Terzo naufragio in quattro giorni. I governi uccidono ed i giudici processano la solidarietà.

di Fulvio Vassallo Paleologo

La scelta contemporanea del governo italiano di chiudere i porti alle ONG ed il blocco imposto dal governo di Malta alle navi umanitarie, sotto sequestro a partire dal 28 giugno, anche senza provvedimenti formali, nel porto di La Valletta, stanno producendo i tragici effetti che avevamo previsto. Tre stragi in quattro giorni, al largo delle coste libiche, oltre 300 morti o dispersi nelle acque del Mediterraneo, un vero e proprio olocausto ai danni del popolo migrante. Una conseguenza delle politiche di dissuasione di cui vanno fieri i governi nazi(onal)isti europei, che nell’ultimo vertice di Bruxelles hanno trovato un accordo soltanto sull’ennesimo attacco contro le Organizzazioni non governative. Ancora vaghe le promesse per nuovi finanziamenti alla sedicente Guardia costiera libica, e lontanissima la riforma del Regolamento Dublino. Unico problema da affrontare, come fare fuori le ONG.

Abbiamo già scritto, sulle gravissime violazioni del diritto internazionale commesse da chi blocca le navi umanitarie con un pretesto, o minaccia di arresto i cittadini solidali impegnati nelle attività di ricerca e salvataggio, accusati di complicità con i trafficanti. Siamo certi che, ben al di là dei processi che si vorrebbero intentare contro le ONG, prima o poi, gli autori di queste politiche di morte ed i loro esecutori possano finire alla sbarra. Anzi, più accuseranno i comandanti delle navi di non avere voluto consegnare ai libici le persone soccorse in acque internazionali, più appariranno evidenti le responsabilità di chi trasferisce le responabilità di coordinamento degli interventi SAR su una Guardia costiera che non è evidentemente in grado di fare fronte, con i mezzi ed il personale di cui dispone, alle chiamate di soccorso che riceve, sempre più spesso, da assetti aerei e navali europei. Sembrano pure scomparse le navi militari irlandesi, inglesi, e quelle di Frontex e di Eunavfor Med che negli scorsi anni garantivano una importante attività di ricerca e salvataggio, coordinata dalla Centrale operativa della Guardia costiera italiana (MRCC) di Roma. La politica della dissuasione ha voluto creare un vuoto di fronte alle coste libiche, un vuoto che fino a pochi giorni fa era parzialmente riempito dalle poche navi delle ONG. Negli ultimi giorni, con il loro allontanamento, la situazione si è ancora aggravata.

Il processo intentato a Malta contro il comandante della Lifeline, colpevole di non avere consegnato i naufraghi ai libici, si basa su una inversione delle regole del soccorso in acque internazionali che impongono lo sbarco in un porto sicuro (place of safety). Il ricorso ad espedienti burocratici come l’accertamento sui documenti di navigazione o sullo stato di bandiera, che adesso si rivolge contro chi si vuole criminalizzare perchè colpevole di soccorso, si potrebbe indirizzare verso le decine di navi che usano Malta e le sue acque come una piattaforma del contrabbando di petrolio libico.

A Malta sono arrivati a bloccare in porto una nave, la Sea Watch con una misura di polizia, senza neppure adottare un provvedimento formale. In passato, nel novembre dello scorso anno, proprio la Sea Watch era stata attaccata da una motovedetta libica mentre conduceva una operazione di soccorso, una vicenda di cui si occuperà presto la Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E poche settimane fa il Giudice delle indagini preliminari di Palermo, su richiesta della Procura, aveva archiviato una indagine aperta lo scorso anno contro la Open Arms e contro la Sea Watch.

Intanto in Italia, senza adottare un provvedimento formale, come tale impugnabile davanti ad un giudice, hanno negato alle navi delle ONG l’accesso alle acque territoriali e l’ingresso nei porti, anche solo allo scopo di un rifornimento. L’Unione Europea condanna i respingimenti in Libia, ma promette danaro agli stati, da trasferire lala sedicente Guardia costiera libica per continuare a fare il lavoro sporco di questi giorni. Con la prevedibile conseguenza di altre migliaia di vittime. Basta che i corpi non si vedano in Europa e si disperdano sulle spiagge libiche o nelle acque del Mediterraneo. Ci sarà tempo perchè i cittadini europei, al di là della prossima campagna elettorale che giocheranno tutta sulla “difesa dei confini europei”, si rendano conto della devastazione sociale e morale prodotta da queste politiche dell’odio.

