scorta di esperienze passate, come nel caso Pinar, e nel caso Salamis, che precedette di poco la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, non legittima analogo comportamento omissivo delle autorità italiane, quando è stata in gioco la vita di 190 persone. Tutti sembrano ignorare che la zona SAR maltese risulta sovrapposta con la zona SAR italiana, proprio a sud di Lampedusa. Dove si è svolto l’evento SAR oggetto del caso Diciotti a partire dal 16 agosto scorso, con il prolungato trattenimento di 190 persone, tra le quali molti minori, a borso della nave. Uno “scontro politico” in questo campo non può sottrarre gli interventi di soccorso alla giurisdizione italiana ( ed europea), come non si è potuto sottrarre alla giurisdizione il caso del naufragio dell’11 ottobre 2013, avvenuto proprio nella stessa zona SAR controversa tra Italia e Malta. Le diverse “scelte politiche” dei governi, possono costare centinaia di vite umane, come si è evitato per poco anche nel caso dei soccorsi operati dalle motovedette della Guardia costiera italiana, che il 16 agosto scorso hanno trasferito i naufraghi appena salvati sulla Diciotti.
Ci auguriamo che il tribunale dei ministri di Catania prenda in considerazione compiutamente gli elementi di fatto comunicati dal Presidente del Consiglio in Senato, e li consideri alla luce degli obblighi di soccorso sanciti a carico degli stati dalle Convenzioni internazionali. In modo da procedere ad ulteriori accertamenti che potrebbero chiarire la reale catena di comando che ha portato, già prima del blocco davanti Lampedusa, al trasbordo dei migranti sulla Diciotti, dopo essere stati soccorsi da due motovedette della Guardia costiera che potevano fare rientro con i naufraghi anche nello stesso porto di Lampedusa, come avvenuto in numerosi casi negli anni precedenti.
Rispettiamo qualunque decisione della magistratura, anche quando non possiamo condividerne le motivazioni, riteniamo però opportuno che sul caso Diciotti si faccia chiarezza sino in fondo, al di là dell’inchiesta aperta dalla procura di Agrigento già il 20 agosto 2018, e dunque prima che la nave venisse fatta attraccare a Catania. La bolla mediatica che continua a circondare questo caso sta avendo un rilevante impatto, questo si “politico”, sugli assetti operativi della guardia costiera italiana e sulle operazioni di soccorso in acque internazionali, sempre più rare, che vengono ancora affidate alle autorità italiane, e da ultimo alla Guardia di finanza, magari costrette ad intervenire dalla denuncia delle poche ONG ancora presenti nel Mediterraneo centrale.
Ricordiamo anche che le più gravi condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, come nel caso Hirsi, per i respingimenti collettivi in Libia e nel caso Khlaifia per l’ingiusta detenzione a Lampedusa, sono arrivate dopo che le procure italiane avevano archviato esposti presentati da associazioni ed organizzazioni non governative. Purtroppo oggi è sempre più difficile rappresentare davanti alle corti internazionali le vittime delle violazioni dei diritti fondamentali, indotte a disperdersi dopo lo sbarco in Europa da prassi criminogene che bloccano qualsiasi movimento secondario. Per non parlare della sorte dei migranti che vengono ripresi in acque internazionali dalle motovedette donate ai libici dall’Italia e riportati a terra , nei centri di detenzione che recenti rapporti delle Nazioni Unite definiscono luoghi di estorsione generalizzata, di abusi, anche sessuali, e di ogni possibile tipo di tortura.
Quanto deciso dalla procura di Catania, e prima dal tribunale dei ministri di Palermo, secondo cui con il blocco della Diciotti si sarebbe “tutelato un interesse nazionale”, rischia di svuotare di qualsiasi contenuto effettivo l’articolo 96 della Costituzione italiana che prevede i “reati ministeriali”, affermando che ” Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”.
