di Fulvio Vassallo Paleologo
Si è ormai affermato un metodo di governo che si basa sulla diffusione di messaggi in aperto contrasto con gli obblighi di soccorso in mare sanciti dalle Convenzioni internazionali e dal diritto interno. Si vuole dimostrare ai vertici europei di Bruxelles una posizione più autorevole perché abbiamo chiuso i porti alle ONG e delegato alla cd. Guardia costiera libica gli interventi di ricerca e soccorso in quella che, solo sulla carta, di può definire come una zona SAR libica. Ma la posizione italiana non garantisce il rispetto dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali. Oggi mille persone sono alla deriva in alto mare abbandonati alle intercettazioni da parte dei miliziani libici o al naufragio. Alle Organizzazioni non governative è stato vietato di intervenire, per scelta del ministro dell’interno Salvini, che ha minacciato arresti e sequestro delle navi umanitarie.
Dopo il Tribunale di Ragusa e la Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha chiesto al GIP, ed ottenuto,l’archiviazione delle indagini contro le ONG, che si rifiutavano di consegnare i migranti alla Guardia costiera libica, anche le Nazioni Unite confermano che la Libia, meglio il Governo di Tripoli con cui hanno trattato prima Minniti e Gentiloni, e con cui oggi tratta Salvini, non garantisce porti sicuri di sbarco, ( Place of safety-POS), che dunque vanno garantiti dalle autorità italiane ed europee.
Nessuna richiesta di modifica del Regolamento Dublino si potrà imporre giocando sulla pelle delle persone in attesa di esere soccorse in mare. Nessuna proposta di esternalizzazione del diritto di asilo, con l’apertura di centri di trattenimento e selezione dei migranti in Niger o in Tripolitania, potrà garantire la tutela dei diritti e dei corpi delle persone intrappolate in Libia. Nessuna autorità statale, politica, militare o giudiziaria può garantire i diritti umani delle persone in quel paese, libici compresi. Le testimonianze, che continuano ad accumularsi, raccolte anche da Amnesty International, confermano che in tutti i centri di detenzione in Libia le persone migranti, uomini, donne, minori, continuano ad essere esposti ad abusi e ad estorsioni continue.
La situazione dei migranti intrappolati nei centri libici non è sostanzialmente cambiata rispetto a quella accertata anche dai giudici penali italiani. La occasionale presenza dell’OIM e dell’UNHCR nei cd. centri governativi non basta a garantire un effttiva sicurezza per tutte le persone detenute o ricondotte in Libia dalla uardia costiera di Tripoli. i programmi di evacuazione predisposti dalle Nazioni Unite hanno liberato soltanto una minima parte dei migranti detenuti in Libia. Gli ultimi rapporti della missione ONU in Libia UNSMIL confermano abusi e corruzione anche recenti e nei centri di detenzione gestiti dalle milizie legate al governo Serraj.
Il livello della semplificazione che passa da ministri che usano i social per attuare il loro programma di governo è tale che qualsiasi approfondimento viene interdetto. Non si ricorda che la Libia è ancora priva di una autorità territoriale unica, non ha una centrale di coordinamento nazionale per le attività di ricerca e soccorso in mare (MRCC) che corrisponda ai requisiti previsti dalle Convenzioni internazionali, soprattutto non rispetta i diritti fondamentali delle persone detenute nei centri di internamento (anche governativi) o intercettate in mare dalla sedicente Guardia costiera libica.
Il richiamo isolato ad una singola norma della Convenzione SOLAS del 1974 non esclude la imperatività degli obblighi di soccorso immediato stabiliti, a carico del paese che per primo riceve la segnalazione di un evento SAR, dalla successiva Convenzione di Amburgo (SAR -1979) e dalla più recente Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS – 1982) e dai relativi emendamenti, tutti ratificati dall’Italia con una specifica legge. Gli emendamenti ribadiscono l’obbligo per il comandante di soccorrere chiunque venga trovato in difficoltà in mare e per gli Stati responsabili delle rispettive zone SAR di adottare tutte le misure necessarie affinché le operazioni di soccorso e salvataggio vadano a buon fine (art. 3.1.9 della Convenzione SAR). Per quanto riguarda l’identificazione di un porto sicuro, poi, gli emendamenti stabiliscono che:
“The Contracting Government responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such co-ordination occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organization. In these cases, the relevant Contracting Government shall arrange for such disembarkation to be effected as soon as reasonably practicable” (corsivo aggiunto). Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR sono stati poi completati dalle Guidelines in the Treatment of Persons Rescued at Sea, anch’esse adottate dall’IMO nel 2004 (IMO, Maritime Security Committee (MSC), Guidelines in the Treatment of Persons Rescued at Sea, IMO Resolution MSC.167(78), adottate il 10 maggio 2004, IMO Doc. MSC 78/26/Add.2 Annex 34), volte a supportare l’effettiva applicazione degli emendamenti, con particolare riguardo a “humanitarian obligations and obligations under the relevant international law relating to treatment of persons rescued at sea”.
