Ministri “disobbedienti” e soccorso umanitario. Le raccomandazioni dell’Agenzia Europea per i diritti fondamentali

di Fulvio Vassallo Paleologo

Dopo gli attacchi contro le ONG che operano soccorsi sulle rotte del Mediterraneo centrale, sfociati nella cd. “chiusura dei porti”, imposta per canali informali dal ministro dell’interno e vicepresidente del Consiglio, adesso arriva la minaccia della chiusura degli aeroporti, rivolta alla Germania che vorrebbe ritrasferire in Italia alcune decine di migliaia di richiedenti asilo. In applicazione di quel Regolamento Dublino III che le stesse forze politiche, oggi al governo, in Italia hanno mantenuto, con le posizioni assunte in seno al Parlamento europeo.

La strategia di attacco del governo italiano in vista delle prossime elezioni europee dimostra così una saldatura tra l’attacco alla solidarietà, con la criminalizzazione degli operatori umanitari che, in acqua ed in terra, prestano assistenza ai migranti, e la reiterata violazione dei doveri imposti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei, in materia di soccorso in mare e protezione internazionale ( incluso il vigente Regolamento Dublino III). Sembra che non interessi a nessuno la sorte dei migranti intrappolati in una Libia, nella foto il centro di detenzione di Tripoli, sempre più a rischio per gli scontri tra milizie.

La scelta di “disobbedienza” ai più elementari principi che tutelano i diritti umani e la vita delle persone, ma si tratta di gravi violazioni di leggi e di norme costituzionali, adottata dai ministri italiani, con ampio ricorso alla propaganda sui social,viene utilizzata per dimostrare una maggiore prestanza politica rispetto alle istituzioni europee e  i risultati del sovranismo italico, frutto del “governo del cambiamento”. Un governo che in realtà, in materia di immigrazione ed asilo, sta solo portando alle estreme conseguenze le politiche di sbarramento del precedente governo Gentiloni. Si deve all’iniziativa dell’allora ministro dell’interno Minniti( il cd. piano Minniti) la programmazione di tutte le iniziative che oggi Salvini sta mettendo in atto, arrivando a superare il limite costituito dal principio di legalità, come si è verificato nel caso Diciotti.

Nessuna soluzione è stata individuata per fare fronte alla drammatica situazione dei migranti intrappolati in Libia ed alle centinaia di vite perdute nelle acque del Mediterraneo, magari dopo una intecettazione da parte della sedicente Guardia costiera libica. Oltre i dati ed i rimpatri “volontari” assistiti, quali garanzie effettive per i diritti ed i corpi delle 600.000 persone migranti intrappolate in Libia? La Libia, o quello che ne rimane, non e’ un paese terzo “sicuro”. E non lo puo’ diventare con la presenza dell’Unhcr e dell’Oim nei cd. centri “governativi” o  in qualche punto di sbarco ( disembarkation point). Per chi viene bloccato in acque internazionali dalla sedicente guardia costiera “libica” la sorte e’ segnata. Per i governi europei, e per quello italiano in particolare, sono persone che non vanno soccorse, sono “clandestini”, un brutto termine che è rientrato nel linguaggio dei politici al governo.

Non rimane allora che la criminalizzazione di qualsiasi forma di solidarietà e la continua polemica con l’Europa, magari contando su un ribaltamento degli equilibri internazionali dopo le prossime elezioni del Parlamento europeo, fissate nel 2019. Ma è una polemica orientata contro le regole europee che stabiliscono con norme vincolanti obblighi di soccorso e doveri di solidarietà, una polemica che nasconde una sostanziale corresponsabilità. Oggi l’Unione Europea, condizionata dai paesi del gruppo di Visegrad, guidati da Orban, condivide con l’Italia le prassi illegali di respingimenti in alto mare delegati alla Guardia costiera libica, che si continua a finanziare, nella più totale indifferenza per la sorte dei migranti, intercettati in alto mare, anche a 80 miglia dalla costa libica come è successo ancora oggi, dove prima operavano le ONG ed i mezzi della guardia costiera italiana.

