di Fulvio Vassallo Paleologo
Le operazioni di ricerca e soccorso (SAR) si sono ormai rarefatte per il supporto anche operativo offerto alla Guardia costiera libica, che negli ultimi mesi ha intercettato in acque internazionali e riportato a terra un numero di persone superiore a quello di coloro che sono stati soccorsi da unità europee e sbarcati in un porto sicuro (place of safety). Si continua così ad operare in una visione che privilegia le attività di sorveglianza delle frontiere marittime rispetto alla salvaguardia del diritto alla vita, in contrasto con le Convenzioni internazionali che stabiliscono l’assoluta preminenza del diritto alla vita. Si sostituisce la Guardia costiera con la Guardia di Finanza, con mezzi ed assetti operativi idonei ad intercettare, ma non a soccorrere, mentre si tengono lontane le navi umanitarie delle ONG e si privilegiano i sistemi di monitoraggio aereo, rispetto alla presenza navale che comunque espone le unità militari all’osservanza degli obblighi di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali. L’idea ossessiva che risuona come un tam-tam, che serve per attirare consenso elettorale, è sempre quella di “blindare i confini”, anche marini, ammesso che esistano, costi quello che costi. Anche se molte persone vengono torturate nei campi libici, o muoiono nelle acque del Mediterraneo. Quante, non importa.
I principali stati coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo centrale, Italia e Malta, continuano a non collaborare tra loro nelle operazioni SAR, venendo meno al fondamentale obbligo di coordinamento stabilito a loro carico dalla Convenzione UNCLOS. E si continua ad accreditare l’esistenza di una zona SAR “libica”, anche se è evidente che le autorità di Tripoli non riescono a garantire una effettiva attività di ricerca e salvataggio, ma vanno soltanto ad intercettare ed a bloccare quei barconi carichi di migranti che vengono segnalati loro da Frontex, dalla missione europea Eunavfor Med, e dalle autorità italiane.
Se fino al 28 giugno scorso era almeno chiaro che le responsabilità di coordinamento spettavano tutte alla Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC), a partire da quella data, con la notifica di una zona SAR “libica” da parte del governo di Tripoli all’IMO a Londra,a partire da quella data è venuta meno qualsiasi certezza circa le responsabilità di coordinamento dei soccorsi, e dunque di individuazione del punto di sbarco.
Tra Italia e Malta c’è uno scontro latente da anni, temporaneamente risolto soltanto durante l’operazione Mare Nostrum nel 2014, visto che le due aree si sovrappongono: Malta rivendica unilateralmente un’enorme zona Sar (pari a circa 250.000 chilometri quadrati, vale a dire 750 volte il suo territorio e poco meno del territorio italiano), senza tuttavia disporre di mezzi per svolgere operazioni di soccorso. Le zone Sar italiana (stabilita dal Dpr 664 del 1994) e maltese si sovrappongono e all’interno della Sar rivendicata da Malta ricadrebbe anche Lampedusa. I casi di conflitto e di ritardi nei soccorsi, dal caso Bufadel nel 2007, al caso Pinar nel 2009, ai più recenti episodi di questa estate, fino al caso Diciotti, non si contano più. Per non parlare della tragedia dell’11 ottobre 2013, il naufragio dei bambini, sulla quale è ancora in corso un processo a Roma.
Una situazione al di fuori del diritto internazionale che ha prodotto grande incertezza sulle competenze nel prestare i primi soccorsi, e la “scomparsa” dei migranti una volta raggiunti da mezzi europei, troppo ingombranti perchè testimoni di abusi in Libia e di ritardi nelle attività di soccorso. Una censura totale è calata sulle attività SAR sulla rotta libica, dopo anni di report molto dettagliati da parte della Guardia costiera italiana, ed si dà spazio soltanto alle esternazioni di chi proclama la chiusura dei porti o rilancia improbabili allarmi. Tutto ad uso di una propaganda elettorale martellante che non perde occasione per seminare veleno non appena si profila un intervento di solidarietà, un atto di soccorso, una richiesta di sbarco, nel rispetto del diritto internazionale.
