di Fulvio Vassallo Paleologo
Prosegue la campagna elettorale permanente sull’immigrazione, con un unico politco, protagonista che si prende la scena, quello che dovrebbe fare il ministro dell’interno e che gioca la sua partita in vista delle europee del 2019 puntando sull’unico tema a costo zero che il governo può permettersi di affrontare. La criminalizzazione dei migranti e di chi presta loro qualsiasi forma di assistenza. Da ultimo la caccia all’uomo contro persone appena sbarcate dalla nave Diciotti e la loro trasformazione da naufraghi in clandestini. Si avvicina la proposta di legge, già annunciata da Salvini, che prevederebbe lunghi periodi di detenzione, sul modello australiano, per chi sbarca in Italia, dopo essere stato soccorso in alto mare, e fa richiesta di protezione internazionale. Il numero degli arrivi è fortemente diminuito, rispetto allo scorso anno. Ma continua lo stillicidio di piccoli sbarchi, soprattutto di giovani provenienti dalla Tunisia, privi di informazione ed alla ricerca di un lavoro in Europa, salvo casi particolari di richiedenti protezione internazionale. Una speranza di vita, che puoò significare la morte in mare, decine di vittime, come è successo lo scorso luglio, in una delle tante stragi dimenticate.
Da ultimo si agita la minaccia di rimpatri di massa in Tunisia, che evoca una prassi che sarebbe apertamente controlegge, in quanto ciascuna persona da rimpatriare deve essere identificata individualmente, e non si possono praticare operazioni di rimpatrio collettivo, vietate dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU. Per non parlare della necessità di aprire canali legali di ingresso che sono l’unico modo per scalfire il potere delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico. La Tunisia ha comunque respinto la richiesta del ministro dell’interno italiano che domani incontrerà il suo collega di Tunisi, nel tentativo di introdurre “prassi innovative” , magari per portare ancora una volta l’Italia sotto accusa davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Un altra “medaglia” di cui presto Salvini potrebbe andare fiero. Forse il ministro dell’interno neppure sapeva chi erano i pescatori che la guardia di finanza ha arrestato ritenendoli scafisti e collusi con i trafficanti. Proprio con quegli stessi trafficanti che i pescatori di Zarzis combattono da anni.
Sembra defintivamente accantonata la promessa di rimpatriare 100.000 “clandestini” l’anno, promessa sulla quale Salvini aveva avuto un consistente riconoscimento elettorale, ma di questo “fallimento” del ministro per la mancanza degli strumenti legislativi, e soprattutto per la carenza di risorse finanziarie, nessuno parla. Però tutti sembrano infiammarsi all’idea di riempire l’Italia di centri di detenzione, piano peraltro già avanzato da Minniti nella passata legislatura. In realtà la detenzione amministrativa si pratica già con l’utilizzo in funzione detentiva dei centri di accoglienza, e con la trasformazione degli Hotspot, come quello di Trapani Milo, in veri e propri centri di trattenimento amministartivo a tempo indeterminato, come sta avvenendo in queste ore a Trapani con centinaia di Tunisini, ancora una volta in violazione delle sentenze di condanna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Klhaifia e nel caso Richmond Yaw. Il trattenimento arbitrario oltre 96 ore senza convalida del magistrato potrebbe trasformarsi in un arresto illegale o in un ennesimo caso di sequestro di persona. Rimane da vedere quanto le operazioni di rimpatrio che si propone il ministro dell’interno siano compatibili con le garanzie costituzionali e con la Direttiva rimpatri 2008/115/CE, come interptretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Una interptetazione che si impone anche al governo italiano. Intanto la gestione del ministero dell’interno potrebbe rendere ingovernabili i centri Hotspot. E sono note le criticità nelle operazioni di rimpatrio verso la Tunisia, puntualmente segnalate dall’Autorità garante per i diritti delle persone private della libertà personale.