La Libia non è ancora un paese unificato nel quale sia possibile garantire i diritti umani e persino la integrità fisica dei suoi stessi abitanti. Al di là del piano Salvini sulla Libia e delle ricorrenti dichiarazioni dell’ambasciatore italiano a Tripoli, smentite persino dai rapporti delle Nazioni Unite,  si tratta di un paese diviso, fortemente corrotto, che le milizie si contendono, gestendo direttamente il traffico di armi e petrolio, e la tratta di esseri umani. Fare accordi con queste milizie significa agevolare i trafficanti e non combatterli. Una strada sbagliata che si batte da anni. L’unica scelta valida per battere il traffico è aprire canali legali di ingresso, e pacificare territori che oggi sono in preda ad una gueriglia diffusa.

Se non si ridarà uno spazio operativo alle navi delle ONG, i morti sulla rotta del Mediterraneo centrale, che nessuno potrà mai chiudere, continueranno ad accumularsi a migliaia. Ma sappiamo che gli attuali governanti non avranno occhi per vedere ed orecchie per ascoltare, accecati dai sondaggi che li premiano quanto più disumane sono le scelte che fanno. Ci vorrà molto tempo prima che i loro elettori paghino i costi delle politiche di morte che in questo momento appaiono vincenti. Forse, ma non sarà fra trent’anni, cambieranno idea, se non sarà troppo tardi.

Oggi vogliamo soltanto fissare la sequenza dei fatti, le vicende di questa ultima strage, che rischia di essere cancellata dall’indifferenza generale, per restituire una lacrima ed un ricordo a quelli che potrebero essere nostri padri, madri, fratelli, sorelle, figli, nipoti. Che oggi, dopo questo ennesimo naufragio, saranno dispersi in qualche parte del Mediterraneo, senza che le loro famiglie possano avere almeno restituiti i cadaveri. Altre 114 vite cancellate dalle politiche di “lotta ai trafficanti” e di “difesa dei confini” che in Europa ed alle sue frontiere esterne stanno prevalendo persino sul diritto alla vita.

«Un altro triste giorno in mare: oggi 276 rifugiati e migranti sono stati fatti sbarcare Tripoli, inclusi 16 sopravvissuti di un’imbarcazione che portava 130 persone, delle quali 114 sono ancora disperse in mare», riferisce un tweet della sezione libica dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Anche un rappresentante dell’Unhcr, contattato dall’ANSA, conferma che si tratta di un nuovo naufragio. «Sappiamo che l’imbarcazione è salpata da Garabulli un paio di giorni fa ed è affondata», ha precisato la fonte riferendosi al naufragio segnalato oggi e a una località a est di Tripoli.

@UNHCRLibya
4 min4 minuti fa

Update: 2 shipwrecks took place over the past days with one disembarkation on 29 June in Tajoura (100 persons missing and 16 disembarked) and one today 2 July at the Tripoli Naval Base (114 persons missing and 276 disembarked) No disembarkation took place in Zwara.

Come risposta a queste stragi il governo italiano non ha trovato altra soluzione che rinforzare la sedicente Guardia costiera “libica” già ampiamente sostenuta dalla nostra Marina militare. In attesa che l’Unione Europea faccia arrivare altri finanziamenti.Malgrado i corsi di formazione, rivolti alla Guardia costiera di Tripoli, le vittime di questi ultimi giorni confermano la grave incapacità di queste forze a garantire effettivamente la salvaguardia della vita umana in mare, anche perchè a bordo dei loro mezzi ( appena sei) dispongono di armi per intercettare e bloccare, ma non di salvagenti e di mezzi collettivi di soccorso in numero tale da garantire la vita delle persone bloccate in alto mare a bordo di gommoni in procinto di affondare.

