Sorveglianza aerea sul Mediterraneo centrale, non per soccorrere le persone ma per denunciare le ONG

di Fulvio Vassallo Paleologo

1.Dalle attività di soccorso in mare, i governi ed i comandi delle unità militari presenti nelle acque tra la Libia e l’Italia stanno adesso spostando i loro sforzi verso la denuncia delle attività di monitoraggio delle poche ONG ancora presenti in quella che ormai viene definita convenzionalmente come la zona SAR ( ricerca e salvataggio)”libica”. In un solo anno sono cambiate molte cose.

Il Dossier della Guardia costiera italiana del 2018 rappresenta una situazione che, se paragonata ad oggi, conferma il sostanziale disimpegno delle autorità italiane ed europee dalle attività di ricerca  e salvataggio in acque internazionali. Si nasconde il ritiro della maggior parte delle navi militari ed il cambiamento impresso in quella zona alle linee operative degli assetti aerei inseriti nelle atività di monitoraggio, e di ricerca e soccorso dell’agenzia Frontex, presente con la missione Themis. Adesso le Nazioni Unite hanno accresciuto i poteri di controllo affidati alla missione Eunavfor Med, prorogandone la durata al 3 ottobre 2019, ma solo in funzione antiterrorismo, senza specificare ulteriori finalità di soccorso. Gli  assetti aerei da tempo operativi nelle attività delle missioni Sophia di Eunavfor Med e della Marina militare italiana ( impegnata con l’Operazione Nauras di Mare Sicuro) hanno progressivamente ridotto gli interventi di soccorso ed accentuato le funzioni di contrasto in sinergia con le autorità libiche.

Negli anni passati, malgrado le dichiarate finalità di lotta a quella che si definiva come” immigrazione clandestina”, il ruolo prevalente svolto dalle missioni militari aereo-marine europee ( e italiane) era stato quello di ricerca e soccorso, con decine e decine di migliaia di persone salvate in alto mare in coordinamento con la Centrale operativa di Roma che copriva tutto il Mediterraneo centrale, e coordinava anche le numerose ONG allora presenti.Durante l’operazione Mare Nostrum, nel 2014, la maggior parte delle attività di soccorso era operata da unità navali della Marina militare italiana, con il supporto dei corpi specializzati della Guardia costiera. Una stagione di eccellenza per le attività delle navi militari italiane, supportate dagli assetti aerei di riferimento, in grado di operare soccorsi in coindizioni proibitive.

Tra gli assetti aerei operativi in quel periodo anche elicotteri della Guardia costiera italiana.  Gli interventi di questi mezzi hanno permesso di salvare le vite di migliaia di persone, soprattutto negli anni successivi alla grande tragedia del 18 aprile 2015, la più grande tragedia del Mediterraneo, quando alla fine dell’operazione Mare Nostrum, persero la vita oltre 800 persone.

Adesso è rimasto solo il piccolo aereo privato Colibrì a collaborare con le ONG per salvare vite umane in mare, mentre gli assetti aerei europei, e purtroppo anche italiani, ad alta tecnologia e ben collegati ai sistemi satellitari, contribuiscono ai respingimenti collettivi “delegati” alla guardia costiera libica, segnalando le imbarcazioni cariche di migranti quando sono in acque internazionali e facilitando le intercettazioni delle motovedette partite dalla Libia. Lo confermano le sentenze dei giudici siciliani. Nel mese di marzo di quest’anno il Giudice delle indagini preliminari di Catania osservava come “la circostanza che la Libia non abbia definitivamente dichiarato la sua zona SAR non implica automaticamente che le loro navi non possano partecipare ai soccorsi, soprattutto nel momento attuale, in cui il coordinamento è sostanzialmente affidato alle forze della Marina Militare Italiana, con i propri mezzi navali e con quelli forniti ai libici”

2. A partire dai primi mesi di quest’anno il ruolo delle unità navali europee si è dunque ridotto, ed è rimasta più visibile soltanto l’attività di monitoraggio degli aerei, alcuni anche a decollo verticale, a disposizione di Frontex, e degli elicotteri militari presenti a bordo delle unità di Eunavfor Med. Un’attività che non è stata più preordinata come nel recente passato alle attività di salvataggio, ma che ha mirato soprattutto a segnalare alla sedicente Guardia costiera libica ( attraverso la missione italiana Nauras presente nel porto di Tripoli) la presenza delle imbarcazioni cariche di migranti, che in numero crescente sono state intercettate dai libici con la riconduzione a terra dei migranti che vi avevano trovato posto. Si è interpretata in questo modo la finalità di contrasto dell’immigrazione irregolare, pure dominante nella mission di Frontex ed Eunavfor Med, anche se le stesse autorità europee e persino le Nazioni Unite, erano consapevoli degli abusi subiti dai migranti in Libia e della impossibilità di individuare in quel paese “place of safety“, porti sicuri di sbarco.

