Gentiloni a Davos rivendica come un successo la riduzione degli arrivi dalla Libia ma nasconde l’illegalità diffusa dei trattenimenti negli Hotspot

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Una stagione elettorale che cancella i diritti e le persone

Nel corso dei suoi interventi a Davos il premier italiano Gentiloni ha presentato come successo della politica italiana la riduzione del 70 per cento (nel secondo semestre dello scorso anno) degli arrivi dalla cosiddetta Rotta libica, giungendo ad affermare che questo successo ha permesso di ridurre il numero delle vittime in mare. Se si considera già soltanto il primo mese di quest’anno i dati reali dicono invece che gli arrivi sono rimasti sullo stesso livello del gennaio 2017 e che sono state le vittime ad aumentare in modo esponenziale. Se si andasse oltre le riduzioni in percentuale che vengono sbandierate, e si guardasse ai numeri in assoluto, ed ai destini delle persone primariamente, verrebbe fuori che il numero dei migranti che non sono riusciti a raggiungere l’Italia  corrisponde al maggior numero di migranti che sono stati censiti nei centri di detenzione in Libia, dove sono sottoposti a torture ed abusi diffusi, con gradazione diverse a seconda che si tratti di centri governativi o di centri gestiti direttamente dalle milizie. Su tutti, anche su quelli che vengono riportati indietro dopo essere stati “soccorsi” in mare dalla Guardia costiera libica, incombono i trafficanti di esseri umani che traggono linfa da ogni finanziamento europeo per misure di sbarramento dei punti di partenza. Eppure il nostro ambasciatore a Tripoli difende a spada tratta l’operato della Guardia costiera libica.

Ci sarà tempo per verificare quanto ci sia di vero nelle dichiarazioni di Gentiloni, e probabilmente i risultati elettorali influiranno non poco nella assegnazione di meriti e responsabilità. I tentativi di recuperare credibilità a livello europeo e patina di solidarietà corrispondono al “silenziamento” del ministro Minniti, fin qui vero artefice delle politiche europee ed italiane in materia di immigrazione.  Una mossa elettorale di Gentiloni che comunque lascerà ampio spazio alle destre, che in nome della sicurezza , stanno facendo dell’immigrazione e della riduzione della portata effettiva del diritto di asilo, il tema centrale delle loro campagne. Prima delle elezioni tutti devono dire di essere contro tutti gli altri competitors, magari copiandone i progetti elettorali, oppure dicendo alcune cose, ma continuandone a farne altre nel quotidiano. Poi dopo le elezioni, su questi stessi temi i profilano le larghe intese, già anticipate dalla votazione del Parlamento sulla missione militare in Niger.

Minniti ,con i suoi contatti continui con Serraj , con la collaborazione già intensificata con la cd. Guardia costiera “libica” e con la più recente proposta di aprire a 10.000 ingressi dalla Libia attraverso corridoi umanitari, rimane saldamente al suo posto al ministero dell’interno, e potrebbe anche restarci per una parte importante della prossima legislatura. Magari proprio con i voti in materia di immigrazione di quelle destre con le quali oggi si dichiara che non si farà nessun governo. Del resto con centinaia di migliaia di migranti bloccati nei centri di detenzione in Libia, i numeri sui corridoi umanitari fatti dal ministro dell’interno appaiono solo una goccia nel mare della disperazione frutto degli accordi e delle intese intercorse tra il governo Gentiloni ed i governanti di Tripoli. Per fermare davvero le fughe dalla Libia, ovvero per “contrastare i trafficanti di esseri umani”, che sono gli unici arbitri di quelle partenze, e di quelle vite, non basterà chiamare in causa Putin, dopo che per anni la politica sulla Libia è stata improntata soltanto alle finalità dichiarate di fermare le partenze dei migranti, per non esporre le vere ragioni della presenza italiana legata alla protezione degli interessi dell’ENI e delle altre imprese italiane che, malgrado tutto, continuano ad operare in quel paese. Con le autorità libiche sembra in corso una continua negoziazione con esiti alquanto imprevedibili, come emerge proprio da recenti dichiarazioni dei vertici della “Guardia costiera libica”.