Una normativa di rango primario, che oggi non può essere dimenticata, anche per il chiaro disposto degli articoli 10,11 e 117 della Costituzione italiana, che impongono a tutte le autorità dello stato, inclusi i ministri, di applicare le leggi e di esercitare i loro poteri senza contravvenire alle Convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro paese. La stessa Convenzione SOLAS, peraltro, prevede ( art. IV) che “le persone che si trovano a bordo di una nave per causa di forza maggiore o in conseguenza dell’obbligo imposto al comandante di trasportare naufraghi o altre persone, non devono essere computate allorché si tratta di verificare l’applicazione alle navi di una qualsiasi prescrizione della presente Convenzione”.
Gli ordini impartiti dai ministri alle agenzie operative dei loro dicasteri passano sempre più spesso da comunicati informali, generalmente nascosti alla stampa ed all’opinione pubblica, come vengono tenute nascoste le operazioni di soccorso in mare e di sbarco a terra. Il ministro dell’interno comunica tramite facebook, piuttosto che attraverso atti del suo ufficio ed ha la certezza che le ONG fanno business con il soccorso in mare. Ne deriva una grande confusione, nella quale è facile continuare ad azionare la macchina del fango contro le ONG ed il loro carico di “merce umana” persone ridotte a cose dalla comunicazione governativa. Alcuni social provvedono poi a rilanciare le accuse più infondate, ottenendo milioni di visualizzazioni, e lo smottamento del senso comune è assicurato. Alla fine vince l’odio contro gli operatori umanitari e la indifferenza verso chi perse la vita in mare o subisce abusi in Libia.
Lunedì Salvini andrà in Libia, senza giornalisti al seguito, ma al suo ritorno, nella prevista conferenza stampa rilancerà i suoi messaggi di odio contro i migranti che vanno abbandonati ai miliziani libici e contro le ONG “colpevoli” di soccorrere troppe vite umane in mare. Ancora una volta la forza diffusiva del messaggio prevarrà sui contenuti e con le insinuazioni e le minacce si nasconderanno le gravi violazioni del diritto internazionale e del diritto interno ordinate da questo governo. Violazioni che si sono verificate però già a partire dal Memorandum d’intesa stipulato il 2 febbraio 2017 tra il governo Gentiloni ed il governo di Tripoli.
Nel caso dei rapporti con il governo di Tripoli e della guerra alle ONG non si devono dimenticare le gravi responsabilità di Minniti e dell’intero governo Gentiloni che nel codice di condotta imposto alle ONG nel mese di luglio dello scorso anno, prevedevano espressamente che le navi umanitarie si sarebbero dovute piegare agli ordini delle motovedette libiche (donate e coordinate dal’Italia) e restituire i migranti soccorsi a chi li avrebbe riportati nei centri di detenzione per subire altri abusi ed altre estorsioni. Come non si può dimenticare il rapporto di consequenzialità tra le denunce politiche contro le ONG, come ad esempio il dibattito in Parlamento presso la Commissione difesa del Senato), e l’apertura di indagini giudiziarie da parte di diverse procure.
Oggi però i ministri dell’interno Salvini, delle infrastrutture Toninelli,che vuole sequestrare navi straniere in acque internazionali, e della difesa Trenta, rilanciano la imposizione rivolta alle ONG di riconsegnare alla guardia costiera libica i naufraghi soccorsi in acque internazionali e chiudono i porti italiani alle navi umanitarie “disobbedienti”, in violazione di leggi e convenzioni internazionali. Si invocano a convenienza le normative internazionali, e tutti sembrano diventati improvvisamente esperti di diritto internazionale. Si dimentica che le Convenzioni internazionali vanno interpretate ed applicate in modo coordinato, sulla base delle reali situazioni di fatto, e che tutte mettono al rango più elevato dal punto di vista gerarchico gli obblighi di soccorso e di salvaguardia della vita umana in mare, oltre al principio di non respingimento ( art. 33) affermato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 ed il divieto di respingimenti collettivi sancito dall’art.4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU, oltre che dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si dimentica soprattutto, ed è grave che lo dimentichino anche ministri della Repubblica, che Tribunali di questo paese hanno affermato che la Libia non offre “porti sicuri di sbarco”, quelli che le Convenzioni internazionali impongono come “Place of Safety” (POS). Porti sicuri di sbarco che vanno indicati con la massima sollecitudine possibile. Secondo le ultime sentenze di Ragusa e di Palermo, con riferimento ai casi indagati in queste sedi, il comportamento delle ONG che hanno fatto soccorso in mare a nord delle coste libiche è conforme alle prescrizioni della legge interna e del diritto internazionale. Lo sbarco in porti italiani dei migranti soccorsi in acque internazionali dalle ONG non integra reati, ma costituisce adempimento dei doveri di soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali.