Le diminuite capacità di intervento SAR in mare, rispetto al passato, sono sempre più evidenti. In acque internazionali, dopo la vicenda della nave Diciotti, si è dato ordine alla Guardia costiera di restare asserragliata in porto, come stiamo vedendo a Catania, oppure di intervenire al massimo nelle acque teritoriali, mentre un ruolo più spiccatamente repressivo si è attribuito alla Guardia di finanza ed alla sua centrale operativa che, insieme a Frontex si è sostituita di fatto alla Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC). Che in base alle Convenzioni internazionali dovrebbe coordinare tutte le operazioni SAR ( ricerca e salvataggio) derivanti da segnalazioni di imbarcazioni cariche di persone, in difficoltà in alto mare.
Si arriva cosi’ al punto che la Guardia costiera non sembra più reagire tempestivamente alle segnalazioni di soccorso che pure riceve, come si sta verificando ancora in queste ore dopo la segnalazione di un barcone in difficoltà in acque internazionali, con cento persone a bordo, in pericolo di vita per il sovraffollamento del mezzo, avvistato dall’unico mezzo (aereo) di una ONG ( il piccolo Colibri’), ancora operante sulla rotta del Mediterraneo centrale, tra la Libia e Lampedusa, al limite delle acque territoriali libiche e tunisine. Una zona che ormai sembra sfuggire al controllo delle autorità statali, costrette a chiudere periodicamente anche il confine terrestre di Ben Gardane tra la Tunisia e la Libia. Se la Libia non è un “paese sicuro” per i migranti, come afferma adesso anche l’UNHCR, pure presente in alcuni punti di sbarco, deve essere sospesa immediatamente l’operatività della “zona SAR libica”, che le autorità italiane ancora evocano in questi giorni. Perchè non si può consentire che la guardia costiera di Tripoli o di Zawia riporti a terra, nell’inferno dei centri di detenzione, inclusi quelli governativi, persone che, dopo le torture subite in quel paese hanno pieno diritto ad essere accolte in un “porto sicuro”. E invece, come in altre occasioni nelle ultime settimane, alla fine è arrivata una motovedetta libica ed ha riportato a terra i migranti che si trovavano in acque internazionali ed avrebbero avuto diritto a sbarcare in un porto sicuro. Chi ha ignorato le richieste di intervento si è reso complice delle torture che adesso i naufraghi intercettati dai libici continueranno a subire nei centri di detenzione dai quali erano fuggiti ( Vedi importante nota di aggiornamento).
Si spaccia una emergenza che non esiste, la vera emergenza è l’attacco alla democrazia ed alle garanzie dello stato di diritto, che si gioca proprio sulle questioni del soccorso in mare e della protezione internazionale ( con il ricatto sul Regolamento Dublino). Evidente la saldatura nei fatti tra le estreme destre identitarie e nazionaliste europee e la poiltica di Salvini, che aspira ad un asse con Orban in Ungheria e Kurz in Austria. Due “alleati” sul piano ideologico, ma che in nome del loro nazionalismo hanno già respinto tutte le richieste avanzate dal governo italiano, a partire dai trasferimenti Dublino. Alla fine in Europa i diversi nazionalismi si scontreranno tra loro, ma dalle macerie ne usciremo tutti impoveriti e con una grave lesione dei principi democratici.Nell’immaginario collettivo i confini si stanno moltiplicando proprio per effetto della politica, e non conta se chi si presenta come difensore dell’identità nazionale e del territorio italiano, ricorre poi alla menzogna ed all’odio per costruire altri muri, questa volta all’interno della nostra società. Per alimentare un livello di conflittualità sempre più elevato, dal quale ricava evidenti vantaggi in vista delle prossime scadenze elettorali. Le ferite inferte oggi ai rapporti internazionali, alla coesione sociale, alla possibilità di convivenza pacifica tra gli italiani e con gli immigrati, resteranno aperte per anni. E per costruire una finta sicurezza costruiranno sempre più muri, fino a quando saremo tutti reclusi.
