Dietro il caso della Sarost 5 la fine del diritto internazionale.

di Fulvio Vassallo Paleologo

I governi europei ed il governo Salvini-Di Maio, con la loro scelta di bloccare la rotta del Mediterraneo centrale e di colpire le ultime ONG ancora operative, stanno producendo un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili in tutti i paesi del nord-africa, e nelle acque del Mediterraneo centrale. Oltre alle migliaia di vite perse in mare e nei deserti, queste politiche stanno producendo una destabilizzazione di paesi di transito, come la Libia, sempre di più sull’orlo della guerra totale e del collasso economico. Ma anche la Tunisia sta risentendo pesantemente della crisi libica, che condiziona ormai tutte le strategie dei principali stati africani che si affacciano sul Mediterraneo.

Si può davvero parlare di fine del diritto internazionale, quando i porti vengono chiusi ai mezzi che hanno effettuato attività di soccorso (SAR), quando le zone SAR (di ricerca e  salvataggio) si inventano al mattino e si cancellano la sera, quando nei data base IMO (Organizzazione marittima delle N.U.) appare la SAR libica, e scompare la SAR tunisina, quando la “guardia costiera” di un paese fallito come la Libia, in mano a milizie in lotta tra loro, è di fatto coordinata da unità militari di un altro paese (l’Italia). Nessuno però controlla quale sia l’effettiva capacità di soccorso della cd. Guardia costiera di Tripoli, e chi ne coordini davvero le missioni.Al’appoggio senza condizioni della Guardia costiera di Tripoli, da parte del governo italiano corrisponde la chiusura dei porti, ma non per tutte le navi, comunque condannate a lunghe e costose attese, come per la Alexander Maersk, ma soprattutto e infine soltanto per le imbarcazioni degli operatori umanitari delle ONG.

In generale, la linea di condotta ufficiale dell’Italia è intanto quella che arriva da un messaggio “circolare, di carattere tecnico-operativo” della Guardia costiera, una informativa standard. Nell’evenienza in cui al centro di coordinamento di Roma della guardia costiera pervenga da una imbarcazione una richiesta di soccorso in area Sar (Search and rescue) libica, cioè nelle acque di Ricerca e soccorso della Libia, un’area fuori dall’area Sar italiana, le autorità competenti sono quelle libiche e sono loro quelle con cui coordinarsi.

Il governo italiano ha persino mentito su un provvedimento che avrebbe previsto la “chiusura” dei porti. Un provvedimento evocato dal ministro dell’interno per legittimare le sue decisioni, ma che di fatto non esiste, nel senso che proprio non se ne trova traccia.

Le politiche vengono agite sulla pelle dei migranti, negando l’attracco in un porto sicuro (place of safety), per spingere l’Unione Europea a modificare il Regolamento Dublino, oppure rifiutando interventi di soccorso in acque internazionali, come fa ormai sistematicamente Malta, seguita dall’Italia, dopo la invenzione di una zona SAR libica, per imporre ai paesi nordafricani la creazione di disembarkation point .Grandi centri di accoglienza/detenzione nei quali i trattenuti ed i respinti dalle motovedette elargite dall’Italia dovrebbero essere selezionati, e quindi se non meritevoli di chiedere asilo deportati nei paesi di origine. Sarà molto importante il ruolo dell’OIM e dell’UNHCR, perchè non si prestino ad ipotesi europee di esternalizzazione dei controlli e dello stesso diritto di asilo, o di grandi campi di accoglienza nei paesi di transito, ipotesi che si rivolgerebbero contro i diritti ed i corpi delle persone che hanno il mandato di assistere. L’esperienza del campo di Sousha in Tunisia dovrebbero ricordarla bene, almeno loro.

Rimane il fatto che la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra, e nessun paese nordafricano riconosce il diritto di asilo nella sua pienezza, attribuendo altresì ai titolari di protezione uno status legale che gli permetta di muoversi e lavorare ( con eccezioni per categorie ristrette di rifugiati, paese per paese a seconda dei rapporti politici internazionali). La sentenza di condanna definitiva dell’Italia sul caso Hirsi, pronunciata nel 2012 dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, costituisce un precedente che non sarà facile aggirare con accordi bilaterali e Memorandum d’intesa (MoU). E neppure con le scelte unilaterali e violente che Salvini minaccia di adottare se Bruxelles non adotterà la sua linea, come sta avvenendo. La Libia non garantisce ancora oggi place of safety, porti sicuri di sbarco. Lo ricorda a Salvini anche l’Unione Europea.

