Ipocrisia e menzogne sulla riforma del Regolamento Dublino

di Fulvio Vassallo Paleologo

1.Nel suo tour elettorale in Sicilia il neo-ministro dell’interno ha tracciato le linee dei suoi futuri interventi, nel quadro del Contratto di governo stipulato con il Movimento Cinque stelle, in materia di asilo ed immigrazione. Oltre ai consueti attacchi alle ONG, definite “vicescafisti”, proprio nel giorno di gravi tragedie che sono costate la vita a decine di migranti nelle acque dell’Egeo e davanti alle coste di Sfax, Salvini ha annunciato il voto contrario dell’Italia sulla proposta di riforma del Regolamento Dublino III, adottata dal Parlamento Europeo lo scorso anno e nei prossimi giorni al vaglio del Consiglio dell’Unione Europea. Una proposta di compromesso che cominciava a scalfire il principio della competenza (per l’esame delle richieste di asilo) del primo paese di ingresso e tentava di introdurre meccanismi vincolanti ( per gli stati) di ritrasferimento verso i paesi del Europa centrale e settentrionale, riconoscendo criteri oggettivi ( come i vincoli familiari) e una limitata possibilità di scelta per i richiedenti. Una proposta contro la quale si erano già schierati i paesi del gruppo di Visegrad, guidati dall’Ungheria di Orban, rafforzati dagli stati nei quali i partiti nazionalisti ( chiamati oggi sovranisti) avevano vinto le elezioni, come l’Austria, che non volevano subire vincoli obbligatori nell’accoglienza di una quota sia pure minima dei migranti sbarcati in Grecia ed in Italia. Ed alcuni di questi paesi avevano già subito una dura condanna da parte dell’Unione Europea, per non avere rispettato neppure i modesti vincoli imposti dal vigente regolamento Dublino III ed avere fatto fallire le procedure di Relocation ( ricollocazione), previste dall’Agenda europea sulle migrazioni del 2015 ( il cd. Piano Juncker).

L’attacco alle ONG rimane intanto la cortina fumogena dietro la quale si nasconde l’assenza di proposte valide a livello europeo da parte della nuova maggioranza giallo-verde di impronta “sovranista”, ma sarebbe meglio dire nazionalista. Un ministro che nel primo giorno di insediamento, prima ancora di avere giurato ( sulla Costituzione italiana !), annuncia querele contro chi lo contesta invocando il diritto alla vita ed il diritto internazionale del mare, fa presagire un imbarbarimento della nostra democrazia.

La scelta di Salvini di spingere il governo italiano contro la proposta di riforma (seppure di compromesso) del Regolamento Dublino smaschera una feroce ipocrisia e svela le menzogne sulle quali si basa la comunicazione pubblica del neo-ministro dell’interno, che si sente evidentemente in una campagna elettorale permanente. Con il suo posizionamento, contrario alla riforma del Regolamento Dublino, l’Italia si allinea a quei paesi che non vogliono consentire alcun “movimento secondario” dei richiedenti asilo oltre il primo paese di ingresso, ed aumenta oggettivamente le prospettive di sovraccarico del sistema di accoglienza italiano, che invece lo stesso Salvini afferma di volere ridimensionare.

Si potrebbe anche aggiungere, dal nostro punto di vista, che il blocco della riforma Dublino potrebbe sortire effetti positivi, dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante, lasciando immutate le cd. clausole umanitarie tuttora vigenti ed anche perchè le procedure accelerate in frontiera ( nei cd. Hotspot), con una consistente presenza di agenti di Frontex, previste nella proposta di compromesso uscita dal Parlamento, potrebbero comportare l’inasprimento delle prassi violente di polizia. Con un aumento della discrezionalità amministrativa nella selezione sommaria (quasi a  vista), tra migranti economici (da respingere) e richiedenti asilo (da ammettere alla procedura di protezione). E con una negazione sostanziale dei diritti di difesa, tra questi del diritto ad un ricorso effettivo, che sono stati ribaditi di recente dal Consiglio di Stato e dalle Corti internazionali.