Anche se i media hanno continuato a parlare di “salvataggi” operati dalle motovedette partite dai porti libici di Tripoli, Zawia, Khoms e Zuwara, in realtà si è trattato di vere e proprie intercettazioni guidate dagli assetti aerei delle missioni europee, sotto il coordinamento delle autorità italiane. Un assetto operativo che è emerso sulla base di precisi rilievi documentali nel processo intentato lo scorso marzo prima a Catania e poi a Ragusa contro la ONG Open Arms. Basta leggere l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari di Catania e la successiva sentenza del  GIP del Tribunale di Ragusa, per avere conferma, su basi documentali incontestabili, del coordinamento che la missione Nauras, presente con una unità navale nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli, ha garantito alla guardia costiera “libica” nei primi mesi dell’anno, corrispondenti alla fine della missione Triton ed all’avvio della missione Themis di Frontex. Con un diverso dispiegamento delle unità navali ed aeree, dando spazio alle motovedette libiche allontanando le navi europee dalle coste africane, si riduceva le possibilità di sbarco dei naufraghi nei porti italiani. Nello stesso periodo aumentava il numero delle vittime in mare, perchè i tempi di intervento dopo le segnalazioni aeree dei casi di soccorso, “deviate” sulla Guardia costiera libica, diventavano sempre più lunghi. Incalcolabile il costo umano sofferto dalle persone riportate nei centri di detenzione libici, controllati da milizie foraggiate dall’Unione Europea.

Dunque fino a giugno scorso, anche gli assetti aerei riconducibili alla missione Eunavfor Med, come è emerso nel processo Open Arms, hanno operato in coordinamento con la centrale operativa della Guardia costiera di Roma (IMRCC), segnalando per suo tramite gli avvistamenti alla missione Nauras a Tripoli e contribuendo dunque, seppure indirettamente, alle atività di intercettazione in mare affidate ai libici. Mentre una pressione sempre più forte si esercitava contro le ONG, sia a seguito di iniziative giudiziarie, dopo le denunce lanciate da Frontex, e riprese dai siti della destra identitaria europea, che per le pastoie burocratiche create dalle autorità marittime per ritardarne in tutti i modi le attività. Si dovevano impedire i soccorsi in acque internazionali, seguiti da “sbarchi”, a quel punto doverosi, nei porti italiani, ma soprattutto si dovevano allontanare scomodi testimoni di una politica e di prassi che producevano un numero  sempre consistente di vittime, nonostante la contrazione degli arrivi, stimata, già prima dell’estate, attorno al 70 per cento. Sono i libici a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), da loro svolte, in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

Una politica di accordi con la Guardia costiera libica che il nuovo governo italiano ha ulteriormente rafforzato. Come si è appreso da fonti giornalistiche, all’inizio di luglio, “Salvini last week said the Italian government will soon provide new means to enable the Libyan coast guard to widen coastal patrols and stop the launching of boats laden with illegal migrant boats. Italy already operates the Joint Rescue Coordination Centre in the Libyan capital Tripoli. Run jointly with Libyan forces, the centre is used to coordinate the identification, location and interception of human smuggling boats. It also provides basic maintenance services for patrol boats in addition to supporting search and rescue operations at sea”. Adesso che le navi europee si sono ritirate, mentre rimane incerta la sorte della missione NAURAS, quel centro di coordinamento, definito con un acronimo JRCC Libya, opera prevalentemente sulla base di segnalazioni provenienti da aerei ed elicotteri di ricognizione europei.

Il numero delle vittime in mare è sempre molto alto malgrado il calo consistente degli sbarchi. Sono state le ONG a testimoniare tragedie che, senza la loro presenza, sarebbero rimaste ignote. E per questo hanno subito attacchi sui social, fino al punto di far dubitare su  fatti accertati e documentati in modo inoppgnabile. Si hanno poche notizie invece di cadaveri di migranti raccolti sulle coste libiche, per naufragi avvenuti vicino alla costa, segno evidente che la cd. Guardia costiera “libica” aveva, ed ha ancora difficoltà a controllare persino le acque territoriali (12 miglia dalla costa), la stessa zona da tempo interdetta  alle ONG  (già per effetto del Codice di condotta Minniti del 2017). Ma ormai quello che era stato convenuto dal governo Gentiloni con le ONG solo un anno prima non vale più. E’ sempre più evidente l’utilizzazione degli avvistamenti aerei in acque internazionali, per allertare la guardia costiera libica ed aumentare il numero delle intercettazioni in alto mare a decine di miglia dalla costa. Fino a giugno il coordinamento formale restava alla centrale operativa della Guardia costiera a Roma, che però, dopo le segnalazioni pervenute dai mezzi aerei, indicava sempre più spesso la competenza ad intervenire delle motovedette libiche, qualificate come coordinatori SAR “on scene“.