Rispondiamo con la memoria dei fatti, e con la prossimità a vittime e soccorritori, diffondendo ancora quelle poche notizie che continuano a passare per merito di giornalisti attenti e sempre impegnati sul fronte della difesa del diritto all’informazione. Un diritto che viene negato sempre di più, giorno dopo giorno, mentre gli italiani vengono illusi che la “gestione dei flussi migratori” possa essere garantita da politiche e prassi che violano le Convenzioni internazionali ed i diritti fondamentali della persona.
Nella serata del 15 ottobre, dalle autorità maltesi veniva segnalato un barcone in difficoltà, con 44 persone a bordo,ad oltre cento miglia dalla costa libica, nella zona SAR riconosciuta a Malta, ed il soccorso veniva affidato ad una nave commerciale, la Just Fitz che in quella stessa area stava procedendo verso sud-ovest. La nave invertiva la rotta, operava l’intervento di soccorso, mentre il ministro dell’interno italiano continuava a dichiarare che “il barcone” non avrebbe mai fatto ingresso in un porto italiano. ancora ieri sera la nave Just Fitz si tovava a 30 miglia cira a sud di Lampedusa, in quella zona SAR italiana “sovrapposta” con la SAR maltese.
Secondo il Giornale di Sicilia, “La nave ha raggiunto l’imbarcazione e ha recuperato i migranti attorno alla mezzanotte. Al momento il mercantile si trova a circa 30 miglia da Lampedusa – sempre in acque Sar maltesi – ed è in attesa che il centro di coordinamento di Malta assegni il porto di sbarco”. Dopo l’intervento di soccorso, i migranti sono stati presi a bordo da un mezzo della Marina maltese e sbarcati a Malta. Le autorità di La Valletta hanno lamentato la mancata collaborazione italiana, una collaborazione che in base alle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, sarebbe dovuta arrivare tempestivamente dopo la prima richiesta, anche perchè Lampedusa costituiva il porto sicuro più vicino.
Gli stati firmatari delle Convenzioni internazionali di diritto del mare sono comunque tenuti, anche in collaborazione tra loro, a garantire lo sbarco in un porto sicuro (place of safety).Italia e Malta non possono giocare, sulla pelle dei migranti, una partita che mira per entrambi gli stati a lasciare intervenire le motovedette libiche. Ed ‘ a tutti noto che la Libia, nelle sue diverse articolazioni politiche e militari, non garantisce porti sicuri di sbarco. Lo avevano riconosciuto già i Tribunali di Palermo e di Ragusa, in Libia non esistono punti sicuri di sbarco (disembarkation point), , per non parlare della situazione nei centri di detenzione, inclusi quelli “governativi”, dove erano presenti anche UNHCR ed OIM che adesso non possono proseguire il lavoro di registrazione dei richiedenti asilo ed hanno ritirato i loro rappresentanti internazionali. Lo ha ammesso, dopo la giurisprudenza, anche il ministro degli esteri Moavero.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) impone ad ogni Stato costiero l’obbligo di “…promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi”. [Art. 98 (2). In queste ore Italia e Malta stanno violando questo dovere di collaborazione, prolungando la fase del soccorso in acque internazionali.
La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte “…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…” (Capitolo V, Regolamento 7).
La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione di Amburgo – SAR) obbliga gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” (Capitolo 2.1.10) ed a “ […] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”. (Capitolo 1.3.2)
Secondo la Convenzione di Amburgo ‘79, ma anche ai sensi della stessa Convenzione internazionale per la sicurezza della vita umana in mare (SOLAS ’74), per “luogo sicuro” deve intendersi semplicemente un luogo in cui sia assicurata la sicurezza, intesa come protezione fisica, delle persone soccorse in mare.
Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR mirano a preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso (SAR), garantendo che le persone in pericolo in mare vengano assistite e, allo stesso tempo, riducendo al minimo gli inconvenienti per la nave che presta assistenza. Essi richiedono agli Stati e alle Parti contraenti di: coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in difficoltà in mare siano sollevati dai propri obblighi con una minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista dalla nave; e di organizzare lo sbarco al più presto, per quanto praticabile. Essi inoltre obbligano i comandanti che hanno imbarcato persone in difficoltà in mare a trattare queste ultime con umanità, compatibilmente con le possibilità della nave.Putroppo sugli emendamenti alle Convenzioni adesso richiamati manca l’accordo del governo maltese.