Risultato della scelta che sarà imposta da Salvini al governo italiano, un aumento esponenziale dei movimenti secondari clandestini, un vero regalo per quelle organizzazioni criminali che tutti a parole dicono di volere contrastare, ed un rinvio all’infinito di una vera riforma del sistema Dublino, con rischi che potrebbero scaricarsi anche sul principio della libertà di circolazione affermato dal Regolamento Schengen.

Per chi volesse capire che cosa si nasconde dietro la proposta di compromesso di  riforma del vigente Regolamento Dublino, tracceremo adesso un breve quadro ricostruttivo. Un ennesimo tentativo di spingere il dibattito su questi temi oltre gli slogan ad effetto che, oltre alle finalità elettoralistiche, svelano il vuoto e l’ipocrisia della proposta politica della maggioranza che ha vinto le ultime elezioni.

2. La più recente proposta di riforma del Regolamento Dublino va inquadrata nella complessiva riforma del CEAS, il Sistema dell’ asilo europeo, di cui costituisce un tassello essenziale, nella direzione di garantire procedure e qualifiche davvero uniformi e di limitare anche in questo modo i cd. “movimenti secondari” da un paese all’altro.  La proposta  di riforma del Regolamento Dublino“rifonde” il Regolamento (UE) n. 604/2013 e dovrebbe pertanto essere adottata sulla stessa base giuridica, cioè l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), del TFUE, secondo la procedura legislativa ordinaria. Sembra dunque un percorso assai difficile, e non sorprende che dopo l’originaria proposta  pubblicata dalla Commissione nell’aprile del 2016, siano trascorsi quasi due senza un voto concorde del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea.

La Commissione Europea, dopo avere presentato l’Agenda europea sulla migrazione del 13 aprile 2015, ha proposto un programma globale di riforma del Sistema europeo comune d’asilo (CEAS) (Comunicazione riformare il Sistema europeo comune d’asilo e potenziare le vie d’accesso legali all’Europa, COM(2016) 197 final).

Obiettivo fondamentale della riforma era quello di realizzare progressivamente un sistema comune d’asilo basato sui principi dei responsabilità e di solidarietà tra gli Stati membri. Il programma prevedeva l’adozione, in via prioritaria, di un primo pacchetto di riforma del complessivo sistema di Dublino, presentato il 4 maggio 2016, contenente tre proposte di regolamenti legislativi del Parlamento europeo e del Consiglio riguardanti rispettivamente la rifusione del regolamento Dublino III (COM(2016) 270 final), la nuova Agenzia europea per il sostegno all’asilo (COM(2016) 271 final) e la riforma del sistema EURODAC (COM(2016) 272 final).

Con un secondo pacchetto di provvedimenti di natura regolamentare, in modo da garantire una applicazione più uniforme nei diversi stati dell’Unione, la Commissione intendeva creare una procedura comune per la protezione internazionale, uniformare gli standard di protezione e i diritti per i beneficiari di protezione internazionale e armonizzare ulteriormente le condizioni di accoglienza nell’UE. Rimaneva come obiettivo centrale la riduzione dei cd. movimenti secondari dei richiedenti asilo indotti anche dalle rilevanti differenze attuative delle diverse Direttive all’interno degli stati membri.

In questa direzione, al fine di garantire una maggiore unformità normativa che scoraggiasse i movimenti secondari, il 13 luglio 2016, la Commissione ha presentato il secondo pacchetto di misure di riforma. Si tratta di due proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio destinate l’una ad abrogare la direttiva procedure (COM(2016) 467 final), l’altra per modificare la direttiva direttiva qualifiche (COM(2016) 466 final) e di una proposta di rifusione della direttiva accoglienza (COM(2016) 465 final).