Persone, molti minori, donne già abusate, alcun in stato di gravidanza o con bambini molto piccoli, persone bloccate in mare e non certo “soccorse” come continuano a dire i media, esseri umani rigettati nei centri di detenzione dai quali erano riusciti a fuggire. Naufragi, torture, abusi di ogni genere non scalfiscono più le politiche ( e le pratiche) dell’odio che si stanno impadronendo del corpo sociale. Succede in Italia, con modalità magari più rozze che altrove, e succede in altri paesi europei come la Francia o la Germania. Persone che diventano merce di scambio per le competizioni elettorali o per regolare i rapporti di forza tra i governi, dento e fuori l’Unione Europea. Solo quest’anno la cd. Guardia costiera libica ha intercettato in mare oltre 14.000 persone, affidate alle Unità libiche antimmigrazione e rigettate nei centri di detenzione in mano alle milizie.

La criminalizzazione della solidarietà, come abbiamo detto rimane uno snodo centrale di queste politiche. Un recente documento dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali richiama tutti alla conoscenza di un quadro normativo che dovrebbe garantire lo stato di diritto ed il rispetto degli obblighi di soccorso da parte di tutti i governi europei. Un documento importante che contiene una sintesi assai efficace delle norme che i ministri “disobbedienti” violano ogni giorno in nome del contrasto dell’immigrazone irregolare, e richiama la priorità del diritto alla vita e del soccorso in mare, nella scala dei valori che dovrebbero essere alla base dell’attività politica, non meno che principio base della convivenza civile.

Non si può continuare a legittimare una zona di ricerca e salvataggio (SAR) attribuita ad un paese che non garantisce soccorsi e diritti umani, e che non è neppure uno stato unitario, solo per ridurre gli arrivi in Italia, magari a costo di abbandonare persone in mare. Se sono i ministri a stipulare, e ad applicare, accordi  bilaterali che calpestano i diritti fondamentali della persona, violando disposizioni di legge, per impedire l’ingresso in Italia di persone che avrebbero diritto ad accedere al nostro territorio per effetto di Convenzioni internazionali o di Regolamenti europei direttamente vincolanti in Italia, non si vede come poi si possa affermare da parte di quegli stessi ministri che le attività solidali di soccorso in mare e di assistenza a terra siano “illegali”. I veri “disobbedienti” sono i ministri che non rispettano gli obblighi di soccorso ed il diritto alla vita. Sono loro a violare leggi e convenzioni internazionali. Sono gli stessi politici che con il loro linguaggio d’odio fomentano le aggressioni razziste ai danni delle organizzazioni umanitarie, come da ultimo l’attacco dei rappresentanti di Generazione identitaria alla sede di Marsiglia di SOS Mediterraneè, poche ore dopo il rientro in porto della nave,privata della bandiera panamense per le pressioni sulle autorità marittime di Panama, esercitate dal governo italiano.

Se il valore della vita umana viene piegato a fini politici, come sta avvenendo nel caso dei soccorsi in mare interdetti con la cd. “chiusura dei porti”, o con le pressioni improprie sui paesi di bandiera delle navi delle ONG, siamo già dentro un passaggio politico che porterà verso una soluzione autoritaria e ad uno scontro sociale dalle conseguenze imprevedibili. La vera disobbedienza civile oggi si colloca nell’alveo dello stato di diritto e del rispetto dei principi costituzionali. Su questa trincea si difende la democrazia in Italia ed in Europa. Per affermare il rispetto del diritto alla vita e del principio di solidarietà sociale.


Fundamental rights considerations: NGO ships involved in search and rescue in the Mediterranean and criminal investigations ( qui vedi i link)

This note draws attention to the recent trend of criminalising search and rescue operations (SAR) in the Mediterranean Sea carried out by non-governmental organisations (NGOs) or other private entities. This includes seizing rescue vessels, as well as arrests for crew members, in some EU Member States. Most of such incidents concerned NGOs operating in the Central Mediterranean Sea.
Legal actions against NGOs and volunteers involved in search and rescue at sea based on domestic criminal or administrative law must be implemented in accordance with the relevant international, Council of Europe and EU fundamental rights law and refugee law standards. This requires making the delicate distinctions between real smugglers and those enforcing the human rights imperative of saving lives at sea, either by acting out of humanitarian considerations and/or by following international obligations for rescue at sea. National authorities and courts need to find a right balance between applicable international and EU law, and national law, as complemented by non-legally binding guidance, such as the Italian Code of Conduct and similar domestic instructions. The 2017 UNHCR guidance on search and rescue operations at sea (link is external), including the non-penalisation of those taking part in these activities, gives useful guidance in this regard.