3. A partire dal 28 giugno di quest’anno, con la comunicazione da parte delle autorità di Tripoli all’Organizzazione internazionale del mare (IMO) della’ avvenuta “creazione” di una zona SAR (ricerca e salvataggio) libica, e quindi di una fantomatica Centrale operativa di coordinamento congiunto (JRCC), mentre le autorità di Tripoli faticavano persino a controllare il territorio circostante la capitale, il ruolo della sorveglianza aerea affidata agli assetti presenti nelle missioni europee Frontex ed Eunavfor Med, sempre più in sinergia tra loro, ed ai mezzi aeronavali della Marina militare italiana cambiava ancora una volta.

Le navi militari europee che in passato avevano soccorso decine di migliaia di persone sulle rotte del Mediterraneo centrale venivano infatti ritirate o dislocate in zone più lontane dalle coste libiche, anche a seguito delle polemiche derivate l’8 luglio scorso dall’ultimo sbarco a Messina di una nave della missione Eunavfor Med. La sorveglianza aerea appariva intanto sempre più di supporto alle politiche di contrasto della presenza delle ONG nel Mediterraneo centrale, piuttosto che al compimento più tempestivo di operazioni di ricerca e salvataggio in sinergia con le unità navali, come in passato.

Le attività SAR della Guardia costiera italiana venivano drasticamente ridimensionate, e non si sono più svolte a 80-100 miglia a sud di Lampedusa, come negli anni tra il 2014 ed il 2017. Una volta avvistati i gommoni o i barchini più piccoli, a distanze sempre più elevate dalla costa libica, da ultimo anche 80 miglia, dunque a meno di 80 miglia da Lampedusa, la riconosciuta competenza SAR alle autorità di Tripoli comportava la dilazione del soccorso che le ONG o altre navi commerciali, o la stessa Guardia costiera italiana, avrebbero potuto operare più sollecitamente, per dare invece spazio libero alle attività di intercettazione delle motovedette libiche chiamate ad intervenire dalle centrali di coordinamento europee che ricevevano notizia degli avvistamenti aerei. Le telefonate di soccorso partite dai barconi calavano drasticamente e la maggior parte delle segnalazioni delle imbarcazioni cariche di migranti in situazione di distress derivava infatti proprio da avvistamenti aerei.

Nei casi dei soccorsi operati a luglio in acque internazionali dai rimorchiatori Vos Thalassa e Asso 28 la responsabilità di coordinamento delle operazioni era interamente affidata alla Centrale di coordinamento congiunto (JRCC) della Guardia costiera di Tripoli, sebbene nel caso del rimorchiatore Asso 28 si trattasse di una imbarcazione italiana di servizio ad una piattaforma petrolifera offshore sita in acque internazionali. Di fatto si realizzavano veri e propri respingimenti collettivi, con il pretesto della presenza di agenti libici a bordo della stessa piattaforma, e poi sul rimorchiatore in rotta verso Tripoli. Era ormai evidente che la creazione di una “zona SAR libica”, serviva ad esonerare dagli obblighi di salvataggio le autorità italiane che, pure informate degli eventi di soccorso in acque internazionali, delegavano gli interventi di ricerca e le successive attività di sbarco ai libici. Anche se era evidente che la Guardia costiera “libica”, con i pochi mezzi disponibili, non era in grado di presidiare l’enorme zona SAR che si era attribuita ed operava solo su segnalazione dei target da intercettare.

Per questo motivo la sorveglianza navale italiana nella zona delle piattaforme offshore (missione Mare Sicuro), a circa 70 miglia dalla costa libica, veniva ridimensionata e sostituita dalla sorveglianza aerea che non impegnava i mezzi impiegati a compiere attività di salvataggio in mare. In tutte le succssive vicende di soccorso verificatesi nel mese di agosto i primi avvistamenti in acque internazionali venivano operati da assetti aerei militari, che successivamente avvertivano le autorità libiche tramite la Centrale operativa di coordinamento (IMRCC) della Guardia costiera italiana. Nessuna unità navale italiana appartenente alla Guardia costiera o alla Marina militare, con la sola eccezione del caso Diciotti, sbarcava in porti italiani migranti soccorsi nella SAR maltese o in quella zona SAR che ormai si riconosceva alla Libia, meglio al governo di Tripoli.

La vicenda dell’arresto di alcuni pescatori tunisini, inputati di agevolazione dell’ingresso irregolare, dopo avere operato un intervento di soccorso, al di là della rimessione in libertà degli imputati e del sequestro del peschereccio, a Licata, ancora in corso come il relativo procedimento penale, evidenzia, anche in questo caso su base documentale, come dopo il primo avvistamento operato da un aereo a decollo verticale inserito nella missione Themis di Frontex, non si sia intervenuti per oltre 10 ore con un attività di soccorso. Ma si siano tracciati il battello dei soccorritori ed il barchino dei migranti al solo fine di contestare, una volta al limite delle acque territoriali italiane, il reato di immigrazione clandestina e procedere agli arresti di chi aveva soccorso vite umane in mare.