Come riferisce oggi l’ANSA, si ripristinano gli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, preceduti dai Protocolli operativi firmati nel dicembre del 2007 dall’allora ministro dell’interno Amato, sia per quanto concerne il coordinamento interforze, sia con l’invio di nuove motovedette, anche se la situazione dei diritti umani in Libia appare oggi più critica che in passato. Un vero esempio di politica bipartisan prolungata negli anni, che ha esasperato le tensioni in Libia e prodotto un disastro enorme sul piano della tutela delle persone intrappolate nei campi lager di quel paese o sfruttati come schiavi. Il ministro Toninelli dichiara oggi:

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera all’invio in Libia di 10 navi per la Guardia costiera. “Con questo provvedimento diamo sostanza a rapporti di partenariato che risalgono al 2008 e che peraltro sono stati rinnovati l’anno scorso. Il dicastero che guido, attraverso le Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, ci mette fino a 10 motovedette, più il training al personale per il loro utilizzo. Stiamo parlando di un impegno economico che sfiora gli 1,5 milioni, a fronte di un costo complessivo del provvedimento pari a circa 2,5 milioni. Dunque, il nostro è un apporto fondamentale”.

Gli attuali piccoli uomini che si compiacciono del loro potere e del consenso che li supporta, per la guerra che hanno dichiarato alle ONG ed alla solidarietà in generale, non ci potranno costringere al silenzio, non potranno nascondere oltre le gravi violazioni del diritto internazionale, e non potranno fare scomparire la memoria delle loro vittime. Vediamo quali altri disastri porteranno le motovedette di cui vogliono dotare la Guardia costiera di Tripoli. Che possano pesargli per sempre sulla coscienza, per le scelte di morte che hanno fatto e per quelle che continueranno a fare, con la guerra alle ONG e la retorica dell’invasione, per nascondere privilegi e ingiustizie sociali di cui non sono certo responsabili gli ultimi del mondo.

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Sea-Watch

2 luglio 2018 h 20.45

A SEA-WATCH VIENE IMPEDITO DI LASCIARE IL PORTO DI MALTA

Dopo aver inoltrato, come da regolare procedura, la richiesta di poter lasciare questa sera il porto di La Valletta, ieri Sea-Watch ha ricevuto risposta negativa dall’autorità portuale di Malta, la quale riferisce tramite il nostro agente che “in base alle attuali istruzioni, la nave Sea Watch 3 non è autorizzata a partire dal porto.” La spiegazione addotta è la seguente: “La situazione e lo status della nave sono in corso di  revisione e torneremo sulla questione a tempo debito”.

Apprendiamo quindi che Sea-Watch 3 è in stato di fermo e sotto esame senza alcuna motivazione tecnico-legale fornita.

Dal 2016 Sea-Watch ha a Malta la propria base logistica mentre tutte le sue operazioni e i pochi sbarchi effettuati dall’organizzazione in Italia sono avvenuti sempre sotto il coordinamento della centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, i cui stessi membri stanno prendendo le distanza con i dovuti distinguo. E’ infatti di oggi l’intervista sul Corriere della sera a Gregorio De Falco, Ufficiale della Marina e Senatore del Movimento Cinque Stelle: “il naufrago ha diritto di essere salvato, senza che sia compiuta alcuna valutazione, non conta la provenienza, la etnia. Il naufragio è una situazione di fatto da cui discendono obblighi verso chiunque civile o militare, italiano o straniero, che sia in grado di portare soccorso”.

A seguito del rientro dalla sua ultima missione, la Sea-Watch 3 ha stazionato a Malta per un processo di revisione e ispezione in programma da mesi che è stato superato con successo con il passaggio di classe della motonave

La Sea-Watch 3 risultava comunque già regolarmente iscritta al Registro nazionale delle navi battenti bandiera olandese. L’organizzazione è inoltre membro della Federazione Internazionale per il Soccorso Marittimo IMRF.

Nei giorni scorsi sulla Sea-Watch 3 si sono recate le autorità portuali maltesi per un controllo della documentazione della nave, dei certificati e delle patenti così come dei passaporti dell’equipaggio; controllo a seguito del quale non è stato contestato nulla. I dettagli tecnici, che l’organizzazione condivide in trasparenza, sono uno degli aspetti su cui le autorità si accanisconoper trovare un appiglio volto a impedire la presenza scomoda delle ONG in mare che soccorrono, testimoniano e denunciano.

