di Fulvio Vassallo Paleologo
Ancora una strage in acque internazionali in occasione dell’intervento di un mezzo della guardia costiera libica. Il numero delle vittime di questa ultima strage aumenta di ora in ora. Cinquanta, forse cento. Persone, esseri umani, non numeri come stanno diventando nella narrazione collettiva. Un intervento chiamato soccorso, ma che ha avuto anche in questa occasione il carattere di una intercettazione. Dalle scarne notizie fornite dalla Guardia costiera libica sembra che le persone partite da Khoms siano rimaste in mare aggrappate al gommone che si stava sgonfiando per diverse ore, e che i mezzi di soccorso sarebbero partiti dal porto di Sabratha, distante diverse decine di miglia da Khoms.
Appare evidente il ritardo nei soccorsi, frutto della inesistenza di una zona SAR libica, della mancanza di mezzi in dotazione della guardia costiera di Tripoli, che non si può certo definire libica, come è dimostrato anche da questa ultima tragedia. Questi morti sono una diretta conseguenza del ritiro delle navi europee e della campagna diffamatoria contro le ONG, che hanno potuto lasciare operative soltanto alcune navi, che nelle fasi di rientro in porto, su ordini del ministero dell’interno italiano e del comando MRCC della Guardia costiera, cariche di migranti, perchè devono imbarcare anche persone soccorse dai mezzi militari, non possono certo raggiungere le zone dalle quali continuano ad arrivare le chiamate di soccorso.
TRIPOLI, Jan. 10 (Xinhua) — Libyan Navy on Tuesday announced that more than 100 illegal immigrants were lost at sea off the western coast on their way to Europe. According to a statement released by the Navy, 17 immigrants, including women, were rescued off the coast of Khoms city on a rubber boat with a completely crashed base.”The rescued immigrants survived by clinging to the balloon of the boat until the rescue boat arrived from Sabratha city,” said the Navy.
Alcuni superstiti della strage “davanti le coste di Al Khoms” lamentano di essere rimaste in mare aggrappate per ore dopo la prima chiamata di soccorso, non si sa bene indirizzata a quale Guardia costiera.
“A Nigerian woman who had been on board the boat that sank, Zainab Abdesalam, told Reuters the migrants had waited several hours to be rescued and that the survivors were extremely weak.“
Il naufragio si è verificato nella stessa zona davanti a Khoms e Garabouli, ad ovest di Tripoli, dalla quale lo scorso anno, nel mese di novembre, la Guardia costiera libica ha allontanato con la violenza una nave della organizzazione tedesca Sea Watch. Una zona nella quale è provata la collaborazione operativa tra la Guardia costiera libica e la Marina italiana.
Libya’s coast guard has intercepted a boat full of asylum seekers headed from Africa to Europe, amid heightened efforts to block refugees crossing the Mediterranean Sea. The coast guard on Saturday turned back more than 150 refugees off the Libyan coast, between the towns of Al Khoms and Garabulli, east of Tripoli, who had been trying to reach Italy by boat. The captain of the Libyan ship that returned the refugees to a Tripoli port, Colonel Abdelhamid Adengouz, said they had been saved from drowning in rough conditions. “The migrants were saved from death,” he said. Adengouz also said “an Italian ship” helped the Libyan coast guard in the mission.
Le persone “soccorse” in alto mare, ma”davanti le coste di Khoms”, sono state riportate a terra. Come previsto del resto dagli accordi conclusi con il governo italiano nel febbraio del 2017. Accordi sui quali il nostro ambasciatore a Tripoli esprime oggi una valutazione positiva.
Meno sbarchi, meno morti è uno slogan elettorale che viene smentito quotidianamente dai fatti. Dopo le statistiche trionfali di Gentiloni e Minniti che esultano per il forte calo degli arrivi dalla Libia, che si dovrebbero definire piuttosto soccorsi operati in acque internazionali, ad oltre 12 miglia dalla costa libica, è ripresa la conta dei morti e dei dispersi, mentre le navi umanitarie sono state quasi tutte allontanate. Le poche che, dopo la farsa del Codice di condotta imposto da Minniti e poi smentito nei fatti, continuano ad operare sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana, nulla possono fare contro le motovedette libiche che raggiungono i gommoni in altro mare e procedono a “salvataggi” che comportano regolarmente un alto numero di vittime. O perché i soccorsi ritardano troppo, o perché vengono condotti con modalità brutali, le abbiamo viste in diversi video, con modalità che non rispettano la vita umana. A nulla sembra che siano serviti i corsi di formazione della “Guardia costiera libica” condotti a bordo di alcune unità navali militari italiane e della missione Eunavfor Med “Sophia”.