Non si possono tenere bloccate in altro mare per giorni persone già soccorse dopo mesi di abusi in Libia e traversate tragiche. In base al punto 3.1.9 della Convenzione Sar (Search and rescue) di Amburgo del 1979: «Le Parti devono assicurare il coordinamento la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile.»
Per evitare l’indicazione di un POS ( Place of safety), e dunque lo sbarco in Italia, non si può imporre alla Guardia costiera italiana, che dai tempi di Mare Nostrum (2014) ha cooordinato le operazioni SAR a nord della Libia, il rimpallo delle responsabilità di coordinamento degli interventi di soccorso sulla Guardia costiera libica e su una inesistente Centrale di coordinamento(MRCC) a Tripoli.
Non si possono attaccare le ONG “colpevoli di soccorso”, magari perché non hanno le dimensioni necessarie per imbarcare tutti i naufraghi. Non si possono chiudere i porti, soprattutto non si possono fare passare giorni per interventi di soccorso che in base alle norme internazionali, in caso di distress, e sono tutti casi di distress in alto mare,sono improcrastinabili. Che cosa avrebbero dovuto fare le ONG, abbandonare le persone in mare, accettare che le famiglie fossero divise, lasciare corpi già martoriati nelle grinfie dei miliziani libici, inclusi quelli addestrati dalla Marina italiana ed adesso protagonisti di intercettazioni violente e di minacce continue contro le ONG? Si vogliono creare altri incidenti diplomatici, come con Malta, sulla pelle delle persone soccorse ?
Comunque si concluda questa guerra contro le ONG, e le persone migranti, contro gli operatori e i cittadini solidali messi sotto accusa, le violazioni commesse in questi mesi troveranno un tribunale, una corte internazionale, un ufficio delle Nazioni Unite che stabilirà le responsabilità personali che ne conseguono. Saranno l’Italia, e tutti gli italiani a pagare le conseguenze di una politica che, oltre ad abbattere i diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita, sta portano all’isolamento internazionale ed alla frantumazione di quell’Unione Europea che era costruita sui principi della solidarietà e della democrazia. Tutti, italiani autoctoni e migranti,subiranno gli effetti di una rottura dello stato di diritto e di una involuzione autoritaria del nostro paese. Occorre una grande risposta di mobilitazione e di aggregazione. L’attacco contro i migranti e le ONG che si sta portando avanti in Italia, come in altri paesi europei è una questione di sopravvivenza democratica che riguarda tutti, nessuno escluso.
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Sea Watch
24 giugno 2018 h 14.00
L’OMISSIONE DI SOCCORSO ISTITUZIONALIZZATA
I diritti annegano con le persone nel Mediterraneo
Nelle stesse ore in cui si tiene il Summit europeo d’emergenza sulla migrazione, la nave della ONG tedesca Mission Lifeline e un mercantile restano bloccate in mare da giorni, senza alcun coordinamento. Nessuno Stato membro accetta di assumersi la responsabilità sulle oltre 300 persone a bordo dei due vascelli, che nessuno vuole. Sono necessarie soluzioni umanitarie immediate. In attesa di una riforma strutturale del regolamento Dublino III, chiediamo che si consideri il ricorso all’articolo 17 dello stesso, come misura
d’urgenza che prevede la possibilità di concedere visti umanitari.
Le istituzioni devono trovare una soluzione immediata per le persone a bordo di LIFELINE, a cui Italia, Malta, Germania e Olanda hanno già negato supporto. La LIFELINE staziona in acque internazionali davanti a Malta. Le autorità maltesi hanno disposto il divieto a qualunque nave di avvicinarsi. Sea-Eye e
Sea-Watch nella giornata di ieri si sono organizzate per mandare rifornimenti in supporto. Le autorità maltesi hanno disposto il divieto a qualsiasi nave di avvicinarsi e le ONG sono riuscite a far pervenire gli
approvvigionamenti tramite l’impiego di navi governative maltesi. Anche il mercantile ALEXANDER MAERSK non ha un coordinamento chiaro e un porto sicuro assegnato e si trova in acque territoriali
italiane in attesa di istruzioni. Il braccio di ferro europeo tiene in ostaggio persino le navi commerciali, comportando gravi danni allo svolgimento delle loro attività.