In realtà, sulle politiche di chiusura nei confronti dei migranti  si registra un consenso bipartisan, basta collegare fatti ( come gli accordi con Francia e Niger), voti parlamentari e programmi. I diritti fondamentali che spetterebbero  a qualunque straniero, sia pure in condizione di irregolarità per la mancanza di canali legali di ingresso, sono negati sia nei programmi del centro destra, che addirittura vorrebbe abrogare istituti come la “protezione umanitaria”, che dalle prassi già introdotte dal partito democratico, soprattutto con riferimento all’utilizzo improprio degli Hotspot come strutture detentive, in violazione ‘degli articoli 3,10, 13 e 24 della Costituzione italiana. Tutti hanno nei loro programmi operazioni di rimpatrio come quelle eseguite verso il Sudan nel 2016, o che ancora si eseguono verso la Nigeria, l’Egitto e la Tunisia, sulla base di procedure “semplificate”, frutto di accordi o di clausole di riammissione contenute negli accordi bilaterali negoziati con i governi di quei paesi. Si va verso un restringimento, prima nelle prassi e poi nella normativa che sarà approvata dal futuro parlamento, dell’istituto della protezione umanitariaContro queste prassi applicate dalle autorità di polizia, che domani potrebbero trovare una qualche legittimazione in una modifica del quadro legislativo,  giova ancora richiamare la giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Cassazione, Sezioni Unite, 9 settembre 2009, n. 19393.
La Corte afferma inoltre che «la situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari, pertanto gode quanto meno della garanzia Costituzionale di cui all’art. 2 Cost., sulla base della quale, anche ad ammettere, sul piano generale la possibilità di bilanciamento con altre situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate, […], esclude che tale bilanciamento possa essere rimesso al potere discrezionale della P.A., potendo eventualmente essere effettuato solo dal legislatore, nel rispetto dei limiti costituzionali».

La recente visita del Garante Nazionale dei detenuti e delle persone private della Libertà personale a Lampedusa ha messo in evidenza abusi nelle pratiche di trattenimento amministrativo “de facto”, abusi che erano stati accertati e denunciati già da anni, e che lo stesso Garante aveva sollevato anche un anno fa, dopo la prima visita nell’Hotspot di Lampedusa. Adesso, in piena campagna elettorale, quella denuncia rischia di rimanere ancora una volta senza conseguenze pratiche. Nei programmi dei diversi partiti quelle violazioni del principio di legalità nel trattenimento amministrativo e nei rimpatri degli immigrati irregolari rischiano di essere sanciti e ratificati con  una modifica (ventilata) del quadro normativo oggi esistente. Del resto ormai è chiaro che, se si forma una determinata maggioranza, sulla base di larghe intese, la nostra Carta Costituzionale può essere ridotta a carta straccia. Come si è fatto, a Lampedusa e non solo, con l’art. 13 della Costituzione italiana che vieta il trattenimento di polizia in strutture chiuse per un tempo eccedente le 96 ore.