Per alcuni, come Scalfari che elogia Minniti, e per tanta opinione pubblica che oscilla tra l’indifferenza e la complicità nelle stragi, se non si abbandona ad un autentico compiacimento, va bene così, anche per l’accordo con i sindaci, che con le loro milizie bloccano i migranti in transito, con le conseguenze che oggi vediamo nei rapporti della CNN e dell’ONU. Una indifferenza, se non una aperta complicità che viene allo scoperto con modalità sempre più violente, tra l’ipocrisia ed il contorno delle organizzazioni neofasciste lasciate libere di manifestare per strada contro i migranti nelle città italiane, e di minacciare gli operatori solidali ed i giornalisti, aggregando consensi sempre più ampi.
Noi non ci rassegnamo, alcuni mesi fa dicevamo che “la verità occorre gridarla dai tetti”, oggi rilanciamo una azione di denuncia e di mobilitazione collettiva di chi non si rassegna al bollettino di guerra di morti e dispersi nel Mediterraneo. Il 2018 si avvia a diventare un anno record per il numero delle vittime delle politiche europee ed italiane di contrasto dell’immigrazione. Hanno spazzato via dal mar libico tutte le navi che potevano effettuare una effettiva attività di ricerca e salvataggio. Ancora questa notte nessuna nave umanitaria è presente nella zona ad st di Tripoli dove continuano a verificarsi i naufragi, e le navi militari europee cedono il passo alle motovedette libiche.
Poche settimane fa il governo italiano e le principali autorità europee sono state condannate dal Tribunale permanente dei popoli riunito a Palermo per avere commesso crimini contro l’umanità, sulla base di una montagna di prove che potrebbero avere rilevanza anche davanti ai giudici nazionali ed internazionali. Se solo indagassero sulle responsabilità degli agenti istituzionali e non solamente sulle organizzazioni non governative o sui cittadini solidali. Ed è notizia di oggi che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha dichiarato ammissibili i ricorsi presentati contro i respingimenti collettivi, illegali, eseguiti lo scorso anno dall’Italia verso il Sudan, nell’ambito degli accordi derivanti dal processo di Khartoum e in base ad un Memorandum d’intesa stipulato nel 2016 con il governo di un dittatore come Bashir, ricercato per crimini di guerra, ma partner affidabile per la nostra polizia e persino per la magistratura. In altri paesi chi deporta verso il Sudan viene costretto a dimettersi, in Italia ci si può vantare di avere eseguito respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali.
Chi ha sparato alzo zero sulle ONG “colluse con i trafficanti” dovrebbe riflettere oggi su queste vittime, mai tanto numerose, in pochi giorni e sulla condizione dei migranti intrappolati in Libia. Sono note a tutti, ormai, le sorti dei migranti riportati sulla costa dalla “Guardia costiera libica”, molti dei quali, una volta usciti o trasferiti dai centri di detenzione ufficiali, incappano nelle bande di miliziani che controllano ogni commercio illecito, di esseri umani, come di armi e petrolio, per finire nelle “connecting house” o nei centri informali, gestiti direttamente dalle milizie. Non è certo la presenza dell’OIM e dell’UNHCR in alcuni punti di sbarco, o le periodiche visite che effettuano nei centri governativi a garantire la fine delle torture alle quali sono sottoposti tutti i migranti riportati a terra dalla Guardia costiera “libica”, che neppure si può definire tale, se si guarda alla situazione di conflitto sul terreno, fino agli scontri odierni a Zawia. punto di sbarco della Guardia costiera libica e terminale ENI.
E’ ormai confermata la notizia da parte dell’IMO ( Organizzazione marittima internazionale) che non esiste ancora una zona SAR libica, e da parte degli stessi libici che avevano escluso di intervenire in attività di soccorso in acque internazionali, fino a quando non fosse chiarita e sancita a livello internazionale l’area di effettiva competenza loro assegnata. Eppure a distanza di pochi giorni dallo scambio di comunicazioni tra autorità tripoline ed IMO, probabilmente per la mediazione italiana, le motovedette libiche sono tornate ad uscire in acque internazionali, e subito si sono viste le conseguenze dei “salvataggi” che hanno operato. In alto mare, una zona ormai svuotata dalle navi di soccorso delle ONG, e nella quale le pur numerose navi militari presenti rimangono silenti ed invisibili testimoni di stragi che si consumano con cadenza quotidiana.