Come scrive il pubblico ministero nella sua richiesta, in data 29 agosto 2018, alle ore 14.10, «il velivolo “OSPREYY02”, assetto aereo operante nella cornice del dispositivo Frontex nelle acque del canale di Sicilia, aveva avvistato, a circa 84 miglia a Sud di Lampedusa, in area SAR libica, un natante con circa 10/15 soggetti a bordo al traino di un peschereccio recante nominativo arabo diretto a Nord, verso le coste della Sicilia, alla velocità di 7 nodi circa». Il dettaglio processuale fotografa una situazione ormai ricorrente nelle acque del Mediterraneo centrale. In questo caso però le contraddittorie evidenze dei video ripresi dall’aereo di Frontex, che in alcuni fotogrammi mostravano chiaramente i soccorritori intenti a pescare con le reti calate in mare, in contrasto con il “traino dall’Africa” contestato dalla procura, non avevano permesso di utilizzare sino in fondo elementi probatori che apparivano parziali e con evidenti salti temporali. Di certo quanto successo ai pescatori tunisini conferma il ruolo del monitoraggio aereo e potrà dissuadere dall’intervento di soccorso altri pescatori che si trovino vicino ad imbarcazioni cariche di migranti in situazione di distress, ed indurli ad allontanarsi, come alcuni testimoni hanno già denunciato da anni.

L’allontanamento imposto alle ONG operanti in passato nel Mediterraneo centrale ha radicalmente cambiato gli scenari delle operazoni di ricerca e salvataggio ed ha comportato un numero assai elevato di morti e dispersi. 

4. Arriviamo così all’ulteriore deterioramento della situazione dei soccorsi in alto mare che si registra in questi ultimi giorni, dopo un’estate segnata da una vera e  propria guerra condotta con tutti i mezzi contro le imbarcazioni di soccorso delle ONG, sequestrate a Malta, come la Seawatch 3, o diffidate dall’entrare nei porti italiani, pena altri sequestri ed altri arresti. Da ultimo si è fatto ricorso anche alle pressioni degli stati di bandiera per ottenere la cancellazione dai registri navali e dunque il fermo delle navi umanitarie. Un estate nera che ha segnato un record ( in percentuale agli sbarchi) del numero delle vittime,quasi una persona su 8 partite dalla Libia, ha perso la vita in mare. Corpi umani usati come merce di scambio per le richieste italiane all’Unione Europea.

Negli ultimi giorni le imbarcazioni delle poche ONG ancora operative nel Mediterraneo centrale sono state ancora testimoni di attività di intercettazione da parte delle motovedette libiche che hanno riportato oltre 114 migranti a Khoms, ma hanno costretto le autorità maltesi ad intervenire, una volta che le imbarcazioni provenienti dalla Libia hanno superato il limite della vastissima zona SAR riconosciuta a Malta, un tratto di mare peraltro assai controverso, perchè in parte sovrapposto alla zona SAR italiana. Un primo e poi un secondo intervento. In due giorni sono stati soccorsi dai maltesi oltre 214 migranti, Malta ha solo 600.000 abitanti, come se in Italia fossero arrivate oltre 20.000 persone.

Le autorità italiane si sono ben guardate dall’inviare mezzi di soccorso in quella che ritengono come zona SAR maltese, dopo la decisione politica del governo di “chiudere i porti” anche ai mezzi che avevano operato soccorso in acque internazionali. Decisione alla quale è corrisposto, dopo il caso Diciotti, il fermo delle unità della Guardia costiera e la limitazione della loro area di attività, che prima giungeva fino a 100 miglia a sud di Lampedusa, al solo limite delle acque territoriali (24 miglia dalle coste). Come si è avuto modo di verificare nell’ultima vicenda dell’arresto dei soccorritori tunisini contro i quali in  acque internazionali, ben oltre la cd. zona contigua italiana, sono stati inviati mezzi della Guardia di finanza e non della Guardia costiera che si è limitata a prestare i soccorsi ai naufraghi all’interno delle acque territoriali italiane a sud di Lampedusa. Quanto avvenuto in questi ultimi giorni non potrà che rendere roventi i rapporti con Malta ed accrescere l’isolamento dell’Italia in Europa.

Come riferisce il quotidiano “La Repubblica”, le poche unità delle organizzazioni non governative hanno subito un continuo tracciamento da parte di assetti aerei riconducibili alle missioni Frontex ed Eunavfor Med, senza che i vertici di queste operazioni inviassero imbarcazioni di soccorso per sottrarre i migranti, ormai al limite delle acque territoriali maltesi, al rischio di essere ripresi dalla guardia costiera libica e riportati a terra. Dove poi vengono riconsegnati alle unità antimmigrazione, per finire quindi nei famigerati centri di detenzione, inclusi quelli “governativi” di cui tutti denunciano le condizioni disumane, salvo poi ad avallare in diverso modo le attività di intercettazione in mare delegate dagli stati europei alle motovedette libiche.