Queste proposte erano evidentemente funzionali all’applicazione del futuro regolamento Dublino IV, fornendo gli strumenti per aumentare la complessiva “efficienza” del sistema europeo d’asilo (CEAS), soprattutto sotto il profilo della uniformità delle regole adottate nei singoli stati. Appare dunque evidente come la riforma del Regolamento Dublino non possa essere considerata isolatamente, ma si colleghi all’adozione di strumenti vincolanti come i Regolamenti, al posto delle Direttive, in tema di procedure e qualifiche dello status di protezione internazionale. Rimane sempre in discussione anche un Regolamento vincolante, per la definizione dei cd. “paesi terzi sicuri”, e la conseguente esclusione del diritto di ottenere accesso al territorio ed alla procedura di protezione internazionale, per tutte quelle persone che provengano da tali paesi.

I vertici europei avevano però sovrastimato la possibilità di raggiungere una intesa comune in tempi brevi. “Prevedo entro il 2016 una radicale revisione del Regolamento di Dublino e, in generale, delle modalità di asilo messe in atto in Europa”. Le parole sono di Dimitri Avramopoulos, Commisario Ue ad Affari interni e Migrazioni, pronunciate giovedì 14 gennaio 2016 di fronte al Parlamento Europeo. All’inizio del 2018 la modifica del Regolamento Dublino appare ancora assai lontana, ed i nuovi Regolamenti, che impongono procedure rigorose di approvazione e di codecisione rimangono ancora incagliati nelle secche dei lavori di “comitato” che ancora caratterizzano le istituzioni europee sulle quali incombono anche i risultati delle più recenti scadenze elettorali nazionali nelle quali hanno vinto ulteriormente partiti populisti se non apertamente xenofobi. L’approssimarsi delle elezioni europee del 2019 getta altre ombre sulla effettiva adozione di misure vincolanti per i singoli stati in materia di asilo ed immigrazione, e dunque anche con riferimento al sistema Dublino.

Molto importante in questa fase di incertezza legata all’arbitrarietà delle prassi di polizia il ruolo della Giurisprudenza europea e nazionale.  A fronte della lentezza dei procedimenti legislativi di riforma, si deve segnalare ad esempio l’importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte di Lussemburgo nella  sentenza del 6 giugno 2013 nel caso MA, BT, DA (C-648/11), ha chiarito che nel caso di domande multiple di asilo presentate in paesi diversi la competenza spetta allo “Stato membro nel quale si trova tale minore dopo avervi presentato una domanda di asilo”. In questo modo, facendo riferimento al loro miglior interesse, i minori sono stati sottratti dalla Corte alla possibilità di essere trasferiti verso Stati dove non hanno nessuno che possa occuparsi di loro.

La originaria proposta di riforma presentata dalla Commissione nel mese di aprile del 2016 manteneva sostanzialmente invariata la gerarchia dei criteri Dublino. Il criterio dello Stato di primo ingresso era infatti preservato e, addirittura, rafforzato dalla previsione esplicita dell’obbligo del richiedente di formalizzare lì la sua domanda di asilo (art. 4 e 15), obbligo, questo, sanzionato dalla previsione dell’esame della domanda di asilo secondo una procedura accelerata (art. 5, n. 1). Nello stesso senso andava anche l’introduzione del criterio che individua lo Stato competente a esaminare le domande dei minori non accompagnati senza familiari o parenti negli Stati membri in quello dove è presentata la prima domanda, che dovrebbe coincidere con quello di primo ingresso (art. 10, n. 5 e 8, n. 4), salvo che non sia dimostrato che ciò non è nel migliore interesse del minore. Questa misura appare in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia. Nel caso MA (6 giugno 2013, C-648/11) prima richiamato, la Corte aveva infatti stabilito che, alla luce dell’art. 24, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali, l’interesse superiore del minore impone di non prolungare inutilmente la procedura di determinazione dello Stato membro competente e di assicurare loro un rapido accesso alle procedure, con la conseguenza che deve ritenersi competente lo Stato membro nel quale il minore si trova dopo avervi presentato una domanda.