Già nelle relazioni per il 2016, per il 2017, e nell’ultimo aggiornamento datato a dicembre dello scorso anno,  il Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Luigi Manconi aveva sollevato gravi dubbi sulla legittimità delle prassi di polizia attuate, con il concorso di Frontex, negli Hotspot di Taranto e Lampedusa. Ma chi doveva intervenire per sanzionare quegli abusi ha preferito rivolgere la sua attenzione contro le ONG che salvavano vite in mare, piuttosto che garantire i controlli di legalità all’interno di strutture che nel tempo sono diventate zone rosse sottratte all’applicazione dei più elementari diritti fondamentali, da riconoscere comunque a tutti i migranti, anche irregolari, e questo in base al preciso richiamo dell’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998. Mentre si è preferito ignorare quanto accertato nei rapporti della Commissione Diritti umani del Senato sulle irregolarità negli Hotspot, si è data ampia diffusione, con immediati riscontri anche nelle attività di indagine, alla Relazione conclusiva della Commissione di inchiesta sulle ONG, presieduta lo scorso anno dal senatore La Torre, poi approvata all’unanimita’ dalla commissione Difesa del Senato.  Mentre i comportamenti delle forze di polizia all’interno degli Hotspot sono rimasti sottratti a qualsiasi effettivo controllo di legalità, i materiali raccolti contro le ONG hanno costituito pretesto per un giudizio di condanna “popolare” di comportamenti che non avevano alcuna rilevanza penale, ma che sono stati spacciati di fronte all’opinione pubblica come vera e propria collusione nei confronti dei trafficanti. Di fronte ad un tale capovolgimento del rapporto tra verità e fatti sembra appropriato oggi parlare di un vero e proprio “fascismo della frontiera”.

2. La violazione dei diritti fondamentali non contribuisce a rendere effettive le politiche di rimpatrio

Da anni l’Unione Europea chiede all’Italia di dare maggiore “effettività” ai rimpatri, ed è scontato che, al di là dell’esito elettorale, dopo il “successo” delle politiche italiane ed europee contro i migranti in fuga dalla Libia, cancellati in nome della “guerra ai trafficanti di esseri umani”, sarà questo il terreno sul quale si continueranno a consumare altri abusi ai danni dei migranti nelle diverse fasi dell’accompagnamento forzato in frontiera. Naturalmente quando si potrà procedere effettivamente ai rimpatri sarà tutto da vedere, perchè si dovranno trovare i soldi per finanziare le politiche di rimpatrio ed ottenere l’assenso alla riammissione da parte dei rappresentanti dei governi dei paesi di origine.

E’ chiaramente fallito il piano Minniti sui tredici CIE, oggi definiti CPR ( Centri di permanenza e rimpatrio), che si sarebbero dovuti aprire lo scorso anno. Un annuncio di cui un anno fa Minniti e Gentiloni riempivano le pagine dei giornali. Per questo oggi è scomodo parlare di Hotspot, soprattutto dell’Hotspot di Lampedusa, che è quel centro nel quale avvengono da tempo in modo più evidente che altrove palesi e reiterate violazioni di legge da parte delle forze di polizia. Nessuno ricorda che poche settimane fa a Lampedusa si è impiccato un ragazzo. Di Lampedusa si parla soltanto quando si possono mettere in evidenza episodi negativi riferibili alle reazioni o alle rivolte dei migranti, Neppure un richiamo invece alle pesanti condanne subite dall’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo per l’ingiustificato trattenimento prolungato di cittadini tunisini, e praticamente senza sanzione la arbitraria detenzione inflitta a minori non accompagnati, lasciati nel centro di Contrada Imbriacola  per settimane in situazioni di promiscuità con adulti.

Tace l’Unione Europea, e soprattutto tace il Direttore dell’agenzia FRONTEX.  Forse anche loro hanno qualche fallimento da nascondere. Nessuno è stato capace di salvaguardare i diritti e le vite dei migranti in Libia, nessuno ha garantito quegli stessi diritti a Lampedusa.  Attorno agli Hot Spots come quello di Lampedusa, si è giocata tutta la campagna mediatica avviata dalle principali agenzie dell’Unione Europea, come FRONTEX ed EASO, su indirizzi del Consiglio e della Commissione europea, per coniugare “responsabilità” e “solidarietà”, i termini chiave delle scelte politiche adottate nei Consigli europei “informali” e nei Consigli dei ministri dell’interno e della giustizia, a partire dall’Agenda Europea sulle migrazioni adottata dalla Commissione il 10 maggio 2015 su proposta del Presidente Juncker mentre il Parlamento europeo è stato lasciato fuori da qualsiasi scelta decisionale.