Come ricorda La Repubblica, ” lunedì mattina l’equipaggio del Mare Jonio che pattuglia una zona di mare lontana 80 miglia dalla Astral è stato svegliato di buon’ora dal volo indiscreto di un Seagull, un aereo dell’operazione europea Sofia (l’iniziativa di pattugliamento anti trafficanti) che continuava a sorvolare il rimorchiatore a bassa quota. Dopo alcuni minuti, via radio, è cominciato uno strano interrogatorio, con il pilota che chiedeva tutti i dati dell’imbarcazione, dell’equipaggio, della rotta, persino dell’agenzia marittima a cui era appoggiata la logistica dell’imbarcazione. “Mancavano solo il segno zodiacale e il colore preferito del comandante”, scherzano dal ponte raccontando l’accaduto”.

Secondo la stessa fonte, “domenica mattina più o meno alla stessa ora gli ospiti dell’Astral – tra cui, occasionalmente, la manciata di giornalisti internazionali al seguito del Progetto Mediterranea – erano stati sorpresi dal frastuono di un Hercules dell’aeronautica spagnola in missione Sar (search and rescue) che ha passato due ore buone a volare a bassa quota in cerchio intorno alle quattro imbarcazioni che in quel momento partecipavano alla spedizione italiana (oltre al veliero Astral e al rimorchiatore Mare Jonio c’era lo Jana, un Bavaria 50 a vela, mentre il Burlesque, la quarta imbarcazione, era tornato a terra per sbarcare una troupe di Bbc). Che tipo di attività abbiano svolto per davvero i due aerei militari non è immaginabile. Sia gli attivisti di Open Arms sia quelli di Mediterranea danno per scontato che si sia trattato di manovre ostili e dal sapore vagamente intimidatorio”.“Scattano foto e girano video”, spiegano, “vogliono documentare, per qualsiasi evenienza, i movimenti delle imbarcazioni in acque di competenza libica”.

Si vuole evidentemente impedire che i migranti soccorsi in acque internazionali possano essere recuperati dalle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative con una sorta di ” alleanza” tra Italia, Malta ed autorità di Tripoli. Sempre su La Repubblica Riccardo Gatti, comandante della nave Astral di Open Arms, ne spiega le ragioni: ” A tale scopo – si prodiga quotidianamente la suddetta alleanza, dispiegando in acqua tutto un sofisticato armamentario di informazioni e disinformazioni, rimandi e trappole via radio, che servono semplicemente a ostacolare il lavoro delle ong. Una sorta di guardia e ladri, insomma, ma alla rovescia. Le tecniche sono le più svariate, sì va dall’occultamento degli sos, al depistaggio vero e proprio. In soli tre giorni di missione il giochino è riuscito già due volte, secondo quanto sono riusciti a testimoniare i giornalisti a bordo. La prima, il 5 ottobre.

Quando, alle 18, il Colibrì – un aereo biposto che collabora con Sea Watch – segnala la presenza di un gommone con 20-40 persone a bordo. La Mare Jonio contatta subito il Maritime rescue coordination center (Mrcc) italiano che però non emette nessuna segnalazione di “distress”, imbarcazione in pericolo, limitandosi a dire molto prontamente che “il coordinamento dell’intervento era già stato assunto dalla Guardia Costiera libica”. Arrivati comunque sul posto (le ong internazionali non ritengono la Libia un porto sicuro) gli attivisti di Mediterranea non hanno trovato nessun gommone: era già stato riportato indietro dai libici. Cosa della quale la Mrcc italiana ha dato notizia solamente alle 22.10, quando buona parte della giornata di ricerche era stata buttata via.

Continua Gatti, “Il giorno successivo, la replica. Più o meno allo stesso orario, via radio, la Mare Jonio riceve un messaggio di “distress” da Malta, a cinquanta miglia di distanza nella direzione opposta a quella in cui sta navigando. Erano mesi che Malta non inviava segnalazioni del genere. Immediatamente la nave italiana inverte la rotta. Ma dopo un paio d’ore di navigazione arriva, sempre via radio, il contrordine: la capitaneria di Malta ha già fatto l’intervento salvando 120 persone. Nel frattempo però l’intera spedizione aveva deviato dalla rotta originale di più di una ventina di miglia e aveva compromesso l’intera giornata di ricerche”.

Dalle testimonainze dei giornalisti e degli operatori umanitari che si sono trovati per ore mezzi militari che volavano sulle loro teste, sembra proprio che le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare demandate ai mezzi militari di “law enforcement” ( Frontex ed Eunavfor Med, ma anche la nostra Marina militare), che in passato si estendevano ai soccorsi, anche in collaborazione con le navi umanitarie, vengano scambiate con le attività di monitoraggio su alcune ONG che si ostinano ancora a presidiare il Mediterraneo centrale, malgrado le diffide del governo italiano, in quella che, sulla carta, viene definita come la zona SAR libica. Ancora una volta come se il fine politico-giudiziario di portare sotto processo gli operatori umanitari che ancora sono presenti nel Mediterraneo centrale, fosse prevalente rispetto ai doveri di ricerca e soccorso imposti agli stati dalle Convenzioni internazionali.