La situazione di LIFELINE è per ora stabile nonostante il sovraffollamento della nave, mentre da ALEXANDER MAERSK sono già stati evacuati i soggetti più vulnerabili e i casi medici. In linea con le linee guida dell’IMO sul trattamento delle persone soccorse in mare, gli assistiti devono essere portati in
un luogo sicuro “senza ritardo o difficoltà”. Ancora una volta la disputa sull’immigrazione si gioca sulla pelle delle persone soccorse in mare, in una situazione di acuta vulnerabilità.
Alla luce del dibattito di queste ore in occasione del Summit dell’Unione Europea sulla migrazione e del
vertice del Consiglio Europeo della prossima settimana, chiediamo che si considerino misure immediate per sbloccare la presente situazione. In mancanza di vie sicure e legali per la migrazione, si rende necessaria una revisione strutturale del regolamento Dublino III. Lo stesso tuttavia, allo stato attuale, consente agli Stati membri di rilasciare in via eccezionale visti per motivi umanitari, che possono essere adottati come soluzione provvisoria. Si tratta della clausola discrezionale all’articolo 17, che stabilisce che “in deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri previsti dal regolamento Dublino III”.
Sea-Watch invita inoltre il Governo tedesco e gli Stati federali della Germania a mostrare un impegno concreto fornendo una soluzione preliminare attraverso la concessione di visti umanitari: opzione prevista dalla legge federale sul soggiorno (AufenthG), che consente il rilascio di un permesso per motivi
umanitari da parte della più alta autorità statale di qualsiasi Stato federale.
Chiediamo con forza agli Stati membri di porre fine a una situazione gestita in maniera disumana, in cui i morti sono aumentati esponenzialmente nelle ultime settimane per via dell’insufficienza di assetti preposti al soccorso e la guerra dichiarata alle ONG in mare, e di lavorare insieme verso soluzioni concrete sulla base del principio di solidarietà tra stati membri (art. 80 TFUE) che prevede un’equa distribuzione degli sforzi per il soccorso in mare e l’accoglienza a terra.
L’Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi in una dichiarazione mette in prospettiva il fenomeno
migratorio affermando che “globalmente più di 9 persone su 10 costrette a ricollocarsi si trovano fuori dall’Europa”. L’Unione Europea è tenuta ad assumersi la sua piccola parte di responsabilità rispetto agli spostamenti di persone ben più massicci su scala mondiale.
L’UNHCR (missione Libia) ha riportato che dall’inizio della settimana almeno 220 persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo Centrale. Questo dato drammatico ha indotto l’Agenzia delle
Nazioni Unite a chiedere il potenziamento della presenza di navi dedicate al soccorso. Sono confermati inoltre 76 dispersi in seguito al naufragio del 12 giugno che ha visto coinvolta la nave militare statunitense US TRENTON, i cui 41 sopravvissuti sono stati sbarcati ben 9 giorni dopo il soccorso. Intanto i governi europei, con l’Italia in testa, agiscono nell’intento di eliminare la presenza delle navi civili in mare preposte al soccorso e si rifiutano strenuamente di disporre un dispositivo congiunto dedicato al salvataggio. I numerosi e colpevoli annegamenti di questi giorni sono conseguenza diretta delle
nuove politiche italiane che annunciano la chiusura dei porti, ordinano l’arretramento delle navi governative in area, minacciano l’arresto e il sequestro di equipaggi e navi di ONG straniere. Il governo italiano sta cercando a ogni costo, anche tramite azioni di forza, irresponsabili, disumane e illegali, di eliminare la presenza libera e indipendente della società civile in mare che salva, testimonia e denuncia.
Nonostante il calo degli arrivi, il tasso di mortalità è in proporzione in preoccupante aumento. Il quadro attuale evidenzia l’altissimo costo umano della politica europea di contenimento dell’immigrazione e
respingimento per procura, affidato ai libici, sullo sfondo della mancata assunzione di responsabilità degli stati membri.
Abbiamo bisogno di un’Europa solidale e accogliente. Un’Europa che fornisca sicurezza e protezione a coloro che ne hanno bisogno. La disputa sulla distribuzione dei richiedenti asilo non può essere condotta irresponsabilmente a spese delle persone in difficoltà in mare.
Per aggiornamenti sulla situazione e interviste:
Federica Mameli federica@sea-watch.org +343420399890
Foto e video delle missioni di Sea-Watch:
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