Si può prevedere che nei prossimi mesi, a fronte del fallimento della politica delle rilocazioni e quindi della esplosione degli HOTSPOT, ci sia una forte spinta dall’Unione Europea sui paesi più esposti come la Grecia e l’Italia per la moltiplicazione dei centri di identificazione ed espulsione, al fine di dare maggiore effettività alle misure di rimpatrio per quei migranti che non presentino una domanda di asilo, dopo essere entrati nel territorio di un paese dell’Unione, o che si vedano respinta la richiesta di protezione e non abbiano fatto ricorso, o abbiano avuto respinto in sede definitiva il ricorso giurisdizionale. Una battaglia tutta da affrontare, quella dei ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. negli Hotspot gli avvocati che potrebbero prendere le procure per questo tipo di ricorsi non vengono fatti entrare, o riescono ad entrare solo in rarissime circostanze. Gli operatori umanitari che collaborano con gli avvocati che presentano ricorsi alla Corte europea sono tenuti in uno stato di intimidazione crescente.

Eppure nei documenti europei del 2015, quando vennero introdotti gli Hotspot sembrava tutto chiaro con indicazioni immediatamente operative e con scadenze assai precise. Tuttavia l’Unione Europea non ha mai adottato al riguardo un atto che avesse carattere legislativo, come una Direttiva o un Regolamento. Si può dunque rilevare come sul piano del diritto dell’Unione Europea gli Hot Spots siano ancora privi di una qualsiasi “base legale”. Come del resto avviene anche nel diritto interno.

Negli Hot Spot che “ci ha chiesto l’Europa”, si è avviata intanto una stretta collaborazione tra gli agenti di EASO, Agenzia europea che dovrebbe “supportare” l’Italia nella “gestione” dei richiedenti asilo, e quelli di Frontex che dovrebbero organizzare i voli di rimpatrio per quelli che saranno definiti “migranti economici”, oppure provenienti da “paesi terzi sicuri”, con la presenza di funzionari di consolato che vanno e vengono per identificare gli uni e gli altri.Si continua a classificare i migranti come “migranti economici” in base alla mera provenienza nazionale in modo da adottare provvedimenti di respingimento differito sulla base di cd. “fogli notizie”, che lasciano solo come ultima scelta la possibilità di chiedere asilo. Malgrado circolari ed atti ispettivi, le persone trattenute negli Hotspot vengono indotte a firmare fogli di cui non comprendono la portata, e tanto vale ad escluderli dalla procedura di asilo e dal sistema di accoglienza. Ovunque si registra una carenza di mediatori linguistico-culturali ed è spesso il personale di Frontex, se non delle organizzazioni umanitarie “convenzionate”, a fornire un aiuto in questo campo. A Lampedusa mancano persino i moduli per presentare le richieste di asilo, il centro è spesso sovraffollato perchè i trasferimenti avvengono a rilento, la mancata disponibilità di posti nei CPR (ex CIE) italiani sta trasformando l’intera isola in un cetro di detenzione, e poi ci si stupisce se gli immigrati protestano.

Di fatto si è violata la Convenzione di Ginevra e si sono violate le Direttive dell’Unione Europea che prevedono un immediato diritto all’informativa sulla possibilità di chiedere asilo e non impongono all’Italia l’adozione di una lista di “paesi terzi sicuri”, come adesso vorrebbero proporre alcuni partiti in campagna elettorale.