Non si prende atto che le utlime vicende belliche in Libia hanno ulteriormente ridotto la capacità di coordinamento delle attiività di ricerca e salvataggio affidate alle autorità di Tripoli, dove ancora rimane, come centrale di assistenza e coordinamento dei pochi mezzi della Guardia costiera “libica”, una nave della Marina militare della missione NAURAS. Si preferisce utilizzare anche in acque internazionali la Guardia di finanza in funzione meramente repressiva della cd. immigrazione illegale, occasionalmente, quando presenti, con le unità delle missioni Themis di Frontex e di Eunavfor Med, senza calcolare che in questo modo il rischio di vittime in mare cresce in modo esponenziale. Anche se tutte le Convenzioni internazionali ribadiscono che la salvaguardia della vita umana in mare viene prima della difesa delle frontiere e della chiusura dei porti. Ma si continua a credere che la invenzione di una zona SAR libica, ratificata dall’IMO il 28 giugno scorso, legittimi le mancate risposte alle chiamate di soccorso, quando i barconi si trovano ancora al di fuori della zona SAR italiana. Zona SAR italiana che in molti punti a sud di Lampedusa è sovrapposta alla zona SAR maltese, e non sembra che gli attuali rapporti con La Valletta siano improntati al principio di doveroso coordinamento nelle operazioni di ricerca e salvataggio sulla zona “controversa”, che sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali. Un classico esempio di come le esigenze elettorali e le ragioni dei grossi gruppi economici, interessati allo sfruttamento petrolifero del Mediterraneo, possano negare giorno dopo giorno la salvaguardia della vita umana in mare. Come sta facendo Malta bloccando in porto tre navi umanitarie, e come sta facendo il governo italiano negando l’agibilità dei porti alle navi delle ONG impegnate in attività di soccorso, e persino a navi della Guardia costiera, quandoi si ritiene che questa abbia operato sconfinando in acque non appartenenti alla zona SAR italiana.
Ormai la tattica del capo leghista, e la prassi delle autorità statali che controlla, si basa sullo sfruttamento di qualsiasi vicenda relativa all’immigrazione, sia lo sgombero di un campo rom riconosciuto da anni, il soccorso in mare da parte di un pattugliatore della guardia costiera, lo sbarco di qualche centinaio di migranti tunisini a Lampedusa, il sequestro di un peschereccio tunisino che ha salvato la vita a un gruppetto di naufraghi, per alzare la soglia di adattamento degli italiani alle reiterate violazioni dello stato di diritto che si consumano oggi contro i migranti. Ma che presto si rivolgeranno anche contro i cittadini, a partire dalla minaccia di sgombero delle occupazioni abitative e dall’uso di strumenti di tortura come le pistole Taser. Per non parlare delle minacce rivolte alla magistratura ogni volta che questa accenna ed esercitare il controllo di legalità previsto dalla Costituzione, anche nei confronti delle attività del ministro dell’interno o come capo di un partito che dovrebbe restituire una ingente somma di denaro a tutti gli italiani. Lo stesso Salvini propone allora di fare saltare il banco, di spezzare un delicato equilibrio costituzionale che è garantito dalla indipendenza della magistratura ed arriva ad ipotizzare la nomina elettiva, dunque politica, dei magistrati e la cancellazione del carattere obligatorio dell’azione penale in capo ai pubblici ministeri.
Un processo di forte riduzione degli spazi democratici all’interno del paese, che in parte è stato avviato dai precedenti governi, a partire da Renzi, e poi dall’asse Gentiloni-Minniti che hanno alimentato la guerra contro le ONG ed hanno creato le premesse, anche per quanto riguarda la estensione della detenzione amministrativa e le pratiche di respingimento delegato ( ai libici) alle frontiere, per le politiche di negazione della dignità umana e dello stesso diritto alla vita, non solo in mare, ma anche in Libia, perfezionate adesso da Salvini, vero capo incontrastato delle maggioranza giallo-verde al governo.
