Che razza di politica

Dopo le dichiarazioni di Attilio Fontana: non sottovalutare il razzismo montante, non assecondare il clima da campagna elettorale. Una riflessione collettiva di Adif

L’uscita del candidato alla Regione Lombardia Attilio Fontana («La razza bianca è a rischio, non possiamo accogliere tutti gli immigrati che arrivano») si presenta come una delle tante dichiarazioni “sopra le righe” tipiche delle campagne elettorali, ed è per questo destinata a cadere nel dimenticatoio dopo qualche giorno di roventi polemiche, anche se – in una campagna elettorale in cui per distrarre il paese da una guerra contro i poveri si alimenta quella fra i poveri – ci saranno altre esternazioni di questo genere.

Sarebbe sbagliato però circoscriverne la portata al solo ambito elettorale. E sarebbe ugualmente sbagliato, a nostro avviso, rispondere ad affermazioni così gravi restando nel perimetro della propaganda: dentro quel recinto ristretto e provinciale, cioè, in cui una “destra” dai contorni sempre più razzisti si contrappone a un “establishment”, di centro o di centro-sinistra, antirazzista a parole (quando conviene), antipopolare, autoritario e “securitario” nei fatti. Serve a poco, insomma, assecondare il gioco che contrappone Attilio Fontana e Matteo Salvini da una parte, e Matteo Renzi e Marco Minniti dall’altra. La posta in gioco è più complessa, e per alcuni aspetti più drammatica.

E a poco serve affrontare queste tematiche in maniera difensiva, appellandosi ad approcci di ordine morale o solidaristico: è urgente invece raccontare una realtà strutturalmente diversa da quella veicolata da chi detiene il potere politico ed economico necessario a costruire una pubblica opinione a proprio uso e consumo.

Il ritorno della “razza”

Si assiste, da qualche anno a questa parte, a un ritorno di idee razziali sempre meno eufemizzate, sempre meno coperte dalla concessiva “io non sono razzista, ma…”, e dunque sempre più esplicite e aggressive. Il recente Libro Bianco sul Razzismo curato da Lunaria propone un utile inventario di episodi e di vicende su cui riflettere.

Solo per fare un esempio tra i tanti, poco più di un anno fa, a Gorino in provincia di Ferrara, un nutrito gruppo di cittadini aveva alzato le barricate contro l’arrivo di dodici donne migranti. Non è stato né l’unico né il principale episodio di questo tipo, in Italia. Ma a Gorino una delle “leader” della protesta era la “signora Elena”, una donna di 76 anni che, intervistata da Piazza Pulita, non si è fatta scrupolo di rivendicare il “superiore quoziente intellettivo” degli uomini bianchi, e addirittura di deplorare la rivoluzione antirazzista di Nelson Mandela, in Sudafrica.

Bizzarre teorie complottiste, secondo cui l’arrivo dei migranti sarebbe frutto di astrusi piani di “sostituzione etnica” (piano Kalergi), transitano sempre più spesso dagli ambienti dell’estrema destra al discorso pubblico “rispettabile” (si fa per dire): ben prima delle uscite di Fontana, farneticazioni di questo tipo sono state pronunciate da Matteo Salvini e dai commentatori della trasmissione “La Gabbia”, condotta da Gianluigi Paragone su “La7”.

Tesi che, trovando terreno fertile nell’assenza di cultura politica in tempi di crisi economica, riescono a contaminare anche ambienti apparentemente di sinistra, persino estrema, che coniugano il sogno di un ritorno all’identità nazionale con il luogo comune razzista dell’incompatibilità di alcune popolazioni con le modalità di vita occidentali, finendo con il leggere un’inesistente “invasione” come manovra del capitale per asservire le classi popolari europee.

La razza e la bianchezza

Le dichiarazioni del candidato alla Regione Lombardia si inseriscono senz’altro in questo solco, ma al contempo segnano il passaggio a un discorso ancor più esplicito, in cui compaiono temi relativamente nuovi.

Da un lato, forse per la prima volta da decenni, un uomo politico di rilievo fa riferimento diretto alla “razza”: si passa, potremmo dire, da una aggressiva propaganda securitaria (“gli immigrati delinquono, il cittadino ha diritto di difendersi”, et similia) all’evocazione esplicita, senza freni inibitori, di un vero e proprio conflitto razziale.

Dall’altro lato, la “razza” viene declinata nei termini del colore, cioè come differenza tra “bianchi” e “neri”. Non si tratta, anche in questo caso, di una novità assoluta: il tema della “bianchezza” è ben radicato nella storia coloniale italiana, e riemerge periodicamente nel discorso pubblico (si pensi alle reazioni suscitate dalla nomina a Ministro della Repubblica di Cecile Kyenge, qualche anno fa, o alle banane gettate negli stadi ai calciatori neri). Ma nelle dichiarazioni di Fontana c’è un salto di qualità che non va sottovalutato, perché il candidato alla Regione Lombardia sembra identificare come “neri” tutti coloro che sbarcano sulle coste italiane: non solo i migranti dell’Africa sub-sahariana, quindi, ma anche i nord-africani e probabilmente, per metonomia, tutti i musulmani. L’Europa “bianca”, in questa immagine, torna ad essere quella delle guerre balcaniche e del periodo coloniale di un secolo fa: europei cristiani e bianchi, contro africani e medio-orientali musulmani. Non devono sfuggire le potenzialità politiche (e naturalmente i pericoli) di questo discorso pubblico.