The note provides an overview of recent criminal investigations in Greece, Italy and Malta against NGOs owning these search and rescue ships and/or against individual crew members. It draws on past FRA materials on the non-criminalisation of persons engaging with migrants in an irregular situation for humanitarian reasons. A 2014 FRA paper recommended that European Union (EU) Member States should implement the Facilitation Directive (Directive 2002/90/EC) in a fundamental rights compliant manner, and practical guidance should be developed for this purpose. The paper emphasised that such guidance needs to explicitly exclude punishment for humanitarian assistance ‘at entry’ to the EU of migrants in an irregular situation, including when rescuing at sea.

Recent EU policy developments have brought this issue again to the forefront, as activities to implement the EU Action Plan against migrant smuggling (2015-2020) continued and intensified. In March 2017, the European Commission published its evaluation of the Facilitation Directive and Council Framework Decision 2002/946/JHA. It concluded that there is no need to revise the EU facilitation acquis, but clearly acknowledged that some actors, including civil society organisations involved in search and rescue operations at sea, perceive a risk of criminalisation of humanitarian assistance.

Providing assistance to people in distress at sea (search and rescue – SAR) is a duty of all states and shipmasters under international law. Core provisions on SAR at sea are set out in the 1974 International Convention for the Safety of Life at Sea (link is external) (SOLAS), the 1979 International Convention on Maritime Search and Rescue (link is external) (SAR Convention), and the 1982 UN Convention on the Law of the Sea (link is external) (UNCLOS). In general, the shipmaster (of both private and government vessels) has an obligation to render assistance to those in distress at sea without regard to their nationality, status, or the circumstances in which they are found. The 1979 SAR Convention obliges States to establish maritime rescue coordination centres (MRCC) and outlines operating procedures to follow in the event of emergencies and during SAR operations. Based on state information, the International Maritime Organisation (link is external) divided the world’s oceans into different SAR zones, each with its own coordination party.

All EU Member States except Ireland have ratified the UN Smuggling of Migrants Protocol (link is external) (2000), which supplements the UN Convention against Transnational Organised Crime (link is external) (2000). It requires states to criminalise the procurement of irregular entry or residence of migrants to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit (Article 6). Aggravating circumstances should be established if there is a threat to the lives or safety of migrants, or in the case of inhuman or degrading treatment (Article 6 (3) (a) and (b)). According to the Interpretive Notes (link is external) to the UN Smuggling of Migrants Protocol (paragraph 92), the reference to financial or other material benefit for the perpetrator is intended to exclude family members (this line was followed by the European Court of Human Rights in Mallah v. France (link is external), paragraphs 33-42), or other support groups such as religious or non-governmental organisations from punishment.

Under EU law, the Facilitation Directive and its accompanying Framework Decision 2002/946/JHA further specify these obligations. This so-called ‘EU Facilitation Package’ obliges EU Member States to punish anyone who assists a person to irregularly enter, transit or stay in the territory of a Member State. Member States may, however, refrain from punishment if the aim of enabling the migrant in an irregular situation to enter or transit through the country is to provide that person with humanitarian assistance (Article 1 (2) of the Facilitation Directive). The Regulation establishing the European Border and Coast Guard (Regulation (EU) 2016/1624) also recognises that the Facilitation Directive mandates Member States to refrain from imposing sanctions where the aim of the behaviour is to provide humanitarian assistance to migrants (Recital (19)). In July 2018, the European Parliament formulated guidelines for Member States to prevent humanitarian assistance from being criminalised. In addition, failure to respect the duty to rescue is usually a criminal act in several EU Member States, as FRA found in its 2013 report on Fundamental rights at Europe’s southern sea borders (p. 35). However, FRA research has highlighted the risk that EU Member States’ domestic legislation on the facilitation of entry and stay of irregular migrants may lead to the punishment of those who provide humanitarian assistance, as well as private entities carrying out SAR operations at sea.