I successi che vanta il leader leghista, confermati da una crescita rilevante dei consensi elettorali in suo favore, si tradurrano presto in altre violazioni del diritto internazionale (ed interno), ad esempio a Lampedusa, e in un ulteriore deterioramento dei rapporti internazionali con i nostri partner europei, in particolare con la Francia e Malta, e con i governi africani, soprattutto con il traballante governo di Tripoli. Sul territorio nazionale, il tentativo di sostanziale cancellazione dell’istituto della protezione umanitaria e la perdurante assenza di canali legali di ingresso per lavoro, stanno producendo un aumento esponenziale della presenza di irregolari. A livello europeo, per la mancata riforma del Regolamento Dublino e per la incomprensione della reale portata riduttiva delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno 2018, si continueranno a suscitare attriti tra i diversi stati e presto potrebbero essere di più i migranti che gli stati UE rinviano verso l’Italia come richiedenti asilo, che non quelli che ancora riescono a sbarcare sulle nostre coste.
In questa situazione si continua a giocare con la vita delle persone, e le forche in piazza evocate da una maggioranza urlante che si nutre di odio razziale sono sostituite da una valanga tossica sui social, che le squadre di sostenitori del ministro della propaganda, fiancheggiati da alcuni giornali, sanno abilmente suscitare. Una serie di attacchi sempre più violenti si rivolgono verso i migranti ed i cittadini solidali, fino al ricorrente augurio di morte per quelli che vengono ritenuti nemici interni ( i migranti) o avversari politici (cittadini solidali). Una serie di attacchi carichi di odio, che inventano emergenze che non esistono, e che si stanno traducendo in raid razzisti nei quali si inneggia proprio a quel ministro dell’interno che dovrebbe essere il primo garante del principio costituzionale di solidarietà e del diritto di associazione e di assistenza dei più deboli. Valori sui quali il ministro della propaganda ha giurato al momento della sua investitura, ma che evidentemente ritiene ormai accantonati a colpi di video diffusi tramite facebook e twitter, all’insegna del motto “la pacchia è finita”, le nuove armi della persuasione di massa. La realtà tuttavia appare più complessa di come la rappresenta il ministro. Ed anche imprevedibile…
Per ogni punto di consenso che il ministro della propaganda incassa in Italia, si recide un rapporto internazionale, si nega un diritto umano, si chiude una canale di accesso o di comunicazione. Non conta nulla la verifica della impraticabilità, come a Fiumicino, delle politiche di rimpatrio di massa. Che nascondono soltanto la riproduzione della clandestinità. Al termine di questo percorso non ci sarà maggiore benessere e maggiore sicurezza per nessuno. Un percorso che, va ricordato, è stato aperto dal predecessore Marco Minniti al ministero dell’interno, con la guerra alle ONG ed il codice di condotta, poi diventato pretesto per intentare azioni penali.
Malgrado una bruciante sconfitta elettorale, ed un continuo calo di consensi, l’opposizione continua a riproporre sempre gli stessi uomini ed allontana le prospettive di una vera alternativa. Ma chi come Salvini oggi sembra apparentemente il vincitore di una partita tutta giocata sulla pelle dei più deboli e sulle macerie della Costituzione, domani potrebbe essere giudicato, al di là delle eventuali responsabilità penali o amministrative che dovranno essere accertate dalla magistratura, come l’uomo che ha compromesso la coesione sociale e il riconoscimento della solidarietà, che nei momenti di crisi, che si avvistano già all’orizzonte, non certo per l’arrivo di qualche migliaio di migranti in più, possono fare la differenza tra un paese che resiste ed un paese fallito.