All’interno degli Hotspot, che poi sono vecchi CSPA , a Lampedusa e Pozzallo (RG), mentre si trattava di un CIE a Trapani Milo,  si continuano a rilevare regole del tutto incerte e gravi violazioni dei diritti della persona migrante, a partire dalla durata del trattenimento in assenza di convalida giudiziaria, e dai provvedimenti di respingimento collettivo. Procedono a rilento i voli congiunti di Frontex per i rimpatri forzati dei “migranti economici”, di quelli che vengono definiti come migranti “illegali”. Il proposito di dare effettività alle misure di allontanamento forzato, con il quadro normativo differenziato dei singoli stati membri, rischia di produrre procedure inutilmente violente, oltre che in contrasto con la normativa vigente, su numeri che appaiono del tutto irrisori, che non giustificano neppure l’enfasi posta sui risultati in termini di maggiore sicurezza per i residenti in Europa e di maggior controllo delle frontiere esterne, come requisito per il mantenimento del regime di libera circolazione introdotto dal Trattato di Schengen e di conseguente prevenzione del populismo dilagante.

La giurisprudenza italiana è orientata verso la fissazione di limiti rigorosi alla discrezionalità amministrativa. Una  importante ordinanza  della Corte di Cassazione ( Ordinanza 25 marzo 2015, n. 5926) avrebbe dovuto  limitare la prassi dei respingimenti immediati in frontiera eseguiti prima che si sia data la possibilità di essere informati sulla possibilità di chiedere asilo e di accedere alla procedura per il riconoscimento di uno status di protezione. Ma le autorità di polizia continuano ad operare come se questa giurisprudenza non esistesse.

L’obbligo d’informazione effettiva ( non certo un foglietto prestampato) sulle procedure di asilo è sancito anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nella motivazione della sentenza 23 febbraio 2012, ric. n. 27765/09, Hirsi Jamaa c. Italia, al § 204 annota: «La Corte ha già rilevato che la mancanza di informazioni costituisce uno dei principali ostacoli all’accesso alle procedure d’asilo (vedi M.S.S., prima citata, § 304). Ribadisce quindi l’importanza di garantire alle persone interessate da una misura di allontanamento, le cui conseguente sono potenzialmente irreversibili, il diritto di ottenere informazioni sufficienti a consentire loro di avere un accesso effettivo alle procedure e di sostenere i loro ricorsi».

Ormai la politica europea in materia di immigrazione ed asilo la fanno i comitati ristretti come il COREPER, Comitato dei rappresentanti permanenti,organo di consulenza del Consiglio europeo ed i Consigli dei ministri UE degli interni e della giustizia, riuniti con ordini del giorno nei quali il tema delle migrazioni si salda sempre più con la lotta al terrorismo. Anche se qualcuno in Italia afferma come non sia corretto sovrapporre il contrasto dell’immigrazione irregolare con le attività di prevenzione del terrorismo. Le decisioni ufficiali sono assunte da Consigli europei “informali”,  le competenze del Parlamento Europeo sono bypassate con l’espediente di ricondurre tutte le materie che riguardano migranti e profughi al tema dominante della difesa e della sicurezza interna ed internazionale (PESC). Si continua in sostanza ad utilizzare gli Hot Spots come luoghi sottratti allo stato di diritto, prima ancora che questi vengano effettivamente istituiti, sempre senza una base legale che giustifichi le prassi di polizia, e degli agenti di Frontex ( oggi ridefinita come Guardia costiera e di frontiera europea), che vi sono stati inviati.

 

3. Quali proposte per il ripristino dei principi di legalità e solidarietà ?

Sembra proprio che le diverse condanne subite dall’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo non abbiano lasciato alcun segno. Quali proposte possiamo continuare a rilanciare dopo anni di indifferenza e di  prassi illegittime ? Applicare le leggi interne e le Convenzioni internazionali garantendo i diritti fondamentali delle persone e l’accesso alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Rispettare i principi affermati nella Costituzione, nella Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dll’Uomo, e nelle direttive dell’Unione Europea. Occorre evitare qualunque sovrapposizione tra accoglienza e detenzione.