5. Chi sta progettando altri processi ed altre gogne mediatiche contro gli operatori umanitari  utilizzando rilievi aerei, ricordi che tutta la materia dei soccorsi in mare è regolata, non solo dal Codice penale italiano, ma da Convenzioni internazionali ( come la Convenzione UNCLOS di New York del 1982, la Convenzione di Amburgo del 1979 e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951) oltre che da Regolamenti europei, che valgono per gli stati ( nel nostro paese in forza degli articoli 10,11 e 117 della Costituzione) come per le missioni Frontex ed Eunavfor Med. Presto l’Italia, o la stessa agenzia Frontex, se non i vertici di Eunavfor Med, potrebbero essere chiamati a rispondere di una precisa strategia di abbandono in mare, che trova consensi tra i fautori del cd. modello australiano (chiusura totale delle frontiere marittime e respingimenti imemdiati). Un “modello” vagheggiato da Salvini, ma che va in rotta di collisione con diversi punti del testo costituzionale, e con la priorità della salvaguardia della vita umana, riaffermata nei Regolamenti Frontex e nelle decisioni istitutive della missione Eunavfor Med, vincolanti per l’Italia, come per tutti gli altri paesi europei.

Si è arrivati al punto che le motovedette ed i mezzi veloci della Guardia costiera italiana sono tenuti fermi all’ormeggio, o vengono fatte operare all’interno delle acque territoriali, mentre potrebbero continuare a soccorrere migliaia di vite come hanno fatto con grande professionalità e con autentici atti di eroismo dal 2014 fino a pochi mesi fa. Si ritiene che per le attività mirate esclusivamente al contrasto degli arrivi in Italia sia più funzionale ricorrere esclusivamente agli assetti aerei europei che operano in collegamento con la JRCC ( Joint Rescue center) di Tripoli. Per questo le ONG devono essere spazzate via. Con ogni mezzo e a qualsiasi costo (umano). Non si può sostenere, però, che con la creazione della cd. zona SAR libica, le autorità italiane abbiano dismesso una capacità di intervento che le autorità di Tripoli evidentemente non hanno e non potranno mai avere, anche in considerazione della situazione di conflitto armato che caratterizza la capitale e le principali città portuali dalle quali vengono fatti partire i migranti, con la complicità delle stesse milizie che controllano i territori ed i traffici di petrolio e di armi.

Occorre che l’IMO faccia chiarezza sulla attuale effettiva ripartizione delle zone SAR, soprattutto nella patrte sovrapposta, condivisa tra Malta ed Italia e sulla pretesa “zona SAR libica”, oltre che sugli organi di coordinamento tra stati per le attività SAR ( ricerca e soccorso in mare).  Questo riguarda anche il ruolo degli assetti aerei che avvistano imbarcazioni cariche di migranti in acque internazionali.

Per il 2019 è prevista l’entrata in attività di “law enforcement” di un aereo specificamente acquistato dalla Guardia di finanza. Gli operatori a bordo dei mezzi aerei italiani e stranieri non si possono limitare a dichiarare che le imbarcazioni procedono in buono stato di galleggiamento, per tracciare soltanto le imbarcazioni sospettate di agevolare l’ingresso in Italia. Ogni imbarcazione carica di migranti e senza dotazioni di sicurezza a norma SOLAS, che si trovi in alto mare, è in una situazione di distress e va immediatamente soccorsa, a prescindere dalle condizioni del mare, Va chiarita la sovrapposizione tuttora ricorrente tra la zona SAR italiana e la zona SAR riconosciuta a Malta, con i problemi di cordinamento tra i diversi (MRCC) comandi centrali delle guardie costiere, a Roma e a La Valletta, emersi da ultimo nel caso Diciotti. Come è noto Malta non ha aderito alle Linee guida dell”IMO che fissano la responsabilità di indviduare il luogo di sbarco in capo al paese a cui spetta la responsabilità di coordinare le attività SAR in acque internazionali.

Chi salva vite umane in mare non è mai un criminale, è criminale chi impedisce o ritarda le attività di soccorso imposte dalle Convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana che affermano il valore assoluto del diritto alla vita ed il divieto di respingimento collettivo. E’ bene che lo ricordino tutti gli operatori coinvolti nell’ avvistamento navale ed aereo e chi ne determina le attività.


ECCO LA “LIBIA”, PAESE TERZO SICURO, CON IL QUALE COLLABORARE PER RESPINGERE PERSONE MIGRANTI DA RICONSEGNARE ALLE MILIZIE.