NOTA DI AGGIORNAMENTO
[17/9, 17:18] Sergio Scandura: Migranti:Sea Watch,gommone in difficolta” soccorso dopo 8 ore
“Gli 80 a bordo riportati in Libia,mancata assistenza da Italia”
(ANSA) – ROMA, 17 SET – L”equipaggio dell”aereo di ricognizione ”Colibri”” – dell”organizzazione francese ”Pilotes Volontaires”, gestito in collaborazione con l”ong Sea-Watch – “e” stato nuovamente testimone, ieri, di un drammatico caso di mancata assistenza da parte delle autorita” italiane” nei confronti di migranti. Lo afferma in una nota la stessa Ong, affermando che “un gommone in difficolta” con oltre 80 persone e” stato in mare per oltre 8 ore e poi portato in Libia dalla cosiddetta Guardia costiera libica”. Un mercantile, contattato per prestare soccorso, si sarebbe sottratto “per non cadere nell”ennesimo braccio di ferro politico”. (segue).
SV-NE
17-SET-18 15:44 NNNN
[17/9, 17:18] Sergio Scandura: Migranti:Sea Watch,gommone in difficolta” soccorso dopo 8 ore (2)
(ANSA) – ROMA, 17 SET – “Alle 10.43 ora locale – ricostruisce Sea Watch – l”aereo Colibri” ha individuato un gommone in difficolta” con circa 80 persone, a 21 miglia nautiche da Abu Kammash, in Libia. Le persone a bordo, in pericolo di vita, erano su un gommone mal equipaggiato e quindi a rischio di sgonfiamento. L”equipaggio di Colibri” ha immediatamente informato il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma sulla posizione e le condizioni del natante in pericolo. Roma, al posto di lanciare un”operazione di salvataggio, ha rinviato l”equipaggio dell”aereo al quartier generale della cosiddetta Guardia costiera libica. Li”, la richiesta di soccorso di Colibri” non e” stata ricevuta nonostante i molteplici tentativi dell”equipaggio”.
Il Colibri” ha quindi “contattato una nave mercantile che avrebbe potuto intervenire operando il soccorso ma che, per timore di trovarsi in una situazione simile a quella delle navi delle Ong Aquarius e Lifeline o della nave Diciotti della Guardia costiera rimaste in stallo per giorni, ha scelto di non recarsi sulla scena”.
“E” la politica degli Stati Membri UE che blocca il salvataggio. E ieri in questa circostanza le tre navi di
salvataggio Lifeline, Sea-Watch 3 e Seefuchs, avrebbero potuto essere d”aiuto se non fossero detenute arbitrariamente a Malta”, afferma Johannes Bayer, presidente di Sea-Watch.
Intorno alle 20.00, “piu” di otto ore dopo l”avvistamento del gommone in difficolta” – afferma l”ong – le persone sono state prese da un motovedetta libica e riportate in Libia. I sopravvissuti vengono ricondotti in Libia, dove sono soggetti a un regime di detenzione arbitraria, in condizioni igienico-sanitarie sotto ogni standard minimo, senza accesso alle cure mediche e dove maltrattamenti, violenze, torture anche sistematiche a scopo di estorsione, lavoro forzato e aggressioni sessuali sono pratiche quotidiane.
“Ancora una volta – denuncia l”organizzazione non governativa – la scelta dei governi europei rispetto al blocco del salvataggio in mare nel Mediterraneo centrale ha messo a rischio la vita di oltre 80 persone, riconducendole in Libia, paese in guerra civile. L”UE condivide la responsabilita” del trattamento feroce di cui sono vittime. E” quindi responsabile delle oltre 100 vittime dell”ultimo naufragio di inizio settembre, di cui si
ha avuto notizia solo grazie al personale di Medici Senza Frontiere che ha avuto accesso ai sopravvissuti in Libia”. “Nessuno sa quante barche affondano senza che qualcuno se ne accorga”, afferma Tamino Bohm, Operations Manager di Colibri”.
(ANSA).
SV-NE
17-SET-18 15:53 NNNN