Al fine di fornire una guida alle autorità di governo ed ai comandanti che si trovano a metter in pratica questi emendamenti, sono state elaborate a livello internazionale in sede IMO delle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare . Esse contengono le seguenti disposizioni: il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. (para. 2.5) Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. (para. 6.12) Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative. (para. 6.13) .
Le Linee guida IMO, unitamente alle Convenzioni internazionali in materia, dispongono che la responsabilità primaria per la individuazione e/o fornitura di un “luogo sicuro” ricada sullo Stato costiero responsabile della zona SAR al cui interno si verifica l’operazione di salvataggio marittimo. Nell’ipotesi in cui, tuttavia, “non sia possibile contattare lo Stato costiero responsabile della zona SAR, il comandante della nave soccorritrice può contattare un altro Stato costiero e/o un centro di coordinamento e soccorso che possa fornire assistenza alle operazioni di salvataggio”. Incombe su quest’ultimo, pertanto, l’onere di coordinare le operazioni di soccorso e salvataggio “fino a quando lo stato costiero responsabile della zona SAR non assuma la propria responsabilità”. Purtroppo se non ci sono accordi bilaterali o multilaterali, tra gli stati confinanti ( come zone SAR, da non confondere con le acque territoriali), si discute se questi emendamenti siano direttamente vincolanti, ed alla fine ciasuno stato fa quello che vuole, come ha dimostrato il governo italiano negli ultimi mesi.
Di certo i naufraghi soccorsi ieri dal cargo Just Fitz non sono arrivati in territorio italiano, come l’ubicazione della nave soccorritrice, ieri sera a sud di Lampedusa, avrebbe imposto, se le autorità italiane e maltesi avessero collaborato. Lampedusa, le acque territoriali e la zona contigua italiana non possono certo rientrare all’interno della zona SAR maltese. Occorre che finalmente Italia e Malta trovino un punto d’intesa su questa sovrapposizione che ritarda i soccorsi. Sembra invece che le autorità dei due paesi trovino un intesa soltanto per dare campo libero alle motovedette libiche che vanno ormai anche a 90 miglia dalla loro costa( dunque fino a 70 miglia a sud di Lampedusa, per intercettare i migranti in alto mare e riportarli indietro. Malta continua anche a tenere sotto sequestro tre navi delle ONG che in passato hanno salvato migliaia di vite in mare. Sempre più pesante l’onere di ricerca e soccorso imposto sulle navi commerciali, che peraltro non hanno le attrezzature necessarie ( come mezzi collettivi di salvataggio) per intervenire nel casi di soccorsi di un numero più elevato di persone o in condizioni di mare sfavorevoli.
Nel silenzio stampa di queste ore sembrano profilarsi le ipotesi peggiori, nella più totale omertà delle istituzioni coinvolte. Si continuano ad individuare in alto mare gommoni vuoti, privi di persone, probabilmente perchè sequestrati dai guardiacoste libici, o soccorsi da unità militari che non vogliono fare sapere alla popolazione che le partenze dalla Libia, malgrado tutto, continuano ancora. Sempre che non si verifichino altre tragedie, causate dall’omissione di soccorso ormai programmata, che costituisce oggi la cifra comune dell’intervento di “controllo delle frontiere” degli stati e delle agenzie europee, comunque presenti nelle acque del Mediterraneo centrale. Non è possibile che dietro i conflitti di competenza ed il domino delle zone SAR si celi la negazione del diritto alla vita per la sostanziale cancellazione degli obblighi di salvataggio a carico degli stati.
da Maltatoday 17 October 2018, 6:42pm
by Yannick Pace
A group of 44 migrants that were rescued from a wooden boat on Monday will be brought to Malta by the armed forces, the government said on Wednesday.
In a statement, it said that the migrants had been rescued on the night of the 15 October.
““Following RCC Malta’s notification from a wooden notification from “a wooden boat with persons in difficulty, a merchant vessel was diverted to the area to render the necessary assistance,” the statement read.
The migrants, it said, were intercepted 58nm south of Lampedusa.
“Following the refusal of Italy to provide for the nearest place of safety, shelter and logistical support to the ship and in view of deteriorating weather conditions affecting the area, in the best interest of the safety of the rescued migrants, the AFM deployed an offshore patrol vessel in adverse weather conditions to transfer the migrants on-board,” the government said.
The migrants are expected in Malta later on on Wednesday evening with the government noting that their disembarkation was being “administered without prejudice to Malta’s position to international law”.