LA POSIZIONE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI MOAVERO

“In senso stretto e giuridico – ha spiegato Moavero Milanesi rispondendo ad una domanda durante la conferenza stampa con la collega norvegese –  la Libia non può essere considerata porto sicuro, e come tale infatti viene trattata dalle varie navi che effettuano dei salvataggi. La nozione di porto sicuro e di Paese sicuro è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia”.

LA POSIZIONE DELL’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI.

UNHCR dismayed as traffickers, smugglers impersonate staff in Libya amid clashes in Tripoli.

UNHCR, the UN Refugee Agency, is dismayed at reports of smugglers and traffickers posing as UNHCR staff in Libya and calls on the authorities for action against all criminals trying to target desperate refugees and migrants.

Reliable reports by our sources and refugees suggest that traffickers and smugglers are impersonating UN staff, including UNHCR, at different locations in Libya. These criminals were spotted at disembarkation points and smuggling hubs, using vests and other items with logos similar to that of UNHCR.

UNHCR information comes from refugees who report having been sold to traffickers in Libya, and subjected to abuse and torture, including after having been intercepted at sea. UNHCR is collecting more information and investigating these allegations.

In Libya, UNHCR and its partners are present at official disembarkation points to provide lifesaving humanitarian and medical assistance to refugees and migrants, including food, water and clothes.

Once the smuggled passengers are back on land, the Libyan authorities transport them to detention centres, managed by the Directorate for Combatting Illegal Migration (under the Ministry of Interior). UNHCR teams are also present there to monitor the situation, aid and identify the most vulnerable in order to try to find solutions, especially in third countries.

UNHCR is not engaged in transferring refugees from disembarkation points to detention centres.

In Tripoli, the situation of refugees and migrants living in urban areas or detained has dramatically deteriorated in recent weeks, due to heavy clashes in the Libyan capital.

UNHCR has received reports of unspeakable atrocities committed against refugees and asylum-seekers in the streets of Tripoli, including rape, kidnapping and torture. One woman told UNHCR that unknown criminals kidnapped her husband and then raped her and tortured her one-year-old baby. She said the child was stripped naked and sexually harassed by the criminals.

Many refugees were detained in areas close to the clashes and were at risk of being a collateral damage if rockets hit the centres. Thousands escaped detention centres, in a desperate attempt to save their lives.

UNHCR is opposed to the detention of refugees and asylum-seekers, but it is present in places where refugees are located to provide them with life-saving assistance.

UNHCR strongly calls for alternatives to detention to be put in place, including the immediate use of the Gathering and Departure Facility in Tripoli, which will serve as a platform to find safety in third countries, and which will be managed by the Libyan Ministry of Interior and by UNHCR. The facility has the capacity to host 1,000 vulnerable refugees and asylum-seekers and is ready for use.

UNHCR is further calling for strong institutional action to hold smugglers and traffickers accountable.


VERSO LA CONFERENZA DI PALERMO A NOVEMBRE

Roma, 8 ott. (askanews) – “A poco più di un mese dalla sua apertura, la Conferenza internazionale sulla Libia – che l’Italia intende organizzare a Palermo il 12 e 13 novembre prossimi – presenta più incognite che certezze. La diplomazia italiana è al lavoro da settimane per assicurare una partecipazione ad alto livello di tutti gli attori coinvolti. Ma motivi d’agenda, ragioni d’opportunità e scelte strategico-politiche non hanno ancora permesso di stilare una lista – seppur ufficiosa – degli ospiti. Un ritardo che implica conseguenze anche per l’organizzazione e la gestione della sicurezza della Conferenza, dei suoi partecipanti e delle delegazioni, in un momento in cui – tra l’altro – sono in scadenza i vertici dell’intelligence.

LA QUESTIONE SICUREZZA. LE PERPLESSITA’ DEGLI ESPERTI

Non una questione di poco conto, questa. Alcune perplessità sono state segnalate, in particolare, sulla possibilità di organizzare, in poco più di un mese, un apparato di sicurezza che per forza di cose dovrà essere articolato e accurato. Luoghi, percorsi, residenze dovranno essere scelti, monitorati, bonificati e sorvegliati prima e durante la conferenza, fino alla partenza di tutte le delegazioni. Un impegno organizzativo che richiede uno sforzo imponente, in termini di uomini e risorse, ma anche enormi responsabilità. E il momento non è dei più propizi, con i vertici del Dis (Alessandro Pansa) e dell’Aise (Alberto Manenti) in scadenza di mandato. Il rischio – che secondo Repubblica lo stesso Manenti avrebbe segnalato al governo giorni fa – è di non essere considerato “un interlocutore affidabile” con le controparti libiche.