Se diminuiscono gli arrivi in Italia, ma si può parlare ormai di operazioni di soccorso ostacolate in ogni modo dalle autorità di governo, aumenta il numero delle persone detenute ed abusate nei tanti centri di detenzione, govermativi e informali, esistenti in Libia, al punto che le Nazioni Unite e la Commissione europea hanno dichiarato che la stessa Libia, o quella che si definisce come tale, non offre porti sicuri di sbarco. La Nato aggiunge che le imbarcazioni in difficoltà in acque internazionali vanno soccorse nel più breve tempo possibile.

Il caso della Sarost 5, è un caso esemplare che dimostra le conseguenze dell’allontanamento delle ONG dalle acque del Mediterraneo centrale, per effetto dei poteri di intervento attribuiti ad una Guardia costiera di Tripoli che dispone appena di quattro motovedette e di pochi mezzi più piccoli, ma bene armati e pronti sparare, non certo a soccorrere. Un soccorso che si sarebbe potuto concludere in poche ore, a 90 miglia a sud di Lampedusa, con l’intervento delle ONG coordinate dalla Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC), come avveniva fino all’estate dello scorso anno, si è trasformato in un calvario per le persone che da dieci giorni ormai attendono di sbarcare in un porto sicuro e di essere assistit. La Sarost 5 ha aperto un ennesimo scontro politico tra il governo di Tunisi ed i paesi europei che vogliono creare punti di sbarco in Tunisia per tutti i migranti intercettati in acque internazionali, dopo che a livello internazionale si è accertato che ad oggi la Libia non garantisce porti qualificabili come POS ( Place of safety).

Dietro le quinte, una frenetica attività diplomatica che vede ancora una volta divisa l’Unione Europea, sia a Bruxelles ( con il gruppo di Visegrad che detta il calendario dei lavori attraverso la presidenza austriaca) che in Africa, con la Francia in eterna concorrenza con l’Italia, la prima più vicina al generale Haftar, la seconda ormai immedesimata nel governo Serraj, come ha dimostrato l’ultima missione a Tripoli del ministro della difesa Trenta.

In questo quadro le bande dei trafficanti si stanno rapidamente riorganizzando spostando le loro rotte, aumentando la pressione nei centri di detenzione, portando alla fame i detenuti, o abusandone, condizionando addirittura l’apertura o la chiusura delle frontiere terrestri, e l’agibilità degli aeroporti e dei porti. Serraj a Tripoli non controlla neppure l’intero centro urbano, ma questo non si deve dire e si fa credere agli italiani che esista una Libia unita, con una sua Guardia costiera efficiente, addestrata dalle missioni europee ed adesso da militari italiani ( della Guardia di finanza) che presto sarà rinforzata dalle motovedette (pochine e di piccolo tonnellaggio) che il governo Salvini-Di Maio gli sta generosamente elargendo ( se arriveranno, ad ottobre). Eppure tutti potrebbero vedere le condizioni delle persone che fuggono oggi dalla Libia, e qualcuno, come Sagen, un giovane eritreo che per gli abusi subiti in Libia non è neppure sopravvissuto alla traversata, dopo essere stato soccorso in alto mare. Anche lui veniva raccolto in mare da una ONG, e non da una nave militare.

Ma soprattutto le vittime aumentano in modo esponenziale, in terra, nei deserti libici ed in mare, nel Mediterraneo trasformato ormai in una grande fossa comune di senza nome. Diminuiscono in modo notevole gli arrivi ( ed i soccorsi, meno 80 per cento in un solo anno) ma i naufragi si ripetono, anche quando è chiamata ad intervenire la Guardia costiera di Tripoli. Una smentita feroce per quegli esponenti politici come Salvini che sostenevano che, riducendo le partenze ed allontanando le ONG, sarebbe calato il numero delle vittime. Si sta verificando l’esatto opposto. La storia presenterà il suo conto. Ed il ministro della difesa Trenta, in visita a Tripoli,con una dichiarazione di pochi giorni fa, insiste ancora sulla linea di Salvini per una delega sostanziale delle attività di ricerca e soccorso alla Guardia costiera libica ( di Tripoli).

“Modus operandi, quello portato avanti dall’Italia, confermato anche dall’intervista di ieri al quotidiano La Verità, in cui Trenta aveva anticipato la sua partenza per la Libia: “Siamo al fianco dei libici e stiamo facendo di tutto per supportarli nel gestire la loro area”. E ha poi aggiunto: “Formiamo il personale, doniamo equipaggiamenti; è stato appena deciso di donare altre motovedette:potremmo donarne anche di più”. Concludendo: “Tutto questo servirà non solo per controllare il flusso dei migranti ma anche come elemento di stabilizzazione”, senza dimenticare “di risolvere il problema delle milizie”.

E proprio su questa linea si era inserita anche la task force italiana guidata da Massimo Bontempiche, giunta a Tripoli qualche settimana fa, ha iniziato l’attuazione del piano per il rafforzamento della capacità libiche nei salvataggi, nel monitoraggio delle frontiere del sud del Paese. Insieme, d’altra parte, all’accelerazione dei rimpatri, dei ricollocamenti e del miglioramento dei centri.”