Con gli accordi stipulati con il governo di Tripoli alla vigilia della Conferenza di La Valletta a Malta del 3 febbraio 2017, che ne approvava il contenuto, il governo italiano aveva ritenuto superata la questione della “giurisdizione”, in quanto le decisioni politiche e le prassi operative adottate da imbarcazioni e personale italiani non avrebbero una incidenza esclusiva sulle persone oggetto di blocco in mare, tanto in acque internazionali, quanto nelle acque territoriali libiche, la cui sorte veniva rimessa, alle autorità libiche riferibili al governo Serraj. Questa la sostanza della risposta di Minniti alle critiche del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa. La comunicazione dell’IMO e le successive imprevedibili reazioni della Guardia costiera libica dimostrano in maniera inequivocabile come una zona SAR libica non sia mai esistita, e come le autorità libiche, quelle stesse autorità che hanno fiancheggiato la campagna diffamatoria contro le ONG, non abbiano alcuna possibilità, né intenzione, di rispettare gli obblighi di ricerca e soccorso previsti dalle Convenzioni internazionali nelle zone SAR di competenza dei singoli stati.
Le responsabilità dell’Unione Europea, delle sue agenzie come Frontex, e dei singoli stati, come l’Italia, esaminate nel corso dei lavori del Tribunale permanente dei popoli sono state distinte a seconda che riguardino complicità per le torture in Libia e per i respingimenti verso la Libia ovvero la morte e la sparizione di migliaia di migranti nelle acque del Mediterraneo centrale. Nel primo caso si è affermata la ricorrenza di crimini contro l’umanità, in quanto la condotta dell’Italia e dei suoi rappresentanti, come prevista e attuata dal Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017, integra concorso nelle azioni delle forze libiche ai danni dei migranti, in mare come sul territorio della Libia . E’ invece risultato più arduo inquadrare nel diritto penale esistente il crimine di “lasciar morire in mare”, in cui il comportamento illecito dei vertici di governo non consiste in condotte positive, ma in condotte omissive, in presenza di un preciso dovere giuridico, nell’avere omesso di attivarsi in modo adeguato davanti a conseguenze tragiche che erano perfettamente prevedibili ed evitabili.
Una responsabilità “esclusiva” si configura non solo nei casi in cui le autorità italiane preposte alla gestione delle operazioni SAR, dopo avere ricevuto una chiamata di soccorso ed avere coordinato l’avvio di una attività SAR, ne cedano la gestione alla Guardia costiera libica, alla quale segnalano le imbarcazioni intercettate in acque internazionali, impedendo i soccorsi più tempestivi che sono imposti dalle Convenzioni internazionali e che sarebbero possibili in presenza di navi appartenenti ad ONG presenti in zona. Analoga responsabilità, in concorso con i vertici di EUNAVFOR MED e di FRONTEX, appare configurabile quando, come sta accadendo in questi ultimi giorni, le autorità italiane, che in passato intervenivano nella cd. zona SAR libica dichiarando apertamente e pubblicamente la “ineffettività” di tale zona, si limitano oggi a tenere le loro navi molto a nord, e si affidano ad interventi sporadici di una “guardia costiera libica” che non garantisce alcuna capacità effettiva di salvaguardare la vita umana in mare. Come i fatti dimostrano ampiamente anche in queste ore.
In base alla Convenzione di Montego Bay del 1984 (UNCLOS) ed in base alla Convenzione di Amburgo del 1979 (SAR), se uno stato, e può valere il caso di Malta, non riesce a garantire una effettiva attività di ricerca e salvataggio nella propria zona SAR, gli stati vicini hanno l’obbligo di predisporre assetti navali ed aerei di ricerca e soccorso in modo da salvaguardare la vita umana in mare. Come è successo del resto nel 2014 con l’operazione Mare Nostrum e nel 2015-2016 con il coordinamento delle navi umanitarie ( fino ad undici) da parte del Comando centrale della guardia costiera (IMRCC). Poi sono arrivate le accuse dai siti fascisti come GEFIRA e dai vertici di Frontex, quindi da blogger ben sponsorizzati da certa stampa. Alla fine sequestri e processi, se non bastavano le mitragliate sparate dalle motovedette libiche, le stesse assistite e manutenzionate dalla nave Tremiti stabilmente ormeggiata nel porto di Tripoli. Diversi rapporti scientifici documentano in modo analitico il costo di queste scelte politiche, giudiziarie e militari. Adesso sembra proprio che le stragi lascino indifferenti anche i vertici istituzionali, a parte i soliti “mantra” contro i cattivi trafficanti, che in realtà prosperano proprio sulle politiche di blocco delle frontiere, come l’esperienza storica in tutto il mondo ci ha insegnato.