La proposta originaria della Commissione introduceva poi una nuova fase preliminare o pre-Dublino che dovrebbe essere obbligatoriamente condotta, prima dell’applicazione dei criteri per la determinazione dello Stato membro competente, dal primo Stato membro in cui è presentata la domanda di asilo. Tale fase, è volta ad accertare l’inammissibilità della domanda in considerazione del fatto che il richiedente proviene da un Paese terzo considerato di primo asilo o da un Paese terzo sicuro oppure ad esaminare la domanda con procedura accelerata qualora il richiedente abbia la cittadinanza di un Paese terzo sicuro (e qui la proposta rinvia alla proposta di regolamento che istituisce un elenco comune dell’UE di Paesi di origine sicuri COM(2015) 452) ovvero vi siano serie ragioni per ritenerlo un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico (art. 3). Prevedendo uno specifico obbligo in tal senso a carico dello Stato membro, la proposta irrigidisce la disciplina posta in termini discrezionali dall’art. 33 della attuale direttiva procedure (2013/32/UE). Non solo ma la questione della determinazione degli Stato terzo sicuro apre una problematica delicatissima  (si pensi al contestato “accordo” di cui alla Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016).

Comunque, la decisione di inammissibilità (nel primo caso) e quella relativa alla necessità di avviare una procedura accelerata (nel secondo caso) comportano l’attribuzione della responsabilità allo stesso Stato in cui il richiedente ha presentato domanda di asilo (art. 3, n. 4), che rimarrà dunque, nella maggior parte dei casi, il paese di primo ingresso.

Allo scopo di evitare i movimenti secondari la proposta originaria, alla quale si potrebbe adesso ritornare, proprio per effetto dei veti dei paesi del Patto di Visegrad ( Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), e adesso del neo ministro dell’interno Salvini, sanciva e, per la prima volta, specifici obblighi e sanzioni a carico del richiedente: come si è sopra anticipato l’art. 4 stabilisce espressamente l’obbligo per i richiedenti asilo di fare domanda nello Stato di primo ingresso irregolare o di soggiorno regolare. Come sanzione è previsto l’esame della domanda di asilo con procedura accelerata (art. 4, n.1 e art. 5, n. 1). Inoltre, oltre all’obbligo di rispettare la decisione definitiva di trasferimento, viene
 imposto al richiedente l’obbligo di fornire tempestivamente tutte le informazioni utili per la determinazione dello Stato competente, pena l’irrilevanza giuridica delle informazioni presentate in ritardo (art. 4, n. 2 e art. 5, n. 4), e di essere presente e disponibile rispetto alle richieste dell’autorità competente. In particolare, qualora l’interessato non si presenti all’intervista di cui all’art. 7, è prevista la determinazione dello Stato membro competente in contumacia (art. 4, n. 2 e 5, n. 2). Sembra anche destinato ad essere ulteriormente inasprito il quadro sanzionatorio contro coloro che tenteranno di attraversare le frontiere interne dell’Unione in assenza di documenti regolari, o con documenti falsificati.

Nei confronti di chi si trasferisce da un paese all’altro senza autorizzazione si propone la conseguenza più pesante, cioè il diniego delle misure di accoglienza – fatta salva l’assistenza sanitaria d’urgenza – in qualunque Stato membro ad eccezione di quello dove dovrebbe trovarsi in attesa che la procedura-Dublino sia terminata (art. 5, n. 3). Quest’ultima misura sembra contrastare oltre che con principi e norme fondamentali sanciti nella CEDU e nella Carta dei diritti fondamentali, anche con la direttiva accoglienza, ai sensi della quale le misure di accoglienza possono essere rifiutate, ridotte o revocate da uno Stato soltanto in presenza di determinate circostanze, fra cui non compare quella in oggetto (in proposito si veda anche la sentenza CGUE 27 settembre 2012, C-179/11, Cimade e Gisti). La  proposta originaria prevedeva una durata massima della detenzione di sei settimane (articolo 29 della proposta), mentre il sistema attuale permette un massimo di dodici settimane. Adesso sembra scontata una dilatazione dei termini di trattenimento amministrativo in tutti i casi di attraversamento irregolare delle frontiere interne.