Gli Hub per l’accoglienza previsti  dall’Agenda europea sulle migrazioni del 2105 in Sicilia, ed in Calabria, come luogo di transito temporaneo di coloro che, dopo essere arrivati negli Hotspot  manifestavano la volontà di rilasciare le impronte e di chiedere asilo in altri paesi europei, dove gli stessi migranti avrebbero dovuto compilare una richiesta di asilo sulla base di un modello C 3 “europeo”, non sono più in funzione, al punto che l’unico Hub esistente in Sicilia,quello di Villa Sikania, a Siculiana in provincia di Agrigento,è stato recentemente teatro di continue manifestazioni di protesta. Mancano possibilità effettive di relocation, e mancano possibilità di seconda accoglienza nei centri del sistema SPRAR,  con una disponibilità di posti molto inferiore al numero delle persone temporaneamente accolte negli Hotspots, o comunque sbarcate in altri luoghi ed appartenenti, in virtù della loro nazionalità, alla categoria dei migranti in clear need of protection. 

Quanto succede a Lampedusa non è conseguenza del comportamento di alcune centinaia di cittadini tunisini trattenuti in violazione delle norme di legge, è frutto di un vero fallimento di sistema, che si potrebbe affrontare chiudendo gli Hotspot esistenti riportandoli alla natura di Centro di primo soccorso ed assistenza, e garantendo a tutti, anche agli stranieri entrati irregolarmente in Italia, il pieno rispetto del principio di legalità e delle garanzie di difesa affermate per tutti, senza distinzioni possibili sulla base della nazionalità. Anche l’ultimo suicidio nell’isola di Lampedusa, un fatto gravissimo che è stato subito rimosso dai media, costituisce un urlo di dolore che non potremo cancellare mai più. Di quella vita sono responsabili coloro che potevano intervenire in tempo, dopo la segnalazione di un grave disagio,  e non lo hanno fatto.

Si auspica che Ministero dell’interno suggerisca alle questure il ritiro delle circolari adottate a partire da quella del 6 ottobre 2015. Circolari che stabiliscono prassi prive di fondamento legale per quanto concerne le modalità di trattenimento delle persone condotte o temporaneamente ristrette dalle forze di polizia all’interno degli Hot Spot o di altre similari strutture di primissima accoglienza nelle quali si realizzi comunque una limitazione della libertà personale in assenza di convalida giurisdizionale.

Occorre rivedere tutto il sistema della prima accoglienza in Italia, soprattutto in quei luoghi che, già da tempo Centri si soccorso e prima accoglienza al di fuori delle regole, adesso sono stati presentati all’opinione pubblica come Hot Spot, magari “sperimentali” ma dove continuano tutte le prassi già denunciate da tempo, da singole associazioni e da grandi organizzazioni umanitarie.

Il Centro “Hotspot” di Lampedusa deve essere riconvertito al più presto in Centro di soccorso e prima accoglienza ( CSPA), con il rigoroso rispetto di quanto previsto dall’art. 22 del Regolamento di attuazione n.394 del 1999, in base al quale la permanenza in queste strutture deve essere quanto più breve possibile e nella prassi non superiore a 48-72 ore.

Dovrà prevedersi un sistema di trasferimento rapido dei migranti soccorsi e sbarcati a Lampedusa, anche con il ricorso a mezzi aerei, come si faceva già negli anni precedenti alla crisi del 2011, in modo da garantire sempre una congrua disponibilità di posti nella struttura di prima accoglienza di Contrada Imbriacola.

Dovrà interrompersi la prassi tuttora in corso, di mantenere a tempo indeterminato in uno stato di trattenimento nel centro dell’isola, quanti subito dopo lo sbarco, appaiono provenire da paesi che possono essere qualificati “paesi terzi sicuri” come appunto la Tunisia.  Questa prassi di polizia rischia di reiterare quelle “condizioni disumane e degradanti” all’interno del centro di Contrada Imbriacola  in perenne sovraffollamento, e quella negazione dei diritti di difesa, che hanno portato ad una condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( caso Khlaifia).