Migrant smuggling, including facilitation of irregular entry is punishable in all 28 EU Member States. Following the broad definition under the Facilitation Directive, legislation in the overwhelming majority of Member States does not require financial gain or other material benefit for such an act to be a punishable offence. National legislation often does not reflect the safeguard in Article 1 (2) of the Facilitation Directive, which allows Member States not to impose sanctions when irregular entry of migrants is facilitated for humanitarian purposes. As of now, the domestic law of only nine EU Member States exempts certain acts carried out to facilitate entry for humanitarian purposes from punishment for migrant smuggling, according to the Commission’s 2017 evaluation report on the ‘EU Facilitation Package’.

The EU Agency for Fundamental Rights has been working extensively on the issues of facilitation of irregular entry, humanitarian assistance and fundamental rights – see the reports on the rights of migrants in an irregular situation (Chapter 5), Europe’s southern sea borders (Chapter 2), criminalisation of migrants in an irregular situation and of persons engaging with them, as well as the 2018 Fundamental Rights Report (Sub-section 6.3.3). In these reports, FRA has repeatedly underlined that actions against migrant smuggling must not result in punishing people who support migrants on the move for humanitarian considerations, including persons working for NGOs saving lives during search and rescue operations. The same principle is recalled by the 2018 UN Principles and Guidelines, supported by practical guidance, on the human rights protection of migrants in vulnerable situations (link is external) (Principle 4.7), elaborated jointly by the Global Migration Group and the Office of the High Commissioner for Human Rights of the United Nations. In this context, it is to be highlighted that fully respecting the right to life (Article 2 of the Charter of Fundamental Rights of the EU and the European Convention on Human Rights) and the duty to save lives at sea (enshrined in multiple maritime law treaties, such as the 1974 SOLAS Convention, the 1979 SAR Convention and the 1982 UNCLOS) rest primarily on EU Member States. These obligations of fundamental character cannot be circumvented under any circumstances, including for considerations of external border controls.

In the Central Mediterranean Sea, vessels deployed by civil society organisations have played an important role in search and rescue at sea. For instance, according to an inquiry by the Italian Senate, during the first six months of 2017 (1 January-30 June), some 10 vessels deployed by NGOs rescued more than a third of the persons (link is external) rescued at sea in this period (33,190 of the 82,187 persons). In the year 2017 and until June 2018, such NGO vessels carried out roughly 40 % of all rescues, the Italian Coast Guard (link is external) reported.
Nevertheless, allegations that some NGOs are cooperating with smugglers in Libya prompted a shift in perceptions of their contribution. The Italian Senate, which examined this issue in detail (link is external) in the spring of 2017, dismissed such allegations. It found that NGOs were not involved directly or indirectly in migrant smuggling, but recommended better coordination of their work with the Italian Coast Guard.

In the downloadable file at the bottom of the page, table 1 gives an overview of all NGOs and their vessels and reconnaissance aircrafts involved in search and rescue operations during the past years in the Mediterranean. It shows that only a few NGO rescue vessels were operational in August 2018 due to various reasons, including ship seizures ordered by the EU Member State authorities of disembarkation. None of them was deployed in Italy’s SAR zone as of the end of August 2018.

Building on the EU Action Plan of July 2017 to support Italy and reduce pressure along the Central Mediterranean route (link is external), a Code of Conduct for NGOs involved in search and rescue activities was drawn up last summer, in consultation with the European Commission and some of the relevant NGOs. The Code of Conduct (link is external) prohibits NGOs from entering Libyan territorial waters, envisages the presence of police officers aboard NGO vessels, bans NGOs to communicate with smugglers, forbids NGOs to switch off their transponders, and obliges them not to obstruct the Libyan coast guard. Several civil society organisations criticised (link is external) the code, arguing that it would increase the risk of casualties at sea. Some NGOs signed the code, while others – such as Médecins Sans Frontières or Jugend Rettet – refused (link is external), indicating that it mixes EU migration policies with the imperative of saving lives at sea.

Since the summer of 2017, the Italian authorities have started taking measures, including seizing ships and launching criminal as well as administrative investigations to address actions by NGO-deployed vessels considered to exceed their rescue-at-sea activities. Some actors consider certain practices that some SAR NGOs follow as blurring the lines when it comes to the legality of such actions. During the summer of 2018, Malta also initiated investigations and blocked search and rescue operations by NGOs off their coasts and in the adjacent airspace. Humanitarian helpers taking part in rescue at sea activities became target of investigations and criminal charges in Greece as well. These legal proceedings and administrative measures have to deal with the delicate question of determining the scope of acts covered by the humanitarian exception clause excluding punishment for what would otherwise be deemed smuggling of migrants.