3. Con la proposta finale di riforma (recasting), approvata dal Parlamento europeo lo scorso anno, “il primo Paese di arrivo non sarà più automaticamente responsabile per i richiedenti asilo”. L’attribuzione della responsabilità sarebbe basata, secondo quanto deciso dal Parlamento UE, sui “reali legami” con uno Stato membro, quali la famiglia, l’avervi già vissuto in precedenza o motivi di studio. “In assenza di questi legami, i richiedenti asilo verrebbero automaticamente assegnati ad uno Stato membro in base ad un metodo di ripartizione fisso”, dopo essere stati registrati al loro arrivo negli Hotspot, “e dopo un controllo di sicurezza e una rapida valutazione dell’ammissibilità della loro domanda di protezione”. In proposito tutte le organizzazioni umanitarie europee hanno espresso forti perplessità.

Nella proposta di riforma esitata dal Parlamento europeo, sembrerebbe dunque cancellato il criterio del primo paese di accesso, sostituito con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento, cui sono tenuti a partecipare obbligatoriamente tutti gli stati membri, a pena di conseguenze sui fondi strutturali. Si introduce anche una nuova procedura accelerata di ricongiungimento familiare, per cui basteranno sufficienti indicazioni sulla presenza di un familiare in un altro stato membro per un rapido ricollocamento. Inoltre sono state rafforzate le garanzie procedurali e gli obblighi di informativa per i richiedenti, in particolare le salvaguardie per i minori non accompagnati tra le quali la nomina entro 24 ore di un tutore. Sembrerebbero cancellati i controlli obbligatori di inammissibilità proposti dalla Commissione. Tali controlli affidati di fatto alle forze di polizia, con il supporto dell’EASO, avrebbero obbligato i Paesi di primo ingresso ad effettuare controlli sistematici sull’inammissibilità di tutti i richiedenti in base ai concetti di paese terzo sicuro e primo paese d’asilo, aumentando significativamente gli oneri per i paesi della frontiera meridionale, come la Grecia e l’Italia,  e mettendo a rischio il diritto di richiedere l’asilo. Chi manifesta oggi contrarietà per il ruolo affidato all’EASO, quasi come se si trattasse di un attentato alla sovranità nazionale, dimentica totalmente che i Trattati e i Regolamenti europei vigenti sono imperniati proprio sul ruolo di questa agenzia. Si tratta di atti aventi forza di legge sul territorio nazionale di tutti gli stati membri, che non possono essere modificati unilateralmente per la svolta “sovranista” impressa dall’elettorato nazionale. Detto questo, rimangono tutte le criticità relative al concreto operato dell’EASO, troppo spesso funzionale ad una sommaria distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo, oltre che in stretto collegamento con le attività di identificazione e respingimento immediato, se non di espulsione, affidate all’agenzia Frontex.

Nelle proposte di modifica del Regolamento Dublino attualmente in discussione al Consiglio europeo si stabilisce l’obbligo, per lo stato membro dove è stata originariamente registrata la domanda di asilo, di decidere se ci sono motivi per dichiarare l’inammissibilità o per avviare procedure accelerate prima di portare avanti l’iter per la determinazione dello Stato effettivamente responsabile per la domanda di asilo di un dato richiedente. Queste procedure saranno avviate se potranno essere applicate le norme del paese terzo sicuro, del primo paese ospitante o del paese sicuro di origine, oppure se il richiedente asilo verrà considerato, per ragioni serie, un pericolo per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico. Negli Hotspot, per effetto di queste procedure sommarie, che adesso, dopo il no dell’Italia alla ipotesi di riforma, potrebbero essere reintrodotte, si verrebbe ad instaurare un regime di vera e propria detenzione amministrativa. Senza una riforma delle Direttive in materia di Procedure e di Qualifiche in tema di Protezione internazionale, che dovrebbero essere trasformate in Regolamenti vincolanti per gli stati membri, queste valutazioni discrezionali effettuate alla frontiera europea dopo il primo ingresso rimarranno affidate alla discrezionalità delle forze di polizia con una compressione sostanziale della portata effettiva dei diritti di difesa, a partire dalla cancellazione di ogni effetto sospensivo dei ricorsi giurisdizionali.