Infine, non va sottovalutato il fatto che attraverso le dichiarazioni di Fontana una parte della destra politica in Italia sta cercando di “normalizzare” l’uso di categorie razziali. Fino ad oggi, la parola “razza” era considerata un tabù: l’inferiorizzazione dei migranti è sempre passata da categorie “culturaliste” (“sono etnie diverse”, “hanno una cultura arretrata” e simili). All’indomani delle esternazioni di Fontana, invece, c’è chi ha provato a dire che le razze esistono eccome (si veda ad esempio l’editoriale di Alessandro Sallusti su Libero), e ha addirittura citato la Costituzione Italiana, che all’articolo 3 vieta le discriminazioni “per motivi di razza”: se la Carta fondamentale parla di razze – è stato detto – vuol dire che le razze esistono. Un discorso che non ha alcun fondamento né storico né giuridico (sul significato della parola “razza” in Costituzione si rimanda a un vecchio articolo di un nostro socio su Corriere delle Migrazioni), ma che rischia di divenire senso comune, nel deserto culturale del discorso pubblico.

Che fare, dunque?

Insomma: al di là del polverone mediatico di questi giorni, le dichiarazioni di Fontana vanno prese sul serio. Registrano il passaggio a un discorso pubblico più aggressivo, più esplicitamente razziale/razzista, in cui si ridisegna il confine tra “noi” e “loro”.

Si tratta di un “noi-loro” che ha forti connotazioni di classe, in cui coloro che vengono additati come problematici o addirittura “inferiori” sono percepiti innanzitutto come concorrenti nella povertà, ma che assume una connotazione essenzialista – e dunque razzista – costruendo un muro relazionale, una sorta di apartheid capace di far considerare anche una blanda riforma della legge sulla cittadinanza, il cosiddetto ius soli, come un attacco identitario, lesivo di una presupposta, immutabile e artificiale appartenenza di nascita e di cultura.

Più difficile è dire come reagire, come opporsi, come far circolare un discorso pubblico diverso, alternativo e contrapposto a quello delle destre emergenti. Sarebbe fondamentale che su questo si aprisse un dibattito non limitato ai soli attivisti “specializzati”, a quelli che “si occupano di immigrazione”, ma allargato a tutte le voci critiche politiche, sociali e culturali, e che si riflettesse sul motivo per cui – mentre bambini di tre mesi muoiono in mare in assenza di cure mediche, salvati da una Ong ma non soccorsi dalle navi o dagli elicotteri degli assetti italiani ed europei in grado di effettuare trasbordi sanitari d’urgenza – in Italia si disquisisce sulle disgustose affermazioni di Fontana ma nessun parlamentare, di destra o di sinistra, ritiene necessario dire che l’abbandono in mare dei migranti sta assumendo le forme di una selezione razziale.

Per quanto ci riguarda, abbiamo una sola certezza: questo nuovo “discorso della razza” si combatte mettendo in circolo una diversa immagine del mondo, non certo assecondando gli umori peggiori dell’opinione pubblica. Le campagne securitarie del Ministro Minniti, la criminalizzazione delle Ong e della solidarietà ai migranti portano solo benzina al razzismo emergente.

Attraverso un linguaggio apertamente razzista si vogliono legittimare pratiche ancora più rigorose di controllo e di esclusione. Alle dichiarazioni di Fontana corrispondono le sortite di Berlusconi sulla presenza in Italia di cinquecentomila migranti irregolari che sarebbero, solo per questo, già pronti a delinquere. Dopo le campagne mediatiche innescate da Minniti contro le ONG, e la forte caratterizzazione sulla esternalizzzazione dei controlli di frontiera, passando per l’infinità di ordinanze sindacali che con il pretesto di difendere il decoro espellono soprattutto migranti dai luoghi centrali delle città, si delinea il quadro che ci attende dopo la scadenza elettorale.

Si procede nella direzione di un’ulteriore criminalizzazione dell’immigrazione, basata su politiche della paura e sulla ricerca di consenso politico per uno stravolgimento del principio di eguaglianza e, a seguire, dei principali valori costituzionali.

Alla governance italiana ed europea non basta più la logica della “Fortezza”, si va oltre il perseguimento della chiusura delle frontiere, attaccando le politiche di accoglienza e i diritti fondamentali dei migranti: diritti che, in base alle leggi vigenti, vanno riconosciuti a tutti, indipendentemente dalla condizione legale.

Sarebbe un errore pensare che queste politiche siano di breve periodo, o che non siano sorrette da un forte consenso sociale. Per questo occorre organizzare un’attività di resistenza e di denuncia sul territorio, ben consapevoli che non sarà certo il Parlamento che uscirà dal voto del 4 marzo a mettere argine al degrado della nostra democrazia. Dovremmo definire uno spazio pubblico di elaborazione che si ponga tanto l’obiettivo di ribaltare il pensiero pubblico dominante quanto quello di individuare ridefinizioni radicali delle leggi in materia di immigrazione, asilo e inclusione sociale. Su questo percorso spiccano per assenza i politici che stanno preparandosi a chiederci il voto: sarà sul loro concreto impegno, e non sugli slogan programmatici, che li giudicheremo.

Adif, Associazione Diritti e Frontiere