In the downloadable file at the bottom of the page, table 2 portrays the ongoing or closed investigations and criminal proceedings against the rescue vessels concerned and/or its individual crew members, of which FRA is aware (having reviewed publicly available sources). It shows that most opened cases ended with an acquittal or were discontinued due to the lack of evidence.

The criminalisation of SAR NGOs has become a significant phenomenon in the EU. As Table 2 demonstrates, it concerns three of the four EU Member States – Greece, Italy, Malta and Spain – which are affected by irregular arrivals by sea in the Mediterranean. In these EU countries, NGO ships rescuing migrants at sea have been seized, and investigations and criminal proceedings have been initiated against crew members of such vessels and other private individuals taking part in rescue operations. The increasing number of legal actions against NGOs has contributed to a drop in dedicated and effective search and rescue assets in the Mediterranean at a time when death at sea remain high (see figure 1). In the downloadable file at the bottom of the page, figure 1 shows, although the total number of arrivals by sea decreased in 2018, the proportion of deaths compared to the total number of arrivals increased in 2018 compared to 2017. When comparing the first eight months of 2018 (January-August) to the same period of 2017, this ratio increased from 1.85 % to 2.13 %, according to data (link is external) collected by the International Organisation for Migration (IOM).

FRA will continue to follow closely further developments, also through its periodic overviews of migration-related fundamental rights concerns covering 14 selected EU Member States, including Italy and Greece.

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Fundamental rights considerations: NGO ships involved in search and rescue in the Mediterranean and criminal investigations ( qui vedi i link)

(Traduzione non ufficiale)

Questa nota attira l’attenzione sulla recente tendenza a criminalizzare le operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mediterraneo condotte da organizzazioni non governative (ONG) o da altri soggetti privati. Ciò include il sequestro di navi di salvataggio e gli arresti per membri dell’equipaggio in alcuni Stati membri dell’UE. La maggior parte di tali incidenti riguardava ONG operanti nel Mediterraneo centrale.

“Le azioni legali contro le ONG e i volontari coinvolti nella ricerca e soccorso in mare sulla base del diritto penale o amministrativo nazionale devono essere attuate conformemente alle pertinenti norme internazionali, al Consiglio d’Europa e ai diritti fondamentali dell’UE e agli standard di legge sui rifugiati. Ciò richiede la delicata distinzione tra veri trafficanti e coloro che osservano l’imperativo dei diritti umani di salvare vite in mare, agendo per scopi umanitari e / o seguendo gli obblighi internazionali di salvataggio in mare. Le autorità e i tribunali nazionali devono trovare un giusto equilibrio tra diritto internazionale applicabile e diritto dell’UE e diritto nazionale, integrato da orientamenti non giuridicamente vincolanti, come il Codice di condotta italiano e istruzioni interne analoghe. Le linee guida dell’UNHCR del 2017 sulle operazioni di ricerca e soccorso in mare (link is external), inclusa la non penalizzazione dei partecipanti a queste attività, forniscono utili indicazioni al riguardo

La nota fornisce una panoramica delle recenti indagini penali in Grecia, Italia e Malta contro le ONG proprietarie di queste navi di ricerca e soccorso e / o contro singoli membri dell’equipaggio. Si basa sui materiali FRA del passato sulla non criminalizzazione delle persone che si relazionano con i migranti in una situazione irregolare per motivi umanitari. Un documento del FRA del 2014 raccomandava agli Stati membri dell’Unione europea (UE) di attuare la direttiva sulla facilitazione (direttiva 2002/90 / CE) in modo conforme ai diritti fondamentali e a tale scopo dovrebbero essere sviluppati orientamenti pratici. Il documento ha sottolineato che tale orientamento deve escludere esplicitamente le pene per l’assistenza umanitaria “all’ingresso” nell’UE di migranti in situazioni irregolari, anche quando si effettua il salvataggio in mare.
I recenti sviluppi delle politiche dell’UE hanno portato nuovamente questo problema in primo piano, poiché le attività volte all’attuazione del piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (2015-2020) sono proseguite e si sono intensificate. Nel marzo 2017, la Commissione europea ha pubblicato la sua valutazione della direttiva sulla facilitazione e la decisione quadro del Consiglio 2002/946 / GAI. Ha concluso che non è necessario rivedere l’acquis di facilitazione dell’UE, ma ha chiaramente riconosciuto che alcuni attori, comprese le organizzazioni della società civile coinvolte in operazioni di ricerca e soccorso in mare, avvertono un rischio di criminalizzazione dell’assistenza umanitaria.