Le più recenti posizioni del Consiglio dell’Unione Europea, formalizzate come al solito a livello del COREPER, il Comitato dei rappresentanti permanenti si allontanano molto dalle proposte di riforme formulate dal Parlamento europeo e si riavvicinano all’originaria proposta della Commissione, che ribadiva nella maggior parte dei casi la competenza del primo paese di ingresso.  Si prevedono infatti tre diversi stadi di cooperazione fra Stati nella applicazione delle misure di trasferimento verso altri paesi UE, dopo quello di primo ingresso: il primo in circostanze normali, il secondo in caso di gran numero di arrivi in uno o più stati membri e il terzo in caso di influsso estremamente alto di persone. In circostanze normali non si prevede ricollocamento dei richiedenti asilo, mentre negli altri due casi si può prevedere tale ricollocamento ma su base sempre volontaria. Appare ovvia la distanza incolmabile che c’è tra le posizioni del Consiglio e quelle emerse in precedenza nella proposta adottata dal Parlamento europeo. E’ stata bocciata la proposta italiana di considerare le persone soccorse in mare, in adempimento degli obblighi internazionali di soccorso,per le quali si riconosce espressamente non trattarsi di “ingresso illegale”, come immediatamente rilocabili in altri stati, in deroga alle previsioni della bozza di riforma corretta dal Consiglio europeo. Una proposta sulla quale, come si vedrà, sembra insistere il nuovo ministro dell’interno Salvini.

Nelle posizioni del Consiglio risulta addirittura rafforzata la resistenza alla introduzione di misure vincolanti in ordine al ricollocamento, e la nuova posizione di rifiuto dell’Italia rischia di consolidare queste resistenze e di lasciare sostanzialmente immutata la competenza prevalente dello stato di primo ingresso, esponendo così il nostro paese ad una crisi del sistema di accoglienza ancora più grave, in un momento in cui sembra confermata la volontà del nuovo governo di apportare consistenti tagli proprio al finanziamento dei centri di accoglienza, variamente denominati ( CARA, CAS, SPRAR) nei quali sono alloggiati i richiedenti asilo. Le risorse sottratte al sistema di accoglienza saranno riversate sui nuovi centri di detenzione amministrativa, già previsti peraltro dal piano Minniti del 2017. Questi centri e gli Hotspot saranno utilizzati in maniera più estesa anche per i richiedenti asilo quando per la polizia sussista un significativo pericolo di fuga. L’Italia si trasformerà così nella prigione d’Europa, anche per i richiedenti asilo, dopo l’introduzione delle procedure accelerate per escluderli  più rapidamente, e e senza un appello effettivo, dalle procedure per il riconoscimento di uno status di protezione internazional. Una soluzione che giova agli altri paesi UE, anche per l’inasprimento dei controlli alle frontiere interne, ma che non potrà produrre altro che tensione e clandestinità sui nostri territori.

4. Il testo diffuso da un organo di stampa in merito alle più recenti posizioni critiche del governo Gentiloni-Minniti, rispetto alle proposte di modifica del regolamento Dublino III in discussione a Bruxelles, sembrerebbe riferirsi alle più recenti proposte formulate in senso restrittivo dal Consiglio dell’Unione europea, che alle ipotesi di compromesso avanzate in precedenza dal Parlamento Europeo.