Si ribadisce la più netta opposizione verso la militarizzazione della prima accoglienza, con le limitazioni dell’accesso alle zone portuali di sbarco, come si sta verificando da mesi, oltre che a Lampedusa, anche nel porto di Catania.  Le associazioni umanitarie devono avere libero accesso alle zone di sbarco, anche per le necessarie attività di mediazione e di individuazione dei soggetti vulnerabili o dei minori non accompagnati, attività che le forze dell’ordine ed i pochi rappresentanti delle organizzazioni umanitarie convenzionate non riescono ad assolvere.

Occorre delimitare la discrezionalità delle forze di polizia nell’ammissione alla procedura per il riconoscimento dello status di protezione internazionale. In Italia NON è in vigore una lista di “paesi terzi sicuri”, e la categoria del “migrante economico” utilizzata poche ore dopo lo sbarco, per negare accesso alla procedura di protezione ed al sistema di accoglienza, costituisce un uso distorto ed illegittimo della discrezionalità amministrativa. 

La prassi dei respingimenti differiti deve essere superata perché si può tradurre in respingimenti collettivi vietati dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla Cedu. Va abrogato l’art. 10 comma 2 del T.U. 286 del 1998 perchè norma palesemente in contrasto, per come viene applicato, con gli articoli 3, 13 e 24 della Costituzione italiana. I recenti contrastanti indirizzi giurisprudenziali non precludono ancora l’esperimento di ulteriori vie di ricorso. Alla luce dell’attuale dibattito politico non sembrano proprio in vista modifiche legislative tali da eliminare i profili di incostituzionalità palesati da tempo. Le questure dovrebbero ritirare in autotutela provvedimenti di respingimento di carattere collettivo, chiaramente privi di motivazione individuale, e lesivi dei successivi diritti di accesso alla procedura di asilo ed al sistema di accoglienza. E questo anche al fine di evitare un pesante aggravio della spesa pubblica per una crescita esponenziale del contenzioso, dal quale potrebbero derivare anche profili di responsabilità contabile.

Occorre denunciare pubblicamente il fallimento dei piani di rilocazione (relocation) dall’Italia verso altri paesi europei, e sollecitare, anche per questa ragione, una modifica sostanziale del Regolamento Dublino, con il riconoscimento di un diritto di asilo “europeo”valido in tutti i paesi UE.

Vanno aperti canali legali di ingresso, oltre la più ridotta esperienza dei canali umanitari, per evitare che i migranti debbano affidarsi a trafficanti senza scrupoli, che soprattutto nei mesi invernali, possono lucrare su viaggi della disperazione che si concludono in naufragi o che comportano un numero sempre più elevato di vittime per la fame ed il freddo. Va altresì garantita la possibilità di raggiungere legalmente altri paesi europei con documenti di viaggio rilasciati dalle autorità italiane. Da questo punto di vista, nei negoziati con le autorità europee, qualora si continuasse a verificare l’assenza di una reale volontà di condivisione degli oneri di accoglienza, va considerata la possibilità di adottare un decreto legislativo per la concessione del permesso di soggiorno per protezione temporanea in base all’art. 20 del T.U. 286 del 1998, come già si fece nel 2011, in occasione della cd. emergenza Nordafrica. In ogni caso, occorre riconoscere un permesso di soggiorno per motivi umanitari a tutti i migranti che riescono a fuggire dalla Libia, in quanto tutti sono migranti forzati, anche se le ragioni del  loro ingresso  in Libia erano state prevalentemente economiche. Infine va riaperta la partita dei visti per motivi umanitari che una sentenza della Corte di Giustizia ha temporaneamente precluso, ma che costituisce un obiettivo ancora perseguibile sul piano politico ed amministrativo, magari proprio sulla base dell’opinione dissenziente dell’Avvocato generale della Corte.