DIPLOMAZIA AL LAVORO: L’INCOGNITA DEI PARTECIPANTI

Quel che sembra chiaro a tutti è che la riuscita o meno della Conferenza dipende, in buonissima parte, dal livello dei partecipanti. Se l’obiettivo annunciato e ambizioso è quello di organizzare un evento “più ampio” rispetto all’ultima riunione di Parigi, la speranza è di elevare la Conferenza al livello presidenziale. “E’ stato invitato anche il presidente russo Vladimir Putin”, ha confermato oggi il ministro degli Esteri Enzo Moavero, in missione a Mosca. Ma, “per ora”, il viaggio in Sicilia non è nei piani del leader del Cremlino, ha spiegato Sergey Lavrov. Mosca deve ancora studiare il dossier, poi prenderà una decisione su chi inviare. Una posizione comune, questa, ad altre cancellerie.

Più facile che, alla fine, si opti per una ministeriale, sebbene anche in questo caso la nebbia resti piuttosto fitta. Fonti contattate da askanews hanno spiegato che anche a Washington, al momento, si naviga a vista. La presenza di Mike Pompeo è tutt’altro che scontata e, seppure non esclusa del tutto, sarà valutata tenendo conto di una serie di fattori: l’agenda del capo della diplomazia statunitense, in quel periodo, è molto fitta; a inizio novembre, poi, ci saranno le elezioni di midterm e, se il voto non dovesse andare nella direzione auspicata da Washington, il mutato quadro politico potrebbe frenare una partecipazione degli Stati uniti a quel livello.

SARRAJ CI SARA’: MA “INUTILE INCONTRARSI SENZA RISULTATI”

Fondamentale sarà la presenza dei principali attori libici. Il capo del governo di Accordo nazionale, Fayez al Sarraj, sostenuto dall’Onu e dalla comunità internazionale, ha già detto che ci sarà, ed ha sollecitato una conferenza “ben preparata”: “inutile incontrarsi senza risultati, sarebbe controproducente”, ha avvertito a settembre dopo un colloquio con Moavero. Ma Sarraj appare sempre più debole e incapace di portare a compimento quel processo politico che l’Onu e il suo inviato Ghassam Salamé hanno immaginato per far uscire il Paese dalla crisi. Realizzare l’obiettivo di aiutare a ristabilire una situazione che consenta alla Libia di proseguire in una positiva evoluzione politica sotto l’egida delle Nazioni unite – magari evitando, come ormai appare scontato, le elezioni il 10 dicembre – sarebbe già un successo per il primo ministro di Tripoli.

KHALIFA HAFTAR: I SILENZI DI UN ATTORE “IMPRESCINDIBILE”

Molto dipenderà dal suo principale avversario, il generale Khalifa Haftar. L’uomo forte della Cirenaica non ha confermato la sua presenza, ha solo manifestato il suo “interesse”, senza spingersi oltre. Ricevendo il ministro italiano a Bengasi, ha espresso apprezzamento per l’impegno di Roma ed ha assicurato di essere pronto a dare il suo contributo per supportare attivamente la sicurezza, la stabilizzazione e il dialogo nel Paese, per il bene di tutti i libici. Ma non ha detto se andrà a Palermo. La sua presenza sarà certamente vista come una legittimazione delle pretese italiane di far parte a pieno titolo, e con un ruolo guida, alla cabina di regia sul futuro della Libia. Non partecipare, invece, significherebbe rafforzare l’asse con Emmanuel Macron e la sua Francia.

LA PARTITA DI MACRON E LE STRATEGIE DI USA E RUSSIA

Quella stessa Francia che – secondo il ministro Moavero – avrebbe condiviso con l’Italia l’idea di organizzare una conferenza internazionale sulla Libia. Ma Parigi, ormai è chiaro, sta giocando la sua partita da tempo. Per avere i ricchi premi del petrolio libico ha sposato in toto la politica delle sanzioni americane contro la Repubblica islamica d’Iran. La sponda con Washington avrebbe per Macron un duplice effetto: indebolire l’Italia sul fronte libico e suggerire all’alleato americano e al suo presidente Donald Trump che, in fondo, non vale poi così tanto la pena sostenere con convinzione – come promesso durante un incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – la leadership dell’Italia per la gestione della crisi in Libia.

In questo contesto, con il ruolo di mediazione dell’Onu e dell’Unione europea al momento poco concludente, decisiva può risultare l’azione di Mosca, sempre più determinata a giocare la sua partita. Mosca è concorde con Roma nel ritenere che occorre evitare “ultimatum e scadenze forzate” alla Libia. “Russia e Italia mantengono un dialogo strutturato a diversi livelli sulla problematica libica. Crediamo che sia un imperativo obbligato quello di lavorare con tutte le forze libiche, mentre l’altro principio che ci guida, e che è condiviso anche dall’Italia, è evitare ultimatum e scadenze artificiose” nel processo politico che porti alla stabilizzazione della Libia, ha spiegato oggi Lavrov.

Importante sarà, poi, la capacità di Mosca di intervenire, in maniera convincente, con l’Egitto, l’altro grande protagonista dello scacchiere regionale. Il Cairo è il principale sponsor di Haftar, dunque la linea scelta dall’Egitto potrebbe finire per influenzare in maniera preponderante le decisioni del generale libico in vista della conferenza di Palermo”.