Sea-Watch interpreta la decisione di Malta come una grave e ingiustificata restrizione della libertà di circolazione della propria imbarcazione e del diritto di procedere con lo svolgimento delle proprie attività. Dietro l’impedimento a lasciare il porto si cela la chiara volontà politica di impedire in maniera arbitraria e illegale le attività di soccorso in mare in un’area in cui il numero dei morti annegati è in quotidiano aumento. UNHCR ha riportato ieri di un barcone capovolto al largo di Zuwara con 63 dispersi e di un naufragio accaduto venerdì scorso con oltre 100 persone morte tra cui 3 bambini.

LE TESTIMONIANZE VS “LE MENZOGNE”

Alla luce delle conclusioni emerse dal Consiglio Europeo e delle recenti prese di posizione assunte precipitosamente dal nuovo governo italiano, Sea-Watch rileva la manifesta volontà di eliminare la presenza della società civile nel Mediterraneo centrale, inibendo tutti gli assetti navali delle ONG.

L’Europa sceglie consapevolmente e colpevolmente di legittimare la cosiddetta Guardia Costiera libica a cui si delega un sistema di intercettazione e respingimento, con l’obiettivo di riportare persone vulnerabili in centri di detenzione nei quali vengono registrati, su base quotidiana, gravissime violazioni dei diritti umani contro i valori fondanti dell’Unione Europea.

Vorremmo che il Ministro dell’Interno che, dopo la visita in Libia definisce“menzogne” le storie di torture riportate dai sopravvissuti alle carceri libiche, conoscesse per esempio, la storia di Katy, ivoriana di 24 anni e di ciò che ha subito proprio in uno dei centri di detenzione ufficiali libici dove vengono riportate le persone intercettate in mare.

Dopo essere stati presi in mare ci hanno portati in una grande prigione a Zawwya. La gente riceveva un tozzo di pane al giorno come unico pasto. Picchiano gli uomini regolarmente. Le donne no, ma le guardie vengono di notte e le stuprano. Scelgono le ragazze, ci puntano contro il fucile e ci portano via.

Sono stata violentata due volte, due mesi fa, due notti di seguito, dallo stesso uomo. L’uomo mi costringeva ad avere rapporti orali,e mi penetrava da davanti e da dietro. Voleva prendermi una terza notte ma ho rifiutato, anche se mi ha puntato contro il fucile, perchè non potevo più sopportare il dolore. In risposta, si è messo in piedi sopra di me, mi ha picchiata brutalmente ovunque con calci e con un tubo di gomma. La mandibola mi fa ancora male.” Katy ha cercato di attraversare il mare 4 volte. Vorrei che il Ministro dell’Interno ascoltasse queste “menzogne” personalmente, ne vedesse i segni che la-sciano sul corpo e nelle persone.

Non reggerebbe lo sguardo con le pupille dilatate di chi emerge dal mare”,commenta la portavoce di Sea-Watch in Italia Giorgia Linardi. E aggiunge: “voglio sperare che il governo non sappia fino in fondo quello che fa perché non si è mai avvicinato davvero alla realtà. Non ha mai visto con i propri occhi come troviamo queste persone, stipate in 100, 150 e più su gommoni spessi meno di un millimetro. Non ha sentito l’odore nauseante di benzina di cui queste persone sono fradicie, in un misto di acqua salata e fluidi umani.Non ha mai avvertito la sensazione di un corpo freddo, turgido, di un morto annegato.”  Si sta mettendo in discussione il principio ancestrale della solidarietà in mare, dove tendere la mano è un gesto istintivo, umano. Ma non basta dire che le persone vanno salvate, l’obbligo di soccorso presuppone che vengano portate “al più presto in un luogo sicuro”. Si sta al contrario, istituzionalizzando l’omissione di soccorso, lasciando che le persone vengano riportate all’inferno.” Conclude Linardi.

Per info: Federica Mameli

federica@sea-watch.org