Sembra davvero la fine del diritto internazionale perchè, con il ritiro degli stati che prima coordinavano le operazioni SAR ( ricerca e salvataggio) in acque internazionali, avvalendosi anche di navi commerciali e di mezzi delle ONG, i criteri di attribuzione della giurisdizione e dunque delle responsabilità e delle possibilità di difesa, sono drasticamente calate.Il riconoscimento delle competenze di salvataggio, e persino la iscrizione nei registri dell’IMO o la delimitazione delle zone SAR è affidata a calcoli politici che tradiscono i principi enunciati nelle Convenzioni internazionali e mettono a rischio il diritto alla vita. Il coinvolgimento italiano nel caso del coordinamento della Guardia costiera di Tripoli è ormai confermato dalle dichiarazioni ufficiali, ancora recentemente, dopo che lo scorso marzo era stato già acclarato dal Giudice delle indagini preliminari di Catania.

“La Caprera svolge compiti di nave officina ma anche di coordinamento tra le forze navali libiche e quelle italiane ed europee per la ricerca e soccorso (SAR) e proprio ieri la Libia ha visto riconosciuta dall’International Maritime Organization la piena competenza sulla sua zona SAR.”

Abbiamo visto dopo la istituzione di una zona SAR libica, dopo il 28 giugno di quest’anno, quante stragi senza soccorsi tempestivi si sono verificate.Quanti esseri umani, uomini, donne, molti bambini, hanno perso la vita in mare. Non certo perchè erano presenti le navi delle ONG. Semmai per l’esatto contrario.

Sulla SAROST 5, da dieci giorni i naufraghi, tra cui due donne in stato di gravidanza ed un ferito rimangono privi di soccorsi. Si dimostra così che si sono creati anche in mare, ed a bordo delle navi in acque internazionali, spazi sottratti all’applicazione di tutte le norme che garantiscono i diritti fondamentali delle persone. Il diritto alla vita, il diritto a nutrirsi, il diritto a chiedere asilo, il diritto a non subire trattamenti inumani o respingimenti collettivi. Non ci sono più tribunali ai quali fare ricorso, ed anzi si stanno eliminando anche la possibilità che le vittime di queste tragedie o i loro parenti possano fare valere i diritti violati dagli stati e dalle loro autorità militari o amministrative. Mentre l’allontanamento delle ONG elimina gli ultimi testimoni di una strage  continua, che le popolazioni non devono percepire, per continuare ad essere schiave delle loro paure e del loro egoismo.

Questo è oggi il messaggio dominante sul ruolo delle ONG ed i rapporti con il governo di Tripoli, perchè di Libia non si vede come se ne possa parlare. :

“I numeri aiutano, come sempre, a capire meglio e per l’Italia la Libia “è una priorità assoluta”, ha detto il prefetto Massimo Bontempi, direttore centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere del Viminale: per il periodo 2017-2020 sono stati stanziati per la Libia 46,3 milioni di euro di cui 42,2 del fondo europeo per l’Africa. La prima fase del supporto italiano prevede complessivamente la riparazione di 8 imbarcazioni, la fornitura di 20 gommoni per il controllo delle coste, di 30 Suv, 10 autobus e 14 ambulanze e diverse apparecchiature elettroniche oltre a missioni biennali di manutenzione e di addestramento. Ma Bontempi ha detto senza giri di parole che i problemi nell’area libica di ricerca e soccorso sono due: la presenza delle Ong che rappresentano un forte pull-factor, un elemento che incoraggia l’immigrazione, e il fatto che l’Italia sia l’unica nazione che coinvolge la Guardia costiera libica negli eventi Sar. A tale proposito ha anche ricordato che sono due le inchieste della magistratura sulle Ong: quella di Ragusa sulla nave Proactive Open Arms e quella di Trapani sulla Juventa.”

In assenza degli stati toccherà ancora alle tanto vituperate Organizzazioni non governative affrontare la questione prioritaria della salvaguardia della vita umana in mare. Nelle inchieste giudiziarie ancora aperte, o che si vorrà aprire, oltre a quelle già archiviate, le indagini difensive degli avvocati tiusciranno a provare chi è davvero responsabile della morte per abbandono in mare. Prima il diritto alla vita, poi gli accordi politici e la lotta ad una criminalità che è foraggiata dai rapporti di cooperazione economica e militare con paesi nei quali domina la corruzione e non vi è alcuna traccia di uno stato di diritto. Senza giustizia e diritti non ci potrà mai essere riconciliazione. Questo vale in Libia, come nel resto del mondo.