Fornire assistenza alle persone in difficoltà in mare (ricerca e soccorso – SAR) è un dovere di tutti gli stati e dei comandanti di navi in ​​base al diritto internazionale. Le disposizioni fondamentali sulla SAR in mare sono contenute nella Convenzione internazionale del 1974 sulla sicurezza della vita in mare (link is external) (SOLAS), la Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimi (link is external) (convenzione SAR), e la Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare (link is external) (UNCLOS). In generale, il comandante (sia di navi private che di governo) ha l’obbligo di prestare assistenza a chi è in difficoltà in mare, indipendentemente dalla nazionalità, dallo status o dalle circostanze in cui si trovano. La Convenzione SAR del 1979 obbliga gli Stati a istituire centri di coordinamento del soccorso marittimo (MRCC) e delinea le procedure operative da seguire in caso di emergenze e durante operazioni SAR. Sulla base delle informazioni di stato, l’Organizzazione marittima internazionale (link is external) ha diviso gli oceani del mondo in diverse zone SAR, ciascuna con il proprio paese di coordinamento.
Tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione dell’Irlanda, hanno ratificato il Protocollo sul traffico di migranti delle Nazioni Unite (link is external) (2000), che integra la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (link is external) (2000). Richiede agli Stati di criminalizzare l’acquisizione di ingressi irregolari o la residenza di migranti per ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o di altro tipo (articolo 6). Le circostanze aggravanti dovrebbero essere stabilite se vi è una minaccia per la vita o la sicurezza dei migranti o in caso di trattamento inumano o degradante (articolo 6, paragrafo 3, lettere a) eb)). Secondo le Note interpretative (link is external) al Protocollo sul traffico di migranti delle Nazioni Unite (paragrafo 92), il riferimento al beneficio finanziario o di altro materiale per il perpetratore è inteso ad escludere i familiari (questa linea è stata seguita dalla Corte europea dei diritti umani Diritti in Mallah v. Francia (link is external), paragrafi 33-42), o altri gruppi di supporto come organizzazioni religiose o non governative dalla sanzione penale.

In base al diritto dell’UE, la direttiva sui facilitazioni e la decisione quadro allegata 2002/946 / GAI specificano ulteriormente tali obblighi. Questo cosiddetto “pacchetto di facilitazione dell’UE” obbliga gli Stati membri dell’UE a punire chiunque assista una persona a entrare, transitare o rimanere irregolarmente nel territorio di uno Stato membro. Gli Stati membri possono, tuttavia, astenersi dalla punizione se l’obiettivo di consentire al migrante in una situazione irregolare di entrare o transitare attraverso il paese è di fornire a tale persona assistenza umanitaria (articolo 1, paragrafo 2, della direttiva agevolazioni). Il regolamento che istituisce la guardia costiera e di frontiera europea (regolamento (UE) 2016/1624) riconosce inoltre che la direttiva facilitazione impone agli Stati membri di astenersi dall’imporre sanzioni laddove lo scopo del comportamento è quello di fornire assistenza umanitaria ai migranti (considerando (19) ). Nel luglio 2018, il Parlamento europeo ha formulato linee guida per gli Stati membri per impedire che l’assistenza umanitaria venga criminalizzata. Inoltre, il mancato rispetto dell’obbligo di salvataggio è di solito un atto criminale in diversi Stati membri dell’UE, come rilevato dalla FRA nella sua relazione del 2013 sui diritti fondamentali alle frontiere marittime meridionali dell’Europa (pagina 35). Tuttavia, la ricerca della FRA ha evidenziato il rischio che la legislazione nazionale degli Stati membri dell’UE per agevolare l’ingresso e il soggiorno di migranti irregolari possa portare alla punizione di coloro che forniscono assistenza umanitaria, nonché di soggetti privati ​​che effettuano operazioni SAR in mare.