Durante la sessione di Palermo del Tribunale Permanente dei Popoli si è rilevato come l’allontanamento forzato delle navi delle ONG dal Mediterraneo, indotto anche dal “codice di condotta” imposto dal governo italiano, e da Minniti in particolare,abbia indebolito significativamente le azioni di ricerca e soccorso dei migranti in mare contribuendo ad aumentare quindi il numero delle vittime. E’ anche emerso come il supporto alla guardia costiera “libica”, in realtà con riferimento a quella di Tripoli e delle altre città sodali con il governo Serraj, fosse al centro di un progetto al quale il governo italiano aveva lavorato con assiduità già nel corso del 2016, con Gentiloni ministro degli esteri. Un progetto che ha avuto un impulso decisivo con l’arrivo di Minniti al Viminale. Come è verificabile da rapporti ufficiali, acquisiti durante i lavori del TPP, il governo italiano ha tentato di costituire a Tripoli un Mrcc (Maritime Rescue Coordination Centre) e un Ncc (National Coordination Center) come “priorità strategiche”. Mentre si è affidato sempre più alle poche ONG “superstiti”, come SOS Mediterraneè il compito di effettuare interventi di ricerca e soccorso in acque internazionali. .Il centro di coordinamento degli interventi SAR è stato curato dalla Guardia Costiera, mentre il coordinamento nella lotta ai trafficanti è stato affidato alla dalla Guardia di Finanza. Sotto l’egida della direzione centrale Polizia delle Frontiere e Immigrazione del dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. Sono queste le autorità che oggi decidono della vita e della morte delle persone da soccorrere in acque internazionali.
Le centinaia di testimonianze raccolte dai rappresentanti delle ONG che hanno deposto a Palermo, ed i testimoni diretti che sono stati ascoltati dai giudici del Tribunale permanente dei Popoli, oltre a confermare quanto si sosteneva da tempo sugli effetti nefasti delle intese raggiunte con le autorità libiche, e dell’attacco alle ONG, hanno creato una rete di relazioni solidali che proseguirà anche dopo la sessione del TPP a Palermo. Si proseguirà dunque, anche dopo la sessione del Tribunale Permanente dei Popoli che si è svolta a Parigi il 3 e 4 gennaio, ampliando il fronte delle denunce degli abusi che si continuano a verificare e con proposte concrete, come l’aperture di vie legali di ingresso attraverso la concessione dei visti umanitari previsti dal regolamento Schengen, in misura ben superiore all’esiguo spiraglio aperto con gli sporadici corridoi di ingresso legale per i soggetti particolarmente vulnerabili, con i quali Minniti ed il suo governo stanno cercando di recuperare una immagine “umanitaria” che, alla luce di quanto emerso dai lavori del TPP a Palermo, non gli può certamente appartenere. E purtroppo quanto sia umanitaria la politica del governo italiano lo si misura anche sulla base delle vittime che sta producendo, con l’aumento esponenziale dei “naufragati” e dei detenuti nei lager libici, nei quali vengono riportati i migranti “più fortunati,” che vengono soccorsi/intercettati in alto mare, in acque internazionali, dalla sedicente Guardia costiera libica, piuttosto che essere soccorsi da un mezzo che rispetti davvero gli obblighi di soccorso e che li conduca in un porto di sbarco sicuro, come prescritto dalle Convenzioni internazionali.
Per fermare questa vera e propria decimazione dei migranti in fuga dalla Libia occorre una missione internazionale di soccorso che controlli anche le acque libiche ed impedisca respingimenti collettivi ed intercettazioni che diventano veri e propri sequestri di persona. Solo la riconciliazione delle parti libiche in conflitto, e il riconoscimento da parte di un governo unitario libico della Convenzione di Ginevra, con la introduzione di garanzie per tutti i migranti presenti in quel paese, a prescindere dalla loro condizione giuridica, potrà arrestare questa sequenza di morte. Occorre abbandonare il Processo di Khartoum e sospendere immediatamente gli accordi con la Guardia costiera libica.Gli accordi diretti esclusivamente a bloccare le partenze finanziando milizie fuori controllo servono soltanto ad aumentare la conflittualità tra le diverse fazioni,ed i profitti dei trafficanti. La lotta ai trafficanti si fa garantendo condizioni di legalità ai migranti, non ricacciandoli all’inferno nelle mani dei loro torturatori, o lasciandoli morire in mare.