Secondo l‘Huffington Post, che riporta una lettera che sarebbe stata formulata dal ministro dell’interno uscente, si precisa che ” nel corso del prossimo Consiglio Giustizia e Affari interni dell’Ue – recita la lettera visionata da Huffpost – rimane essenziale mantenere una posizione di opposizione netta alla riforma del regolamento di Dublino, così come attualmente proposta”. Un simile approccio, prosegue il documento, garantirebbe “al Presidente del Consiglio ampi margini di manovra negoziale in vista del decisivo Consiglio europeo del 28-29 giugno”.

Come riferito dall’Huffington Post,”  la lettera spiega per bene tutti i motivi del no. Chiesta a gran voce dall’allora Governo Renzi due anni fa, la riforma del regolamento di Dublino rischia di essere peggiorativa per l’Italia, paese di frontiera cui il regolamento assegna l’obbligo di garantire primo asilo a chi arriva. Insomma, il Governo di Roma ha chiesto di ripartire le responsabilità della crisi migratoria e invece si ritrova alle prese con una proposta di riforma ancora più restrittiva per gli Stati del Mediterraneo. Questo perché il blocco dei paesi dell’est – il cosiddetto blocco di Visegrad – ha fatto pesare la propria indisponibilità a partecipare a meccanismi di redistribuzione dei migranti: come sempre, insomma, e come sempre sono sostenuti dalla Germania”. Secondo quanto adesso pubblicato “Il primo motivo del no italiano sta nel nuovo meccanismo di redistribuzione previsto dalla proposta che sarà sul tavolo dei ministri. Il punto è che “non dà certezza sul fatto che la ridistribuzione abbia luogo” tra i vari Stati Ue. Ecco cosa prevede: “Quale misura di solidarietà per alleviare la pressione degli Stati membri di frontiera esterna è prevista una forma di ridistribuzione obbligatoria (“allocation”) dei richiedenti asilo tra i Paesi Ue, ma solo quando il numero delle domande ricevute dallo Stato membro sotto pressione supera una certa soglia minima che corrisponde almeno allo 0,15 % della sua popolazione (nel caso dell’Italia si tratterebbe di circa 90.000 domande)”. A nostro avviso, a fronte della sostanziale riduzione degli arrivi dalla Libia, è ben difficle che nei prossimi anni si possano verificare arrivi tanto consistenti.

Sempre secondo la lettera pubblicata dall’Huffington Post, un vero  e proprio “passaggio di consegne” tra Minniti e Salvini, “Invece la proposta elaborata dai tecnici del Viminale prevede una “procedura di ridistribuzione semplice ed automatica dei richiedenti asilo nell’ambito dell’Unione Europea”. E non un meccanismo strutturato “in maniera talmente complessa da non consentire, in sostanza, l’attivazione efficace di una reale forma di ridistribuzione e quindi di solidarietà”. Inoltre nella proposta Ue, la ridistribuzione riguarderebbe “solo richiedenti asilo la cui domanda di protezione sia ben fondata, che non provengano da Paese terzo o di origine ‘sicuro’, e nei cui confronti non emergano rischi attinenti alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico”. L’Italia non è d’accordo con questa regola che escluderebbe dalla ridistribuzione un considerevole numero di soggetti e, tenuto conto della durata di tale verifica, prolungherebbe i tempi della ridistribuzione. Ancora: la proposta europea che non piace a Roma prevede che le verifiche siano “da esperti dell’Ufficio europeo di supporto per l’asilo (EASO)”, limitando di fatto la sovranità dello Stato Membro. Nelle ultime bozze di riforma del Regolamento Dublino in discussione a livello del Consiglio europeo dei ministri dell’interno, sono esclusi dalla ridistribuzione i richiedenti asilo che abbiano dei familiari nello Stato Membro di arrivo: dunque, niente ricongiungimenti familiari.