Il traffico di migranti, compresa la facilitazione dell’ingresso irregolare, è punibile in tutti i 28 Stati membri dell’UE. Seguendo l’ampia definizione della direttiva sulla facilitazione, la legislazione nella stragrande maggioranza degli Stati membri non richiede che l’utile finanziario o altri vantaggi materiali per tale atto confogurino un reato punibile. La legislazione nazionale spesso non riflette la salvaguardia contenuta nell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva agevolazioni, che consente agli Stati membri di non imporre sanzioni quando l’ingresso irregolare di migranti è agevolato a fini umanitari. A partire da ora, la legge nazionale di soli nove Stati membri dell’UE esenta alcuni atti compiuti per facilitare l’ingresso a scopo umanitario dalla punizione per il traffico di migranti, secondo la relazione di valutazione 2017 della Commissione sul “pacchetto di facilitazione dell’UE”.

L’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali ha lavorato a lungo sulle questioni relative all’agevolazione dell’ingresso irregolare, dell’assistenza umanitaria e dei diritti fondamentali – vedi le relazioni sui diritti dei migranti in una situazione irregolare (capitolo 5), le frontiere marittime meridionali dell’Europa (Capitolo 2) , Criminalizzazione dei migranti in una situazione irregolare e di persone che si impegnano con loro, nonché la relazione sui diritti fondamentali del 2018 (sottosezione 6.3.3). In queste relazioni, la FRA ha ripetutamente sottolineato che le azioni contro il traffico di migranti non devono comportare la punizione delle persone che sostengono i migranti in movimento per motivi umanitari, comprese le persone che lavorano per le ONG che salvano vite durante le operazioni di ricerca e soccorso. Lo stesso principio è richiamato dai Principi e linee guida dell’ONU del 2018, supportati da orientamenti pratici, sulla protezione dei diritti umani dei migranti in situazioni vulnerabili (link is external) (principio 4.7), elaborato congiuntamente dal Global Migration Group e dall’Ufficio del Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite. In tale contesto, è necessario sottolineare che il pieno rispetto del diritto alla vita (articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e della Convenzione europea sui diritti umani) e il dovere di salvare vite umane in mare (sancito nel diritto marittimo multiplo trattati, come la convenzione SOLAS del 1974, la convenzione SAR del 1979 e l’UNCLOS del 1982) si basano principalmente sugli Stati membri dell’UE. Questi obblighi di carattere fondamentale non possono essere aggirati in nessuna circostanza, comprese le considerazioni relative ai controlli alle frontiere esterne.
Nel Mediterraneo centrale, le navi dispiegate dalle organizzazioni della società civile hanno svolto un ruolo importante nella ricerca e soccorso in mare. Ad esempio, secondo un’inchiesta del Senato italiano, durante i primi sei mesi del 2017 (1 gennaio-30 giugno), circa 10 navi dispiegate dalle ONG hanno salvato più di un terzo delle persone (link è esterno) soccorse in mare in questo periodo (33.190 delle 82.187 persone). Nell’anno 2017 e fino al giugno 2018, tali navi delle ONG hanno effettuato circa il 40% di tutti i salvataggi, la Guardia Costiera Italiana (link è esterno) ha riferito.
Ciononostante, le accuse che alcune ONG stanno collaborando con i trafficantii in Libia hanno portato a un cambiamento nelle percezioni del loro contributo. Il Senato italiano, che ha esaminato la questione in dettaglio (link is external) nella primavera del 2017, ha respinto tali accuse. Ha rilevato che le ONG non erano coinvolte direttamente o indirettamente nel traffico di migranti, ma raccomandava un migliore coordinamento del loro lavoro con la Guardia costiera italiana.
Nel file scaricabile in fondo alla pagina, la tabella 1 fornisce una panoramica di tutte le ONG e le loro navi e velivoli da ricognizione coinvolti nelle operazioni di ricerca e soccorso negli ultimi anni nel Mediterraneo. Ciò dimostra che solo poche navi di soccorso delle ONG erano operative nell’agosto 2018 a causa di vari motivi, tra cui i sequestri di navi ordinati dalle autorità dello Stato membro dell’UE di sbarco. Nessuno di loro è stato schierato nella zona SAR italiana a partire dalla fine di agosto 2018.