Chiediamo ancora una volta che ai “dannati” della SAROST 5 venga indicato al più presto un luogo sicuro di sbarco in Europa, perchè si è dimostrato in questi giorni, e non solo per la vicenda ancora in corso della SAROST 5, che la Tunisia, come la Libia, non garantiscono porti sicuri qualificabili come POS ( Place of Safety), con le caratteristiche che questi luoghi devono avere secondo il diritto internazionale. Tutti i paesi nordafricani hanno chiaramente rifiutato le proposte europee e dell’Italia salvinista, di aprire centri di detenzione nei principali punti di sbarco delle persone bloccate in acque internazionali e riconsegnate alle milizie dalle quali erano fuggite. Per il governo tunisino i naufraghi raccolti dalla Sarost in acque internazionali, 90 miglia a  sud di Lampedusa, devono essere sbarcati in Italia. Le richieste sempre più pressanti degli stati europei per ottenere supporto nella loro lotta contro quella che definiscono “immigrazione illegale”, anche se è composta in maggior parte da potenziali richiedenti protezione, sta esasperando le tensioni tra i singoli stati, come nel caso delle relazioni tra Tunisia e Libia.

Possiamo temere che la risposta degli stati, soprattutto da parte dell’Italia e di Malta, sarà ancora una volta una risposta negativa. La gestione degli ultimi soccorsi, dal caso Vos Thalassa/Di Ciotti all’ultimo caso Open Arms, senza dimenticare Malta, che tiene sotto un sequestro illegale, e privo di provvedimenti legittimi, due imbarcazioni delle ONG ( Sea Watch e Lifeline), sono ancora ferite aperte e bruciano ogni giorno di più. Dove mancano persino i provvedimenti di blocco delle navi, come a Malta, non è neppure facile individuare un tribunale competente e fare valere i diritti di difesa. Ammesso che la giurisdizione non si schieri dalla parte degli esecutivi.

Centinaia di persone che avrebbero potuto essere soccorse dalle navi umanitarie sotto sequestro ( dopo il sequestro a Lampedusa, a Trapani da un anno, la Juventa  della ONG Jugend Rettet sta marcendo in porto) sono state abbandonate nelle acque del Mediterraneo centrale, una su dieci che ne sono partite dalla Libia in questi ultimi due mesi ha trovato la morte tra le acque. Le torture nei centri di detenzione in Libia sono sempre più atroci, e non vale distinguere tra centri governativi e centri “informali”, perchè tutti sono gestite da milizie o da paramilitari e tutti i migranti vengono trasferiti spesso da un centro ad un altro come se fossero merce. Continuano i comportamenti violenti da parte della guarda costiera “libica”, che libica neppure riesce ad essere.

Nulla sarà rimosso, ci sarà sempre una possibilità di prova dei fatti, seppure di minoranza, cresce la capacità di raccogliere e fissare testimonianze, si avvicina il tempo dell’accertamento delle vere responsabilità, dopo anni di informazione distorsiva al limite, e spesso oltre, della diffamazione. Una disinformazione che ha spostato gli equilibri elettorali, contribuendo alla diffusione di un vero e proprio senso comune basato sull’odio e sulla discriminazione.

Toccherà ancora una volta alle Organizzazioni umanitarie, ed ai cittadini solidali che si ribellano alle politiche dell’odio e dell’ignoranza, trovare le soluzioni, oltre a custodire la memoria dei fatti ed il rispetto per le vittime, e rafforzare la massa critica. Prima di tutto per salvare la vita alle persone, subito dopo per fare valere davanti ad una giurisdizione indipendente i loro diritti. Non sono in gioco soltanto i diritti dei migranti. Dietro l’attacco alle ONG che fanno soccorso in mare si cela l’attacco al diritto internazionale e agli ultimi brandelli di autentica opposizione sociale, contro chi vorrebbe ancora utilizzare la retorica della frontiera per guadagnare consenso. Si vuole affermare la politica del fatto compiuto, delle scelte politiche maturate fuori dai parlamenti, comunicate magari attraverso i social, con una ulteriore delegittimazione di tutte le istituzioni nazionali ed internazionali.

In questo momento, se vogliamo difendere la nostra democrazia, dovremmo andare tutti attorno alla SAROST 5, per chiedere che sia rispettato il diritto delle persone, di qualunque persona, a prescindere dalla sua condizione giuridica o fisica, di sbarcare in un porto sicuro, in un place of safety nel quale i diritti fondamentali non siano a rischio. Chi non lo potrà fare fisicamente, dovrà operare giorno per giorno sul terreno della comunicazione, della denuncia e della difesa. Riguarda tutti, non soltanto i 45 disperati della SAROST 5 sballottati da dieci giorni tra le onde dell’odio e dell’indifferenza.

Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso, non esiste più.

Hannah Arendt, “Le origini del totalitarismo”