Come osserva Carlo Bonini su Repubblica,” Dopo la richiesta di archiviazione della procura di Catania, Il leader della Lega gongola: da domani, in nome dell’insindacabilità dell’agire politico, altre norme del codice penale potranno essere serenamente violate “. Dunque,“aveva visto lungo il ministro dell’Interno Matteo Salvini quando dispose, in agosto, che la nave Diciotti facesse rotta verso Catania con il suo carico di migranti da usare come arma di ricatto al tavolo dell’Europa. Era quello il vero “porto sicuro” dove, in nome della ragion di Stato, poter consumare insieme la violazione della legge penale e di un diritto fondamentale come la richiesta di asilo”.
Anche se singole indagini giudiziarie, che potrebbero fare chiarezza sull’inadempimento degli obblighi di soccorso a carico degli stati, venissero archiviate, come appare sempre più probabile, si può essere certi che una parte almeno della popolazione, i cittadini solidali e le organizzazioni non governative, resteranno accanto alle vittime di abbandono in mare e proseguiranno nella loro azione di denuncia fino alle corti ed agli organismi internazionali. Ed ancora si rafforzeranno le attività di advocacy a livello diffuso, in tutte le sedi giudiziarie nelle quali siano aperti procedimenti penali, come quelli ancora in corso contro le ONG. Attraverso le indagini difensive ed una comunicazione libera, non condizionata da scelte editoriali che sconfinano nella censura, si potrà comunque accertare la catena di comando delle attività di soccorso (SAR) e la precisa attribuzione delle relative responsabilità istituzionali nella individuazione dei porti sicuri di sbarco.
Va salvaguardata la tradizione di soccorso degli uomini e delle donne a bordo delle unità italiane impegnate in alto mare. Respingiamo gli attacchi contro la Guardia costiera. Chiediamo una verifica dell’adempimento dei doveri di soccorso sanciti a carico degli assetti militari europei dai Regolamenti Frontex n. 656 del 2014 e 1624 del 2016 ( adesso Guardia costiera europea). Occorre fare chiarezza sulla ripartizione delle responsabilità nelle zone SAR del Mediterraneo centrale. L’IMO ( Organizzazione internazionale marittima), con sede a Londra, deve esprimere un parere chiaro senza rimettersi ai rapporti di forza, dunque alla “politica” tra gli stati. Come è successo nel caso della autoproclamazione della cd. zona SAR libica, di una Libia che non esiste come entità statale unitaria, né ha una centrale di coordinamento dei soccorsi SAR unica (JRCC). Il diritto alla vita è sacro, prima di costituire un diritto riconosciuto dalle Convenzioni internazionali, e gli obblighi di soccorso in mare non possono essere affidati a “scelte politiche” di ministri perennemente in campagna elettorale.
DICIOTTI, MAGI (+EUROPA): “PREOCCUPANO MOTIVAZIONI RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PER SALVINI”
“Nei giorni scorsi la procura di Catania ha richiesto l’archiviazione per la condotta del ministro dell’Interno Salvini rispetto al trattenimento dei migranti a bordo della nave Diciotti perché, testualmente, ‘gli atti del ministro non sono perseguibili in quanto giustificabili dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per la separazione dei poteri, di chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti’. Questa cosa è gravissima e molto preoccupante: come si possono definire non sindacabili atti politici che tolgono tutela giurisdizionale ai diritti fondamentali dei cittadini?”. Lo afferma Riccardo Magi, segretario uscente di Radicali Italiani e deputato di +Europa, nella sua replica finale al XVII congresso di Radicali Italiani che si chiude oggi a Roma.
“Gli atti insindacabili sono quelli compiuti dalle istituzioni dell’esercizio delle loro funzioni – ha proseguito Magi – penso alla nomina dei senatori a vita, alla facoltà di sciogliere le Camere o ancora alla nomina dei Ministri. Ma quando un atto del Governo intacca la sfera dei diritti fondamentali, come è successo con la nave Diciotti quando arbitrariamente sono state sequestrate 177 persone, tra cui numerose donne e bambini, smette di essere un atto del Governo e deve essere sottoposto all’azione di un giudice che tuteli i cittadini. Questo principio è sancito dall’articolo 24 della nostra Costituzione, dove si legge che tutti possono agire in giudizio per difendere i propri diritti. Mettere in discussione questo assunto – ha concluso – significa andare verso un potere assoluto, sciolto da ogni controllo giusrisdizionale”.