Basandosi sul piano d’azione dell’UE del luglio 2017 per sostenere l’Italia e ridurre la pressione lungo la rotta del Mediterraneo centrale (link is external), un codice di condotta per le ONG coinvolte nelle attività di ricerca e soccorso è stato redatto l’estate scorsa, in consultazione con la Commissione europea e alcune delle ONG interessate. Il Codice di condotta (link is external) proibisce alle ONG di entrare nelle acque territoriali libiche, prevede la presenza di agenti di polizia a bordo di navi NGO, vieta alle ONG di comunicare con i contrabbandieri, proibisce alle ONG di spegnere i loro transponder e li obbliga a non ostacolare la guardia Costiera libica. Diverse organizzazioni della società civile hanno criticato (link is external) il codice, sostenendo che aumenterebbe il rischio di vittime in mare. Alcune ONG hanno firmato il codice, mentre altri – come Medici Senza Frontiere o Jugend Rettet – hanno rifiutato (link is external), indicando che mescola le politiche migratorie dell’UE con l’imperativo di salvare vite umane in mare.

Dall’estate del 2017, le autorità italiane hanno iniziato a prendere misure, tra cui sequestrare navi e avviare indagini penali e amministrative per affrontare le azioni di navi dispiegate da ONG che si ritiene superino le loro attività di salvataggio in mare. Alcuni attori considerano certe pratiche seguite da alcune ONG SAR che oscurano le linee quando si tratta della legalità di tali azioni. Durante l’estate del 2018, Malta ha anche avviato indagini e bloccato operazioni di ricerca e soccorso da parte delle ONG al largo delle loro coste e nello spazio aereo adiacente. Gli aiuti umanitari che partecipano alle attività di salvataggio in mare sono diventati l’obiettivo di indagini e accuse penali anche in Grecia. Questi procedimenti giudiziari e le misure amministrative devono affrontare la questione delicata di determinare la portata degli atti coperti dalla clausola di eccezione umanitaria, escludendo le pene per ciò che altrimenti sarebbe considerato traffico di migranti.
Nel file scaricabile in fondo alla pagina, la tabella 2 illustra le indagini in corso o chiuse e i procedimenti penali nei confronti delle navi di soccorso interessate e / o dei singoli membri dell’equipaggio, di cui FRA è a conoscenza (dopo aver esaminato le fonti disponibili al pubblico). Si dimostra che i casi già aperti si sono conclusi con un’assoluzione o sono interrotti a causa della mancanza di prove.

La criminalizzazione delle ONG SAR è diventata un fenomeno significativo nell’UE. Come dimostra la tabella 2, riguarda tre dei quattro Stati membri dell’UE – Grecia, Italia, Malta e Spagna – che sono colpiti da arrivi irregolari via mare nel Mediterraneo. In questi paesi dell’UE, sono state sequestrate navi non governative che salvano i migranti in mare e sono state avviate indagini e procedimenti penali contro membri dell’equipaggio di tali navi e di altri privati ​​che prendono parte alle operazioni di salvataggio. Il crescente numero di azioni legali contro le ONG ha contribuito a un calo delle attività di ricerca e salvataggio dedicate ed efficaci nel Mediterraneo in un momento in cui la morte in mare rimane elevata (cfr. Figura 1). Nel file scaricabile in fondo alla pagina, figura 1 mostra, anche se il numero totale di arrivi via mare è diminuito nel 2018, la proporzione di morti rispetto al numero totale di arrivi è aumentata nel 2018 rispetto al 2017. Quando si confrontano i primi otto mesi del 2018 (gennaio-agosto) allo stesso periodo del 2017, questo rapporto è aumentato dall’1,85% al ​​2,13%, secondo i dati (link is external) raccolti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM).

La FRA continuerà a seguire da vicino ulteriori sviluppi, anche attraverso le sue panoramiche periodiche sui problemi dei diritti fondamentali connessi alla migrazione che riguardano 14 Stati membri dell’UE selezionati, tra cui l’Italia e la Grecia