Anche l’Huffington Post rileva come Salvini, con le sue prime dichiarazioni, rimanga in sostanza sulla stessa linea di Minniti, che apprezza espressamente. Nell’ultima lettera stilata da Minniti  si osserva infatti che “la proposta europea non prevede alcun riconoscimento concreto del ruolo degli Stati di frontiera esterna”. Laddove invece l’Italia propone di “creare un meccanismo mirato di ridistribuzione tra gli Stati membri delle persone soccorse in acque internazionali”. Si ricorda come già il governo Gentiloni avesse avanzato la proposta di “introdurre un meccanismo anticipato di distribuzione dei richiedenti asilo sbarcati a seguito di operazioni di salvataggio in mare (Search and rescue – SAR), meccanismo che dovrebbe scattare in automatico ed a prescindere da soglie minime di pressione,( in termini di numero degli arrivi).

Come per Gentiloni, e Minniti, anche per Salvini, “uno Stato che soccorre in mare dei migranti, in forza degli obblighi internazionali”, non può sobbarcarsi da “solo gli oneri di gestione e accoglienza dei richiedenti asilo che debbono essere condivisi con tutti gli Stati Ue”. Una considerazione che lascia presagire un rinnovato attacco contro le ONG, ed altri tentativi di richiedere lo sbarco dei naufragi soccorsi in acque internazionali nello stato di bandiera delle navi soccorritrici. Una posizione in contrasto con il diritto internazionale del mare, e di grande portata discriminatoria, se fosse applicata soltanto alle navi delle ONG e non anche ai mezzi della missione Themis di Frontex e della missione militare EUNAVFOR MED. Questa critica non è soltanto una nostra opinione, ma il portato di recenti decisioni della giurisprudenza italiana, contro le quali intende evidentemente muoversi il neo ministro dell’interno.

Si dimostra in questo modo una piena linea di continuità tra la linea Minniti e le posizioni di Salvini, e non solo in merito alle proposte concernenti la riforma del Regolamento Dublino, con un indirizzo che, per trasferire oneri di accoglienza e competenze nell’esame delle domande si asilo agli altri paesi europei di secondo ingresso, finisce per ridurre significativamente le garanzie di accesso alla procedura, amplia i termini della detenzione amministrativa, riduce la possibilità effettiva di ricorso, discrimina tra i richiedenti asilo a seconda del paese di provenienza, in contrasto con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e con la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Colpisce davvero che, mentre in Italia si prepara l’attacco finale alle attività di soccorso umanitario ancora svolte dalle ONG in acque internazionali, giungendole a definire come agevolatori dei trafficanti, componenti di una associazione a delinque con gli scafisti, come “vice-scafisti” appunto, per difendere le contraddittorie richieste italiane sulla modifica del regolamento Dublino si richiamino come attività doverose, imposte dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare, quelle stesse operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) demandate in parte, ancora non si sa per quanto tempo, alle tanto odiate Organizzazioni non governative. Insomma quello che davanti alle procure italiane  si adduce costituire una attività illegale, viene riferita come una doverosa attività di soccorso davanti al Consiglio europeo, quando serve per ottenere una modifica del Regolamento Dublino in senso favorevole all’Italia.

Anche se si tratta di regolare la mobilità secondaria di poche migliaia di persone, dopo la fine degli arrivi più massicci in Europa, la riforma del Regolamento Dublino III diventa così l’ennesima “arma di distrazione di massa” per confondere l’opinione pubblica e guadagnare consensi ai partiti populisti e nazionalisti in perenne campagna elettorale. Gli esiti delle elezioni in Slovenia, con la vittoria di un candidato xenofobo, malgrado fosse stato processato per corruzione, fanno intendere quanto sia pericolosa l’onda lunga della xenofobia in Europa. Le elezioni europee si avvicinano, e presto si tornarà a votare anche in Italia. Con conseguenze che potrebbero davvero portare alla fine del sogno europeo di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene, e fare ripiombare il nostro continente in una cupa contesa tra opposti nazionalismi gestiti da governi sempre più autoritari.